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Autore: Sheep01    03/06/2020    1 recensioni
[IT, Principalmente Movieverse, possibili accenni a Doctor Sleep]
Ogni giorno gli sembrava andasse un po' meglio, fino a quando non si trovava di nuovo a pensare a cosa avrebbe potuto fare per impedire quell'orribile, definitivo epilogo.
Se solo quel drammatico giorno avesse interpretato in modo fulmineo quello che le luci gli avevano suggerito. Quello che aveva visto, attraverso l'infinito mistero dei Pozzi Neri. Ma Eddie lo aveva strappato al suo tragico destino troppo presto, troppo rapidamente perché potesse assorbire appieno quello che la sua coscienza sul futuro gli stava rivelando.
Genere: Dark, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 3

 

Danny Torrance aveva ignorato il suo cellulare per tutta la sera.

O quantomeno per tutta la durata della riunione settimanale degli alcolisti anonimi.

Era l'unico momento della settimana che dedicava a se stesso per davvero. Dopo le interminabili giornate di lavoro, l'unico momento in cui parlare e sfogarsi gli era terapeutico, più che gettarsi sul letto, come faceva il resto della settimana, distrutto dopo un'intera giornata all'ospedale.

Amava il suo lavoro. Lo amava con tutto il cuore. Nonostante molto spesso significasse dover assistere dolcemente le persone che passavano a miglior vita. Grazie a quel suo dono speciale, cercava sempre di assicurarsi che quelle povere, anziane anime, lo facessero nel modo più dolce e rassicurante possibile. Dottor Sonno, così lo chiamavano nell'ambiente, e sebbene non molti, praticamente nessuno, sapessero che possedeva certi poteri che comunicavano direttamente con l'aldilà, era un appellativo che lo rendeva riconoscibile agli occhi di tutto il personale.

«C'era un sacco di gente nuova stasera, eh Doc?»

Doc. Doc era il nome con cui invece lo avevano soprannominato alle riunioni, per via di quel suo lavoro all'ospedale per anziani, senza sapere che prima di chiunque altro, erano stati i suoi genitori a chiamarlo a quel modo, sin da bambino. Che ironia.

Danny si voltò in direzione del vecchio Casey che gli passò una calda tazza di caffè. Un'altra delle cose preferite di quelle riunioni. Una bevanda che non avrebbe fatto danni, non tanti quanti ne avevano fatti alcool o droga. Erano diciotto anni ormai che era sobrio e il caffè non lo avrebbe sostituito con niente altro al mondo (il più delle volte).

«Non so mai se esserne felice o tutto il contrario...» rispose riferendosi alla folla della riunione, ringraziandolo con un cenno del capo.

«Per come la vedo io, è sempre una cosa buona, Doc», sorrise l'uomo prima di rendersi conto che qualcosa si era illuminato nel taschino della camicia di Danny.

«Qualcuno ti sta cercando amico, oppure sei diventato una specie di lucciola vivente.»

Danny posò il bicchiere e recuperò il cellulare, che si era drammaticamente dimenticato di spegnere.

«Ah, diamine... scusami un secondo. È tutta la sera che ricevo chiamate da questo numero. Forse è il caso di rispondere», si congedò senza dare ulteriori spiegazioni.

In realtà aveva capito che qualcosa stava bollendo in pentola. Aveva cercato di ignorare la situazione il più a lungo possibile, sperando di poter rimandare a più tardi qualsiasi magagna stesse per essergli scaricata addosso, ma d'altro canto curioso di risolvere la questione e togliersi il pensiero.

Si assicurò di uscire alla chetichella, di non essere a portata d'orecchio di nessuno, senza nemmeno sapere perché. Istinto. O qualcos'altro che risiedeva in quel suo strano potere. Un paio di persone erano uscite per fumare una sigaretta, due chiacchiere in confidenza; le evitò, andando a cercare solitudine verso il parcheggio.

«Pronto... ?» rispose. Era certo che, ancora un paio di squilli e chiunque lo stesse cercando avrebbe riattaccato, di nuovo. Per quello non si stupì nemmeno quando all'altro capo della cornetta nessuno reagì celermente. Riusciva a sentire il suo respiro però, affettato e sorpreso, come di qualcuno colto sul fatto.

«Parlo con... il signor Torrance?» una voce, finalmente. Non gli sembrava familiare, ma qualcosa gli solleticava un punto dietro alla nuca, suggerendogli che poteva essere riconducibile a qualcosa (a qualcuno Danny, a qualcuno) di conosciuto.

«Se per signor Torrance non intende mio padre, immagino di sì. Sono io. Daniel.»

«Danny...» mormorò meditabondo lo sconosciuto «sì, Daniel Torrance stavo... stavo cercando proprio lei.»

«Potrei sapere con chi sto parlando?» decise di togliere dall'impasse la conversazione. L'uomo gli sembrava titubante, nervoso. Di certo non un promotore di buone notizie.

«Sì, certo, mi scusi. Mi chiamo Michael. Michael Hanlon. Chiamo da Derry, nel Maine.»

Derry.

Il nome della città gli scatenò addosso un brivido repentino, come se qualcuno gli avesse scaricato addosso una brocca d'acqua ghiacciata. Nella testa presero a formarsi delle immagini, rapide e nitide: un tombino, palloncini rossi, occhi gialli nell'oscurità.

«La città dei bambini che gridano...» mormorò, seguendo un'intuizione, una visione, più che un ricordo vero e proprio. Non era mai stato a Derry. Non conosceva Derry, se non di fama. Una triste, tristissima fama. Erano scomparsi inspiegabilmente dei ragazzini in quella città anni addietro. Ricordava la notizia, sui giornali. Ricordava sua madre che cercava di impedirgli di uscire da solo, sebbene già adolescente, nel periodo successivo a quelle sparizioni. La paura che serpeggiava un po' in tutto il New England e New Hampshire in quegli anni.

«Come prego... ?» la voce di Mike dall'altra parte lo riportò alla realtà; al parcheggio, illuminato solo dalle luci dei lampioni.

«Nulla. Stavo solo facendo mente locale, mi perdoni.»

«Si figuri, nessun problema. Stavo dicendo che ho avuto il suo numero da un amico in comune, io credo.»

Un amico in comune. Un amico che immediatamente gli si materializzò nei pensieri, come una fotografia. Un amico con cui aveva parlato per tanto tempo, anche dopo che se n'era andato, per sempre, nel misterioso mondo che stava oltre la vita.

«Dick Hallorann», disse Danny. Un dato di fatto, non una domanda, come avesse atteso da anni una simile telefonata.

Mike si era ammutolito e capì immediatamente di aver dato di nuovo voce ai suoi pensieri.

«Io... s-sì», balbettò l'uomo, preso alla sprovvista dall'intuizione, «Dio, allora deve essere tutto vero.»

Danny sospirò. Poteva quasi immaginare il viso di Mike: un afroamericano sulla quarantina. Gli occhi tristi, il viso segnato dalla preoccupazione. Occhi vigili.

«Se Dick Hallorann le ha dato il mio numero deve essere qualcosa di importante. Qualcosa che riguarda...»

«Lo Shining.»

Come immaginava. Alzò gli occhi al cielo scuro; non si vedevano molte stelle, quella sera. Dannate luci cittadine.

«Non l'avrei cercata se non fosse una questione di estrema importanza, signor Torrance.»

«Posso essere a Derry questo sabato», rispose assorto, gli occhi alle stelle, senza riflettere a lungo sulla questione. Nel momento in cui era stato fatto il nome di Hallorann, tutto era diventato fin troppo chiaro, cristallino. Doveva andare a Derry. Non era quel tipo di persona che prende decisioni improvvise e immotivate, ma aveva ragione di credere che fosse l'unico modo di risolverla con meno danni possibili.

«Oh, ma non pensavo che... è un lungo viaggio per lei, immagino.»

«Non così lungo», lo rassicurò, senza troppi fronzoli, «teniamoci in contatto, mi spiegherà tutto a voce, signor Hanlon.»

«Mi chiami Mike.»

«Solo se tu mi chiami Danny.»

Una nuova fase stava per cominciare.

 

*

 

Beverly si era precipitata nelle braccia di Richie senza quasi dargli il tempo di salutarla come si deve. Ben, alle sue spalle, si limitò ad osservarli con un sorriso triste sulle labbra.

«Ci siamo visti meno di tre settimane fa, Bev», commentò solo, senza però sottrarsi a quella stretta rassicurante. Gli abbracci di Beverly erano così: irruenti e confortanti.

«Non è per quello che ti sto abbracciando», gli sussurrò all'orecchio e Richie avvertì di nuovo quella morsa allo stomaco che non aveva niente a che fare con la sorpresa.

«Non avreste dovuto tornare voi due...» si slacciò dall'abbraccio prima di cedere alla stupida commozione. Doveva essere la vecchiaia, certo che era la vecchiaia, che altro? «Si supponeva che ve la spassaste alla grande, in qualche maestoso cottage in Nebraska. Avete già messo in cantiere un nipotino per la truppa dei Perdenti?»

«Richie...» lo rimproverò Ben, avvicinandolo per abbracciarlo brevemente a sua volta.

«No, dico sul serio...»

«Allora è vero?» intervenne Beverly, interrompendo quel siparietto affatto necessario, guardando alternativamente Richie e poi tutti gli altri all'appello. Vedere di nuovo tutti riuniti sotto lo stesso tetto, che per inciso era il vecchio appartamento di Mike, faceva un certo effetto. Avrebbero dovuto tornare alle loro vite dopo aver sconfitto quel clown di merda, dimenticare quella vicenda, affrontare il lutto ed uscirne migliori. Invece erano ancora tutti lì. Per un motivo o per un altro, di nuovo inchiodati a una realtà che avevano già disperatamente cercato di abbandonare, due volte.

«Se intendi se sia vero che sento le voci: sì, è vero. Se devo andare in terapia? Questo lo diremo se una mattina mi sveglierò con la bava alla bocca, inneggiando a Gozer.»

«Eddie, intendevo. Pensi davvero che si tratti di Eddie?» domandò di nuovo, cercando gli occhi di Richie.

«Non lo penso. Io so che si tratta di Eddie», le confermò con un certo malanimo, «non confonderei la voce di quel ragazzaccio con nessun'altra al mondo.»

«Come pensate che sia possibile? Insomma, lui è...» non concluse la frase, perché non ce n'era bisogno. E se Richie avesse di nuovo sentito la parola morto, associata a Eddie avrebbe seriamente dato di matto. Ora che il filo della speranza gli si era aggrovigliato allo stomaco, avrebbe fatto di tutto per evitare che venisse spezzato di nuovo. Aveva il terrore del contrario, delle devastanti conseguenze dell'ipotesi contraria.

«È quello che stiamo cercando di scoprire», intervenne Mike, emergendo da uno degli angoli oscuri dell'appartamento, «abbiamo contattato una persona che forse potrà aiutarci.»

«Chi?» domandò Ben, mettendosi a sedere su una delle poche sedie libere, slacciandosi la giacca che ancora indossava dal suo arrivo.

«Una specie di veggente, santone, telepatico, sa il cazzo. Mike dice che ci dobbiamo fidare. Spero non creda di poter venire qui a mostrarci spettacoli spiritici, pieni di tavolini che volano a mezz'aria, convinto di spillarci soldi», spiegò Richie con una vena di sarcasmo che Mike non sembrò apprezzare.

«Avresti dovuto parlarci tu e renderti conto personalmente di cosa ci troviamo di fronte, Richie, se non ti fidi delle mie sensazioni.»

«Non ho detto questo, Mike.»

«A me sembra che tu stia dicendo proprio questo, invece», ribatté piccato, la voce vagamente alterata.

«Ragazzi», intervenne Bill, scuotendo la testa, «non mi sembra il caso di discuterne ancora. I perdenti devono restare insieme, non è il caso di litigare. Abbiamo concordato che questa è l'unica alternativa che abbiamo, per il momento. Se questo Torrance si rivelerà una frode, lo rispediremo da dove è arrivato con un calcio nel sedere. Non abbiamo sconfitto un mostruoso clown alieno per farci fregare da un uomo che viene dal New Hampshire, no?»

Mike e Richie osservarono Bill con aria colpevole. Big Bill sapeva sempre come rimettere in asse gli animi.

«Aye, Big Bill... è inaccettabile questa mia mancanza di fede», Richie si portò una mano sul cuore e mandò un bacio in direzione di Mike che scosse la testa, arreso.

«Quindi ora che facciamo?» domandò Beverly più che ansiosa di fare qualcosa, di non restarsene con le mani in mano.

«Aspettiamo sabato e nel frattempo ci sfondiamo di cibo, alcool e giochi di ruolo?»

 

*

 

Eddie aveva appena rimesso piede in città. I dintorni gli erano insolitamente familiari, una sensazione più che altro. Perché se gli avessero chiesto che strada stesse percorrendo o cosa diavolo avrebbe trovato dietro l'angolo, non avrebbe saputo rispondere. Le strade erano quiete, silenziose, per quanto potessero esserlo delle strade di una cittadina di provincia. Sporadiche macchine di passaggio, qualche pedone sui marciapiedi. Un piccolo assembramento di ragazzini al parco al quale si era appena timidamente affacciato. E quella statua enorme di un taglialegna, riconoscibile al centro della piazzola: un colosso di cemento dall'aria bonaria e spaventosa al tempo stesso.

Ci ho passato la mia infanzia in questo posto.

Un altro di quei pensieri inquieti e sporadici. Rapidi come flash di una macchina fotografica.

Si passò una mano sul viso, cercando di schiarirsi le idee. Di capire dove andare e come farlo.

Non aveva riferimenti, non coscienza di ciò che realmente sapeva.

Era sicuro solo di chiamarsi Eddie. Di indossare la giacca di Richie e di essere a Derry. Un misero accumulo di informazioni per avere un vero quadro della situazione.

Se era cresciuto in quel posto però, come avvertiva nelle ossa e nei recessi della sua mente, allora forse qualcuno avrebbe potuto riconoscerlo. O quantomeno avere informazioni più soddisfacenti che non quelle di tirare a indovinare.

Ma per quanto il suo desiderio di capirci qualcosa fosse sostanzioso, la sola idea di avvicinarsi a qualcuno per chiedere qualcosa lo terrorizzava. Inoltre, a giudicare dagli sguardi assenti delle poche persone che aveva incrociato in quel lasso di tempo, sembrava quasi fossero in grado di guardargli attraverso, come non ci fosse veramente, come fosse solo una presenza incorporea, indegna di attenzione. Non un grosso incoraggiamento al dialogo.

Avrebbe potuto andare alla polizia per denunciare un'amnesia, pensò in rapida successione. Non avrebbe dovuto dare spiegazioni perché di fatto non ne aveva. Avrebbe potuto andare alla polizia, dire di essersi svegliato nei pressi della cava e di non ricordare un accidenti di niente. Avrebbero avviato un'indagine, qualcuno sarebbe venuto a cercarlo, prima o poi.

Si sentì improvvisamente rincuorato dall'ipotesi, dalla possibilità di scaricare su qualcun altro la responsabilità di districare la matassa. Non di meno dall'idea che ancora fosse in grado di pensare con lucidità, in modo pratico, l'amnesia solo un vago inconveniente nell'economia delle cose.

L'unico problema era ricordare dove fosse... la polizia. Forse, dopotutto, avrebbe potuto chiedere a uno di quei passanti dall'aria assente.

Avvicinò un uomo, anziano, sulla settantina. Nemmeno consapevole del perché, sospinto verso di lui, ancora una volta, grazie a uno strampalato istinto. L'uomo stava lanciando delle briciole ai piccioni e mormorava fra sé e sé qualcosa che non riusciva a comprendere. Gli sembrava abbastanza pacifico da poter tentare un approccio.

«Mi scusi...» mormorò, inorridendo appena a come gli era suonata la voce. Roca e poco chiara, come se l'oscurità dal tunnel da cui era uscito se la fosse in parte portata via.

L'uomo non sembrò sentirlo, non immediatamente almeno. Continuava a nutrire i volatili, immerso nel suo mondo. Perciò quando alzò lo sguardo su di lui, dopo un istante che gli sembrò eterno, si sorprese di avere i suoi occhi inchiodati addosso.

«Non di nuovo...» lo sentì dire, lo sguardo seccato, preoccupato, «Sei un altro di quelli, non è così?» allungò una mano come per toccarlo, ma la ritrasse appena prima di poterlo fare. «Certo che sei uno di quelli...»

«Uno di quelli... ?» mormorò Eddie senza capire.

«Uno di quelli, sì. Arrivi anche tu dalle fogne, no?»

«Io non... come fa a saperlo?»

Lo vide scuotere la testa, rassegnato. Passarsi una mano su quel viso smagrito dalle rughe.

«Arrivate tutti da lì. Erano anni che non ne vedevo arrivare così tanti, però. Il giorno della tempesta ne ha vomitati fuori un'armata di voi.»

«Q-quale tempesta... ? V-voi chi?»

L'uomo scosse la testa.

«Ah, giovanotto. Mi piacerebbe poterti dare qualche rassicurazione, ma l'unica cosa che so è che siete un dannato incubo. Alcuni restano. Altri se ne vanno. Preferisco sempre quando se ne vanno.»

Eddie lo osservò smarrito, senza avere la più pallida idea di ciò che gli stava dicendo.

Quando una donna lanciò il suo richiamo, poco distante, non le prestò attenzione. Non fino a quando il vecchio non si rimise faticosamente in piedi, lanciandogli un ultimo, stanco sguardo.

«E dammi retta: faresti bene ad andartene anche tu. Restare intrappolati qui non ti renderà felice. Non rende mai felice nessuno di voi.»

«Q-qui dove? A Derry? Io non capisco...» articolò confuso, incapace di muoversi o chiedere ulteriori informazioni. La donna, nel frattempo, li aveva raggiunti. Doveva essere sulla quarantina. Lunghi capelli ricci, sorriso comprensivo, stessi occhi dell'anziano.

«Scusa il ritardo, papà», la sentì pronunciare, senza che lo degnasse di uno sguardo. «Con chi stavi parlando?» si guardò attorno, come cercando qualcuno, qualcosa, osservando un punto, nella sua direzione, come se non riuscisse davvero a percepirlo. Uno sguardo assente che gli passò attraverso come una stilettata gelida.

«Nessuno, mia cara, nessuno», la rassicurò l'uomo, lanciando a Eddie una rapida occhiata, come a intimarlo a tacere o semplicemente a scusarsi per l'inconveniente.

Non riusciva a vederlo. Quella donna non riusciva a vederlo? Come diavolo era possibile?

Li guardò allontanarsi con la sensazione che qualcuno lo avesse schiaffeggiato. Più confuso di prima. Più terrorizzato di prima.

 

*

 

Richie era uscito per fumare, seduto sulle scale della biblioteca, adesso chiusa al pubblico.

Aveva deciso di smettere, diverso tempo prima. Ma il desiderio di bere era così forte che per reprimerlo preferì soffocarlo con la nicotina. Chiodo schiaccia chiodo, dicono. Anche se era convinto che per tranquillizzarsi avrebbe come minimo dovuto tirare testate al muro o recuperare qualche anestetico per elefanti.

La porta alle sue spalle cigolò sinistra. Richie si voltò, incuriosito, ma non sorpreso di trovarci Beverly.

«Ehi...», disse lei.

«Ehi», la seguì con lo sguardo, fin quando non gli fu accanto. Sembrò esitare un istante, prima di trovare nei suoi occhi tutta l'approvazione che le serviva per sedersi su quegli stessi gradini.

«Ti nascondi per fumare come quando andavamo a scuola?»

«Lo sai come mi piace vivere: pericolosamente», le disse, sorridendo pigramente, allungandole la sigaretta, in un invito alla trasgressione.

La donna accettò l'offerta: raccolse la sigaretta e ne prese un tiro, come non avesse aspettato che quello, per tutta la sera. Richie si ritrovò improvvisamente catapultato indietro nel tempo. Ai giorni di almeno ventisette anni prima. Sigarette condivise ai Barren, dietro le mura della biblioteca, sulle panchine fuori dal cinema.

Venne strappato a quella ventata di ricordi, quando la sentì tossicchiare contrariata, e poi sbuffare una risata. Una di quelle alla Beverly. Una di quelle a cui era impossibile restare indifferenti. Se ripensava a come erano stati tutti, in una qualche misura, innamorati di lei, da ragazzini. Persino lui, che in cuor suo già sapeva di non avere una particolare predilezione per le ragazze. Il fascino è una cosa che che trascende il sesso. Si percepisce, lo si subisce e basta.

«Fanno davvero schifo, lo sai vero?»

«Già... ma è l'unico pacchetto che ho trovato, probabilmente era lì per le emergenze, nel caso ne avessi avuto abbastanza dell'astinenza. Non mi sembrava il caso di fare lo schizzinoso.»

«Stavi cercando di smettere?»

«Sì, ma ora sto cercando di smettere di bere, altrimenti Mikey dà di matto. Non posso smettere di fare troppe cose contemporaneamente, rischio di diventare una brava persona.»

«Logica Tozier alla sua massima potenza», commentò la donna, dandogli una piccola spinta con la spalla, prima di restituirgli la sigaretta.

Se ne restarono lì per qualche istante a contemplare il cielo notturno. Le luci accese al piano di sopra, all'appartamento di Mike e il suono ovattato della musica del suo giradischi, come quello di un dannato hipster di mezza età. Una serata che avrebbe trovato piacevole, non fosse per la ricorrenza. Molto meno terrificante di quella che li aveva riportati a Derry in primo luogo, ma non meno grottesca o inspiegabile.

«Come pensi che stia?» domandò Beverly a un certo punto. La voce non fu che un sussurro, nel silenzio. Un alito caldo sulla pelle.

Richie non trovò nemmeno necessario chiedere a chi si riferisse: scosse la testa, sbuffando un po' di fumo nell'aria tutt'intorno e spegnendo il resto della sigaretta sotto la suola della sua scarpa.

«Oh, benissimo, suppongo. Come può esserlo qualcuno che è stato sepolto vivo», un commento tenebroso che non riuscì comunque a frenare. Per giorni aveva cercato di perdonare a se stesso e agli altri il fatto di aver abbandonato Eddie nella tana di IT, ma per quanto si sforzasse, per quanto avesse cercato logiche giustificazioni alla faccenda, tutta quella rabbia e quella frustrazione erano come un'infezione difficile da debellare. Arduo, se non impossibile non saltare alla gola al primo di coloro tanto folle da riportare a galla l'avvenimento.

«Pensi che non ci sentiamo già sufficientemente in colpa... ?» mormorò Beverly, la voce rotta e indurita, colma di una malsana emozione, «non ho voglia di litigare, Richie.»

«Non volevo litigare, Bev», si affrettò a scusarsi. Si passò una mano sul viso, sollevandosi gli occhiali che sentiva pesantissimi sul naso, «Solo non ho una risposta alla tua domanda», aggiunse rassegnato. «Non lo so come sta Eddie. Non riesco a comunicare con lui, sento solo la sua voce. E messaggi incoerenti, che... Dio, vorrei saper interpretare meglio di così.»

«Forse quell'uomo, quel Torrance, riuscirà a farlo. O insegnarti a farlo.»

«Oh, sì, non vedo l'ora di imparare a comunicare con i trapassati», disse sarcastico, «Oda Mae Brown, stai all'erta, Richie lo spiritista ti darà del filo da torcere! Pensi che sarebbe sconveniente cercare di evocare Patrick Swayze, nel processo, Bev?»

Beverly scosse la testa, vagamente divertita. Gli posò la testa sulla sua spalla, e passò un braccio attorno al suo, accarezzandolo appena, un altro gesto confortante che non credeva di meritare.

«Solo se ti sentissi disposto a essere posseduto dal suo spirito e sollevarmi come faceva con Baby in Dirty Dancing. Era il mio sogno di ragazzina.»

«Buffo di come tu abbia portato all'attenzione questa cosa. Il mio sogno di adolescente era quello di essere posseduto da Shwayze, quando ancora era giovane e bello. Perciò affare fatto, suppongo.»

Beverly rise di nuovo.

«E questo che diavolo vorrebbe dire, Boccaccia?»

«Uh... che sono gay?» si fece scivolare dalle labbra, senza pensarci troppo, decidendo coscientemente di non pensarci troppo. Se trattenne il fiato dopo averlo fatto, questo non fece in tempo a capirlo, perché lo sguardo che Beverly gli aveva puntato addosso catturò tutta la sua attenzione.

«Oh, Richie...» nei suoi occhi, appena illuminati dalla luminescenza dei lampioni, il dubbio che si trattasse solo di uno scherzo, ma la segreta convinzione che non lo fosse affatto.

«Ta-da... ?» ribadì Richie, alzando le mani, facendole ballare di fronte al viso, in un patetico tentativo di sminuire il macigno che aveva appena fatto sgomberare dal suo stomaco, «ma non facciamone una questione di stato, mh?» concluse per chiarire qualsiasi dubbio. Non voleva fraintendimenti, né la possibilità di rimangiarsi tutto. I bei discorsi dei giorni precedenti, la lettera di Stan che predicava loro di non vergognarsi di mostrare chi veramente fossero. Mentire ai suoi amici non aveva alcun senso. Non dopo essersi esposto tanto anche sulla questione della voce di Eddie nelle fognature. Essere gay, riuscire finalmente a parlarne, sembrava una cosa molto più semplice ora, rispetto a tutte le mostruosità che ancora stavano affrontando.

«Ti voglio bene, Richie... dico davvero».

«Avevo detto di non farne una questione di stato, Bevvie.»

«Non è una questione di stato, ti ho sempre voluto bene. A te, agli altri... ogni tanto credo faccia bene sentirselo dire.»

E Richie capì immediatamente cosa significava. Come si era sentito confortato solo qualche settimana prima, del fatto di riavere tutti di nuovo nella sua vita, nonostante il terrore latente, nonostante l'aria di una tragedia imminente. Rivedere i suoi vecchi amici. Ma adesso sto bene, mi sento sollevato a stare con voi. Le sue stesse parole che mai come adesso gli sembravano più veritiere. Averlo detto a Beverly, prima di tutti, era sicuro avrebbe reso molto più facile dirlo anche agli altri. Sapeva che sarebbe andato tutto bene. Ora che aveva smesso di sentirsi così tremendamente solo. Come lo era stato per ventisette anni.

«Spero davvero che tutti voi non stiate riponendo speranze su qualcuno che forse si sta davvero solo immaginando tutto per quanto lo desideri. Pensare di poter parlare ancora con Eddie... voglio dire.»

«Non mettere in dubbio quello sai, Richie. Hai detto di essere sicuro si tratti di Eddie. E noi ti crediamo.»

Richie si voltò a guardarla. Affatto certo di meritare tanta fiducia. Cieca fiducia. Lui aveva aperto la chiamata stavolta, e tutti gli avevano creduto. Tutti erano tornati, nessuno escluso (a parte gli assenti, Richie, non dimenticarti gli assenti. Stan, sopra tutti).

«Non voglio iniettarmi dosi di speranza, prima del tempo. Vorrei solo...» Sentiva su di sé lo sguardo della donna e si sentì improvvisamente così stanco, così tremendamente abbattuto.

«Eddie manca a tutti, ma voi condividevate un legame speciale.»

«Continuate a ripeterlo tutti quanti, che diavolo significa... ?» sbuffò una risata, fra l'amaro e l'imbarazzato.

«Lo sai che significa».

Richie non rispose. Ma lo sapeva, sì. Lo sapeva perfettamente.

 

*

 

Non era sicuro che prendere vantaggio da una situazione tanto assurda fosse una mossa giustificata. Ma di certo più saggia di quanto potesse immaginare. La confusione di quel pomeriggio non aveva impedito allo stomaco di Eddie di protestare vivacemente alla mancanza di cibo.

Per quello, dopo il sinistro incontro con il vecchio che sembrava sapere di ciò che era successo, più di quanto lui stesso potesse anche solo ipotizzare, aveva perseguito i suoi primari istinti di sopravvivenza: trovare qualcosa per riempire lo stomaco, trovare un posto in cui stare.

Era entrato nel primo negozio di alimentari e si era servito a piacimento. L'attimo di panico che aveva preceduto la sua uscita alla chetichella con qualche sandwich e un paio di bottiglie d'acqua era evaporato non appena si era reso conto che no, nemmeno in quell'occasione, qualcuno sembrava aver fatto caso a lui.

Aveva pateticamente cercato di comunicare con altre persone, prima di prendere quella deliberata decisione e ancora una volta il riscontro era stato nullo: sguardi assenti, l'incapacità di farsi sentire. Era invisibile.

Un fantasma, solo un fantasma. Aveva pensato con un certo principio di panico. Un fantasma con un appetito piuttosto consistente. Bisogni primari, prima di tutto.

Si era diretto alla biblioteca con il bottino sottobraccio. Un altro dei luoghi che più di altri gli sembravano familiari. Si era seduto sui gradini all'esterno e aveva preso a scartare il primo sandwich, mentre le ombre della sera avvolgevano i dintorni, rendendoli meno reali. Pochi passanti. Alcuni con i cani sulla strada adiacente. Nessuno si voltava nella sua direzione per guardare.

Prese il primo morso affatto convinto che avrebbe davvero sentito qualcosa, ma più masticava più la sensazione di benessere si espandeva dalle papille gustative, allo stomaco. Una cosa troppo reale per istigarlo a credere di non esistere. Una sensazione fisica, consistente e piena. Un desiderio umano e vivo. Ancora più disperato se rapportato all'illogicità delle circostanze.

Il pensiero del vecchio tornava sporadico e spaventoso. Si rimproverava di non averlo fermato, di non aver insistito, di non aver chiesto spiegazioni su quelle sue criptiche parole. Ma lo sconcerto era stato tale che se lo era lasciato sfuggire.

Cercò ancora una volta di ragionare razionalmente, per quanto la razionalità non gli sembrasse una cosa realistica, in una simile situazione. Sarebbe tornato al parco, il giorno successivo. Non così assurdo pensare che nutrire volatili non fosse solo lo sporadico passatempo di un singolo pomeriggio. Avrebbe cercato di nuovo quell'uomo, lo avrebbe costretto a parlare in modo più chiaro.

Attaccò il secondo sandwich, rendendosi conto che il primo aveva praticamente aperto una voragine, nel suo stomaco. Da quanto non mangiava realmente? Avrebbe detto ventiquattro ore, ma poteva esserne sicuro? Quanto tempo era passato, prima che riuscisse a trovare la sua strada fuori dal tunnel?

Che fine ha fatto la tartaruga?

Inghiottì amaramente l'ennesimo boccone, sentendo qualcosa pizzicare ai lati degli occhi. Serrò le palpebre deciso a non lasciarsi vincere da alcuna inutile emozione. A che sarebbe servito piangere? Piangere non era mai servito a niente.

Solo a farti compatire. A renderti debole, fragile agli occhi occhi degli altri. Tu che così delicato non lo sei mai stato veramente.

Riaprì gli occhi, schiaffeggiato dal suo stesso pensiero. Il fantasma dell'Eddie che era stato lo abbracciava in un'aura inconsistente e ancora troppo nebulosa.

Alzò lo sguardo al cielo scuro, ancora così limpido, straordinariamente terso. Il silenzio che aveva percepito fino a quel momento, adesso vagamente interrotto dagli eco di una musica lontana.

Da qualche finestra di una qualche abitazione nelle vicinanze?

Cercò la fonte con lo sguardo, ma non vi erano poi così tante abitazioni nei dintorni della biblioteca, costruita convenientemente in uno spazio ampio, verde e rilassante.

Posò il resto della sua cena e fece ruotare il busto e la testa, alle sue spalle.

La musica che prendeva via via forza, come arrivasse dalla finestra del piano di sopra.

Da uno degli uffici? Possibile che ci abitasse qualcuno, sopra la biblioteca?

Le luci però erano spente, le finestre sbarrate, la percezione di un edificio disabitato. Eppure la sensazione diventava man mano più concreta. La musica più vivida. Le note di una canzone che non conosceva davvero ma che trasmettevano una certa tranquillità, un senso di comunità.

E poi risate. Risate ovattate.

Si alzò in piedi, incapace di ignorare ancora quel sinistro avvenimento. Scese di un paio di gradini per poter osservare meglio la facciata della biblioteca. La sua immagine o meglio l'ombra sbiadita della sua immagine, riflessa nel vetro della porta d'ingresso.

Poteva riflettersi. Doveva essere un buon segno, quello? Si avvicinò titubante per poter osservare meglio, per avere una visione globale della sua stessa fisicità. Ma più si avvicinava, più rapidamente capì di non sapersi riconoscere in quel corpo, in quel viso.

Nemmeno i vestiti che indossava sembravano gli stessi: spalle larghe, corpo massiccio, capelli scompigliati dal vento. Un paio di occhiali.

Si fermò, inorridito, troppo sconvolto per poter fare un altro passo.

Non era lui l'uomo che stava osservando, riflesso nel vetro. Lo vide muovere le labbra, formulare una parola.

«Eddie... ?» disse una voce.

Preso alla sprovvista arretrò di nuovo e quasi inciampò nell'ultimo gradino, nei suoi stessi piedi.

Che significa? Che diavolo significa?

L'istinto gli suggeriva di scappare, a gambe levate, di nuovo. Gli avvenimenti di quello stesso pomeriggio, invece, lo costrinsero a pensare a un'alternativa.

Non essere vigliacco. Affrontalo.

Sei più coraggioso di quanto pensi.

Il respiro gli si bloccò in gola. Un altro pensiero così intenso e vivido: un ricordo.

Serrò le labbra, e le mani si chiusero a pugno, aggrappandosi ai polsini della giacca che indossava (la giacca di Richie), a qualcosa di concreto, a qualcosa che gli dava coraggio.

Cominciò a salire quei gradini. Uno per volta. Passo dopo passo. Così come aveva fatto durante il percorso in quel maledetto tunnel, seguendo quella maledetta (benedetta) tartaruga.

Sempre più vicino, la sagoma dell'uomo sempre più nitida, più concreta. Così dolorosamente concreta.

Gli stava di fronte ora, incapace di guardarlo direttamente, terrorizzato dall'idea di quello che avrebbe potuto vedere.

«Eddie...» di nuovo quella voce, una supplica liquida, rotta dal pianto.

Sei più coraggioso di quanto pensi.

Eddie rialzò lo sguardo.

 

*

 

Ed Eddie era lì, come fosse solo dall'altra parte della porta d'ingresso della biblioteca. Così nitido e... vivo.

Richie dovette reprimere una smorfia, perché il dolore allo stomaco era diventato così intenso, da costringerlo a ricacciare indietro un conato di vomito.

Beverly era rientrata solo da pochi minuti. Gli aveva lasciato il tempo di schiarirsi le idee in solitudine. Ma era stato solo quando aveva deciso di rientrare a sua volta, di raggiungere i suoi amici, dopo essersi goduto la musica e le loro risate dalla finestra del piano di sopra, che lo aveva visto: Eddie era comparso nel suo campo visivo, attraverso il vetro della porta. Era Eddie non vi era alcun dubbio a riguardo. Stessa postura, stessa corporatura, minuta ma solida. Notò che indossava la sua giacca, quella giacca che aveva usato per tamponare quella maledetta ferita: gli ricadeva enorme sulle spalle. Il pensiero gli provocò un moto d'affetto improvviso e dolorosissimo.

«Eddie... ?» lo richiamò per essere sicuro non si trattasse solo di un'allucinazione. Che in quelle sigarette ci fosse più che della semplice nicotina? In fondo le aveva recuperate dal fondo della sua valigia, in una delle tasche interne che non ispezionava molto spesso. Chissà da quanto tempo erano lì. Chissà chi gliele aveva regalate.

Ma no. Per quanto fosse stanco e inebriato dal fumo quello non poteva essere un sogno. Non un'allucinazione. Riusciva a vederlo, nitido come aveva visto Beverly solo qualche istante prima, seduta al suo fianco.

Fu solo quando lo vide arretrare che sentì un principio di panico montargli dentro, la voce che desiderava richiamarlo, gridare ancora il suo nome, impedirgli di scappare di nuovo; ma il terrore di spaventarlo era ancora più feroce, così tanto che non riuscì a fare null'altro che osservare la scena, mentre il cuore gli rimbombava così forte nel petto da stordirlo.

Non te ne andare. Non te ne andare, ti prego.

Posò una mano sulla superficie della porta, osservando il riflesso dell'uomo fermarsi a mezza strada. Trattenne il fiato quando gli sembrò di percepire la sua esitazione. Riprese a respirare, quando Eddie sembrò ripensarci e decidersi a tornare sui suoi passi, prendendo a risalire quei gradini. Un formicolio alla base del collo, una brivido sulla schiena. Un lato di lui desiderava fuggire, l'altro incapace anche solo di distogliere lo sguardo.

Eddie è morto. Eddie stava camminando verso di lui.

Eddie è ancora sepolto sotto le macerie della casa di Neibolt Street. Eddie aveva appena superato l'ultimo gradino.

Eddie non può essere qui con me. Eddie era esattamente di fronte a lui.

Impossibile decifrare la sua espressione, impossibile percepire il suo viso. Teneva la testa bassa e per un istante Richie ebbe paura di scoprire cosa si nascondesse davvero sotto l'ombra del suo volto.

Il desiderio di avere un contatto però scaraventò il terrore in qualche recesso della sua mente. Non aveva tempo per stronzate del genere. Non aveva più voglia di avere paura. La paura apparteneva a Pennywise. E Pennywise era morto.

«Eddie...» pronunciò di nuovo, senza riuscire a contenere affatto le emozioni che gli si erano scatenate addosso in quegli ultimi istanti. Nemmeno ci provò, a dire il vero. Che lo vedesse, che scorgesse le sue lacrime, non gliene importava un bel niente, non in quel momento.

Eddie rialzò lo sguardo.

I suoi occhi erano enormi, spaesati e tristi come li ricordava. Si sentì così sopraffatto che quasi scoppiò in lacrime. Un pianto che aveva trattenuto per così tanto tempo che se gli avesse permesso di emergere era certo non sarebbe più riuscito a smettere.

Si morse invece il labbro inferiore e allargò le dita della mano su quel vetro, un invito per Eddie a fare altrettanto, a concedergli un contatto, un riconoscimento.

L'uomo non si mosse subito, lo scrutava quasi come se non lo riconoscesse, come si trovasse di fronte un estraneo. Lo stomaco e il petto gli facevano così male che se si fosse trattato di un infarto non avrebbe stentato a crederlo. Lo vide alzare una una mano a sua volta, titubante, lasciarla aderire al vetro, all'altezza della mano che Richie aveva posato proprio lì, solo qualche istante prima. Adesso palmo contro palmo. Non riusciva a sentire il suo calore. Non che si aspettasse di avvertirlo davvero, attraverso il vetro opaco di una stupida porta: e allora perché tanta era la delusione? Dio, quanto avrebbe voluto sentire il calore della sua mano. Rilasciò un sospiro, amareggiato, adirato. Avrebbe voluto dare un pugno al vetro anche solo per sentire qualcosa, per capire se sarebbe servito a qualcosa distruggere quella barriera, ben conscio che probabilmente avrebbe solo fatto sparire quel riflesso, avrebbe fatto sparire Eddie, di nuovo, e non poteva permetterselo. Quel riflesso era tutto ciò che aveva.

Quell'immagine riflessa era tutto ciò... che aveva.

Infine arrivò la sua voce.

«Oddio... Richie», disse.

E il mondo sembrò prendere di nuovo respiro.

 

 

Continua...

 

 

Note: Per chi non fosse avvezzo con il potere di Danny Torrance, e da questo capitolo non fosse proprio chiaro, prometto che verrà spiegato un po' meglio in futuro. Premesso che probabilmente improvviserò su un sacco di cose. Dopotutto si tratta di elementi sovrannaturali, spero siano concesse alcune licenze poetiche. E infine... come promesso, Richie e Eddie.

  
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