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Autore: beavlar    03/06/2020    2 recensioni
Fili e Kili sono morti, hanno sacrificato tutto per il loro re, per la loro gente, ora anche Thorin dovrà rinunciare a tutto, ai suoi pregiudizi, alle sue idee, alle sue alleanze, per il suo "tesoro" e il suo popolo.
Dall'altra parte una mezz'elfa divisa tra due razze, dovrà invece fare i conti con il suo oscuro passato, accettando se stessa e accettando accanto a se il re di Erebor.
Due animi carichi di dolore e rimorsi, in cerca del loro posto al di sotto della Montagna e al di sopra delle stelle.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Ghìda fissò il cuscino vuoto accanto al suo lasciando lo sguardo vagare per la superficie chiara illuminata solo dai raggi dalle luci della notte che flebili entravano dalla piccola finestra, vi ci poggio lentamente la mano che prima era nascosta ben sotto le coperte, quasi a tastare che non ci fosse nessuno, quasi come a scacciare la ragione della sua insonnia, ma questa rimaneva lì ben percepibile. E quando puntò lo sguardo oltre la sua mano, la situazione non migliorò affatto: ben nascosto dalla penombra su una sedia accanto al letto, il mantello di Thorin era ancora ben adagiato sullo schienale arrivando fino a terra, ma così ben sistemato che per un attimo le parve che ci fosse davvero seduto lui accanto al suo letto.
 
Strinse le labbra l’una sull’altra nervosamente ma una leggera fitta gliele fece ammorbidire un'altra volta: anche se richiusa, la piccola ferita all’interno del labbro era ancora sensibile, così come le parole di suo padre ancora ben marchiate nel suo petto.
 
A chi doveva la sua lealtà?
 
Fino a poche ore prima era sicura di saperlo, ma dopo quello che era successo, dopo quello che era capitato in quella caverna, non ne era piu’ sicura, non era neanche piu’ sicura di sapere che cosa provasse, che cosa fosse quella attrazione estranea che le montava nel petto ogni volta che gli stava vicino, ogni volta che incrociava i suoi occhi, o ogni volta che sentiva la sua voce.  Aveva davvero pensato quelle parole nella grotta? Davvero era disposta a mandare tutta la sua vita in malora in quel momento, tutto ciò che conosceva, tutto ciò che era riuscita a diventare, per lui… per Thorin Scudodiquercia, per il suo re… per… No!
 
Non poteva aggiungere altro, non poteva essere altro per lei, se non il suo re.
 
Scosse la testa velocemente e ritirò la mano dal cuscino vuoto accanto a se per poi nascondere il viso premendola tra le piume soffici del cuscino, nascondendo alla vista tutto ciò che potesse anche solo ricordarle quello che aveva sentito poche ore prima, che aveva provato fino a poche ore prima: lui aveva capito, lui aveva compreso, gli era davvero bastato così poco, solo una frase, un suo gesto, per capirla talmente affondo, per donarle una cosa così di poco conto, un momento di gioia, un momento in cui si era sentita appartenere alla montagna, in cui aveva desiderato di appartenere al cuore delle montagna, di appartenere al suo re.
 
Aveva così tanto desiderato far parte di un luogo, di una razza, di qualcuno, che le parole di Thorin le erano suonate all’orecchio come uno scherzo di pessimo gusto, come un’ennesima beffa a cui i Valar volevano sottoporla. Ma quelle parole non  erano state pronunciate nella sua testa, lui le aveva dette davvero, lui l’aveva davvero riportata in uno di quei pochi luoghi dove si era sentita a casa, sul mare dell’ovest illuminato dalle stelle, dove aveva perso e dove si era perduta.
 
Thorin per la prima volta l’aveva fatta sentire viva, l’aveva fatta sentire degna di essere viva.
 
Girò di nuovo la testa sul cuscino puntando lo sguardo verso il soffitto questa volta, ma come fu per prima il suo viso le si ripresentò davanti, risentì quella immensa sensazione di pace e portandosi entrambe le mani al petto fece un enorme respiro cercando nuovamente di cancellare quello sguardo dalla sua testa, di desiderare quegli occhi su di lei, quelle mani su di lei…le sue labbra.
Alzò la mano e vi poggiò le dita sopra le socchiudendo gli occhi, lasciare un sospiro farle alzare e abbassare il petto:  poteva sentire ancora la lama sul suo fianco, il suo respiro sul viso, e la stretta che le continuava a imporre di chiudere quella distanza, di lasciarsi andare a lui e lei lo desirava, quello lo desiderava, ma cos’era? Era impossibile, sbagliato, terribilmente sbagliato, ma terribilmente giusto.
 
Si tirò su velocemente dal letto e scosse la testa cancellando quei pensieri prima di lanciare uno sguardo sulla porta e con velocità scostò le coperte con un movimento secco e si lanciò verso porta: doveva uscire, prendere aria, doveva schiarirsi le idee, e cercare di ignorare quella stratta allo stomaco che continuava a non lasciarla in pace, che continuava a farle immaginare Thorin seduto su quella sedia, che portava i suoi pensieri verso di lui, verso le sue parole, verso i suoi occhio, verso quella caverna ma al col tempo li desiderava così ardentemente da bloccarle il respiro.
 
Aprì con cautela la porta cercando di fare il meno rumore possibile, e a piccoli passi, uscì dalla stanza, ma l’incontro con l’aria fredda del palazzo le fece chiudere leggermente gli occhi e scostare dalla soglia della porta. Chiuse gli occhi e adagiò la mano sorreggendosi al muro accanto alla porta, sospirando pesantemente e si lasciò andare con la schiena sulla pietra fredda dietro di lei stringendosi le mani intorno alle braccia e osservando il muro di fronte a se: la tentazione di tornare in camera fu talmente forte da farla quasi crollare su se stessa. Ma lei resistette puntando i piedi a terra e lanciando un’occhiata verso la porta per la balconata stringendosi con forza le braccia.
 
Lui era lì fuori? Come quella notte a guardare oltre la montagna? Anche lui era insonne come lei anche quella notte?
 
No, no, doveva parlargli, doveva rivederlo, voleva risentire quel calore, anche se per un attimo, anche se per un secondo, ne aveva bisogno come l’aria che respirava, aveva bisogno di sapere se tutto quello che stava sentendo fosse reale, se la sua bramosia fosse solo il desiderio di una sciocca o qualcosa di piu’ profondo e terribile cenoni screbbe stata mai in grado di affrontare.
 
Cominciò a muovere i primi passi verso la porta che conduceva verso la balconata ma una frase le tornò in mente, una frase che in quel momento le sembrò talmente fuori luogo da farle bloccare il passo immediatamente facendole venire un brivido dietro la schiena. Un oscuro gorgoglio le risuonò nella mente, due ogni neri puntati nei suoi
 
“Vai nelle sale piu’ basse e renditi conto di cosa avrai tra non molto nelle tue mani.”
 
Una orribile sensazione le attanagliò le viscere e lentamente voltò la testa verso le sue spalle dove si trovava la porta che portava nelle altre sale del palazzo, e come questa ora fosse ben sigillata, cosa intendeva con quelle parole? E perché in quel preciso istante le tornarono in mente?
 
Scosse la testa e si voltò di nuovo verso la porta che conduceva alla grande balconata ma ancora una volta una corda non le permise di fare neanche quattro passi, si ritrovò inchiodata a terra e la sua mente ormai incatenata alla porta dietro di se, altro brivido le attraversò la schiena, e un ruggito le risuonò nella testa, ma invece che spaventarla le partì dal basso ventre salendo e facendo aumentare ancora di piu’ quella curiosità quel bisogno.
 
Come una spinta si ritrovò a camminare verso di essa, c’era qualcosa che le diceva di dover continuare a camminare, di vedere cosa intendesse suo padre con quella frase.
 
Quasi come guidata da un timore sempre piu’ crescente si ritrovò a scendere nelle immense sale del palazzo, sempre piu’ infondo: qualcosa la stava tardando giù nelle profondità della montagna, guidava i suoi passi verso l’oscurità del palazzo vuoto nella notte. Le parve di trovarsi in un sogno, non sapeva perché ma sapeva esattamente che scale prendere, in quali corridoi girare, quanti gradini scendere, una voce interna che le diceva di non far rumore, di muoversi con premura all’interno delle sale, di non indugiare, di stare attenta, continuando a scendere, puntando sempre gli occhi sotto di lei nell’oscurità.
Il palazzo era silenzioso vuoto, spento, non un nano girava, non una luce era accesa se non i grandi bracieri che scoppiettavano creando giochi d’ombre tra le scale che salivano e scendevano, ogni passo che faceva rimbombava come un eco, e ogni respiro che compiva le sembrava pesante dall’affanno.
 
D’un tratto una luce gialla e calda cominciò a farsi ben visibile sotto di lei, celata a male pena da enormi colonne di marmo e dagli intrighi di scale, una luce che emanava un’empia forza che mai aveva avvertito in quei giorni, la stessa forza che l’aveva terrorizzata nella sala del trono quel pomeriggio, la stessa aura che emanava l’Arkengemma, lo stesso desiderio che le aveva instillato nel petto e che l’aveva terrorizzata. Si poggiò al reggipetto, guardando giù e un brivido le attraverso improvvisamente la schiena facendola irrigidire: un ruggito. Un ruggito profondo e gutturale risuonò nell’aria tanto reale che scostò impaurita le mani dalla balaustra della scala su cui stava scendendo, guardandosi intorno, con il cuore che le cominciò a battere violentemente nel petto, ma lì non c’era nessuno.
 
L’unico rumore reale, erano i suoi respiri diventati veloci e lo scoppiettare in lontananza delle torce, non se lo poteva essere immaginato, lo aveva sentito, era sicura di averlo sentito.
Alzò lo sguardo accanto al muro vicino a se, e su di esso, un’impronta scavata con le unghie di due enormi artigli che la attraversava da parte a parte, come carne sventrata: Smaug, erano i suoi artigli. Alzò la mano tremante verso quelle striature poggiando tremante sul segno lasciato dall’enorme artiglio, accarezzandone il bordo, e un secondo ruggito rimbombò nell’aria, questa volta piu’ vicino, ma mille volte piu’ reale e veniva proprio da diversi piani inferiori, dal bagliore sotto i suoi piedi.
Con le mani che le stringevano la gonna puntò di nuovo lo sguardo sotto di lei, e la spinta si fece sempre piu’ insistente portandola a scendere ancora piu’ in profondità, sempre piu’ vicina alla luce calda, sempre piu’ invitante sempre piu’ che la chiamava a proseguire. Le alte colonne ben presto si diramarono, lasciando spazio alla luce gialla di diventare sempre piu’ imponente, sempre piu’ ammaliante: reggendosi al corrimano fece gli ultimi passi, fino a che dal verde dei muri, e senza che dovesse scendere ulteriormente, pochi piani di scale sotto di lei, si palesò di fronte a lei una vista che le fece sgranare gli occhi e bloccare il passo, tanto devastante da farle tremare le ginocchia.
 
Il tesoro della montagna, il tesoro di Thròr.
 
Un immensa sala si estendeva sotto i suoi piedi, sotto il piccolo balcone su cui si trovava, milioni pezzi di oro, cimeli, monete creavano, montagne, fiumi, pianure, salendo e scendendo ripidi da altri balconi come quello su cui si trovava, fino a ricoprire l’intera superfice di una sala che sarà stata grande tanto quando la base della montagna stessa non si riusciva neanche a vedere il fondo della sala, gemme colorate illuminavano ogni lato della sala, cimeli d’ro grandi come la sua testa sorgevano prepotenti dalle monete. Diademi, coppe, statue scudi cerimoniali, diamanti lavorati, tutte le ricchezze piu’ inguaiabili della Terra di Mezzo giacevano a pochi piedi sotto di lei.
Nel petto le montò una fame insaziabile, una smania talmente grande che non si rese neanche conto di ora star scendendo le scale che la dividevano da esso, non curandosi neanche che potesse essere vista, continuando a scendere lentamente le rampe di scale che la dividevano da quella ricchezza: non riusciva a straccare lo sguardo, non voleva staccarne lo sguardo.
 
Lo voleva toccare, lo voleva sotto le sue mani, voleva immergersi in tutta quella ricchezza in tutto quell’oro.
 
Era bellissimo.
 
Scese l’ultimo scalino con una lentezza disarmante, poggiando il piede sull’oro lasciandosi andare a un profondo sospiro quasi di piacere appena vi ci mise il piede sopra, che aumentò quando comincio a camminare sopra i milioni di monete sotto di lei, facendo strusciare il vestito sulla loro superfice creando un tintinnio cristallino fra le monete. Si mosse lentamente, beandosi del tintinnio delle monete sotto i suoi piedi, sapendo perfettamente in quel momento di avere la bocca spalancata nel frattempo che i suoi occhi non riuscivano a staccarsi da terra. Quella cupidigia che montava nel suo petto non le era mai appartenuta ma improvvisamente tutto quello che l’aveva assillata quei giorni scomparì, lei stessa si sentì scomparire, inghiottita da tutta quella ricchezza, tutto le sembrò futile e inutile, quello che aveva sotto gli occhi, solo quello era importante, nient’altro e sarebbe stato suo.
 
Solo suo.
 
Cominciò a camminare tra le monete studiando ogni cimelio, ogni gemma, ogni collana, ogni pezzo di oro. lo voleva tutto, le ginocchia le tremarono e si ritrovo inginocchiata su di esso e con una lentezza disarmante lasciò che le sue mani si immergessero in quello che aveva sotto di lei chiudendo leggermente gli occhi, godendone di ogni istante.
 
“Non mi staccherò da un singolo pezzo.”
 
Una voce le rimbombò nella testa, un sibilo, lo stesso sibilo mischiato a un ruggito sommesso che aveva percepito prima delle sale del palazzo, e come svegliata bruscamente da un sogno, tirò via le mani da sotto le monete e scattò in piedi. Una fitta le attraversò il petto, rendendola di nuovo conscia di quello che era successo, di quello che stava provando, di quello che aveva desiderato di quello che tutt’ora bramava.
 
 Che stava facendo?
 
“Oro, oltre ogni afflizione e dispiacere.”
 
Un’altra volta quella voce le arrivò in testa, piu’ calda, piu’ familiare, facendola leggermente chiudere gli occhi e indietreggiare ancora di piu’ fino a che non incontrò però dietro di se un'altra montagna di monete ,dove andò a sbattere con la schiena ma appena la toccò con il palmo delle mani un'altra fitta al petto la fece violentemente scostare, tutto intorno a lei divento leggermente sbiadito, i colori divennero meno vibranti, l’aria stessa diventò marcia e pesante, malata.
 
Non era in lei, non era davvero in lei, quella voce, no non poteva essere, quella era la voce di…
 
Alzò lo sguardo dove adesso la penombra grigiastra regnava dove l’unico colore ancora ben visibile era il giallo delle monete, e Thorin era lì, di fronte a lei, con lo sguardo basso, la lunga pelliccia nera che adesso era sopra in camera sua strusciava sulle monete, mentre il volto del re rimaneva basso coperto dai lunghi ciuffi neri. Un rumore di passi attirò la sua attenzione, sopra le scale da dove lei era scesa: un gruppo di nani , fra cui anche Bofur e un mezz’uomo, la stava fissando , no, non lei, stavano fissando Thorin, due ragazzi stavano fissando Thorin, uno aveva i suoi stessi occhi e l’altro gli stessi tratti.
 
“Benvenuti, figli di mia sorella, nel regno …di Erebor.”
 
Da quella stessa frase, un sibilo le si formò nella testa, il desiderio che prima cresceva ora entra incontrollabile, e la attanagliava, e pensieri su pensieri le andarono a scavare nella mente. Lei non avrebbe lasciato quel luogo, ci avrebbe dormito mangiato, era suo, era finalmente suo, nulla l’avrebbe tolta da lì, ogni moneta era sua, la sua montagna, il suo tesoro. La sua pietra, dov’era la sua pietra, la sua unica pietra, era persa, non si trovava, perché non si trovava? Qualcuno l’aveva presa, lo scassinatore non l’aveva presa, che si sia persa, che l’abbiano rubata. Mi stanno ingannando tutti.
 
Quelli non erano pensieri suoi, no non suoi erano quelli di Thorin.
 
“Nessuno dormirà finché non sarà trovata!”
 
Urlò di nuovo la voce di Thorin ma questa volta non era piu’ accanto a lei, era piu’ in alto, guardava la sala, osservava ogni moneta, ogni passo che i nani che pian piano comparivano intorno a lei nell’ombra compivano. Mia solo mia, loro non l’avranno, noi lo difenderemo, io lo devo difendere, la  casa di mio padre, di mio nonno, di tutti noi, di Fili e Kili, casa nostra, il mio tesoro il nostro tesoro ,dove sono, non sono qui, perché non sono qui, anche loro, me l’hanno rubata, me l’hanno tolta, gli elfi, gli uomini, moriranno, li ammazzerò tutti, uno per uno, mi hanno tradito, io mi vendicherò.
 
“Tutto quello che ho fatto l’ho fatto per loro.”
 
Un'altra fitta lancinante le attraversò il petto facendola gemere di dolore e piegare leggermente su se stessa facendole strizzare gli occhi dal dolore e quando questa finì li riapri e tutto l’oro era sparito; lo scintillio della ricchezza era stato sostituito dal luccicare della neve e del ghiaccio sotto di lei. Celata da un ombra da una foschia, su una lastra di ghiaccio semidistrutta, ora lei era lì, inginocchiata sul ghiaccio e le fitte al petto si facevano talmente presenti che non riusciva a respirare, alzò lo sguardo e Thorin era disteso lontano da lei tra le macerie e la neve, molto lontano, ma era tutta colpa sua, tutto questo era colpa sua, no, no loro no, è tutta colpa mia, loro sono morti per causa mia, perdonatemi, vi prego perdonatemi se potete, vi prego mi dispiace, mi dispiace così tanto, Fili, Kili, no vi supplico no, lasciami morire e riportali qui Mahal ti prego!
 
Con velocità si stacco dalla montagna d’oro alle sue spalle prendendo una lunga esalazione, inspirando l’aria come se avesse trattenuto il fiato durante tutto quello che aveva visto, che aveva provato: che lui aveva provato, in quei giorni, in quelle ore, sempre uguali, sempre identiche, con solo un pensiero nella testa, quell’oro.
Si portò una mano verso la bocca: un senso di nausea le partì dallo stomaco unito a un misto di terrore: no, quello sguardo, non era lui, non poteva essere lui, no… .
 
Indietreggiò tremante stringendo i denti, mentre ora con disgusto e odio guardava le monete sotto di lei, ripensando a quella sofferenza, a quell’ira negli occhi di Thorin, il viso trasmutato dalla collera, dalla gelosia, dal terribile bisogno.
E poi quel dolore lancinante, al petto, tutti i pezzi, tutte le storie, tutte le scene che aveva provato, che aveva sentito, le frasi lanciate… Kili, Fili… lui… se ne dava la colpa. Non era in se, non era lui, non era Thorin.
 
“Cosa ci fai qui?”
 
Quella voce.
Alzò lo sguardo e a pochi passi da lei lui la stava osservando, rigido con i pugni serrati giù verso i fianchi, anche lui con i piedi poggiati sulle enormi ricchezze della sala, la camicia sgualcita, e i capelli in disordine, come se si fosse fiondato lì in fretta e furia: possibile che l’avesse sentita? Che sapesse che lei si trovava lì sotto?
Indietreggiò di qualche passo impaurita, facendo smuovere le monete sotto di lei, come un vago avvertimento: per un istante il viso che le si parava davanti le sembrò quello che aveva visto fino a pochi istanti prima.
 
“T-Thorin… io… non…” Riuscì solo a dire prima di bloccarsi quando Thorin abbassò lo sguardo smuovendo leggermente la mascella e dandole le spalle.
 
“Torna nelle tue stanze.” Le rispose freddo lanciandole un’ultima occhiata prima di cominciare a camminare verso le scale che prima lei aveva percorso.
 
Lei mosse qualche passo verso di lui incapace di parlare, con la bocca spalancata, intanto che il moto di terrore che aveva provato prima e  il dolore che aveva provato prima, si rifaceva piu’ presente nel suo petto, prese un grande respiro bloccando il passo trattandosi la gonna tra le mani.
 
“Thorin…” Mormorò con la bocca ancora leggermente spalancata. “Quello che è successo, non è colpa tua.” Riuscì a dire, anche se la voce le si spezzò, incapace di aggiungere altro: lui doveva sapere, lui doveva sapere che non era colpa sua, tutto quello che era successo non era colpa sua.
 
Thorin si bloccò di colpo con la mano ben salda sul regimano della scala, la schiena che era rivolta verso di lei si irrigidì a quelle parole: la presa sulla sbarra d’oro divenne piu’ forte facendo propagare un leggero stridulo dei suoi anelli sul metallo.
 
“Cosa ti hanno detto?” Voltò solo di poco il viso, lanciandole oltre la spalla uno sguardo talmente freddo da farle bloccare il respiro.
 
Come poteva spiegarglielo, come poteva dirglielo se neanche lei riusciva a comprendere cosa fosse accaduto in quella stramaledetta stanza.
 
“Chi te ne ha parlato?”  Chiese ancora glaciale voltandosi ancora di piu’ col viso permettendole di guardarlo negli occhi, che ora stavano bruciando.
 
Ghìda scosse la testa e si avvicinò con lentezza ancora di piu’ a lui guardandolo negli occhi, ora alla base della scala sopra la quale la sua figura regnava nella stanza.
“T-tu…” Cominciò cercando di ignorare il suo sguardo sempre piu’ austero. “Tu non eri in te.” Gli mormorò ma la sua voce la tradì, uscendole come una supplica. “Non potevi sapere, non potevi immaginare quello che sarebbe accaduto, tu non hai colpe per quello che gli è accaduto.”
 
A quell’ultima frase la presa sulla ringhiera aumento e la schiena del re si irrigidì ancor di piu’, stette in silenzio per alcuni istanti, facendo diventare le nocche bianche e dopo lunghi istanti, finalmente lasciò la sbarra dorata nel frattempo che piccoli tremiti la facevano scuotere, costringendo il re a chiudere le mani in due pugni.
 
“Non venirmi a parlare come se sapessi veramente cosa sia successo.” Sibilò Thorin voltandosi gradualmente verso di lei con gli occhi che ogni attimo che passava  si riempivano di dolore e rabbia, ritornando quegli occhi che l’avevano terrorizzata. “Non provare neanche solo a avanzare la pretesa di poter capire cosa sia realmente successo qui, in quei giorni, cosa ho fatto, cosa ho detto.” Si fermo avanzando di un passo verso di lei strizzando gli occhi.
 
“Non azzardarti a mai a compatirmi.” Le ordinò roco puntando il suo dito verso se stesso, scandendo ogni sillaba, con voce sempre piu’ graffiante, tanto da farle spalancare gli occhi incredula.
 
“Compa… Io non ti sto compatendo.” Scosse la testa e anche se il suo istinto le diceva di allontanarsi da lui, si avvicinò ancora di più ora solo a un gradino da lui, la voce le diventava sempre piu’ fioca. “Thorin, questo posto, questo oro…” Mormorò osservando per un attimo intorno a se la quantità di ricchezze che li circondavano.  “non… non er…”
 
“FAI SILENZIO!” Le urlò Thorin furibondo bloccandole le parole ma così tanta fu la sua collera che Ghìda si avvicinò ancora verso di lui scuotendo la testa ignorando ogni logica, ogni istinto di sopravvivenza, ogni maledetta vocina nella testa che le diceva di allontanarsi da lui, di lascia perdere, di andarsene via da lì.
 
“Loro sono morti perché credevano in te, perché tu eri il loro re, perché …” Si bloccò un attimo fissandolo negli occhi, a pochi centimetri da lui con il petto le si abbassava e alzava velocemente. “Perché ti amavano.”
 
Le parole però le andarono a morire in bocca, capendo d'aver superato un confine che non avrebbe dovuto superare:  sul volto di Thorin si formò un’espressione talmente furente da farle paura; era fuori di sé, ed era colpa sua se, ora, negli occhi azzurri leggeva soltanto un dolore irreparabile e  un'ira profonda e struggente, che presto sarebbe esplosa contro di lei. Lo vide stringere i pugni ancora di piu’ e serrare la mascella: il volto trasmutò in un qualcosa di…bestiale.
 
“Amore?!” Sibilo infuriato facendosi ancora piu’ vicino a lei nel frattempo che un sorriso adirato al lato della bocca gli trasformò il viso.
 
Ora aveva paura di lui, di Thorin.
 
 “Cosa ne può sapere una miserabile mezzo sangue di cosa sia l’amore?!” Urlò tanto da far rimbombare la sua voce per tutto il palazzo. “Tu, non puoi comprendere cosa voglia dire perdere tutto, vedertelo portato via, vagare anni senza sapere cosa ti aspetta l’indomani, i giorni che ti passano tra le dita senza che tu possa arrestarli, gli anni che ti si sgretolano davanti. Agognare di  riconquistare casa tua con il sangue delle persone a cui sei devoto, guardando i loro volti intrisi nel sangue perché non sei stato capace di fermarti… perché non sei stato capace di onorare la tua parola!” Ogni parola era urlata ma ben scandita e  lui si sempre piu’ vicino al suo viso “Non puoi saperlo perché tu non sei mai appartenuta a nulla.” Si fermò e sembrò quasi assaporare l’ultima frase che le rivolse, scandendone ogni sillaba, mormorandogliela guardandola negli occhi.
 
“Tu non sei nulla.”
 
Le parole del Thorin le trapassarono il petto come una lama rovente, oltrepassandola da parte a parte bloccandole il respiro. In quel preciso istante le parve di morire, lo sguardo che lei aveva agognato di non vedere mai sul suo voltò gli bruciava sul viso, piu’ terribile e piu’ doloroso di qualsiasi altra cosa avesse mai visto.
 
Ma quelle parole furono uno schiaffo sull’anima di entrambi, quanto poteva una frase lacerare un animo? E invece due animi?
 
Ghìda tirò su la schiena mordendosi il labbro e annuendo velocemente guardando verso il basso stringendo talmente forte i pugni da farsi male; alzò poi lo sguardo verso di lui, ormai talmente vicini da far sfiorare i loro nasi e serrò la mascella violentemente allontanandosi di un passo.
 
 “Molto bene.” Lo disse con tono freddo e distaccato, ma i suoi occhi la tradirono, le mani strette in due pugni la traudirono. Distolse lo sguardo da quello di Thorin e lo sorpassò passandogli accanto, non degnandolo neanche di una parola in piu’, non lo avrebbe degnato di un'altra singola sillaba.
 
Cominciò a salire gli scalini, andando via, lontano da quel posto, lontano da lui. Per ogni passo che compiva il petto le faceva piu’ male, ogni respiro le lacerava lo sterno, ogni passo era un pugnale infilzato nei tendini: lui alla fine lo aveva detto, dopo settimane, l’unica persona che non voleva che in quella maledetta montagna la guardasse in quel modo lo aveva fatto, le aveva sputato addosso e adesso quello che stava provando era tutta colpa sua, perché era stata una stupida, una sciocca, aveva davvero pensato che sarebbe cambiato qualcosa, che lui avrebbe cambiato qualcosa, lui.
Ben presto si rese conto di star correndo tra le scale desolate di Erebor, avvolta dalle tenebre, non sapendo neanche se avesse preso la direzione giusta, le sembrava di star scappando da una belva, e lei stava effettivamente scappando da qualcosa di molto piu’ terribile: stava sfuggendo da quella dura realtà da quel dolore che le stringeva il petto rendendole difficile anche respirare. Delle calde gocce le cominciarono a scendere dagli occhi, le senti aumentare di numero ogni scalino che saliva, rallentando sempre di piu’ il passo, sentiva fatica anche solo muoversi e si dovette trattenere per non lasciarsi cadere. Si portò l’altra mano sugli occhi tentando di fermare le lacrime che però non cessavano, aumentavano sempre di piu’, tanto da farle portare una mano alla bocca con cui coprì un singhiozzo sommesso lasciandosi infine cadere in ginocchio sulle fredde scale. Lei che per tutta la sua vita non si era mai lasciata andare, che aveva imparato a non lasciarsi mai andare, lo aveva fatto, lo stava facendo, il muro che non aveva mai abbattuto per nessuno era andato in frantumi, al suon di una parola che non avrebbe piu’ dovuto farle male, che non doveva piu’ farle male, allora perché le faceva così male?
 
Lui non avrebbe mai visto nient’altro in lei, solo un abominio… ed era tutta colpa sua.
 
Diversi piani sotto di lei, solo un suono fu piu’ potente della sua anima spezzata : il suono sordo di un pugno che si andava a scontrare contro un muro verde.
 
 
 
 





La Montagna quella mattina era in fervore, quella stessa sera si sarebbe tenuto il primo banchetto da quando Erebor era stata ripresa, grandi sarebbero stati festeggiamenti in onore del completamento di un’opera talmente importante che nessuno l’avrebbe mai ritenuta possibile in così poco tempo: le fucine funzionavano, le grandi fornaci della montagna erano state riaccese e le miniere con i loro ingranaggi e meccanismi erano pronte a far fuoriuscire oggetti di immensa bellezza e valore.
 
La città fortezza era diventata un subbuglio di via vai, di provviste, casse di erba pipa e botti su botti di birra dalle zone circostanti Esgarot ed Erebor. Tutta la montagna era stata invitata ai festeggiamenti e tutta la montagna vi avrebbe partecipato; tutti ne parlavano, tutta la montagna, fino all’ultimo nano era in fermento, canzoni sarebbero state cantate, storie sarebbero state raccontate, per tutti, i vivi e i caduti.
 
La sala dei banchetti così come gli immensi corridoi e scale, era ghermita di nani che si muovevano fuori e dentro, spostando e riordinando ogni tavolo, aggiungendo sedie, aggiungendo tavolate su tavolate, portando legni per avere l’immenso camino acceso per tutta la notte, se non anche per il giorno successivo e le cucine del palazzo non avevano mai lavorato così duramente come in quel giorno e durante il giorno precedente a quello. Per molte cose era famosa Erebor tra gli uomini e gli elfi , per i suoi gioielli, le sue fucine e la sua ricchezza, ma solo i nani potevano sapere i festeggiamenti che vi potevano avvenire, i banchetti che vi venivano consumati, le notti insonni che si susseguivano, tra birra e tabacco e canzoni. Quella sera sarebbe stata come una scintilla che avrebbe fatto riaccendere un fuoco spento da troppo, troppo tempo. Ed era forse stata la troppa attesa a rendere quel giorno così agognato a tutti, così a lungo desiderato, che sembrava solo un sogno lontano.
 
Thorin si strinse leggermente l’avambraccio osservando, con le braccia incrociate al petto, l’immenso atrio sotto di lui, che dall’entrata della montagna si apriva verso l’entrata del regno della montagna; l’androne era talmente illuminato, talmente vivo che per un secondo gli sembrò di essere ritornato un ragazzo, a piu’ di cento anni prima, tra stoffe gialle e blu che svelte si muovevano ai piedi delle grandi statue che sorvegliavano il lungo corridoio. A quando tutto era piu’ facile, a quando aveva cominciato ad andare ai primi consigli, a quando sua sorella e suo fratello cercavano in tutti i modi di rendergli la vita piu’ complessa già di quanto non fosse, a quando era solo un giovane principe che non riusciva a malapena a immaginarsi re e che voleva solo rendere orgoglioso suo padre, suo nonno… prima della malattia, prima del drago, prima dell’esilio, prima di lei.
 
Per lui, i giorni che portarono a quel pomeriggio furono come sospesi fuori dal tempo, un susseguirsi di momenti in cui la vita nella montagna andava avanti ma la sua rimaneva bloccata a quella notte; all’odio incontrollato che era stato capace di sprigionare solo in pochi attimi, alla furia che lo aveva colto nel vederla lì sotto, tra quelle monete, dove tutto aveva avuto un inizio e una fine: il suo sogno piu’ dolce nel suo incubo piu’ terribile. Per quanto si volesse autoconvincere che quelle parole lei le avesse meritate, sapeva benissimo che non fosse così, sapeva benissimo che si era solo trovata nel luogo sbagliato nell’attimo sbagliato, nell’unico attimo in cui lui non sarebbe stato in grado di sopportare la sua vista e a parlare dell’unico argomento che lui non era in grado di tollerare.
 
Era riuscita a farlo diventare ciò che si era ripromesso di non essere piu’, aveva gettato su di lei quel dolore che in tutti i modi aveva cercato di evitarle.
 
Ogni momento in cui la sua testa non era impegnata in altro, o appena era solo in una stanza, la sua mente ritornava in quella sala: al disprezzo che le aveva riversato addosso, alle parole che le aveva sputato in modo talmente violento da farsi paura, al dolore che quelle stesse parole gli avevano inflitto, ai suoi occhi divenuti due pozzi scuri e al dolore che si autoinflisse quella notte rompendosi quasi la mano sulla pietra dura della sala del tesoro rendendosi conto di ciò che aveva appena fatto, di come avesse rovinato tutto. Ogni notte aspettava, aspettava consumato dai sensi di colpa, ma incatenato a un orgoglio che lo aveva portato a maledirsi, a osservare la porta dall’altro capo della balconata rimanere chiusa, sperando di trovarla già lì, per rivolgerle una parola, o almeno poterla guardare in viso. Ma anche questo gli fu negato: lui, il re sotto la montagna si stava facendo negare una delle cose piu’ banali e futili che potessero servirgli, che potessero servire a Thorin Scudodiquercia, uno sguardo.
 
Gli negò perfino quei piccoli momenti  in cui, durante le poche settimane che erano passate dal suo arrivo, lui poteva avere un po' di pace da quel dolore che lei con solo la sua sola presenza riusciva ad alleviare. Ora era lei stessa a provocarlo, con il suo cambiare scala quando passava, il suo evitare i suoi sguardi tra le colonne di marmo, non rivolgendogli neanche la parola. Quei gesti futili lo stavano portando al limite e quasi come a torturarlo, lei appariva nei suoi incubi, tutte le notti, sempre accanto a lui e sempre finiva nello stesso modo, tra baci e gemiti, sommessi tra le lenzuola del suo letto. Alla fine, aveva perfino finito per bearsene, era finito per accontentarsi di quei momenti nella sua testa, ma ogni volta si svegliava scosso dal terrore: dopo il dolce piacere di lei arrivavano i sensi di colpa, e il sangue e le lacrime e l’oro sotto di lui. Se fosse stato possibile, la bramava piu’ di prima, ma era proprio quella bramosia che lo bloccava ogni volta che passava davanti alla sua porta, dal bussare, o dal bloccarla per i corridoi, rivolgerle lui per primo la parola: era meglio che lei lo odiasse, lo respingesse, e che lui si sforzasse a odiarla, a respingerla via, riducendola solo a ombra.
 
E ora intanto che la montagna risorgeva, lui si lasciava sprofondare sempre piu’ in basso, non facendolo notare mai, non permettendo che gli altri lo notassero, non poteva permettere che gli altri lo notassero, le sue emozioni lo avevano già tradito abbastanza, già gli avevano fatto perdere abbastanza, tanto da far passare il suo odio verso il tesoro, verso se stesso.
 
Il leggero vento freddo dell’inverno dietro di lui che gli mosse leggermente i capelli, mentre la luce calda del tardo pomeriggio si insediava tra le colonne ricostruite, lasciando che l’aria fredda dell’inverno facesse volare via i suoi pensieri, spostandoli sul suo popolo, suoi doveri e non piu’ sui suoi desideri egoistici.
 
A piccoli passi un nano si avvicinò accanto a lui, verso la balaustra dove era poggiato, non dovette neanche girarsi per capire chi fosse, continuando a mantenere lo sguardo sotto di lui, verso il via vai della montagna; una mano gli si poggio sul braccio e glielo strinse con dolcezza. Balin guardò di sotto insieme a lui, condividendo i suoi stessi sentimenti, la sua stessa nostalgia, e un leggero sorriso malinconico gli si dipinse sul viso rimanendo così in silenzio per qualche istante, come se sapesse che il silenzio in quel momento era l’unica cosa che gli servisse da parte sua: un’amara consolazione.
 
La sua presa sul suo braccio si fece meno salda e lì capì che era il momento di finire di perdersi tra i ricordi.
 
“Ho mandato un corvo a Dale, come avevi ordinato, gli uomini della città cominceranno a breve a riempire i fori al lato nord della collina, chiedono piu’ braccia.” Gli riferì Balin portando entrambe le mani dietro la schiena continuando a tenere gli occhi fissati sotto di lui.
 
“Quanti?”
 
“Una trentina, nano piu’ nano meno.” Gli rispose Balin guardandolo di sottecchi, indugiando sul suo profilo austero, reso ancora piu’ tale dalla sua compostezza e dalle vesti color blu scuro, che anche se modeste, non si staccavano mai da quelle di un principe, o da un guerriero delle Montagne Azzurre, come se una parte di lui ancora non riuscisse a staccarsi da ciò che era stato per tutti quegli anni.
 
Thorin parve pensarci per qualche secondo per poi annuire spostando lo sguardo dai nani sotto di lui verso di lui che ancora aspettava una sua risposta.
 
“Accordaglieli, basta che comincino, le tormente di neve arriveranno presto.”
 
“Sta appena cominciando a nevicare.”
Thorin girò lievemente la testa di lato, verso la terza voce che si era unita alla conversazione: Dwalin che fino a quel momento era rimasto in silenzio, era poggiato a braccia conserte su una colonna poco lontana da Balin osservando di sottecchi la conversazione.

“Allora mandateli prima che la neve aumenti.” Gli rispose, poggiando poi entrambe le mani sul reggipetto continuando ad osservare il via vai di nani, che pian piano diventavano sempre piu’ numerosi e rumorosi.

“E’ tutto pronto per sta sera?”
Alla domanda Dwalin gli fissò le spalle prima di puntare gli occhi su suo fratello che palesemente nervoso si strinse le mani l’una nell’altra, sapeva cosa stesse pensando perché la stava pensando anche lui: perfino un cieco avrebbe potuto vedere ormai.

“Si ragazzo, e questa volta il posto del re appartiene a te, sarà una serata che passerà alle leggende.”
Thorin non rispose, fece solo un breve cenno con la testa di ringraziamento, stringendo leggermente gli occhi quando un piccolo gruppo di giovani nani gli passo oltre le lunghe colonne, con le braccia volte l’uno sulle spalle degli altri: erano solo dei ragazzi ma portarono la mente di Thorin a un gruppo di tredici nani che sedeva intorno a un fuoco di fortuna in mezzo alle intemperie, sotto la pioggia e la neve.

“Tutti i membri della compagnia siederanno al tavolo reale, sarà il loro posto da adesso in poi, glielo riferirai tu?” Chiese spostando lo sguardo verso Balin a cui scappò un sorriso sollevato.

 “Non penso che tu possa renderli più felici di cosi ragazzo.” Gli rispose guardandolo di sottecchi: forse le sue preoccupazioni erano solo infondate.

Thorin annuì con un sorriso tirato e  sospirando fissò nuovamente il gruppo di giovani nani che oltrepassavano la grande porta per poi scendere giù nelle profondità della montagna e alla loro scomparsa il suo viso passò di nuovo in rassegna ogni  con una leggera spinta delle mani si allontanò dalla balaustra come per scacciare un pensiero.
 
“Il posto accanto a te suppongo lo debba lasciare libero, per la rag-“
 
“Lei non verrà.”
 
Lo interruppe violentemente non distogliendo lo sguardo da sotto di lui facendo assottigliare lo sguardo di Dwalin e invece sobbalzare Balin che confuso strinse le labbra abbozzando un sorriso che avrebbe dovuto rincuorarlo, ma
 
“Questo non lo puoi sapere.”
 
“Te l’ho già detto, lei non verrà.”
 
“Quello che è successo nelle fucine è stato solo un evento isolato, è una ragazza saggia da non farsi svilire da un evento del genere, e poi c’è quel gruppo di ragazzini che la seguono ovunque, si sono affezionati a lei, cosa ti dice che non possa accadere lo stesso con gli altri?”
Gli occhi del re divennero due fessure, ormai perse oltre le scale, oltre il corridoio, nei suoi ricordi, nei suoi pensieri. “Non è per quello, io so che non verrà, e non ne voglio parlare oltre.” Cercò di bloccare l’argomento, non riuscendo a contrastare l’angoscia che pian piano saliva dal ventre fino ai muscoli tesi delle spalle.
 
“Almeno glielo hai detto?” Gli chiese di nuovo Dwalin, questa volta il tono che usò gli fece alzare dei leggeri brividi sulla schiena, e incontrollabilmente strinse la mascella girando lo sguardo nuovamente verso di lui e con suo stupore Dwalin adesso lo fissava, diretto, impassibile con le mani ben stretti intorno alle braccia. Bastarono
 
“Diglielo tu se vuoi.” Gli rispose lanciandogli un’occhiata che avrebbe fermato chiunque a continuare l’argomento per poi spostare nuovamente lo sguardo verso il basso. “Io ho altro a cui pensare al momento.” Continuò attenuando la voce ancora però roca, e anche se non riuscì a vederlo, poté giurare che Dwalin stesse alzando gli occhi al cielo.
 
Dwalin lanciò un’ennesima occhiata a Balin che lasciò un sospiro uscirgli dalla bocca annullando  le distanze con Thorin poggiandogli una mano sulla schiena dove ora i suoi muscoli guizzavano tirati come non mai in quei giorni: il solo avere Ghìda come argomento delle conversazione aveva reso il re ancora piu’ oscuro, ancora piu’ intrattabile di quanto non fosse nelle ultime settimane, e come accadde nella sala del trono a Dwalin non servì altro, sapeva benissimo a chi dare la colpa.
 
 “Tutti i nani della montagna saranno qui, averla accanto sarebbe stata un idea saggia ragazzo.” Gli disse con fare paterno Balin, ma a quella affermazione seguirono anche gli stessi pensieri che tormentavano Thorin da giorni e la stretta al petto ricomparirono, piu’ violenti, il viso di Ghìda ricompari ancora piu’ violento.
 
“Tu non sei nulla.”
 
Strinse leggermente i pugni puntando lo sguardo verso il nano accanto a se, cercando di controllare il suo tono di voce il piu’ che poté, ma al sentore del primo guizzo sui suoi muscoli della schiena Balin scostò la mano.
 
“Quello che deciderà…”
 
Cominciò a parlare, ma le parole gli morirono in bocca quando con la coda dell’occhio la sua vista fu catturata da un elemento fuori posto, che in quel momento, stava attraversando l’androne passando accanto una delle statue dei grandi guerrieri che sorvegliavano l’entrata: lesta e attenta a dove passava, tenendo intrecciate le mani nella stoffa dell’abito che indossava, spostando il viso di parte a parte ma senza mai girarlo verso di lui, riuscì solo a intravedere l’ombra dei due pozzi scuri che tanto bramava; e come accadeva piu’ spesso in quei giorni, si senti scomparire.
 
La seguì con lo sguardo fedelmente fino a che non oltrepassò l’enorme porta del palazzo infondo al corridoio, non riuscì neanche a vederla in viso, solo i lunghi capelli indomabili che le ricadevano lunghi sulla schiena, ma basto tanto quello a creare un silenzio profondo, e a fargli digrignare la mascella.
 
“Quello che deciderà rimarrà una sua scelta, non mia.” Ribatté roco distogliendo lo sguardo dalla schiena di Ghìda e puntandolo verso Balin ancora accanto a lui: il discorso stava prendendo una piega che non poteva lasciar accadere, non ancora.
 
Scosse la testa e con un movimento veloce si diede forza con le mani sulla balaustra e senza indugiare oltre passò accanto a Balin, oltrepassandolo, sfiorandogli leggermente la spalla con la sua schivandolo e lanciandogli di sfuggita un ultima occhiata  prima di lasciare il terrazzo a grandi passi e a scendere le scale lasciando i due fratelli immersi in un’ondata di gelo a osservando schiena dal loro re, che li lasciava accompagnato dal rumore metallico degli scudi dell guardi che si alzavano al suo passaggio.
 
Dwalin scosse la testa dandosi una spinta con il piede alzando la schiena dalla colonna e puntò uno sguardo trucido verso il fratello mentre quest’ultimo osservava Thorin andarsene sospirando pesantemente: guardarlo come si guarda un cane bastonato non avrebbe cambiato nulla, anzi avrebbe solo peggiorato le cose.
 
“Hai parlato con lui fratello?” Gli chiese Balin con voce preoccupata girandosi verso di lui e Dwalin di tutta risposta scosse la testa avvicinandosi alla balaustra, al posto che prima era occupato da Thorin, o meglio dall’ombra di ciò che era un tempo Thorin.
 
“Sai come è fatto…” Cominciò poggiando una mano sulla schiena di Balin, quasi a rincuorarlo, vederlo così faceva piu’ male a lui probabilmente, che a se stesso. “Potrei dirti che io ho parlato con lui, ma che lui non ha parlato con me. Discutere con lui è inutile.” Ammise facendo alzare le spalle al fratello che ancora seguiva il passo di Thorin.
 
“Con te forse parlerebbe, sei stato per lui un padre tanto quanto lo è stato Thràin… per entrambi.”
 
“ Ne dubito fratello, ha molti pregi, ne ha sempre avuti, ma la trasparenza, non è mai stata una tra questi. Sa governare piu’ un popolo che se stesso: piuttosto che darmi una preoccupazione mi risponderà che sta bene.”
 
Balin sospirò e scosse la testa rassegnato riallacciando le mani dietro la schiena.
 
“Speravo che dopo un paio di mesi, il lutto gli sarebbe scivolato addosso, come è successo con il tempo, con suo nonno, con Frerin, con suo padre.”
 
Dwalin strinse gli occhi tristemente e abbassò il capo tristemente sentendo come se fossero ancora lì, circondati dal ghiaccio le urla struggenti di Fili, e il corpo di Kili protetto selvaggiamente dall’elfa di Bosco Atro, coperto dalle sue lacrime, trattenuto gelosamente, tra le sue braccia, mente lo cullava. Dwalin chiuse gli occhi a ripensare a come aveva dovuto caricarsi in braccio entrambi i loro corpi e portarli giù da quell’inferno, e a alle lacrime silenziose che aveva versato quando li dovettero posare su quelle lastre di pietra fredda, con gli occhi chiusi, che non si sarebbero più aperti. Ma la reazione di Thorin in quei giorni non era di dolore, non, non quello che gli aveva visto sfogare piegato su un tavolo scosso dalle lacrime, era qualcosa di diverso.
 
 “Non sono Fili e Kili la causa del suo comportamento, è ben altro.” Un  grugnito gli uscì dalla bocca puntando severamente lo sguardo sotto di lui verso la figura di Thorin che si allontanava e poi verso la discesa nella quale era scomparsa la ragazza facendo chiaramente intendere a chi si riferisse.
 
Suo fratello capì quando osservò verso cui era indirizzato il viso del fratello. “Sei sicuro che si tratti della ragazza?”
 
“Così sicuro da farmi tagliare un braccio, nel nome di Durin, se ho torto.”
 
Balin sospirò pesantemente, ripensando a come Thorin l’aveva guardata quel giorno nelle fucine, e come invece la guardava ora, suo fratello lo aveva capito, come lui. “Ho notato anche io come la guarda, non avrei mai creduto possibile una cosa del genere, non dopo tutto quello che è successo per lo meno.”
 
“Tu speri che lei lo possa aiutare non è così?”
 
“Perché tu no?
 
“Io spero piu’ che si possano aiutare a l’un l’altra. Non pretendo che si…” Al solo pensiero si bloccò immediatamente, no quello non sarebbe mai successo, sarebbe stata una mera fantasia, Thorin non si sarebbe mai concesso a tal punto: la sua unica  e il suo unico sarebbe stata Erebor e solo questa, no lui sperava solo che potessero accettarsi l’un l’altra.
 
 “E’ un dovere per loro sposarsi e lui lo manterrà a qualunque costo lo manterrà, ma… sono così simili, tu con lei non ci hai parlato, io si. Non ho mai visto un essere piu’ afflitto di così, così fiera nel suo dolore, se quello che ha detto suo padre è vero, non oso neanche immaginare cosa copra quella fierezza.” Finì con voce flebile, rabbuiandosi improvvisamente, e Dwalin aumento la stretta sulla sua spalla facendo poggiare a Balin una mano su di essa: sapeva di cosa stesse parlando.
 
“Per Thorin è come guardarsi attraverso.”
 
Balin annuì  tristemente sapendo forse piu’ del fratello quando quell’affermazione fosse veritiera, lui se ne era reso conto appena aveva visto Ghìda, dopo la battaglia a parlare con Gandalf fuori le mura, con la cotta e il viso macchiato di sangue scuro che le avevano resi i tratti incredibilmente piu’ oscuri, aiutandola a nascondersi ancor meglio, un celarsi dietro una lastra impenetrabile che Balin conosceva fin troppo bene.
 
“Hanno lo stesso sguardo quando parlano, lo stesso fardello e… si guardano anche nello stesso modo, Durin solo sa cosa gli passa per la testa.”
 
“Lo so bene.” Borbottò Dwalin di tutta risposta, ma una frustrazione gli si cominciò a creare nella pancia salendo sempre piu’ su non riuscendo a controllare i suoi pensieri che senza riserva alcuna si indirizzarono rabbiosi sulla mezz-elfa. “Ma lei non lo guarda più così.” Appuntò duro come la roccia.
 
La bocca del piu’ grande dei due fratelli si aprì leggermente, non riuscendo a credere alle parole così dirette che uscirono dalla bocca di Dwalin: i suoi muscoli orano erano tesi a solo pensare alla ragazza e gli occhi ridotti a due fessure.
 
“Lui non ti dirà mai se è successo qualcosa Dwalin, lo sai bene.” Sottolineò Balin severo.
 
“Allora rimane solo un alternativa.” Commentò duro allentandosi dalla balaustra lanciando un’occhiata verso Balin prima di voltargli le spalle e cominciare a camminare via.
 
“Dove stai andando?” Lo chiamò Balin ma lui non si voltò accelerando ancora di piu’ il passo.
 
“A tagliare la testa al serpente.” Mormorò non essendo neanche realmente sicuro se Balin lo avesse sentito e non gli importava neanche era determinato a porre la parola fine su quella storia, non avrebbe permesso a nessuno di ridurlo così e se non ci voleva pensare Thorin, ci avrebbe pensato lui.
 
Balin lo osservò allontanarsi dalla parte opposta rispetto a quella in cui si era diretto Thorin, verso la porta per il palazzo: avendo sentito precisamente le ultime parole di suo fratello e quando Dwalin si metteva in testa qualcosa, avrebbe anche potuto supplicarlo, ma l’avrebbe fatta comunque, soprattutto che era per il suo re, o in quel caso, per il suo amico, il suo migliore amico.
 
Dwalin infatti fu inarrestabile, anche nel suo camminare: scese dalla balconata a grandi falcate, muovendosi rapido tra la quantità di gente che continuava ad aumentare nelle sale, schivando e oltrepassando ogni nano che incrociava la sua strada verso l’entrata delle alee del palazzo, si beccò anche degli sguardi severi da alcune guardie, ma che smisero subito appena lui li ricambiò sapendo precisamente chi lui fosse e cosa potesse essere capace di fare se stuzzicato.
Si fermò per un istante riprendendo fiato all’entrata del palazzo: passò velocemente lo sguardo su ogni scala, su ogni corridoio o gradino; se la mezz-elfa si muoveva così lenta non sarebbe salita così in alto da non permettergli di raggiungerla. Infatti, passati a setaccio una decina di corridoi e di scale verdi, il profilo così riconoscibile della ragazza gli si palesò davanti, a un paio di piani sopra di lui e serrò la mascella mentre una frustrazione terribile gli cominciò a montare nel petto ogni gradino che la mezz’elfa saliva. Con uno scatto cominciò a salire velocemente le scale per raggiungerla, molti probabilmente lo avrebbero ritenuto pazzo e forse in quel momento era proprio quello che sembrava, ma ormai aveva deciso, neanche Thorin stesso sarebbe stato capace di fermarlo, anzi se lo avesse avuto avanti in quel momento avrebbe mandato a marcire lui e il suo caratteraccio. Il suo maledetto orgoglio sarebbe stata la sua rovina.
Pan piano che si avvicinava il suo passo diminuiva e solo quando si trovò a una rampa di scale da lei, vicino alla sala del consiglio, decise di rallentare, di prendere fiato, di ritrovare quella calma che stava cominciando a perdere ogni secondo che passava; lanciò un occhiata verso la sua sinitra, dove una seconda rampa di scale di diramava su fino a finire, dopo lo spiazzo della sala del consiglio, in un unica scala, quella per i piani reali: invece di correrle dietro, inboccò la via opposta che inevitabilmente li avrebbe fatti incontrare, uno di fronte all’altra, senza lasciarle modo di ignorarlo, di passargli oltre.
La presa aumento sulla balaustra quando lei si accorse della sua presenza e del suo sguardo insistente e anche probabilmente della sua aria poco amichevole, salendo i gradini per raggiungere lo spiazzo sospeso su cui lei si era già fermata a osservarlo dapprima confusa ma poi forse notò la sua mano ben stretta . Non un saluto gli rivolse o un breve inchino
 
Tutto si poteva dire di lei, tranne che fosse una sciocca, le ci volle meno di un attimo a capire cose volesse da lei, perché infatti il suo viso cambiò radicalmente, diventando una lastra impenetrabile, che non lasciò trasparire nessuna emozione , lo stesso viso con il quale era entrata nella sala del consiglio la prima volta che l’aveva vista la prima volta. Ora comprese le parole Balin quando gli disse che lei e Thorin si somigliavano: mettere su una maschera di indifferenza pura era una cosa che ma vedere la stessa espressione , lo stesso portamento su entrambi gli sembrò quasi inquietante. Oltrepassò l’ultimo gradino avvicinandosi di qualche passo, solo l’enorme porta verso la sala del consiglio li divideva da una parte e invece dall’altra la rampa di scale per le stanze reali; lo sguardo della mezz’elfa rimaneva inespressivo, aspettando che lui parlasse.
 
“Questa sera verrete?” Le chiese diretto, e pungente, senza stare a pensare all’etichetta, se si somigliavano davvero così tanto l’etichetta sarebbe solo stata l’ennesima facciata in cui lei si potesse celare, infatti lei di tutta risposta gli indirizzò uno sguardo glaciale tirando la schiena.
 
“Non credo che il re gradisca la mia compagnia.” Disse quasi monocorde, tanto da farlo sorridere ironicamente e incrociare le braccia al petto non riuscendo a contenere un sorriso forzato.
 
“E io mi domando, cosa ve lo possa far pensare?”
 
“Ho le mie ragioni signor Dwalin.” Rispose dura all’affermazione, lanciandogli un’occhiata prima di continuare a camminare e a voltarsi pronta a salire la lunga scala.
 
“Le vostra ragioni sono ridicole.”  Lei si bloccò all’istante e gli lanciò uno sguardo gelido.
 
“E la vostra fedeltà verso il re sotto la montagna è ammirevole ma io non mi debbo giustificare con nessuno, tantomeno con voi e con lui.” Rispose Ghìda lasciando che un briciolo della sua frustrazione si manifestasse con l’ultima parola pronunciata, sottolineando chiaramente la parola lui. Scosse la testa e si girò pronta ad andarsene, non era in grado di gestire quella conversazione, soprattutto con qualcuno che sarebbe morto per il re sotto la montagna, si aggrappò al corrimano e cominciò a salire.
 
“Vi state comportando come una ragazzina.” Le disse freddo sputando quelle parole volutamente per farla bloccare e così fu: a quelle parole lei si fermò sul primo gradino delle scale degnandolo di nuovo della sua attenzione con un’aria scioccata, ma lui non aveva finito, oh no che non aveva finito. E per quanto seppe che le parole che stava per pronunciare sarebbero devastanti per lei, doveva farla crollare, perché continuare così non sarebbe servito a nulla.
 
“Dite di voler essere una nana, di voler far parte di questa montagna, ma lo siete meno ora di quanto voi non lo siate mai stata dal primo mento in cui vi ho visto!” Mormorò cercando il piu’ possibile di mantenere la calma, ma aver vomitato quelle parole lo fece sentire terribilmente in colpa, anche se infondo le pensava sul serio.
 
Come successe nelle fucine, l’aria di indifferenza finì per essere la sua condanna, perché da come si morse il labbro capì che aveva raggiunto il suo obiettivo: Ghìda assottigliò lo sguardo nero, incredula delle sue parole;  il tono con cui le si era rivolto, la fece irrigidire così minaccioso e brusco. Un vago sentore di rabbia che fino a quel momento era riuscita a controllare iniziò a sprigionarsi dallo stomaco, ma più piu’ che salire le si bloccò all’altezza del petto, facendole ripatire quella sofferenza che cercava di ignorare da giorni.
 
“Voi..” Cominciò puntandogli il dito addosso e scendendo nuovamente lo scalino su cui era, tornando alla stessa altezza del nano di fronte a lei, ma la voce le diventò sempre piu’ esile.  “Non avete alcun diritto di venirmi a rinfacciare il mio comportamento, e neanche Th…” Si bloccò di colpo:  anche solo pronunciare il suo nome le fece venire una stretta al petto talmente fitta da farle  serrare i pugni.  “Il re sotto la montagna, i suoi problemi sono suoi soltanto, come i miei mi appartengono.”
 
L’imponenza del nano di fronte a lei le parve improvvisamente piu’ grande, le si avvicinò scuotendo la testa con ancora le braccia incrociate al petto.
 
“Io non vengo da parte di nessuno, mia signora, io sono venuto qui da voi per mia scelta, mia soltanto. E credetemi quando vi dico che dirvi queste parole è più difficile per me che per voi.” Puntualizzò freddo.
 
“Non credete mia signora che il vostro dolore valga piu’ di quello di qualcun altro.”
 
Concluse il nano e per lei fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso, come se non lo sapesse, come se non avesse visto o sentito. Strinse le labbra  l’una sull’altra abbassando lo sguardo lentamente:un sorriso amaro le si dipinse sulle labbra, intanto che l’orgoglio lottava contro le lacrime che non facevano altro che spingere per uscire, riportandola a diverse notti prima. Il viso di Thorin a pochi centimetri dal suo sfigurato dall’ira, le sue parole che la trafiggevano come frecce, il suo cuore spezzarsi in due lasciandola singhiozzare silenziosa su una fredda scala di pietre. Si morse il labbro tanto poter sentire la pelle spezzarsi sotto i suoi denti prima di alzare lo sguardo verso il nano che ancora la guardava giudicatrice.
 
“Vi ha raccontato cosa è successo?” Mormorò puntando di nuovo lo sguardo verso il nano di fronte a lei.
 
Non furono le parole della mezz’elfa a far chiudere la bocca a Dwalin, ma la punta di dolore con cui gliele sputò addosso: le sopracciglia crucciate, la corazza ormai in frantumi a terra, le mani attorcigliate talmente tanto nel tessuto dell’abito da sgualcirlo. Ogni momento di silenzio face trasfigurare il volto della mezz-elfa fino a far coprire i suoi occhi con un velo di afflizione, che solo una volta vide: durante una battaglia, da parte di un re impazzito, accanto a un trono in frantumi.
 
“Cosa vi ha fatto?”
 
 
 
 





L’unico rumore che rimbombava per l’enorme salone vuoto era quello di lame che si incrociavano l’una sull’altra, che si abbattevano vigorose senza sosta da piu’ tempo del dovuto considerando la luce arancione del tramonto che era rimbalzata fino a lì o dal vociare sempre piu' basso per le sale del palazzo. Il silenzio quasi tombale invadeva l’enorme Salone del Ferro: speculare a quella del trono ma decine di piani sotto, era una sala circolare quasi del tutto chiusa, tranne per le file di finestre con vetri azzurri e i parapetti vicino al soffitto che potevano permettere a chiunque di guardare all’interno della sala d’addestramento e grande abbastanza da poter permettere  ai due nani boccheggianti di potersi muovere liberamente, senza andare a scontrarsi con la quantità infinita di armi e scudi, archi e  frecce e statue di antiche guerrieri che costeggiavano le pareti verdi. 
 
Il silenzio quasi tombale era spezzato solo dagli ansimi dei due nani che freneticamente e senza tregua riprendevano possesso di gesti e movimenti che in altre circostanze gli sarebbero serviti in battaglia e solo in battaglia, ma che per loro era diventata un’abitudine diventata piu’ che rara negli ultimi tempi . Un vizio da cui non si poterono mai distaccare,  da quando erano ragazzi inesperti e solo volenterosi di imparare fino a quando arrivarono ai Monti Azzurri: passavano le ultime ore della giornata così, ad allenarsi, a saltare perfino la cena,  a scaraventare l’uno sull’altro le proprie afflizioni, i propri istinti e desideri.
Per entrambi era sempre stato un modo per non dirsi nulla e dirsi tutto, ogni colpo, ogni parata, ogni fendente mal assestato; potevano far capire a uno quello che provava l’altro e fu proprio questa consapevolezza il motivo per il quale Thorin dovette sforzarsi di rimanere lucido, piu’ lucido di quanto non lo fosse mai stato, ma piu’ l’ora della cerimonia si faceva vicina, piu’ i suoi colpi diventavano piu’ lenti, le sue parate piu’ fiacche e il petto sempre piu’ pesante. E i pensieri sempre piu’ annebbiati da un unico viso, le orecchie sempre attrappate da un ansimo fuso col suo, ma non era quello di Dwalin, no lui era freddo, come il ghiaccio, non gli aveva detto nulla da quando era entrato e si era tolto la pesante casacca, rimanendo con lui in camicia, con ormai gli aloni di sudore macchiavano i petti e le schieni di entrambi
 
La sua testa era altrove, stava compiendo errori su errori e lui glieli stava facendo passare tutti.
 
Dwalin lo osservò greve quando riuscì a malapena a bloccare il suo ultimo colpo con lo scudo che teneva nella mano destra, non facendogli questa volta passare l’errore e  pronto a sferrargli un colpo con la seconda ascia che teneva nella mano opposta all’altezza della spalla , costringendolo a pararlo con la spada che aveva nelle mani, facendogli stringere i denti talmente forte il contraccolpo.
 
Ansimante lo guardò negli occhi. “Cosa stai cercando di fare, uccidermi?”
 
“Se fosse una battaglia vera ti avrei già ammazzato una decina di volte.” Gli rispose Dwalin secco ansimando e annullando la forza delle asce che bloccavano Orcrist e che premevano sullo scudo sull’altro braccio permettendo di muovere il braccio, asce che lasciò cadere lungo i fianchi guardandolo greve.
 
Mentre entrambi riprendevano fiato piegati leggermente sulle ginocchia, Dwalin si tirò leggermente su puntando severo una delle due armi verso il petto del re cercando di riprendere fiato stufo della situazione, nel frattempo che Thorin aumentava la presa sullo scudo ansimante pronto a pararsi da qualsiasi suo movimento improvviso, anche dalle sue insistenti domande.
 
“Te lo chiedo un ultima volta, cosa ti prende.” Ripeté osservandolo dritto negli occhi mente ora la punta dell’ascia toccava il suo petto, ma Thorin rimase in silenzio:  guardò prima giù verso di lui e poi verso la lama scostandola con un movimento della spada per poi bloccargliela verso il basso e dargli uno spintone con lo scudo pronto a portargli la spada sul fianco, ma il suo silenzio insistente fece solo adirare di piu’ Dwalin che prontamente si spostò di lato e vibrò in aria l’ascia libera.
 
 “Non sei mai stato bravo a mentire e ti chiedo almeno di non farlo con me.” Gli disse serioso bloccando il fendente diretto verso il suo fianco con entrambe le asce, ansimante.  Le sue parole parvero toccare una ferita aperta e ancora sanguinante, e fu così, perché infatti Thorin strinse la mascella e un ringhio sommesso dal petto gli uscì tra gli ansimi.
 
L’insistenza di Dwalin fu come una ennesima goccia che lo avrebbe portato a esplodergli addosso, e così fu: con rabbia strinse il manico di Orcrist, lasciando il rancore di quei giorni prendere pieno possesso del suo corpo.
 
“Non ho nulla da nascondere.”
 
Ribatte controllato lasciando cadere lo scudo al lato afferrando Orcrist con entrambe le mani e  con grande sorpresa di Dwalin riuscì a discapito delle due lame che lo bloccavano la sua a fare talmente forza da ribaltare la situazione muovendo le asce dalla parte opposta  e ad assestargli un colpo alla testa talmente forte che lo fece gemere di dolore. La frustrazione, mischiata all’adrenalina, lo fece diventare improvvisamente piu’ aggressivo,  la rabbia che gli montava nel petto stava fuoriuscendo, lo percepiva sempre piu’ reale, non ridotta dai suoi ansimi di fatica.
 
Dwalin lo guardò furente intanto che da in mezzo alla fronte un piccolo rivolo di sangue gli scendeva giù per il viso, fino al naso, spaccandogli il viso precisamente in due:  collerico strinse così fermamente le asce nelle sue mani che i tatuaggi sbiaditi sulle mani gli diventarono bianchi.
 Thorin dall’altra parte delle sala, con la stessa ferita sulla fronte che lo guardava ostile, mentre il sangue dalla fronte gli ricadeva copioso per terra, macchiando la pietra verde sotto i piedi del re.
 
L’aria diventò improvvisamente ostile, da entrambe le parti, Thorin si porto sulla difensiva in qualsiasi modo quella parola potesse avere un significato, parandosi con la spada elfica stringendola con entrambe le mani improvvisamente piu’ pesante, così come il suo petto: era deciso a non dirgli nulla, lui non poteva sapere nulla, non di quello, non di lei, non di quello che le aveva fatto. Dwalin d’altro canto era piu’ deciso che mai, lo avrebbe fatto parlare, doveva sentirlo uscire dalle sue labbra, non gli bastavano le parole di una mezz’elfa, no, non piu’. Con foga lo carico librando in aria un’ascia pronto a colpirlo.
 
“Mi hai chiesto se mi fidassi di te!” Gli urlò tentando di assestarli un colpo dal basso verso l’alto con al quale Thorin schivò di lato tenendo la spada tra le mani: la violenza nei colpi di Dwalin aumentava sempre di piu’, per un attimo desiderò conficcargli l’ascia dritta nel petto per vedere quello che conteneva.
 
“Non ho mai dubitato della mia risposta!” Cercò di colpirlo un'altra volta ma nuovamente lui schivo il colpo di lato continuando a rimanere in silenzio
 
“Non ho mai dubitato del mio giuramento verso il mio re.”  Dwalin stesse per assestare un altro colpo ma bloccò l’ascia a mezz’aria osservando dritto negli occhi Thorin prendendo dei grossi respiri guardnadolo ansimante quanto lui.
 
“Ma mi devi dire cosa è successo Thorin”.
 
 Lui però non parve fermarsi e a quella affermazione, infatti Thorin non riuscì piu’ a controllarsi: con un movimento rapido gli diede un colpo con l’ascia facendolo sbilanciare e ne approfittò per portarsi di nuovo in situazione di vantaggio, con gli occhi azzurri carichi di rancore e frustrazione, con forza lo spinse per terra ancor di piu’ e si lasciò cadere su di lui, bloccandogli qualsiasi movimento e puntandogli ansimante la lama della spada verso il petto,  sempre piu’ vicino alla gola cercando di regolarizzare il suo respiro ormai con la lama di Orcrist così vicino alla gola di Dwalin, così vicino che Thorin poté vedere il suo riflesso nella lama, e poté vedere come lo stava guardando.
 
Dwalin lo fissò greve, non curandosi minimamente della lama puntata alla sua gola  oltre i ciuffi attaccati alla fronte dal sudore e gli occhi di Thorin trasformati dalla collera che era riuscito a fargli fuoriuscire e dalla stanchezza.
 
“Si tratta di lei non è vero?” Gli disse sempre piu’ sicuro e capì di aver fatto breccia quando, così a poca distanza dal suo viso riuscì a cogliere un guizzò nel suo sguardo ma durò solo un attimo quella affermazione strinse gli occhi e bloccò il suo respiro ansimante, e senza rispondergli e si alzo dal corpo da  ‘con un movimento veloce.
 
“Abbiamo finito per oggi.” Asserì lanciandogli un’ultima occhiata che avrebbe fatto zittire chiunque ma non Dwalin: non piu’. Thorin però non gli diede modo di parlare, si comportò come se tutto quello che avesse detto fosse niente per lui, avvicinandosi verso uno dei tavoli di marmo affianco a loro dove vi erano accatastati le vesti troppo scomode da poter indossare e le else delle loro armi.
 
Il nano infatti si alzò lentamente da terra ansimante e con il dorso della mano si asciugò la ferita e osservò il sangue sulla mano, cosa fosse riuscito a scaturire solo con una domanda in piu’ sulla mezz’elfa, ora il suo obbiettivo era cambiato, non voleva parlare per lei, i loro problemi erano solo loro, il problema adesso era Thorin, si sarebbe autodistrutto e lui questo non poteva permetterlo.  
Osservò il profilo di Thorin che si passo il lembo della camicia sulla fronte per fermare il sangue che continuava a scendere e a macchiargli i capelli, trattenendo con l’altra teneva la spada ben poggiata sul tavolo, come se fosse pronto a combattere di nuovo, ma adesso la battaglia tra di loro due sarebbe stata combattuta ad armi pari.
 
 Dwalin serrò la mascella e con rabbia, scaraventò la sua ascia per terra di proposito sfogando la frustrazione e facendo rimbombare il rumore del metallo per tutta la stanza, rizzare la schiena a Thorin.
 
“Cosa è successo l’altra notte?! Me en frau’hak!”
 
Thorin a quella affermazione strinse il pugno di Orcrist, facendo diventare le nocche bianche ma rimanendo in silenzio con lo sguardo impassibile, come se le urla di Dwalin non fossero rivolte verso di lui, come se il discorso non lo riguardasse affatto e questo lo fece infuriare ancora di piu’ e si avvicinò a lui a grandi falcate.
 
“Cosa le hai detto?!”
Gli urlò diretto e questa volta Thorin non riuscì a rimanere impassibile, abbassò lo sguardo  colpevole smise di passarsi il panno sulla fronte e lasciò andare il pomo della spada poggiandosi con entrambi i pugni sul tavolo ormai macchiato dalle gocce di sangue purpuree.
 
“Hai parlato con lei?”
 
“Tu rispondi alla mia domanda.”
 
“Se la conosci già la risposta non vedo perché dovrei ripeterla.” Rispose secco Thorin e abbassò ancora di piu’ lo sguardo.
 
“Te lo chiedo perché voglio sentirlo uscire dalla tua stramaledetta bocca.”
 
Thorin strinse con forza i pugni poggiati sulla fredda roccia del tavolo quasi a volersi spaccare nuovamente le mani,  puntando lo sguardo su Orcrist ancora non infoderata sotto di lui, sulla lama specchiata, osservando il riflesso dei suoi occhi azzurri ormai quasi del tutto irriconoscibili.
Disgustato da se stesso, spostò lo sguardo altrove, sul manico per poi salire leggermente verso le  scritte in elfico che come una pianti si arrampicavano fino a metà della lama. Con delicatezza aprì una mano e poggiò il pollice su una delle lettere incise, accareddnandole gentilmente come se attraverso il piccolo gesto potesse cancellare ciò che era accaduto, potesse accarezzare altro che non una lama fredda.
 
Dwalin lo osservò in silenzio notando il leggero movimento e la cosa lo mando ancora piu’ in bestia.
 
“Nel nome di Durin, non penso di dover essere io a ricordarti le tue responsabilità verso d-“
 
Inaspettatamente il pugno di Thorin di scaraventò sul tavolo facendo tremare la spada e portando ancora poi’ silenzio se fosse possibile nell’immessa stanza.
“Non osare ricordarmi quali saranno i miei obblighi verso di lei, li conosco meglio di qualunque altro!” Urlò  girandosi verso di lui furibondo puntando prima il dito contro Dwalin e poi  contro se stesso.
 
La collera che fino a quel momento aveva tentato di celare esplose, tutto poteva sentirsi rinfacciare, era pronto a sentire qualsiasi cosa, ma non che non avesse provato, come se lui potesse conoscere cosa sentiva. Si avvicinò verso Dwalin a grandi passi con sguardo truce.
 
“Ho imparato i miei giuramenti tempo fa, molto tempo fa e me ne ricordo ogni singola parola come se ce li avessi tatuati addosso.” Sibilò guardandolo negli occhi “Sia come re che come marito.” Appuntò volendo rendere chiaro il concetto una volta per tutte.
 
“E quindi è così? Lei è un obbligo per te?” Replicò adirato Dwalin mentre una risata amara gli fuoriuscì dalla bocca. “Un obbligo che ti porta a fissarle la schiena quando cammina fuori da una sala? O un obbligo che ti impone di abbassare lo sguardo quando lascia la stanza?” Alla sua affermazione Thorin serrò la mascella, ma a lui non bastava, si avvicinò di un altro passo ormai faccia a faccia con il re dei nani. “O a dubitare apertamente un signore dei nani?” Mormorò truce e a quel punto Thorin scosse la testa voltandosi non avendo intenzione di procedere con quella conversazione.
 
“Quello che faccio Dwalin non ti concerne.”
 
Gli rispose autorevole impartendogli quelle parole come se fosse un ordine, ma questa volta fu l’unica volta in cui non obbedì, in cui non obbedì a Thorin in tutta la sua vita. Lo osservò mentre lui, certo che la discussione fosse chiusa, tornò a grandi passi verso il tavolo e lì infilò con un movimento secco la spada nell’elsa, che fino a poco fa aveva visto accarezzare come fosse una persona, e già sapeva chi, lo sapeva troppo bene ma Thorin lo sapeva?
 
“Non ti rendi neanche conto di come la guardi, vero?” Questa volta il tono di Dwalin cambiò radicalmente, trasformandosi in un tono comprensivo afflitto, ma che a Thorin arrivo come un pugno in pieno stomaco: sussultò e continuando a dargli la schiena incatenando i suoi occhi al pavimento, lasciando le parole di Dwalin scavargli una voragine nel petto, riportando alla luce la luce gialla del lago, il sorriso che gli aveva rivolto, il suo nome pronunciato con voce spezzata, il suo viso a pochi centimetri dal suo ogni maledetta notte da quel giorno, come la volesse portare a casa  sua  perché quella montagna non era casa sua, no, non lo era e forse ora era diventato il suo personale esilio che lui stesso aveva reso tale. I muscoli delle braccia gli si sciolsero immediatamente, facendogli abbassare le spalle e deglutire rumorosamente.
 
“Me ne rendo conto” Riuscì a mormorare: la collera a cui aveva dato sfogo adesso lasciava spazio solo a un’immensa malinconia che gli fece chiudere gli occhi, come per provare a trattenere il suo pensiero, ma farlo significò riaverla davanti a se, distesa sul suo petto, che glia accarezzava la barba e che lo guardava: di nuovo.
 
“Ed è questo che mi tormenta.”
Esiliò Thorin alzando lo sguardo verso Dwalin, guardandolo con tale angoscia che a l’amico, strinse le labbra come sull’altro, in quel istante, si pentì amaramente di ogni sua azione: le difese di Thorin erano crollate sotto il peso del rimorso.
 
“Non c’è un secondo da quella notte in cui non mi pento di ciò che ho detto, di ciò che ho sentito.” Thorin si interruppe un attimo fissando oltre le sue spalle e poi giù di nuovo verso il pavimento, come se quello che stesse per dire gli fosse costato una fatica indicibile.
 
“Di cosa sento.” Ammise vergognandosi di se stesso e crucciò le sopracciglia aspettandosi di sentir dire qualunque cosa da Dwalin, pronto anche a un’ennesima sfuriata, ma questa non arrivo: alla fine, invece arrivò la domanda che lo affliggeva da giorni, da settimane, nella notte nel giorno, ora non era lui a porsela da solo, ma il suo migliore amico, suo fratello, forse la persona che piu’ lo conosceva sulla faccia della terra.  Non riuscì a mentirgli, non poté mentirgli.
 
“E cosa senti?”
 
“Non lo so.”
 
 
 
 
 




“Bombur piantala! Ti sei spazzolato metà del montone che c’era sul tavolo.” Bombur riprese severamente il fratello che gli stava accanto dandogli una botta sulla mano che era già pronta ad afferrare l’ennesimo pezzo tra una delle centinaia di stoviglie vuote e ancora semi piene che riempivano tutto al centro della tavola e non solo, visto la quantità di boccali di birra vuoti e piatti rotti che estendevano per tutta la sala.
 
Bofur infatti, stringendo ancor meglio il lungo fazzoletto intorno al collo, gli lanciò solo un’occhiataccia stizzito e passo la sua attenzione su altro piatto al centro della tavola: come se mangiare altro avesse fatto differenza.
 
“Tu invece cugino ti sei bevuto metà dell’ultima botte di birra.” Ribatté ad alta voce Bifur tentando in ogni modo di far arrivare la voce al cugino, sovrastando il trambusto della sala e i battiti di mani e musiche che si andavano a confondere l’una con l’altra.
 
“Mai quanto Balin.” Ridacchiò Glòin portandosi l’enorme bicchiere alla bocca, quasi a sottolineare l’argomento della conversazione, facendo ridacchiare Balin e alzare verso di lui il boccale semi vuoto che teneva in mano.
 
“Se avete qualche cosa da ridire sul mio comportamento ragazzi, non mi interessa, sono vecchio ma certe gioie lasciatemele godere.”
 
“Cadere? Chi è caduto?”
 
Interruppe Òin portandosi la tromba vicino all’orecchio non avendo capito il tema del discorso sia a causa delle parole spesso sbiascicate o rese quasi impossibili se non urlate tale la confusione della musica e delle risate di sottofondo che si espandevano per tutta l’imponente sala, talmente tanto grande da rendere difficile anche vederne la fine da dove si trovava ila tavolo reale, totalmente dalla parte opposta all’entrata, segnata da una fila di colonne che si aprivano sull’immensità di Erebor, che mostrava a chiunque si trovasse al suo interno la maestria dei nani, la simmetria di scale e pareti dorate della montagna. Il camino dietro il tavolo reale invece era grande abbastanza da far entrare al suo interno almeno un tredicesimo dei nani all’interno della stanza, illuminando con luce dorata le pareti adornate con stendardi ricchi di storie del popolo della montagna. Sembrò davvero un cuore pulsante quella sera, battiti di mani, pedate per terra, musiche che si alternavano tra schiamazzi e risate e la birra che continuava a scorrere a fiumi, compresa nella bocca di Balin, che per pura sfida alla frase precedente ne bevve ancora prima di alzare un sopracciglio divertito verso il resto della compagnia.
 
“E poi la reggo sempre meglio di voi.”
 
Glòin a quelle parole si tirò leggermente su a sedere sbattendo rumorosamente il boccale sul tavolo. “Sei pronto a scommetterci cugino?” Gli chiese affacciandosi oltre la spalla del fratello entusiasta facendo rizzare Bofur in piedi che batté le mani piu’ volte tenendo fra le dite la pipa scura fumante.
 
“Scommesse! Scommesse aperte!” Urlò Bofur e dalla tasca della giacca cominciò a tirare fuori un sacchetto pieno di monete che lanciò per sfida in mezzo a uno dei pochi spazi vuoti del tavolo del tavolo, seguiti a ruota da Òin che non manco di dar corda al fratello e Bifur che ne mise una grande il doppio.
 
“Siete incorreggibili.” Ruotò gli occhi Dori osservando lo spazio riempiersi sempre piu’ di sacchetti, scuotendo la testa, bloccando preventivamente la mano del giovane Ori che si appropinquava a gettare un piccolo gruzzolo.
 
“Oh avanti!” Arrivò in aiuto del fratello piu’ piccolo Nori che allungò la mano oltre il tavolo arraffando il minuscolo sacchetto di monete dalla mano del fratello minore, che incurante delle parole del maggiore, glielo porse volentieri, e Nori sorridente lo gettò nella mischia provocando un’ occhiataccia da Dori ma un sorriso gentile da Ori. “Glòin prendi la mia” Urlò tirando fuori a sua volta un sacchetto di monete ridendo divertito. “Dieci monete che riporteremo Balin in braccio in camera prima dell’alba.” E così lo lanciò in mezzo al tavolo, facendo diventare un piccolo gruzzolo di sacchetti, un minuscolo tesoro, portando così a  ridacchiare Balin che di tuta risposta alzò le mani in segno di resa osservando tutte le scommesse al centro del tavolo.
 
“Io non scommetto mai su me stesso, giovani, dovreste saperlo”
 
“Segnane venti per me Glòin.” Richiamò l’attenzione Thorin sorridendo oltre il boccale di birra che ora aveva vicino alla bocca, attirando l’attenzione di tutti i presenti, che fino a quel momento non avevano sentito non una parola uscire dalla sua bocca dall’inizio della serata, imprimendo sul nano dalla lunga barba rosse un sorriso compiaciuto.
 
“Come ordinate mio re.” Annuì in modo teatrale ridendo di gusto scatenano delle risate divertite per tutta la tavolata e con un movimento unico, allargando le braccia, avvicinò il tesoro verso di se cominciando a contare i vari sacchetti.
 
Balin spostò il suo sguardo su Thorin seduto accanto a se, a capo dell’immensa tavola reale che dominava l’immensa sala intanto che quest’ultimo scuoteva la testa divertito prendendo un sorso dal suo boccale. Si sentì leggermente rincuorato da quel comportamento anche se non poteva dire di non aver notato gli sguardi che di tanto in tanto, anche se ben celati, dirigeva verso l’alta sedia vuota accanto alla sua, l’unica sedia che li divideva. Simile nella forma a quella del re, decorata con antiche rune riportanti i nomi delle sette casate e due corvi come poggia mani, ma leggermente piu’ snella, di un legno poco piu’ chiaro di quella su cui era seduto Thorin, quasi nero.
 
 Non era riuscito a parlar con il fratello fino a che non lo incontrò per puro caso di ritorno poco dopo la loro conversazione, verso casa, scuro in volto, e così preso dai suoi pensieri che non gli aveva fatto altro che un cenno col capo prima di entrare sbattendo violentemente la porta nelle sue stanze e solo con quel gesto, le sue speranze di un arrivo della ragazza alla tavola erano quasi totalmente svanite, ma si era appurato che quel posto rimanesse vuoto, ma ora a vedere Thorin così si sentì quasi in colpa.
 
La mente del re d’altro canto era persa nelle musiche e negli schiamazzi della sala, che ormai erano diventati solo una nenia nella testa, cosi come il via vai di nani da un tavolo all’altro, o gli schiamazzi alla tavola che di rado attiravano la sua attenzione, diventando un leggero rumore di fondo che accompagnava le sue riflessioni, interrotte solo dal bere dal suo boccale, e che forse peggiorava annebbiandogli ancora di piu’ la mente e ovattandogli i suoni. La corona sulla testa, che non indossava da settimane, non gli pesò tanto quanto quella sera: la discussione con Dwalin, l’ammissione che gli aveva fatto invece di aiutarlo, gli aveva solo fatto prendere piu’ consapevolezza di quanto ciò che avesse fatto fosse sbagliato, di quanto molto probabilmente le sue parole sarebbero state irrimediabili e di quanto quel vortice in cui si era ritrovato lo stesse facendo impazzire.
 
Il solo ammettere di provare qualcosa per lei o il solo pensare che una cosa del genere potesse essere la ragione delle sue pene, lo aveva fatto rimanere con la schiena della pietra fredda della vasca per talmente tanto tempo che  ne uscì solo quando cominciò a sentire i primi suoni del banchetto che, talmente alti, erano rimbombati fin sopra le sale piu’ alte del palazzo. Ma anche se vestito da re, con il lungo mantello nero sulle spalle e la corona della sua stirpe sulla testa ,quella sera si sentì il re piu’ vulnerabile e senza difese  che ci fosse mai esistito sotto quella montagna: sarebbe dovuto essere il primo a saltare dalla gioia a ubriacarsi fino a non capire piu’ nulla, a fumare fino a che la lingua non gli fosse diventata nera, ma non ci riusciva e la causa era accanto a se. La sedia vuota alla sua sinistra infatti non aiutava a fargli voltare i suoi pensieri altrove, spesso il suo sguardo vi si poggiava, se avesse potuto l’avrebbe scaraventata a terra, perché quel posto vuoto sottolineava ancora di piu’ il suo fallimento, e il suo rimorso. Lei non sarebbe scesa, e neanche se lo sarebbe aspettato, neanche ci aveva sperato e, per quanto continuasse a bere, da quella porta lei non sarebbe entrata, ma se Mahal gli avesse voluto donare un minimo di gioia prima del dolore dei suoi incubi, l’avrebbe vista solo quella notte.
 
Sospirò pesantemente e accompagnato da quel pensiero in un solo sorso buttò giù il restante che rimaneva nel boccale per poi lasciarlo andare sul tavolo e distendere la schiena sull’immenso schienale dietro di se.
 
“Chi vuole un'altra birra?” Chiese Nori che con una spinta smosse la sedia facendola ruotare su se stessa dalla parte opposta verso i barili impilati al centro della sala, la domanda non fu una delle piu’ acute, perché tutti i presenti sei nani su dieci senza aggiungere una parola gli porsero i boccali vuoti facendogli alzare un sopracciglio infastidito.
 
“A questo punto ne prendo una per tutti!” Aggiunse ironico afferrando tutti i boccali che si tendevano verso di lui con non poca difficolta incastrandoli tra le dita.
 
“Porta direttamente il barile.”
 
“Se uno di voi gentil nani mi venisse a dare una man tipo Dwa… Dov’è Dwalin?” Si interruppe poggiando lo sguardo sulla sedia vuota per poi passarlo velocemente per tutta la lunghezza del tavolo.
 
Quella domanda fece ridestare di nuovo Thorin che strinse gli occhi poggiando gli occhi sulla seconda sedia vuota accanto a se, notando effettivamente l’assenza di Dwalin a tavola, si era davvero lasciato così andare da non notare che se ne fosse andato?
 
“Che c’è? Sei preoccupato che si sia perso?” Gli domandò Bombur con la bocca semipiena ingozzandosi del montone che precedentemente gli era stato vietato, finendo la metà rimasta in mezzo al tavolo.
 
“Sarà nella sala e tu non lo vedi.” Puntualizzo Dori verso il fratello, alzando la testa leggermente aiutando in qualche modo, controllando ogni singolo tavolo, per quanto possibile.
 
Nori però inarcò leggermente le sopracciglia passando a setaccio, tutta la sala intorno, voltandosi in varie direzioni, non vedendo neanche l’ombra del diretto interessato, come se non fosse riconoscibile, lo avrebbero visto anche a leghe di distanza.
 
“E infatti eccolo lì.” Puntò con il bocchino della pipa Glòin sistemando in file ordinate le monete che era riuscito a racimolare, dividendole in modo orinato così da non perdere neanche una facendo alzare lo sguardo oltre la folla della sala a Balin, che così come tutti gli altri non si era reso conto che il fratello avesse lasciato la sala.
 
Effettivamente Dwalin era appena rientrato nella sala: oltrepassò a grandi falcate le immense colonne alla fine della sala con entrambe le mani che gli tenevano la cinta dei pantaloni, facendosi spazio abilmente tra le fila di nani e riuscendo nell’intento a rubare un boccale da uno che gli passo accanto che così ubriaco non si rese neanche conto della sua mancanza.
 
“Dove sei stato?” Gli chiese Nori accigliato appena questo si avvicinò abbastanza al tavolo da poterlo sentire e Dwalin di tutta risposta portò il boccale che era riuscito a rubare verso la bocca e bevendone un sorso macchiandosi di schiuma gli enormi baffi neri.
 
“A distruggere il tuo bagno.” Gli rispose sogghignando avvicinandosi verso la sua sedia accanto a Thorin e poggiandoci ,sopra lo schienale, entrambi  gli avambracci lanciando un’ultima occhiata da dove era arrivato, oltre le arcate, in modo fisso, come se aspettasse che qualcosa potesse giungere da lì, bevendo tutto di un sorso il contenuto del boccale senza però mai staccare lo sguardo oltre l’entrata. Il suo sguardo non passò inosservato a Balin, che conoscendo troppo bene il fratello sapeva che c’era qualcosa che gli nascondeva, il motivo della sua sparizione probabilmente, ma di colò una consapevolezza si fece largo nella sua testa, facendogli lasciare il boccale tutto di un colpo. Non poteva averlo fatto.
 
 “Oh oh questo mi ha ricordato una canzone.” Fece Bofur pronto a cantare e a dare sfogo alla sua gioia per  poi alzarsi battendo entrambi le mani sul tavolo, mandando in allerta tutti i nani facendoli sbuffare ma ridere sotto i baffi , mandando in allarme perfino anche On che alzo lo sguardo scuotendo la testa.
 
“Nel nome di Durin, no ti prego.”
 
Bofur sogghignò di tutta risposta e si tolse con un gesto secco la pipa dalla bocca lasciandola cadere sul tavolo per poi schiarirsi la voce  e inebriato sia dall’alcool che dalla situazione si cominciò ad alzare ma appena compì questo movimento, il chiacchiericcio di fondo della sala si fece lentamente piu’ flebile, facendolo crucciare e puntare lo sguardo curioso verso il fondo alla sala lasciandolo di sasso.
 
“Oh Mahal salvaci...” Mormorò tenendo ancora gli occhi fissi verso la fine della sala rizzando la schiena dalla sedia e facendo così voltare tutti i presenti al tavolo dapprima confusi e poi esterrefatti, bloccando ogni commento e ogni gesto che stavano compiendo: paralizzando la tavola all’istante.
 
La melodia di rumori che accompagnava i pensieri di Thorin tutta d’un colpo si fece piu’ flebile fino a interrompersi distogliendolo dai suoi pensieri e portando finalmente anche lui ad alzare lo sguardo verso l’entrata, staccandolo da quello del boccale di birra di fronte a lui e fu proprio  in quell’istante che  sentì il cuore sprofondargli nel petto.
La musica arrivava ovattata alle sue orecchie, non sapeva nemmeno se fosse davvero finita del tutto o  fosse solo nella sua testa: il tempo sembrò essersi fermato in quell’istante, lasciandolo esiliato da  solo in una sala vuota, con la cosa piu’ bella su cui avesse mai posato lo sguardo.
 
Ghìda era lì all’entrata della sala, anche se lontana sapeva benissimo fosse lei, la mano titubante poggiata una delle colonne verdi e un’altra era ben distesa lungo il corpo: bastò che si fosse affacciata per far gravitare tutta l’attenzione su di se, verso i colori e agli stemmi che portava intorno al collo con una fierezza tale che non portò nessun a domandarsi se li meritasse, se ne fosse degna, nessuno osò dire neanche una parola.
 
A Thorin, illuminata dalla luce calda dei bracieri, sembrò come se brillasse come una stella nella notte, fasciata da un sontuoso vestito blu e dorato stretto sotto il seno diverse fasce degli stessi colori. Le lunghe maniche aperte lasciavano scoperte le braccia, dove il suo sguardo indugiò salendo su fino alla spalla, e poi verso il suo collo, dove vi era allacciata una un enorme collana con una singola gemma blu sorvegliata da due corvi zecchini, come gli anelli tra le piccole trecce confuse nei capelli castani che le ricadevano fin sotto il seno.
Il tempo sembro andare a rilento, quando lei mosse i primi passi nella sala, rendendolo improvvisamente incapace di fare qualsiasi, incapace di dire qualsiasi cosa, incapace di guardare qualsiasi altra cosa, rendendolo cieco a qualsiasi altra cosa gli stesse succedendo intorno e poi accadde. Per un attimo che a lui parve un’era, lei alzò lo sguardo da terra, e attraverso le luci dorate della sala, Ghìda incatenò lo sguardo al suo facendogli spalancare leggermente la bocca e alzare di scattò dalla sedia dalla sedia
Quello che a tutti i nani presenti sembrò solo una mera tradizione , per lui fu un gesto incontrollato, solo per guardarla meglio, per essere sicuro di non star già dormendo e per preparassi quindi già alle urla che sarebbero seguite, ma niente di tutto ciò accadde.
Appena Thorin si alzò tutti i presenti nella sala fecero lo stesso, facendole bloccare il passo di colpo, al loro movimento repentino costringendola ad abbassare lo sguardo lievemente, e a lottare con tutta se stessa  abbassare nuovamente lo sguardo ma sempre con la testa alza, che poi mosse leggermente a mo’ di ringraziamento, facendo quindi sedere tutti i nani nella sla, tranne il re sotto la montagna che ancora incredulo non si rese conto di quello che successe, solo quando ormai sentì insistentemente gli sguardi di tutti su di lui, incerti di cosa dovessero fare si ridestò.
 
Thorin sì maledi distogliendo lo sguardo da lei,  e puntandolo di nuovo verso terra e serrando la mascella si sedette,  e anche lui si sedette, per ultimo, ma alla fine si sedette, troppo scioccato, con la testa troppo in subbuglio per dire qualcosa, si lascio di abbracciare dalla lunga pelliccia nera stringendo i due braccioli della sedia, cercando fatica di rientrare in quello stato di tepore ringraziando il chiacchiericcio della sala che era ricominciato ed era diventato piu’ alto di prima. Ma mai come in quel momento l’impresa gli sembrò impossibile, perché la ragione dei suoi pensieri era nella stessa stanza e si ritrovò a desiderare, per qualche vago secondo che quella sedia rimanesse vuota.
 
Dwalin nel frattempo era rimasto non a guardare la mezz’elfa, ma Thorin, a studiare la sua reazione, che fu esattamente quella che si sarebbe aspettato:  appena lo vide alzarsi sorrise fra se e se rizzandosi anche lui a sua volta, prima di lanciare uno sguardo alla figura fasciata di blu che si avvicinava sempre di piu’, sguardo alla quale lei rispose con un leggero guizzo negli occhi, e a Dwalin non servì altro.
 
“Temo di dovermi scusare per il ritardo.” Esordì Ghìda rompendo il silenzio che a differenza degli altri tavoli rimaneva immutato nel tavolo reale, sorridendo verso Balin che era rimasto scioccato, tanto quanto Thorin dal vederla li, infatti si ritrovò in difficoltà quando Ghìda scostò la sedia vicino a Thorin sedendoci e riuscì a malapena a balbettare qualcosa.
 
“N-no non dovete, mia signora.”
 
Ghìda sorrise imbarazzata mordendosi leggermente il labbro guardando giù verso il tavolo ma percependo la presenza di Thorin accanto a se talmente  vicina da farle alzare il petto in un enorme sospiro, rendendole quasi difficile perfino respirare.
 
“Beh credo fratello, le tue canzoni posano aspettare qualche ora.” Borbottò con una vena di ironia Bombur guardando il fratello.
 
“Per causa mia?” Le parole di Ghìda ebbero il potere di ammutolire l’intero tavolo e di far arrossire Bombur già di piu’ di quanto non fosse la sua lunga barba.
 
Ghìda sorrise verso Bofur che la guardò confuso e lei di tutta risposta scrollò le spalle e si allungò verso il centro del tavolo leggermente dove Nori aveva appena poggiato le pinte di birra piene fino all‘ orlo, prendendone una, forse anche la piu’ colma.
 
 “Mi devi ancora un favore mi pare.” Puntualizzò scrollando le spalle a Bofur guardandolo “Puoi ritenerlo onorato se ti rende la cosa piu’ facile.”
 
Ammiccò Ghìda bevendo un sorso dal boccale che teneva tra le mani, riuscendo con un gesto così futile a far rompere il ghiaccio all’intera tavola e a far sorridere lievemente Balin che si voltò verso di lei lievemente sorpreso, da un atteggiamento della ragazza, così disinvolto che non l’aveva mai visto. Ma Balin non fu l’unico perché sotto le sopracciglia scure due occhi azzurri, fugaci si pararono di nuovo su di lei, scossi da quello che stava accadendo proprio di fronte a loro.
 
La sua affermazione entusiasmò invece talmente tanto Bofur che dopo aver ringraziato con un cenno della testa, si  tolse il cappello e salì dapprima sulla sedia e poi sul tavolo facendo un inchino profondo verso di lei per poi rimettersi il cappello in testa.
 
“Allora mia signora, permettetemi di deliziarvi con una impareggiabile composizione direttamente dalla regione dell’ Ered Luin.” Aggiunse Bofur entusiasta facendosi un po' di spazio tra le stoviglie con i piedi prima di schiarirsi la voce, ma prima che potesse dar fiato alla bocca, Bifur si intromise guardandolo austero incrociando le braccia al petto.
 
“Evita quella sui bagni di Nogrod cugino.”
 
“E anche quella delle miniere profonde.” Puntualizzò invece Glòin accendendosi la pipa guardando il nano dai lunghi baffi, ormai già in piedi sul tavolo in modo greve.
 
“Anche “L’allegro martello”.”
 
Bofur sospirò turbato e guardò Ghìda in cerca di approvazione, esaminando nella sua testa, tutte le canzoni e anche le piu’ consone da intonare in una situazione come questa, certo non si era mai trovato in una situazione come questa, ma Ghìda alzo le spalle poggiando il boccale sul tavolo e poggiando il viso nel palmo della mano con i gomiti ben saldi sul tavolo.
 
“Hai libera scelta, quella che piu’ ti aggrada.” Puntualizzò entusiasta regalando un sorriso rassicurante quanto spontaneo a Bofur, che di tutta risposta cominciò a battere le mani e i piedi sul tavolo ignorando totalmente gli avvertimenti dei compagni e cantando alla fine una canzone che decantava ironicamente le grandezze e la bellezza dei grandi bagni della città dei nani dei Monti Blu, alla quale Ghìda rise tutto il tempo trasportata da una tale allegria da incantare tutti i presenti, e far addirittura sorridere sotti i baffi Dwalin e ancora più sconvolgere Balin che si ritrovò addirittura a intonarla insieme a tutti i compagni.
 
Thorin la guardò di sottocchio, notando quello sguardo, quel sorriso, troppo simile a quello che gli aveva donate piani e piani sotto di loro, sembrava… felice, davvero felice.  Se voleva torturarlo lo stava facendo bene: quel sorriso, lo aveva visto solo una volta sul suo viso, nella penombra in una grotta diversi piani sotto di loro, e lo aveva donato solo a lui, e voleva che lo donasse solo a lui e questo pensiero gli fece stringere i pugni distogliendo ancora piu’ lo sguardo di lato al lato opposto rispetto a lei. Non aveva piu’ il diritto di poter pretenderla, di poter giudicare i suoi sorrisi o i suoi gesti, quando lui per primo era l ’unico a sentirsi non piu’ in diritto di meritarli. Sentì una leggera fitta al petto, lui la risposta la sapeva: non era con gli altri che aveva cambiato atteggiamento ma con lui, solo con lui.
Quella sera avrebbe bevuto così tanto da dimenticare che lei fosse lì, da dimenticare che quella serata fosse accaduta e che lei fosse mai scesa che avesse mai indossato quel vestito, che si fosse adornata con i segni della sua casata, che fosse in quella montagna, che lei esistesse. Lui invece voleva tornare a essere ciò che era, ciò che era nato per essere, e a dimenticare quella sensazione di calore nel petto e quel desiderio che aumentava a ogni sorriso a ogni risata, a ogni volta che poggiava le sue labbra sul collo di un boccale o tirava leggermente su il petto adornato di gemme, lui voleva essere Thorin Scudodiquercia, di nuovo quello che era stato in tutti quegli anni, e voleva continuarlo a d esserlo, per tutti gli anni che gli rimanevano in vita, lei non avrebbe cambiato nulla, non doveva cambiare nulla.
 
Non si ricordo quanto bevve in silenzio , le pinte gli passavo sotto mano senza mai fermarsi,  ma piu’ che riportarlo indietro o annebbiargli i sensi, lo portavano ancor di piu’ a seguire ogni gesto che lei compiva, ogni parola, ogni movimento involontario su cui riusciva a posare lo sguardo ch per quanto volesse tenere basso si alzava, e la cercava, cercava il suo sguardo, ma non ce ne fu nessuno, oltre quello che gli aveva donato appena entrata.
 
 
E fu così per tutta la notte, tra gli schiamazzi, la musica, e i canti che si susseguivano veloci e il tempo inesorabile:  le voci pian piano si fecero piu’ fioche il grande camino illuminava la luce sempre piu’ in modo flebile. Piccole candele erano state accese per tutti i tavoli e la loro luce fioca, insieme al l velo del fumo delle pipe creava un ambiente quasi pittoresco. I mormorii erano diventati bassi e grevi, la musica si era fermata, la Montagna sembrò come non mai in quel momento un luogo sacro, come le aule dei Valar cui erano stati creati, una grotta nebbiosa e calda, calda come le fucine del grande Mahal e accoglienti come le braccia di Yavanna. I canti e le risate nella sala divennero ben presto piu’ radi o mormorati, dei grandi tavoli stracolmi di cibo ed erba pipa ormai c’erano solo avanzi e le migliaia di nani nella sala adesso si erano dimezzati, ma al tavolo del re, anche se ormai l’ora era tarda, nessuno osò alzarsi, neanche quando i pochi vinsero la scommessa su Balin, che infatti non era stato riportato nelle sue stanze ancora da nessuno.
 
“Sarebbe proprio un momento di una bella storia.” Mormorò Bofur portando l’ennesimo giro di birre: i restanti boccali ormai vuoti da un pezzo giacevano per terra o sparsi sul tavolo in modo confuso. Si sedette questa volta di fronte a Ghìda occupando il posto di Dwalin che si trovava qualche passo piu’ indietro poggiato sulla schiena di una grande colonna a fumare osservando la tavola da lontano.
 
 “Il signor Balin ne potrebbe raccontare una.” Propose Ori voltandosi verso Balin che seduto accanto a Ghìda scosse la testa allargando leggermente le mani, quando tutti i nani della tavola si voltarono verso di lui, compresa Ghìda che con il viso arrossato poggiato tra le mani lo osservò incuriosita.
 
“Siete un abile oratore?”
 
Alla domanda Thorin alzo lievemente lo sguardo oltre le sopracciglia scure, sorreggendo la testa resa pesante dall’alcool con la mano sul bracciolo fissando l’anziano amico e nano, che alla domanda alzò le sopracciglia non ben sicuro di sapere cosa rispondere .
 
“Molti direbbero di si, ma le storie che ho da raccontare le conoscete già tutti.”
 
“Beh, non tutti.” Volle puntualizzare Nori che adesso si trovava dalla parte opposta del tavolo con i piedi ben piazzati sul tavolo sbuffando un leggero fumo bianco dalla bocca e dal naso.
 
A quella frase Bofur si  scosse leggermente tirandosi un po' su dalla sedia e puntando un dito verso Ghìda assottigliando leggermente lo sguardo e tirandosi in avanti.
 
 “Avete mia visto tre troll di montagna cucinare tredici nani piu’ un hobbit?”
 
A quella domanda si alzarono leggeri sospiri e piccole risatine, compresa quella di Thorin, che celò facilmente con il pugno che aveva ben chiuso su cui aveva poggiato il le labbra e scuotendo la testa posando poi velocemente lo sguardo su Ghìda che mordendosi il labbro scosse la testa in negazione ridacchiando leggermente.
“Devo dire che mi hai colto impreparata, no, mai assistito a una scena del genere.”
 
Bofur annuì contendo e la puntò con entrambe le mani guardando Balin soddisfatto.  “Balin, trovata la storia, procedi dunque!” Aggiunse poggiando la schiena sullo schienale della sedia ancora meglio e Balin si vide costretto a tirare su leggermente la schiena e a mettere le mani l’una nell’altra ma prontamente Glòin seduto accanto a Bofur di fronte a lei, alzò una mano in segno di protesta.
 
“Ci penso io, cugino perdonami, ma potresti farla addormentare.” Borbottò tirandosi leggermente su con la schiena e bere un sorso dal boccale di birra di fronte a se prima di schiarissi la voce portandosi in avanti verso il tavolo come si fa per i bambini per farli ascoltare meglio, e così fece Ghìda chinandosi leggermente in avanti sul tavolo.
 
“Era una sera come tante altre…” Cominciò mormorando compiendo con un gesto teatrale delle mani sul pelo del tavolo accentuato dal fumo della pipa che teneva in una dell mani. “In un viaggio, un’impresa, per riconquistare una montagna. Ci accampammo vicino a una casa in rovina: legati i pony, fatta la zuppa e all’improvviso, delle urla! Lo hobbit…”
 
“Bilbo.” Lo interruppe Balin alzando un sopracciglio.
 
“Mastro Baggins.” Precisò Òin allungandosi ancora meglio sul tavolo per ascoltare meglio la storia che riguardava anche lui, riguardava tutti loro, compreso Thorin, che ascoltava sorridendo malinconicamente nel frattempo che Ghìda incuriosita che si era portata cnora piu’ in avanti chinata sul tavolo stringendosi leggermente gli avambracci.
 
Alle varie precisazioni il nano dalla folta barba rosse roteo gli occhi e annuì “Insomma Bilbo, lo hobbit, Baggins, era andato a salvare dei pony, quattro pony da tre troll, e cosa dovevamo fare noi? Nasconderci?! Siamo partiti alla carica! Spade e scudi sguainati pronta alla carica e…”
 
“Alla fine, ci siamo trovati per metà su una pira a girare come briciolette e l’altra metà infilata in dei sacchi pronti ad essere schiacciati come dei salami!” Interruppe Bofur battendo le mani sul tavolo Glòin che a quel punto aveva perso le speranze e si raggomitolò su se stesso incrociando le braccia al petto facendo continuare Bofur.
 
 “E così ci siamo dovuti sentir dire a un certo punto? Che avevamo i parassiti? Per non farci finire come degli arrosti abbiamo dovuto ammettere di avere dei parassiti!”
 
All’intera tavola partì un sospiro divertiti e diversi mormorii divertiti di approvazioni.
 
“Grandi come le nostre braccia.” Annuì Òin verso la tavola facendola annuire tutti i diretti interessati, ma interrotto subito da Bombur che invece scosse la testa.
 
“Improvvisamente per salvarci la pellaccia eravamo diventati noi dei parassiti!”
 
“Tu già lo sei Bombur.” Commentò Bifur facendo partire una risata di gruppo a cui si unì anche Ghìda che si portò entrambi le mani sul viso scuotendo la testa, mentre Bombur lanciò un’occhiataccia al cugino.
 
“E come vi siete salvati alla fine?” Chiese Ghìda
 
“Ci misero così tanto a discutere, o meglio, li facemmo così tanto discutere , che il sole apparve e…”
 
“Li fece diventare tre incantevoli statuette.” Interruppe Glòin invece questa volta Bofur ricambiando col la stessa moneta il compagno che sospiro alzando le spalle colpevole sapendo di meritarlo.
 
Un altro giro di risate partì e questa volta Balin non si unì al coro, facendo comparire sul volto di Ghìda un sorriso sognante, immaginando la loro l’avventur: se quella era stata solo una parte, si chiese, come potesse essere stato il resto, come sarebbe stato partire all’avventura con loro.
 
“Ora è il vostro turno però mia signora.”
 
Ghìda arrossì di colpo alla richiesta  scuotendo la testa imbarazzata dalla richiesta tirandosi su leggermente dal tavolo ma attirando però ora l’attenzione di tutto il tavolo di nuovo su di lei, in realtà sapere piu’ su di lei era un desiderio di tutti.
 
“No signor Balin non credo di averne una così avventurosa, non me ne vogliate.”
 
“Andiamo deve esserci qualcosa!” Insistette invece Bofur di fronte a lei accendendosi la pipa che teneva fra le mani usando una delle candele, ormai tutta l’attenzione della tavola era su di lei in ogni caso, perfino quella che non avrebbe voluto, ma che però sentì addosso, gli occhi di Thorin erano su di lei. Sospirò ammettendo di fronte alla sconfitta e annuì verso Bofur.
 
“Molto bene, solo se però… me ne passi un'altra.” Sorrise allungando leggermente la mano e puntando gli occhi sui pochi boccali al centro della tavolata ancora pieni.
 
“Questo sì che è parlare!” Esordì Bofur dando un pugno sul tavolo e senza farselo ripetere due volte le allungò una delle ultime pinte che erano rimaste in mezzo al tavolo e sospirando lei la afferrò e ne bevve un po': forse stava esagerando, la testa le cominciava a fare leggermente male, e le mani le fremevano leggermente, ma non le interessò, infatti annui poggiandola e si tirò su con la schiena sulla sedia attirando l’attenzione di tutti.
 
Gli occhi le si spostarono verso il basso, verso il liquido dorato sotto di lei, facendola sorridere tra se e se quando le venne in mente la vicenda adatta da raccontare; prese un bel respiro e guardò dritta verso i nani.
 
“Ero solo una ragazzina.. era notte, di nascosto scesi via dalle mie stanze, mi dovetti arrampicare fuori dalla finestra per evitare le guardie…” Cominciò a raccontare sorridendo in modo fuggevole tra le parole.
 
A quel punto l’interesse di Thorin era palese: si tirò i su dalla posizione quasi prostrata da un lato con cui era stato seduto tuta la sera, donandole tutta la sua attenzione che fino a quel momento aveva deciso di negarle.
 
“Volevo una spada, la volevo davvero sapete, e quindi decisi di andare nelle fucine, ma non mi era mai stato permesso di toccare un martello da fabbro o un’incudine neanche per errore!”
 
Un velo di risate leggere si levò dal gruppo di nani : molti scossero la testa avviliti da quell’idea, ma allo stesso tempo divertiti, così come Thorin che si ritrovò a sorridere leggermente immaginandosi il guaio che avrebbe potuto seguire a una frase del genere.
 
“Posso immaginare come sei andata a finire!” Esternò il pensiero di tutti Dwalin ancora poggiato sulla colonna ridendo sommesso con le braccia al petto.
 
Lei scosse la testa velocemente arrossendo e alzò leggermente le mani in segno di resa.
 
“Oh, molto peggio! Per poco non diedi fuoco a un regno quella notte! Arrivai alle fucine, presi gli utensili ma improvvisamente mi resi conto di non sapere se volessi, una spada o un’ascia perché le spade erano sempre troppo lunghe e le asce troppo pesanti, così.. “ Si fermò un attimo trattenendo a stento una risata che fu piu’ bloccata dall’imbarazzo che da altro, ma l’alcool ormai aveva ferrato quasi del tutto i suoi freni inibitori, in altre circostanze una storia del genere non sarebbe mai venuta fuori. ”Ne fusi due insieme, che erano su uno dei tavoli.” Ammise imbarazzata ma ridendo facendo partire dei versi esasperati da tutti i nani, alcuni si portarono le mani al viso altri scosserò la testa e altri ancora, compreso Thorin, dovettero sopprimere una risata, guardando altrove.  “Venne fuori una cosa abominevole, e ovviamente non resse e cadde sul tavolo che prese fuoco…” A quel punto l’imbarazzo di tutti si trasformò in una grassa risata che si propagò per tutta la sala rimbombando, facendo sprofondare il suo viso tra le mani imbarazzata piu’ che mai, e visto che lui non la poté vedere, Thorin ne approfitto per osservarla gentilmente: delle immagini di una sua versione piu’ piccola cercavano di spegnere un fuoco dato da un metallo rovente gli si crearono nella testa.  Sospirò facendo saettare immediatamente gli occhi di Dwalin su di lui che sorrise fra se e se scuotendo la testa.
 
“Tornai in camera totalmente coperta di fuliggine, probabilmente se mi metto a cercare anche dopo tutto questo tempo me ne trovo ancora un po' tra i capelli.” Mormorò imbarazzata  ancora con il viso tra le mani prima di alzarlo nuovamente ma le risatine non erano ancora finite quindi sospirò rumorosamente annuendo.
“E da quel giorno non ho forgiato piu’ nulla in vita mia!” Terminò e bevve un altro sorso della sua birra per nascondere in qualsiasi modo il suo viso dai nani che continuavano a sghignazzare, difatti Bofur si asciugò una lacrima dovuta alle risate scuotendo la testa.
 
“Potreste sempre imparare” Appurò ancora ridacchiando leggermente, tentando in tutti i modi di tornare serio prima di prendere uno sbuffo dalla sua pipa.
 
“E rischiare di dare fuoco a Erebor?”
 
 “Se avete un buon insegnate credo che sarebbe difficile…” Si intromise Balin guardando verso la ragazza che gli era seduta a fianco, facendo chiaramente riferimento a Thorin ma lui serrò la mascella allontanando ancora di piu’ lo sguardo e allora Balin si corresse subito, probabilmente la questione era piu’ complessa di quello che immaginava e Dwalin per tutta la sera aveva evitato di dargli delle risposte che non fossero delle occhiate veloci.  “Basta che non vogliate forgiare un ascia e una spada insieme.”
 
Lei di tutta risposta sorrise e scosse la testa accasciatosi sul tavolo tendendo la testa sul palmo della mano del braccio teso, sospirando leggermente, lasciando che la stanchezza la prendesse un minimo, ma durò davvero poco, perché Ori si affacciò oltre la spalla di Dori osservandola con attenzione.
 
“Come sono le scogliere dei Monti Gialli?” Chiese innocentemente ma la frase ebbe il potere di fale rizzare la schiena e di far scendere il silenzio sulla tavola, un silenzio pesante e pieno di domande che ancora non avevano ricevuto una risposta, di momenti rubati e di non detti.  Si fermarono tutti, le espressioni tristi e meste; guardarono Ghìda, che teneva gli occhi bassi. Vi lessero un immenso dolore, che cercava di sopire ogni minuto ma che, al contrario, riemergeva più potente ogni volta.
 
“Ori!”
 
Dori fulminò il fratello minore con lo sguardo dandogli una leggera gomitata e Ori di tuta risposta abbassò lo sguardo imbarazzato rendendo il silenzio talmente greve che sembrò che anche i respiri si fossero fermati. Nessuno provò a dire nulla neanche a cambiare argomento, sapevano tutti chi era, da dove veniva, e cosa l’aveva portata ad Erebor. Ori abbassò lo sguardo, troppo ingenuo e di buon cuore per poter capire cosa avesse chiesto si sporse in avanti leggermente.
“M-mi dispiace non volevo dire n-…”
 
“Bianche…” Cominciò Ghìda rompendo la tensione e sorridendo tristemente guardando prima verso Ori per tranquillizarlo e poi verso il tavolo, rendendo chiare alle orecchie dei nani le sue intenzioni, volendoli rassicurare in qualche modo ma Ghìda era persa in ricordi ben piu’ lontani delle scogliere dell’est, ben piu’ terribili e alle volte ben piu’ dolci.
 
“Siete mai stato a Elcar mio re?”  
 
Thorin assottigliò lo sguardo e lo puntò verso il pavimento, non riuscendo e non volendo incrociare lo sguardo di nessuno: quelle parole gli si conficcarono nel petto così come quei ricordi, e quella malinconia nella voce di Ghìda che gli suonarono ancora tanto familiari come quando le aveva sentire per la prima volta attraversarle le labbra.
 
 “Alte, estese per leghe, circondate da sabbia nera che si affaccia su un mare blu, piccole gocce d’acqua che scendono dai muri quando la marea è alta, il rumore delle onde che si infrangono sulla roccia e  che rimbombano per tutta la città, creando un leggero cullare.” Concluse deglutendo e putando gli occhi verso le sue braccia, verso le rune ben visibili a tutti i presenti stringendosi leggermente gli avambracci, per poi salire leggermente verso i gomiti.
 
“Non è molto simile a qui.” Precisò con una punta di tristezza Ori sentendosi terribilmente in colpa, non pensando che una sua piccola curiosità avrebbe potuto creare una simile situazione, tanto da spingere Thorin a osservarlo, ma non poté attribuirgli nessuna colpa, non poteva sapere.
 
Ghìda sorrise tristemente e scosse la testa “No, ma va bene così.” Mormorò ma fu come se l’avesse urlato perché tutti la riuscirono a sentire come le parole a seguire che ebbero su Thorin l’effetto di un bagno ghiacciato.
 
“Lo è sempre di piu’… simile a…” E fu in quell’istante che entrambi ebbero il coraggio di guardarsi nello stesso istante, entrambi consapevoli quale sarebbe stata la parola che sarebbe seguita. Infatti, Thorin si voltò verso di lei e Ghìda alzò lo sguardo verso di lui riportandoli in quella bolla che in altri momenti li aveva salvati dai loro incubi ma che in quel momento facevano parte stesso dell’incubo.
 
 “A casa.”
 
 Mormorò guardandolo dritto negli occhi e quella semplice ammissione  che parve solo la fine di un pensiero ai presenti fu in realtà un’ammissione di Ghìda al Thorin, lui lo sapeva e lei lo sapeva: un loro segreto, una loro promessa infranta dal dolore e dalle sofferenze di entrambi.
Quello che lui aveva provato a darle ma che poi le aveva strappato via, tutto nell’arco di una sola giornata.
 
Un desiderio negato per lei e un’eterna afflizione per lui.
 
Gli occhi le diventarono improvvisamente lucidi, e Thorin lo rivide, quello sguardo, l’ultimo che glia aveva rivolto, prima di andarsene, prima di correre via mentre lui era rimasto lì immobile tra l’oro e gli ansimi dovuti alla collera.
Aprì la bocca pronto a dire qualcosa, ma lei abbassò velocemente lo sguardo scuotendo la testa e poi alzò lo sguardo sui nani che in silenzio avevano assistito a quegli infinti istanti, ora rendendo palese a tutti che molte cose erano state celate e che il susseguirsi di eventi di quelle ultime settimane facevano parte di un qualcosa di molto piu’ grande che un semplice malumore.
 
“C-credo sia arrivato il moneto di andare, è quasi l’alba.” Si affrettò a dire Ghìda prima di alzarsi dalla sedia e crucciando leggermente le sopracciglia prendendo un respiro profondo e sorridere di nuovo facendo un breve inchino con la testa alla quale nessuno a tavola ebbe il coraggio di rispondere, o anche solo l’ardire di dire qualcosa, solo Dwalin abbassò lo sguardo da lei verso il pavimento in segno di saluto.
 
“Scusatemi.” Mormorò e così come se era arrivata, se ne andò dalla sala, lasciando dietro di se un vuoto e un silenzio che parve quasi tombale.
 
Thorin la osservò in silenzio, ancora con la bocca semiaperta, sapeva che probabilmente ora tutti lo stavano osservando e si stavano facendo delle domande ma a lui non importò, digrignando i denti si tolse la corona dalla testa e la poggiò sul tavolo cercando di togliersi quella pesantezza da dosso che lo stava schiacciando sempre di piu’ cercando un minimo di sostegno lasciandosi andare sullo schienale.
 
Balin lo osservò e i restanti dei nani capirono che era meglio non incrociare il suo sguardo e continuarono a mormorare tentando di cambiare argomento; studiò come gli occhi di Thorin, ardendo come il fuoco studiavano i due uccelli due uccelli neri. L’oro della corona che scintillava tra le piccole fiammelle delle candele riflettendosi sul volto duro del re, che imperterrito osservava quel suo segno di regalità, come se gli potesse dare delle risposte, una sicurezza che ormai aveva perso, per ricordarsi chi fosse e cosa volesse. Balin rimase in silenzio, non sapendo se parlargli fosse la scelta piu’ saggia e infatti fu meglio così perché non ebbe bisogno di dirgli nulla, nessuno ne ebbe bisogno: come quelle un guizzo attraversò gli occhi azzurri di Thorin che si spostarono dalla corona alla sedia di nuovo vuota accanto a lui prendendo un respiro profondo e tremante per poi  puntare poi gli occhi da dove era uscita la ragazza e senza aggiungere niente si alzò di scattò e si incamminò verso l’uscita a grandi passi, lasciando tutti di stucco tranne Dwalin che a differenza di tutti i nani preoccupati sorrise e si  avvicinò di nuovo alla tavola  ignorando la sua seduta libera e mettendosi seduto sulla sedia reale, trionfante e con un ghigno stampato sulle labbra.
 
Balin crucciò le sopracciglia, quando il fratello con fierezza incrociò le braccia a letto e portò le gambe sul tavolo incrociandole e, chiudendo gli occhi si beò della seduta reale, fiero di qualcosa, glielo poteva leggere in faccia. Osservò prima lui, poi la porta e poi la sedia vuota accanto a se: a Balin non gli ci volle molto per capire cosa fosse successo, dove lui fosse sparito per quel tempo e dove adesso fosse andato Thorin fuori di se. Spalancò leggermente le bocca osservando il profilo di Dwalin che nel frattempo aveva aperto un occhio per osservarlo, sapendo si essere guardato e sapendo già cosa gli avrebbe chiesto.
 
“Perché?
 
 

“Il banchetto di sotto è iniziato da un pezzo.”

Affermò rude poggiandosi col la schiena sul muro freddo accanto alla porta sigillata non ricevendo risposta dall’altra parte, ma la luce che filtrava da sotto la porta non mentiva, lei era lì dentro e lui sarebbe rimasto lì tutto il tempo necessario, anche tutta la notte. Non riusciva a sopportarlo, quello sguardo perso a quella tavola, le parole di cortesia tirate alla tavolata come se Thorin avesse una scadenza, il suo sguardo che agli altri ben celato, si spostava insistentemente sulla sedia vuota, lui poteva anche non spere cosa provasse, e neanche lui lo sapeva, sembrava uscito di senno,

“Mio fratello è piu’ bravo con questi discorsi, io non sono il nano da parole, piu’ da fatti, non ho intenzione di convincervi, anche perché saprei già che non lascereste che io lo faccia.” Parlò di nuovo al silenzio allungando leggermente il collo verso la porta ancora chiusa accanto a se, lasciandosi andare ancora di piu’ al freddo muro. Non ricevendo nuovamente risposta roteò gli occhi e spazientito si tirò nuovamente su facendo un passo piu’ vicino alla porta.

“Mettiamola in questo modo mia signora, ho salito un centinaio di gradini, ho lasciato la mia cena e la mia birra, e probabilmente quando scenderò saranno già sparite…” Cominciò duro ma poi si bloccò arreso all’evidenza e lasciò la nuca sbattere all’indietro verso la fredda pietra ricordandosi cosa avesse detto Thorin, come lo aveva detto, e lasciò da parte tutta la sua rabbia per qualcosa di molto piu’ nobile.

“Se l’ho fatto vuol dire che ho le mie buone ragioni per credere che quello che è successo non era reale o almeno che non ricapiterà… soprattutto non questa sera.” Mormorò e fisso nuovamente la porta da cui non proveniva altro che silenzio, e la luce sotto di essa continuava ad essere ben fissa: niente si era mosso e niente si sarebbe mosso. Chiuse gli occhi adagiandosi ancora meglio al muro, sarebbe stata una notte lunga notte, e probabilmente l’unica compagnia che avrebbe avuto sarebbe stata quella dei suoi del banchetto che rimbombanti arrivavano fino alle stanze reali.

Uno scricchiolio però attirò a sua attenzione facendogli aprire un occhio verso la porta si era aperta rivelando la mezz’elfa che lentamente uscì dalla stanza affacciandosi verso di lui e illuminata dal fuoco dei bracieri notò come fosse vestita, come era già vestita, pronta a scendere per le lunghe scale, ma spaventata dalla realtà incapace di varcare la soia della porta e compiere quel gesto. 

Potete promettermelo?” Mormorò rimanendo tra la porta e il corridoio, sottolineando ancora di piu’ la sua posizione.

Dwalin scosse la testa aprendo però entrambi gli occhi fissandola.

Ma sarebbe così difficile per voi tentare?”

 


“Perché  si meritano di essere felici…entrambi.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Con pesantezza si lasciò cadere seduta sul letto, sgualcendo malamente il lungo vestito che ancora le fasciava il corpo, la testa le girava vorticosamente, poteva sentire la testa pulsarle al ristimo del cuore nel petto e in sintono con lo scoppiettare del camino infondo alla stanza. Si passò una mano tra i capelli, dove ancora vi erano annodati i piccoli anellini sulle trecce e cercando di distrarre i suoi pensieri, da quello che era accaduto, anche se assuefatta dalla birra che aveva bevuto a fiumi, cominciò a sfilarseli poggiandoli sul piccolo tavolino accanto al letto su cui era seduta, ma non bastò distrarsi con così poco, non bastava mai. Infatti, poco lontano da dove stava poggiando il fermargli, un altro oggetto era illuminato dalla flebile luce della candela: lì, poggiata con cura, sul legno scuro giaceva anche la collana con i corvi di Erebor che si era già tolta, senza neanche guardarla, non riusciva a guardarla, ma alla fine, inevitabilmente , vi aveva poggiato lo sguardo. Con lentezza avvicinò la mano verso il becco dell’uccello e prima di toccarlo ritrasse la mano dandosi della stupida: lo era stata per tutta la sera, una povera stupida.
 
 
Cosa le era passato per la testa?
 
 
Era adulta, e Dwalin aveva ragione, si stava comportando come una ragazzina viziata, si stava rivelando tutto ciò che odiava di se, aveva dato sfogo alla sua debolezza; quando era arrivata a da Erebor, niente di tutto ciò le avrebbe fatto male, le sarebbe andata a sbattere addosso come l’acqua su una scogliera, ma ora non piu’, si odiava perché si era ripromessa di non lasciare piu’ che gli altri la potessero ferire.
Dopo tutti quegli anni, di punizioni, di umiliazioni, di offese, del dolore ancora percepibile delle cicatrici che le erano state inflitte, sia sotto la pelle che sopra la pelle, da colui che avrebbe dovuto amarla, difenderla, proteggerla, pensava di essere finalmente riuscita a nascondere tutto a nascondere se stessa: ma quella sera aveva capito di non esserci riuscita, non ci sarebbe mai riuscita, soprattutto con i suoi occhi addosso.
 
Che cosa voleva da lei? Umiliarla? No, non glielo avrebbe permesso! Si era lasciata andare, di fronte a tutti, lasciata andare alle gioie, ai canti, come mai aveva fatto e per una volta si era sentita felice, ma con lui no, non glielo avrebbe permesso, pensava di risolvere tutto alzandosi, salutandola, facendo chinare i nani al suo cospetto come se fosse un premio, una gemma da far ammirare da tutti, un gioiello sulla sua corona, il suo mizim.
 
Aveva sentito il suo sguardo su di lei per tutta la sera, così come tutti i giorni da quella notte, lo sentiva prepotente su di lei e nel nome di Mahal, quanto le costava non ricambiarlo; quanto le era costato quelle settimane, non fermarsi accanto a lui, quanto le era costato quella sera non rivolgergli la parola, non urlargli adesso, non lasciare che le sue emozioni prendessero il sopravvento sul suo buon senso, che però era stato messo a dura prova: ma ogni brivido che le percorreva la schiena quando lo percepiva addosso, la mandavi in estasi ma le faceva ricordare, quello che aveva detto, che aveva fatto.
 
In quei giorni era passata dalla piu’ totale disperazione all’ira piu’ incontrollabile a un indifferenza totale: il non guardarlo, non parlargli, non era una punizione per lui, no perché a lui non interessava, era una punizione per se stessa, perché era stato tanto sciocca da darsi a lui, totalmente, era stato così ingenua da lasciarsi andare a quelle fantasie infantili, e ora il filo che prima la tirava sempre piu’ verso di lui le pareva essersi attorcigliato intorno alla gola, rendendola incapace di espirare se lui era nella stessa stanza, o anche a qualche piano di distanza.
 
Ogni risata dal petto che le era uscita dalla bocca quella sera, per lei fu una liberazione, una gioia che lottava con l’angoscia che invece non faceva altro che spingere prepotentemente per uscire, facendola alzare e andare via, anche il solo stargli accanto le faceva male. Si sarebbe dovuta sentire felice, mai altri nani erano stati così con lei, affabili, a bere, a cantare con lei, tutto si era dissolto ma a lei non bastò: perché non le bastava, non era quello che voleva? Che i nani l’accettassero e quella sera per la prima volta nella sua vita si era sentita accettata, venne trattata come una nana, come un essere degno di vivere, ma per qualche strano motivo, a lei non bastava. Voleva che lui la guardasse così che fosse lui a ridere con lei, a sorridere con lei, ad ascoltare le sue storie, a stringerle la mano sotto il tavolo staccandogliele dal tessuto della gonna, ma no, non le meritava, non piu’, non gli avrebbe dato neanche uno sguardo, non piu’ non sarebbe crollata, mai piu’.
 
Due colpi sordi la ridestarono dai suoi pensieri e sospirando si alzò dal letto e  andò verso la porta, non chiedendo neanche ci fosse, no le importava neanche minimamente, niente sarebbe stato piu’ angosciante della solitudine di quella stanza, dei pensieri che le infestavano la testa.  
 
Con lentezza aprì leggermente solo di uno spiraglio ma tanto le bastò da pentirsi amaramente di averlo fatto: Thorin la guardava austero dall’altra parte della sala e tutta la decisione che aveva mantenuto fino a quel momento vacillò ma non crollò, infatti rizzò leggermente la schiena fieramente e aprì ancora di piu’ la porta.
 
“Cosa volete?”
 
“Devo parlarti. ”Rispose Thorin controllato.
 
“Non ho intenzione di parlare con voi.” Rispose tanto secca quanto il suo ordine e ,quasi come se avesse ascoltato i suoi pensieri, Thorin ne approfittò per allungare il braccio poggiandolo sullo stipite, rendendole qualsiasi modo di potergli sbattere la porta in faccia, e fece diventare il suo sguardo ancora piu’ duro.
 
“Perché sei venuta?” La penombra della sua stanza e le torce fuori dalla porta diedero a Thorin un’espressione ancora piu’ severa di quella che in realtà avrebbe voluto mostrarle. E’ vero, avrebbe voluto ordinarle di parlare, obbligarla, ma non poteva, non sarebbe servito a nulla, forse ad allargare ancora di piu’ la spaccatura che si era venuta a creare, che lo stava portando giù verso quell’oblio senza via d’uscita.
 
“Il motivo per cui questa sera sono venuta non vi concerne re sotto la montagna.”
“Finché sei sotto questa montagna tutto quello che ti concerne è un mio problema”
 
“No, i miei problemi mi appartengono, non fatevene un peso, e un pensiero, ne avete già a sufficienza, non aumentateli con i miei.” Replicò  fredda stringendo con forza la maniglia della porta tentando con tutte le sue forze di reggere lo sguardo del re su di lei, che malgrado tutto quello che avesse detto o fatto, gli faceva ancora stringere il cuore in una morsa.
 
Se c’era una cosa che Thorin odiava di piu’ della sua indifferenza era quella freddezza in cui si rintanava, odiava non poterla vedere, non vedere oltre il suo orgoglio, che non obbedisse ai suoi ordini. Dovette ricorrere a tutto il suo buon senso per rimanere lucido, per controllare l’irritazione che gli stava provocando, e peggio a ignorare il forte desiderio, complice l’alcool che aveva bevuto, di urlarle addosso tutto quello che aveva sentito, o peggio che sentiva in quel momento.
 
“Dammi una risposta, perché questa sera sei venuta?”
 
Lei inarcò un sopracciglio e alzo ancora di piu’ il mento affrontando il suo sguardo in modo ancora piu’ audace. “Se vi ha infastidito così tanto la mia presenza potevate anche dirlo direttamente lì, sarei risalita senza obbiettare.”
 
Thorin strinse gli occhi adagiandosi di piu’ sullo stipite della porta con l’avambraccio fulminandola con lo sguardo. “Il fatto che ti abbia chiesto perché sei venuta questa sera non implica il fatto che io non ti voles…” Si bloccò all’istante, mordendosi la lingua per quello che stava per rivelarle: no, doveva rimanere lucido anche in una situazione del genere anche con tutta la frustrazione.
 
“Non implica il fatto che avresti potuto anche rifiutare l’onere di presenziare.”
 
“Ditemi cosa volete che vi risponda così posso andare a riposare.” Rispose senza giri di parole sempre piu’ decisa a chiudere la porta incurante di chi avesse davanti o del sbracciò del re ancora ben poggiato sullo stipite.
 
“Quello che voglio io non ha importanza, io voglio la verità”
 
Verità? Come osava anche solo parlare di verità, tutto quello che le aveva detto, tutti i gesti, tutto quello che le aveva fatto credere, dopo tutte le fantasie e le speranze in cui l’aveva fatta cadere, per poi frantumargliele davanti agli occhi. Il briciolo di clama che ancora la faceva rimanere integra si sgretolò sotto quelle parole, rendendola furiosa.
 
“Voi non avete l’autorità di pretendere qualcosa da me, Thorin Scudodiquercia, sono ancora una mezzo sangue di Elcar no?! Io non vi appartengo Re Sotto la montagna, io non appartengo a niente, io…”
 
Il rancore e la rabbia sorda che provava nei suoi confronti superava di gran lunga ogni altro sentimento avesse provato per lui: la ferita non si era ancora rimarginata, bruciava ancora. E quel bruciore al petto non la fece piu’ ragionare, strinse talmente forte la maniglia della porta che ancora reggeva da quasi piegarla; tutto il suo mondo era iniziato e finito quando era entrata in quella stramaledetta montagna, e quando lui le aveva rivolto la parola: lo odiava così tanto da farle male e si era ritrovata a desiderarlo accanto così tanto da odiarlo ancora di piu’.
 
“Io non sono niente!” Sputò lasciandosi andare a quel dolore che troppo aveva celato, non riuscì a fermare quelle parole, che le uscirono dalla bocca in modo così sprezzante da non riconoscersi; ma quel suo momento di debolezza le costò caro, quelle parole, quel ricordo, avevano aperto un foro e ora tutte le emozioni che era riuscita a controllare presero pieno possesso di lei.
 
 
Se ne pentì subito, spalancando gli occhi, incapace di rendersi conto di quello che aveva appena detto. La mano lasciò la maniglia come se avesse preso inaspettatamente fuoco e se la portò al petto, abbassando lo sguardo allentandosi da lui di un paio di passi e dandogli la schiena facendo calare un silenzio che pesava piu’ di mille altre parole che avrebbe potuto sputargli addosso.
 
A Thorin invece sembrò un'altra pugnalata dritta nel petto, così come la schiena che Ghìda gli rivolse per un’ennesima volta e camminare via da lui ancora. Entrò nella stanza lasciando che la porta si chiudesse alle sue spalle facendo un leggero rumore che fece fremere la schiena di Ghìda e farle abbassare ancora di piu’ la testa, come se un suo movimento potesse spezzarla, avanzò a piccoli passi, il senso di colpa lo mangiava vivo, era arrivato dunque, il momento del giudizio. Non disse nulla, la verità è che non aveva il coraggio di dire nulla, lui Thorin Scudodiquercia, aveva paura a parlare, per la prima volta nella sua vita si vergognò perfino di respirare.
 
“Voi mi avete rinfacciato di non poter capire, di non sapere cosa sia l’amore.” Cominciò rabbiosa con lo sguardo basso.
 
“Ghìda…”
 
“No.” Lo interruppe secca continuando a dargli le spalle
 leggeri fremiti le cominciarono ad attraversare il petto, sapeva di essere arrivata al limite, che non sarebbe stata piu’ in grado di trattenersi. Era la prima volta che sentiva il suo nome pronunciato dalla sua bocca, eppure invece che renderla felice le fece risalire tutto il dolore che le aveva provocato, tutta la rabbia, tutta la delusione e decise in quel momento di smetterla di smettere tutto quanto
 
Si girò verso di lui collerica e gli puntò un dito addosso, tornando di nuovo verso di lui di un paio di passi. “Ed è qui che vi sbagliate, lo so benissimo, lo vedo tutti i giorni, dai gesti piu’ piccoli dei nani in questa montagna, da una bambina che arrossisce, un abbraccio affettuoso tra soldati, il darsi una mano a vicenda anche nei momenti piu’ disperati, nella tristezza e nella disperazione comune, dagli sguardi diretti verso di voi…” Urlò intanto che gli occhi le cominciarono a pizzicare, orgogliosa come non mai però strinse i pugni, ma il petto le si abbassava ed alzava con foga, e gli occhi divennero lucidi dalla furia.
 
“Come vi guardano tutti, come vi acclamano, come parlano di voi, come vi sono fedeli fino a diventare ridicoli, come cercano il vostro riconoscimento nelle piu’ piccole cose, tutti in questa montagna morirebbero per voi!  Tutti vi amano!”
 
Doveva fermarsi, sapeva di doverlo fare, una parola in piu’ avrebbe cambiato tutto irrimediabilmente, ma era stufa, era stanza di essere forte, non ce la faceva piu’. Si morse il labbro ferocemente tanto da farlo sanguinare, tentando un’ultima volta di reprimere quello che sentiva, di mantenere quel briciolo di lucidità che le aveva permesso per tutta la sua vita di rimanere integra, di rimanere se stessa, ma quando fissò negli occhi Thorin, accadde, complice l’alcool che aveva ingerito non lo sapeva dire, ma alla fine accadde: crollò e con lei crollò tutto il muro che aveva costruito tutta la sua vita.
 
“Lo sapete cosa fare io per essere guardata così da qualcuno, per essere guardata così da… voi?” La voce le divenne piu’ flebile: una simile rivelazione al re le costò tutto il suo autocontrollo, perché infatti, non riuscì neanche piu’ a reggere il suo sguardo abbassandolo trattenendo a stento le lacrime che ora si facevano piu’ reali che mai.
 
Thorin percepii chiaramente il suo cuore fermarsi, spalancò la bocca, sentendo uscire quelle parole che mai in altri momenti lei gli avrebbe rivolto e ora per la prima volta la vedeva, chiaramente:  lei si era appena messa totalmente a nudo per lui, le barriere erano crollate, le aveva fatte crollare e si sentì un mostro per averlo fatto accadere.
 
Ghìda scosse la testa stringendo gli occhi ancora guardando vero il basso trattenendo a stento i fremiti che le scorrevano nel corpo e le parole le uscirono cariche di dolore. “Non volevo che i nani di Erebor mi guardassero come la loro regina, non lo volevo piu’, mi bastavate voi!” Mormorò con la voce che le si spezzava pronunciando quelle parole piene di sofferenza sfogate delle calde gocce che, ormai impossibili da controllare, le cominciarono a solcare il viso, e solo in quel momento quando orami non aveva piu’ nulla da perdere lo guardò di nuovo in viso sorridendo tristemente tra le lacrime. “E la cosa che mi fa piu’ male è che io mi sia illusa che il grande Thorin Scudodiquercia potesse …vedere altro in me!” Urlò invece questa volta verso di lui stringendo i pugni. “E io mi odio ancora di piu’ me stessa perché ho creduto che potesse essere possibile!”
 
La sua furia però non fece altro che far aumentare le lacrime che ora scendevano copiose, sulla bocca, fino al collo per poi infilarsi verso il petto che si alzava e si abbassava convulsivamente. Riversò su di lui, ogni dolore che le era stato inflitto per tutta la vita, come se lui fosse stato il giudice e carnefice, quando in realtà era l’unico in tutta la sua vita che le aveva fatto sentire qualcosa che non fosse vergogna per se stessa.
 
Thorin la osservò attonito, incapace di dire nulla, non ne aveva il diritto, non aveva piu’ il diritto neanche di avere la pretesa di poterle rivolgere qualche parola: niente avrebbe potuto fermarla, o giustificare lui per condannare lei.
 
Il petto di Ghìda venne scosso dai primi singhiozzi che cercava di calmare respirando piu’ velocemente ma ogni respiro le sembrò una sofferenza, ogni respiro era un’esalazione velenosa che le faceva male al petto.
 
“Avete ragione io non sono niente!” Urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, liberandosi totalmente, lasciando che la furia svuotasse il suo animo, che la riportasse a credere di essere un essere vivente e non una vergogna per il suo popolo.
 
Ma dopo l’urlo agghiacciante che lanciò si senti svuotata, la rabbia si tramutò in disperazione, i singhiozzi divennero meno forti ma piu’ frequenti, le gambe le cominciarono a cedere e la voce le uscì come un flebile sussurro.
 
“I-io non o mai avuto un posto a cui appartenere un qualcuno a cui appartenere, io non posso comprendere, e-e non potrò mai, perché io sono quello che sono, so solo quello che non sono: non sono un elfa, non sono una nana… io sono… io sono io… e mi dispiace, mi dispiace tanto.” Mormorò e abbasso nuovamente lo sguardo e improvvisamente si vergognò di se stessa, di ciò che era, e come al solito si portò le mani sulle braccia dandosi un abbraccio che mai aveva avuto, per ricordarsi che forse poteva essere qualcosa di piu’ e invece non poteva, non lo sarebbe mai stata, mai. E di fronte a quella consapevolezza cominciò a piangere come mai aveva fatto in vita sua: il petto, scosso da  singhiozzi ormai inarrestabili. 
 
“Mi dispiace, mi dispiace essere così, mi dispiace tanto.”  Singhiozzò portandosi le mani sul viso, nascondendosi da lui, da tutto, volendo scomparire, voleva scomparire da lì.
 
Non se ne rese neanche conto, ma il freddo della stanza da letto semivuota che la circondava ad un certo punto sparì, trovandosi imprigionata tra due grandi braccia che le si avvolsero gentilmente ma con fermezza. Le braccia di Thorin le girarono intorno al fianco e intorno alle spalle il petto portandola a poggiare il suo viso nell’incavo tra il collo e la spalla, premendola sul suo corpo caldo con le lacrime continuavano a solcarle il viso copiose.
Voleva spingerlo via, urlare ancora, ma invece si abbandonò totalmente a lui muovendo le mani dal suo viso verso la sua camicia celata in parte dal lungo mantello scuro, stringendola con forza tra le dita, tirandolo piu’ vicino a se, invece che allontanarlo: con i singhiozzi che non parvero fermarsi, si lasciò andare su di a lui, ma questo non fece altro che farla piangere ancora piu’ disperatamente.  
 
Senti le dita della mano  di Thorin infiltrarsi tra i suoi capelli, e la presa si fece piu’ forte quando un altro singhiozzo le oltrepasso le labbra e percependo ora il suo respiro tra i ciuffi e le trecce dei suoi capelli, la sua guancia poggiata sulla tempia intanto che i battiti del suo cuore andavano a unisono con le lacrime che continuavano a scendere.
 
Ogni lacrima che versava sul suo petto per lei era una sconfitta, una vergogna, per Thorin invece un taglio sul petto lento e doloroso, e tutto per colpa sua, solo sua: di nuovo, la colpa della sofferenza di qualcun altro era solo sua.
 
“Perdonami.” Le mormorò tra i capelli.
 
Lei non rispose, lo stinse ancora di più a se, abbandonandosi totalmente a lui e alle sue braccia che la sostenevano, sembrava un corpo svuotato, una lama battuta troppo a lungo che alla fine si era spezzata sotto le sue dita sentendo le sue lacrime ancora bagnargli i vestiti: fino a che non si fosse colmata e fino a che lui non avesse espiato ogni colpa, non l’avrebbe lasciata andare fino a che non avrebbe smesso di tremare sotto le sue dita, anzi ogni minuto che passava, al stringeva sempre di piu’
 
Passarono alcuni minuti così o forse ore, lui non seppe dirlo con esattezza, ma pian piano i singhiozzi si fecero meno frequenti e i fremiti cessarono del tutto, così come le lacrime di Ghìda che il re aveva smesso di percepire sul collo scoperto da parecchio tempo, ma non ebbe la forza di lasciarla andare, non così.
 
Solo un mormorio ruppe il silenzio che se no sarebbe durato in eterno.
 
“Rimani con me.”
 
Alle orecchie di Thorin arrivò come una supplica, lei non credeva nemmeno di averlo detta davvero, non ne era sicura, tanto ormai le sue orecchie ormai si beavano del battito del cuore del re, Si rese solo conto di averle dette davvero quando la mano di Thorin che prima era ben fissa intorno al suo busto si abbassò e le passò sotto le gambe tirandola su, trattenendo invece con l’altra mano ancora il suo viso contro la sua spalla. Al gesto lei spalancò leggermente gli occhi incredula alzando finalmente alzò leggermente lo sguardo verso del re, osservando il suo profilo netto, oltre la barba crespa e brizzolata: la stava davvero accontentando?
 
A piccoli passi Thorin si avvicinò al letto e puntò il ginocchio sul materasso prima di adagiarci Ghìda che anche se riluttante, sciolse le dita dal tessuto scuro dalla camicia che ormai era diventato per l’unico appiglio possibile alla realtà. Thorin le adagiò gentilmente la testa sul cuscino, facendo scorrere il braccio sotto la sua nuca, ma prima che potesse togliere anche la mano da  dietro la sua testa e da sopra il cuscino, che lei vi adagiò la guancia sopra socchiudendo leggermente gli occhi, e muovendo la mano per afferrargliela per farlo rimanere in quella posizione: ancora per qualche attimo.
 
Thorin sorrise malinconicamente, lei aveva capito le sue intenzioni : non sarebbe rimasto con lei, non poteva, non ne era in grado.
 
“Dormi ora.”
 
Mormorò e lei di tutta risposta chiuse gli occhi stringendo  la sua mano accanto al cuscino, aggrappandosi come una bambina; si beò di quel piccolo gesto, e sospirando lasciò il suo inocchio crollare lievemente sedendosi sul bordo del letto, osservandola  come per la prima volta, obbediva a una cosa che le veniva detta senza opporre resistenza, abbandonandosi al sonno e alla sua mano.
 
Thorin non riuscì a non osservarla, a non rimanere lì ancora per qualche attimo e , mentre  le sopracciglia di Ghìda  si distendevano, il respiro si faceva piu’ regolare e la presa sulla sua mano si faceva meno decisa, studiò il suo viso: le goti erano ancora arrossate dal pianto, i lunghi capelli simili a una corteggia che disordinati si sparpagliavano sul cuscino, e la piccola orecchia a punta che sempre ben coperta ora era ben visibile, adornato da piccoli anelli runici per tutta la sua lunghezza: la causa di tutto quel dolore, di tutto quel male, la sua maledizione.
 
Con lentezza, vi ci avvicinò la mano spostandole leggermente un ciuffo di capelli che le ricadeva sul viso dietro l’orecchio e ne sfiorò inavvertitamente la punta con la punta delle dita, provocandole dei piccoli brividi sul collo che attirarono immediatamente il suo sguardo, facendolo sospirare: se avesse continuato così sarebbe davvero rimasto lì accanto a lei ad osservarla dormire fino a che non si fosse svegliata, ma in quel momento doveva rimanere solo, doveva dormire e lasciare che quelle settimane se ne andassero via dalla sua testa, doveva stare senza di lei…per qualche ora.
 
Appena la mano di Ghìda lasciò un minimo la stretta ebbe la possibilità di ritirarla senza svegliarla, ma ciò non fermò il suo viso a contrarsi in una piccola smorfia di disappunto che lo fece sorridere amaramente: quante vote aveva desiderato averla lì,  distesa accanto a se, quante volte l’aveva sognata in quelle notti che sarebbero rimaste segrete a chiunque oltre se stesso: illuminata dalla luce dell’alba che filtrava dalla piccola finestra i suoi sogni sembrarono reali, e come guidati da quei ricordi fittizi i suoi occhi le accarezzarono il petto, poi il collo per poi arrivare fino alle labbra semi socchiuse che lo avevano torturato in quelle notti in qualsiasi modo un nano potesse essere torturato dalle labbra di una donna.
 
“Non mi vorresti?”
 
Si, lui la voleva, in tutte le sfumature della parola: non era un mero desiderio materiale, no quello lo conosceva bene, era un sentimento carico di lussuria, di tenerezza, di appartenenza, di responsabilità, di gelosia, di leggerezza, un sentimento a cui non riuscì a dare nome, a cui non volle dare un nome; ma ormai era chiaro che per quanto si sarebbe sforzato, non avrebbe cambiato nulla: lui non sarebbe cambiato, quello che lo logorava non sarebbe cambiato, neanche il suo passato o le sue colpe, o tutto il male che era riuscito a infliggere agli altri, a se stesso, a tutto il rancore covato nei suoi anni di vita. Ma a non poté neanche rimuovere il senso di pace lo accolse in quel momento, in quella situazione, dolce, quasi sdolcinata e così lontano da quello che lui era sempre stato e che gli altri si aspettavano che lui sarebbe sempre stato.
 
Le domande ora gli apparvero cristalline di fronte agli occhi:
 
Poteva essere felice? Sì.
 
Voleva essere felice? Sì.
 
Si meritava di essere felice? No.
 
Voleva essere felice con lei? Irrimediabilmente sì.
 
 
 
 
 




L’oscurità era tetra, l’unico suono tra gli alberi densi e macabri era il vento tra le foglie secche e un ruggito sommesso tra i cespugli, ma ai due interlocutori non serviva vedersi, serviva solo sapere che fossero soli.
 
“Tutto sta procedendo secondo i piani, manda a dire al tuo padrone che presto avrà ciò che desidera.”
 
“La feccia Durin sospetta qualcosa? Il mio padrone dubita della fedeltà della tua prole.”
 
Il nano si irrigidì di colpo puntando severamente lo sguardo verso l’ombra sotto cui era ben nascosto il suo interlocutore.
 
“Mia figlia farà quello che le ho ordinato, lei deve fedeltà solo a me.” Rispose secco ma la sua aggressività non fece altro che far alzare ringhio profondo da sotto l’ombra, ma questo non lo smosse, neanche quando altri ringhi si unirono a questo e uno scricchiolare di foglie secche si fece sempre piu’ vicino.
“Sarà meglio, nano”
 
Telkar assottiglio lo sguardo truce, appena percepì un rumore di zampe farsi sempre piu’ presente e poi un tonfo, segno che l’altro non aveva niente da aggiungere e se ne stava per andare, permettendogli di tornare all’accampamento e a ripercorre il suo viaggio verso casa, ma il nano voleva sapere altro.
 
“Il tuo padrone quando onorerà la sua parte?”
 
Seguì il silenzio seguito da uno scricchiolare di foglio e il muso della bestia si fece presentealla luce della luna mostrando intimidatorio i caniini, ringhiando in avvertimento verso il nano, ma lui non si mosse neanche con la bestia così vicina a lui, anzi alzò ancora piu’ lo sguardo verso la figura imponenete, ancora nascosta nell’ombra che montava il mannaro catturando un guizzo giallo.
 
“Quando la testa della feccia di Scudodiquercia rotolerà per terra.”
 
 

 
 








Me en frau’hak= Tu stupido idiota.
 
 




 
Angolo autrice

Eh eh ancora ritardo, ma penso che alla fine i capitoli avranno questa cadenza qui :/ ho molto da studiare per l’uni quindi mi ci vorrà un po' di tempo per ingranare bene, però dai alla fine mi escono dei capitoli abbastanza lunghi, come questo hahahahahah succede un botto di roba lo so, ma è giusto così perché sono cattiva e il capitolo prima volevo finirlo con un cliffhanger, Ma pure questo non è che finisce tanto meglio eh, Ah Thorin non so se è troppo OOC ho sempre cercato di tenerlo nei canoni dei film, e Ghìda poveraccia ci deve fare i conti, mi sono appena resa conto che essere legata al re dei nani non deve essere semplice XD Comunque cosa ne pensate? Vi ho fatto venire un po' di curiosità? La scena della cena è stat la mia preferita, mi sono messa in loop di sottofondo quando arrivano da Bilbo e vi chiedo nuovamente scusa per le introspezioni, nel prossimo saranno molte di meno, nel prossimo diciamo che succederà un po' di roba, però molto chiara <3 Cosa ne pensate? Cosa starà atramando Telkar? E Ghìda e Throin si comporteranno da perosne civili?  Che poi la scena nella stanza del tesoro mi ha spezzato il cuore, sopratutto in base a quello che ha sognato Throin e poi come lui si relaziona alla cosa sopratutto, lo capisco da un certo punto di vista, e si Ghìda si stava comportando da ragazzina ma l'ho voluto far notare, però ha anche sofferto molto, la sua storia verrà approfondita piu' avantio, anche nel prossimo capitolo, voi ditemi le vostre teorie intanto che sono curiosa *.* 
#salviamoilpoveroori #dwalinbestpsicologo #dwalinamicodellanno

Come al solito un ringraziamento speciale a chi ha recensito e a Perla_16 e Star_of_vespers per aver messo la storia tra le preferite, spero che questo capitolo vi sia piaciuto <3

 
   
 
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