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Autore: se solose    04/06/2020    0 recensioni
Sto riguardando le puntate e nella mia mente si scatenano mille scenari. Ho deciso così di creare una piccola storia, a puntate, che prende spunto da uno degli episodi della terza stagione per continuare su una traiettoria tutta sua, raccontando l'amore di Lorenzo e Clarice.
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Clarice Orsini
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Continuo a guardare i fogli davanti a me ma sono troppo distratto, non riesco a leggere più di due righe consecutive che subito dimentico il filo del discorso. Li lascio cadere e poggio la penna sulla scrivania con prepotenza tanto che un po’ di inchiostro fuoriesce macchiandone la superficie. Prendo subito il fazzoletto che ho nel primo cassetto del grande comò e cerco di ripulire prima che l’inchiostro finisca per macchiare i documenti allargandosi a macchia d’olio. Un semplice gesto che mi ricorda quando entrai in questa stessa stanza e trovai Clarice alla mia scrivania. Era concentratissima e quasi mi dispiacque quando, sentita la mia presenza, alzò la testa. Si alzò con la faccia colpevole, chiedendomi scusa e io ne rimasi divertito. Non ero abituato ad avere una presenza femminile in casa o meglio, non ero abituato ad avere una donna a girovagare per casa che non fossero mia madre, mia sorella oppure una delle migliaia di donne di Firenze e non solo passate per il letto di Giuliano. Pensare a mio fratello mi rende sempre triste e malinconico, a volte persino arrabbiato per come qualcun altro abbia avuto il potere di decidere quando la sua vita sarebbe dovuta giungere al termine.
Tornai a guardare la scrivania, il danno sembrava essere scampato. Prendo i fogli per unirli tutti sotto un grande cumulo, chiudo il libro che avevo sulla destra per riporlo nella libreria, laddove un grande vuoto tra una copertina marrone dalle rilegature oro e un’altra, più o meno simile, non vedeva l’ora di essere colmato. E, proprio mentre lo riponevo sulla mensola che il libro non ne voleva sapere di rientrare al suo posto, come se qualcosa dietro lo impedisse. Lo spostai per vedere meglio cosa si nascondesse tra quei volumi e rimasi curiosamente sorpreso di vedere una pila di fogli delicatamente piegati. Li prendo per osservarli più da vicino mentre torno a sedermi al mio posto. Li rigiro tra le mani e alla fine decido di aprirli per vedere il contenuto. Di prim’occhio sembrano delle lettere. La calligrafia è dolce, delicata, sembra essere quella di una donna, probabilmente sono di mia madre, penso immediatamente ma, osservandoli ancora meglio trovo qualcosa di famigliare. Riconoscerei la scrittura di Clarice in mezzo a dozzine di documenti, le sue alte sono ricurve in un modo tutto loro. Ricordo di averla spesso preso in giro per questa sua caratteristica e mai avrei pensato che mi sarebbe stata utile nel ritrovare un segreto nascosto dietro i libri. Le apro avvicinandole di più al viso con fare indeciso, sento di violare la sua intimità in qualche modo eppure non riesco a fermarmi.
Sono delle lettere mai inviate. Cerco, vagando con lo sguardo il nome del destinatario senza avere successo, questo dettaglio accresce la mia curiosità così, senza starci troppo a pensare, inizio a leggerne una.
 
Sono passati più di dieci giorni da quando sono arrivata a Firenze, eppure non riesco ad adattarmi allo stile di vita dei suoi cittadini. Guardandomi intorno penso a tutte quelle donne che indossano vestiti di ogni sorta, così sfarzosi, qualcuno dai colori più sgargianti mentre altri più tenui. Spesso mi guardano quando esco per fare la mia passeggiata verso il Duomo e non so decifrare i loro occhi. Non capisco cosa vogliano dirmi. Qualcuna mi saluta, altre tirano dritte come se non volessero farsi vedere a parlare con me in strada. Forse i fiorentini avrebbero preferito avere una di loro come moglie di Lorenzo e alla fine si sono ritrovati me, la romana. Forse ho sbagliato, avrei dovuto assecondare la mia fede e rimanere a Roma. Mio marito non c’è mai, non so dove se ne vada tutto il giorno. Ogni sera rientra, alle ore più impensabili, e la scusa è sempre la stessa: affari. C’è chi dice che siano gli affari di letto quelli che lo trattengono fuori così a lungo e io non so davvero a cosa credere. Infondo non conosco per nulla quest’uomo e, a questo punto, inizia a sorgermi il dubbio che non lo conoscerò mai.
 
Sbalordito allontano quel foglio dai miei occhi, come se non volessi più leggere una sola parola. Sono delle lettere che Clarice scriveva a se stessa, come un diario. Probabilmente, appena arrivata a Firenze, la carta era la sua unica amica. Non ho mai pensato a quanto potesse sentirsi sola, fuori luogo, in una città che non conosceva e con una famiglia che le era praticamente sconosciuta. Faccio un lungo respiro e poi torno a scegliere un foglio e mi immergo ancora in quella scrittura delicata.
 
Questa mattina mi sono svegliata in preda al panico, ho sentito una grande fitta al ventre e non sapevo cosa fare. Mi sono girata verso Lorenzo ma il suo letto era vuoto. Ho fatto dei respiri profondi, mi sono accarezzata il pancione (adesso è davvero enorme) e ho cercato di dormire ma non ho potuto farlo. Ho passato le ore cercando di tranquillizzarmi, dicendomi che non era nulla di grave e che, queste cose, in gravidanza succedono sempre ma non avevo nessuno a cui chiederlo. Mia madre non è qui, non ho nessuno con cui confrontarmi e per quanto Lucrezia si mostri materna verso di me è sempre presa dalla banca, dai conti che non me la sento di disturbarla per queste sciocchezze.
 
Lascio cadere il foglio per mettere la mano che lo sorreggeva tra i capelli. Non ricordo questo episodio, Clarice non ne me ha mai parlato. Non capisco per quale motivo. Sono suo marito, non si è mai fatta remore a parlarmi di tutto. Ripasso velocemente con gli occhi sulla lettera e, ciò che cattura la mia attenzione e la parte iniziale: mi sono girata verso Lorenzo ma il suo letto era vuoto.
Dov’ero quando aveva bisogno di me? Il grande interrogativo.
Continuo a leggere prendendo un altro foglio.
 
 
Quando vedo Piero tra le braccia di Lorenzo mi assale un moto di tenerezza. Non so cosa sia con precisione, ma so che non riesco a staccare gli occhi di dosso da quel quadro. E’ raro vedere Lorenzo a casa, soprattutto la sera, e quando capita passiamo le ore nella nostra stanza, accovacciati sul letto a contemplare il nostro bambino, a parlare del futuro, di come diventerà da grande ebbene, è in momenti come questo che penso di aver fatto la scelta giusta, che mi sento appagata, serena e non l’invasore piombato da Roma. Vedere Lorenzo che parla con Piero, che gli racconta quanto la sua giornata alla banca sia stata impegnativa avvertendolo che un giorno sarà tutto sulle sue spalle, rassicurandolo che quel giorno però è lontano, raccomandandosi di trarre il massimo dalla sua giovinezza perché, fin quando ci sarà lui sarà sempre al sicuro. Sono momenti come questi che mi lasciano pensare che, a modo mio, sono innamorata di quest’uomo.
 
Ricordo bene le sere passate in stanza, noi tre, come una famiglia. Lontano dai problemi, dai Pazzi, dalla banca, da tutto. Ricordo anche lo sguardo di Clarice. Forse non è stata solo lei a capire di essersi innamorata durante quelle sere. Forse lo abbiamo fatto entrambi. Forse…
I miei pensieri vengono disturbati dal bussare sulla porta. Mi schiarisco la voce, rimetto insieme i fogli e torno a metterli al loro posto.
“Ehm, avanti” mi ritrovo a dire ancora in piedi, vicino la libreria. E’ Vanni.
“Lorenzo, vostra moglie vuole andare alla celebrazione domenicale”.
Alzo gli occhi e lo seguo verso il grande salone dove ad aspettarlo c’è Clarice nel suo abito color porpora intenso, con il pancione sempre più in bella vista.
“Sei andato a chiedere il permesso a Lorenzo?”  Si rivolge a Vanni come se le avesse rivolto un grandissimo affronto.
“Stai tranquilla, per favore” le dico posandole entrambe le mani sulla pancia per darle un bacio a fior di labbra.
“E’ solo venuto ad avvisarmi che sareste usciti per andare alla celebrazione” le dico, facendo l’occhiolino in direzione del mio più vecchio amico.
“A quel punto ho deciso di unirmi a voi. Posso?” le chiedo con una nota di presa in giro nella voce.
Mi lancia uno dei suoi sguardi che sanno di ramanzina silenziosa e mi precede alla carrozza. Vanni corre a porle una mano per aiutarla a salire e io faccio lo stesso. Lo vedo ritrarsi nel momento esatto in cui nota il mio gesto e, Clarice, gli sorride prima di voltarsi verso di me e prendermi la mano. Lascio che si accomodi e solo dopo entro anche io.
   
 
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