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Autore: platinum_rail    05/06/2020    2 recensioni
Sono passati quattro mesi dalla fine della Guerra dei Titani.
Percy ed Annabeth salvano Piper, Leo e Jason al Grand Canyon, senza sapere che avrebbe significato l'inizio di una nuova guerra.
Percy scompare la notte successiva, ma quando mesi dopo arriva al Campo Giove non ha perso la memoria. Ha un passato diverso da quello che conosciamo, e dei poteri incredibilmente pericolosi.
(IN FASE DI RISCRITTURA)
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson, Percy/Annabeth, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Furia Cieca 

La battaglia a Fort Sumter fu un successo per i sette.
Annabeth se ne andò insieme alla sua tanto agognata mappa, e fecero rotta per le Colonne d’Ercole.
Quando Jason e Piper scesero dalla nave per conferire con lo stesso Ercole, Percy rimase insieme agli altri a bordo.
Erano tutti pigramente appoggiati alla balaustra con lo sguardo puntato sulla riva.
Era una splendida giornata, il sole alto e caldo era contrastato dalla brezza fresca del mare.
-Dite che resteremo qui per molto? – chiese Leo.
Annabeth era accanto a Percy, e sospirò:
-Non saprei. Possiamo solo sperare che Ercole sia di buon umore. –
Il figlio di Poseidone mantenne lo sguardo sui due ragazzi, che ormai erano quasi al cospetto di Ercole, con un ghigno sulle labbra.
E in quell’istante, nonostante tutti i suoi amici fossero intorno a lui radunati al parapetto, il ragazzo sentì una debolissima risata femminile dietro di sé.
Si voltò improvvisamente, pronto ad attaccare qualunque creatura fosse salita sulla nave.
Ma rimase impietrito.
Alle sue spalle, inginocchiata sul ponte, c’era una donna che stava sfogliando un libro con uno splendido e dolce sorriso sulle labbra. I capelli le scendevano lungo la schiena in morbide onde castane, aveva gli occhi blu che scintillavano di felicità sotto alle lunghe ciglia scure.
Era così reale, così bella, così familiare.
Percy sentì il suo cuore soffocargli nel petto.
-Mamma… -
Annabeth si voltò verso di lui improvvisamente, guardandolo incredula. Seguì il suo sguardo, ma non vide nulla. Anche gli altri ragazzi si voltarono verso di lui.
Annabeth fu la prima a dire qualcosa, e deglutì incerta: -Percy, stai… -
Ma Percy non la sentì.
Non riusciva a parlare.
Sally Jackson stava facendo scorrere le lunghe ed eleganti dita sulle pagine illustrate del libro e muovendo le labbra come se stesse parlando ma non avesse la voce per emettere alcun suono. A volte il suo sguardo si puntava su qualcosa al suo fianco, e spesso in quei momenti il suo sorriso si faceva ancora più splendido. Ma non c’era nulla accanto alla donna.
Il figlio di Poseidone la guardava con dolorante incanto, ma inevitabilmente si tese sulla difensiva.
Sua madre era morta. Non poteva essere lì. Non avrebbe dovuto essere lì.
Percy fece un passo avanti, vigile e teso pronto ad essere attaccato, ma proprio in quell’istante la donna alzò lo sguardo su di lui. 
E Percy sussultò.
-Il mio bambino… - mormorò la donna con occhi languidi. -Vieni a leggere con me.  Come facevamo una volta… –
Percy la guardava quasi inorridito, mentre lei gli porgeva il libro chiuso. Sua madre gli rivolse un sorriso dolce che però le fece luccicare gli occhi di astuto divertimento.
Era lo stesso sguardo che Percy aveva sempre avuto. La stessa luce furbesca e maliziosa che spesso contrastava con la sua espressione gentile.
Sulla copertina del libro c’erano i disegni e le immagini di strane creature che venivano combattute da uomini possenti armati di spade, archi e scudi, circondati dal mare in tempesta e dal cielo scuro e percorso dai fulmini.
Era il libro di mitologia che lei gli leggeva quando era bambino. Quando gli diceva che lui era come quegli eroi, destinato ad una vita grandiosa come la loro, figlio di un dio potente come lo erano loro.
Percy guardò il libro teso verso di lui, e nonostante il terrore che lo bloccava sul posto si scoprì incapace di sottrarsi al desiderio di sporgersi ad afferrarlo.
Tese la mano verso l'oggetto.
Ma quando le sue dita toccarono la gelida pelle del libro, sentì una fitta lancinante alla testa.
Boccheggiò, serrando gli occhi e ritraendosi.
Ma quando li riaprì non era più sulla nave. Il sole era scomparso, si trovava nel buio più totale. L’aria intorno a lui era arida e quasi graffiante, c’era odore di cenere e polvere.
Percy si irrigidì, bloccato sul posto dal panico della cecità che gli serrò la gola.
Qualunque cosa sarebbe potuta sbucare dal buio e lui non l’avrebbe mai potuta vedere, e questo gli fece rizzare i peli sulla nuca.
E poi, dal nulla, si accese un fuoco, che nacque ruggendo da un braciere circolare accanto a lui.
Percy si allontanò di soprassalto, e si rese conto in quell’istante di avere la spada in mano. Le fiamme illuminarono la stanza di pietra dove si trovava, rivelandone le pareti circolari e spoglie. Non c’erano né finestre né porte.
Percy cercò di controllare il suo respiro, e portò la spada davanti a sé pronto per difendersi.
Una raccapricciante risata femminile si levò intorno a lui, e Percy si voltò di scatto.
Con orrore, vide che non c’era nessuno.
-Percy Jackson… -
Percy sentì la voce di donna sibilargli nell’orecchio, e si guardò freneticamente intorno.
Aveva i muscoli tesi e pronti a scattare al minimo movimento, ma il suo viso divenne una maschera inespressiva. Qualunque cosa lo avesse trascinato là, non avrebbe trovato paura o incertezza nel suo sguardo.
-Chi sei? – chiese lui, cercando attentamente con lo sguardo la donna che aveva parlato.
-Io sono Lissa. – sibilò la voce in risposta, debole ma lancinante all’udito.
Percy riuscì a percepirla, nonostante non riuscisse a vederla. La sentì strisciargli alle spalle, sentiva il suo sguardo puntato su di lui.
Lissa sospirò predatoria, in quel momento più vicino a lui di prima:
-Sei così bello… Il tuo potere è così inebriante. –
Percy sentì qualcosa sfiorargli il viso, e si scostò bruscamente puntando la spada davanti a sé con un movimento repentino.
-Stammi lontano. – ringhiò, ma la donna semplicemente rise nel nulla.
-Perdonami. – rispose la dea. -È che hai tutta questa forza, tutta questa rabbia… il tuo sangue ha la potenza e l’odore del mare che tanto mi manca vedere. -
Percy sentì un tocco fantasma alla base della schiena, sul suo unico punto vulnerabile, e spalancò gli occhi. Si voltò con improvvisa paura nelle iridi.
-Che cosa vuoi da me? – sibilò il semidio.
Sentì lo spirito della dea scivolargli accanto con una risata, prima di percepirla allontanarsi ancora.
-Non preoccuparti piccolo dio, non ti farò del male. Per ora… -
In quel momento, Percy riuscì a vederla per una frazione di secondo.
Sul lato opposto della stanza, oltre il braciere, scorse la figura sfuggente di una giovane donna vestita di nero, dai lunghi capelli neri e dalla pelle grigia e scura come carbone. Le sue iridi rosse erano puntate su di lui e bruciavano di fuoco vivo.
Ma dopo un battito di ciglia la sua immagine scomparve.
Percy non riuscì a dimenticarsi della sua espressione folle.
-Sei un fantasma? – chiese lui.
Un’altra risata riecheggiò tra le mura. Le fiamme alle spalle del ragazzo ruggirono, illuminandogli il viso.
-Io sono la dea della rabbia. – mormorò la donna. -La dea dell’odio, del risentimento, della furia cieca. –
Percy si guardava intorno cercandola con gli occhi. E finalmente, nonostante non riuscisse a vederla, la percepì fermarsi. Era davanti a lui, il fuoco proiettava sulla parete la sua ombra femminile senza corpo.
La dea ridacchiò: -È stata una così fortuita coincidenza che passaste qui per le colonne d’Ercole. Sai, io lo conosco molto bene e da molto tempo... - disse, rimanendo lontana da lui. -Ma non sono qui per lui. Io sono qui perché voglio farti una proposta. –
Percy guardò l’ombra della donna duramente, raddrizzando la schiena.
Un sospetto si fece strada nella sua mente.
Lei tenterà di manipolarti, di portarti dalla sua parte.
Quando lui non rispose, Lissa continuò: -Se continuerai la tua impresa, soffrirai più di quanto tu non abbia mai fatto. Io posso salvarti, se solo me lo permetterai. –
Percy ghignò con amarezza, gli occhi che scintillavano alla luce del fuoco. Non abbassò la guardia.
-Tu non hai idea di quello a cui sono già sopravvissuto. –
-Oh, ti sbagli. – sussurrò la dea. -Io percepisco tutto il tuo rancore, tutto il dolore che cerchi di dimenticare. –
Percy riuscì a vederla per la seconda volta, esattamente di fronte a lui. La donna gli sorrise, mostrando degli orripilanti denti affilati e appuntiti. Poi la sua immagine tremolò, e scomparve di nuovo.
-So cosa vuoi. So che è stata Gea a mandarti qui. – sibilò il ragazzo.
-Gea mi ha liberata dalla tirannia di Era, è vero, ma ho scelto io di venire qui. Ti sta usando, ma sa quanto pericoloso tu possa essere e appena potrà farà qualsiasi cosa pur di ucciderti. Anche quella sciocca di Afrodite te lo ha detto. Io però voglio darti la possibilità di unirti a noi, e di poter davvero salvare le persone che ami. Non è forse l’unico motivo per cui sei partito? –
Percy spalancò gli occhi, quasi con indignazione: -Non cercare di manipolarmi! – esclamò il ragazzo.
La dea ridacchiò ancora: -Al contrario. Io cerco di aiutarti a lasciarti andare a quello stesso odio che pensi ti stia rovinando. Ma se solo smettessi di sopprimerlo, troveresti la vera libertà. Comprenderesti chi è veramente il tuo nemico. Potresti salvare chi ami di più al mondo. –
Percy serrò la mascella: -Non sai di cosa parli. –
La dea si mostrò di nuovo, e stavolta lo guardò con spaventosa ira negli occhi.
-Io sono la rabbia! – ringhiò lei. -Tu temi me e le emozioni che rappresento più della morte!–
Percy si irrigidì sorpreso dalla sua improvvisa aggressività, e la guardò con attento timore.
Il fuoco si gonfiò alle sue spalle, e sentì la donna respirare profondamente.
Infine, Lissa sembrò placarsi: -Perché proseguire questo viaggio? Non è altro che un disperato tentativo di salvare la tua famiglia, ma siete tutti destinati ad essere vittime dell’Olimpo. –
Percy si lasciò sfuggire un ghigno infelice: -Come se…-
Ma Lissa lo interruppe: -Esattamente come lo è stato Luke. Una vittima come tutti i tuoi compagni e amici che hai perso. Una vittima come tua madre. -
Il figlio di Poseidone assottigliò lo sguardo: -Non osare. – sibilò.
Sentiva il sangue ribollirgli nelle vene, la rabbia bruciargli la gola come lava.
Sapeva che la dea stesse cercando di manipolarlo, di usare il suo stesso rancore per farlo impazzire. Aveva cercato di impedirlo, ma le sue parole erano fatte per alimentare il suo odio bruciante che da anni cercava di controllare.
La dea sembrò sorridere nell’ombra: -È per colpa di Poseidone se tua madre è morta, e lo sai. Se non vi avesse abbandonati per colpa della sua vigliaccheria ed egoismo, la donna che hai visto sul ponte della vostra nave sarebbe ancora viva, tua madre sarebbe ancora con te. E invece gli dei ti hanno abbandonato in mezzo ad una strada, dove hai dovuto difenderti con le unghie e con i denti pur di salvarti dai loro stessi nemici. Eri un bambino innocente, e da allora vieni costantemente braccato da creature mostruose pronte a farti a pezzi, e solo perché sei nato da un dio. –
Percy si tese nel sentirla scivolargli accanto, e serrò la mascella: -Sono passati anni. Sono mille volte più forte. –
Ma Lissa non si fermò: -Sono passati anni, ma anche adesso hai solamente sedici anni. E hai le mani sporche e macchiate dal sangue di tutti quelli che hai ucciso. Ovunque tu sia andato, ti sei lasciato alle spalle morte e distruzione. Gli dei ti hanno rovinato, ti hanno costretto a diventare un assassino, un guerriero senza pietà che ha ucciso centinaia di mostri, semidei, e persino amici... e per cosa? Per la mera illusione di poter salvare le persone che ami–
Percy la sentiva intorno a sé, sentiva la sua voce perforagli il cuore e stuzzicare la sua ira.
Provava odio, risentimento, e colpa.
Aveva così tante emozioni a premergli nel cuore che sentiva di poter scoppiare. I suoi occhi brillarono nella penombra con così tanta intensità da far tremare le iridi.
Si sentiva rovinato, smarrito, vulnerabile.
-Ho salvato la mia casa e la mia famiglia! Abbiamo vinto una guerra! Io ho sconfitto Crono e smantellato il suo esercito! –
Lissa sospirò con teatrale tristezza, la sua voce che risuonava nella stanza senza che il ragazzo potesse vederla. La sentì avvicinarglisi, e di nuovo sentì un gelido tocco sul suo punto vulnerabile.
-E per cosa? Ora sei di nuovo qui, in guerra, e nonostante tu abbia sacrificato tutto ciò che contava per sconfiggere i Titani non è bastato. Nulla basterà mai, sei condannato a questa vita finchè non troverai un nemico che non sarai in grado di sconfiggere. –
Percy si voltò frenetico alla ricerca della donna tenendo la spada alta, una ormai malcelata paura negli occhi.
Si sentiva così vulnerabile, così debole.
Voleva solo poterla vedere, poterla attaccare per impedirle di fargli del male.
Ma Lissa era spietata e intoccabile come le emozioni che rappresentava:
-Tu sai che finché gli dei regneranno, i loro nemici si innalzeranno dalla terra in cerca di vendetta e sarete voi a pagarne il prezzo. Loro non hanno mai perso nulla. Tu invece perderai tutto. –
-Ora basta! – urlò Percy, e l’intera stanza tremò. Le crepe si diramarono come serpenti sulla pietra, il fuoco venne scosso e minacciò di spegnersi.
Percy sentì le parole della donna insinuarsi nella sua testa, scavando nel suo cuore.
-Si...lasciati andare. Questo è quello che sei davvero. -
Percy urlò, e il terremoto scosse le pareti con ancora più forza, la polvere e la sabbia si mossero nell’aria, ma Lissa non sembrò nemmeno intimorita.
Lei riapparve davanti a lui, nonostante la furia del ragazzo che minacciava di distruggere la stanza, ma stavolta non sorrideva. Lo stava solamente guardando con quegli allarmanti occhi di fuoco.
-Tu combatti per i tuoi compagni, per la ragazza ti cui ti sei innamorato. Ma la tua è una battaglia persa in partenza. Perché siete stati condannati alla guerra e alla morte dal giorno che siete nati. Finché gli dei esisteranno, il vostro destino sarà combattere le loro guerre, e inevitabilmente morire. Siete una razza maledetta. –
Percy la guardò, e improvvisamente il suo coraggio venne meno. La terra smise di tremare.
-Tu odi gli dei. Odi il tuo destino. Odi quello che ti hanno costretto ad affronatre, le guerre e battaglie che ti hanno consumato fino al midollo, e odi te stesso per quello che sei diventato. Ma io posso aiutarti. -
Lissa scomparve di nuovo.
E Percy si sentì sconfitto come mai prima di allora.
Era un eroe, un guerriero invincibile e con la forza di mille uomini.
Ma non poteva mentire a sé stesso. La sua anima e la sua mente erano estremamente vulnerabili, e solo ora se ne rendeva davvero conto.
Quello che Lissa gli stava dicendo confermava una delle sue più grandi paure. La paura che avrebbe smesso di lottare e sopravvivere alle guerre solamente il giorno in cui sarebbe morto sul campo di battaglia.
Un fiato bruciante gli sfiorò il collo: -Dobbiamo distruggerli. Solo così potrai salvare l'amore della tua vita. –
Percy chiuse gli occhi. Era così stanco.
-Perché non ti sei semplicemente impossessata di me? – disse lui quasi lamentosamente.
Lissa si allontanò di poco dal ragazzo:
-Essere liberata dal potere degli dei ha un prezzo. Sono debole, per ora, esattamente come la mia nuova padrona. Ma non ne avrei comunque bisogno. –
Percy aprì di nuovo gli occhi, e la dea lo stava guardando inespressivamente, ma le sue iridi brillavano di pura follia.
Il ragazzo si perse nel fissare le fiamme che bruciavano nelle iridi di lei ipnotiche e potenti.
Lissa sorrise: -Perché tu, nonostante cerchi disperatamente di nasconderlo, sai che faresti qualunque cosa, se servisse a salvare la tua famiglia. –
Percy ricordò improvvisamente un momento della sua vita che aveva quasi dimenticato.
Si rivide nella sala del trono sull’Olimpo, di fronte ad Atena. Rivide il suo sguardo solenne ed impenetrabile, così simile a quello di Annabeth.
“Il tuo difetto fatale è la lealtà. Per le persone che ami faresti qualunque cosa, anche se significasse condannare il resto del mondo.”
Era vero. Lui avrebbe condannato gli Olimpi e la civiltà che conosceva, se si fosse convinto che farlo avrebbe aiutato la sua famiglia. Perché per Annabeth avrebbe fatto qualunque cosa. Anche se avesse significato unirsi a Gea.
E Lissa questo lo sapeva.
-Tua madre è morta davanti ai tuoi occhi per colpa di Poseidone. Ti ha abbandonato, e quando hai avuto più bisogno di lui, lui non c’è stato. – sussurrò la dea.
La sua voce era logorante come veleno.
Percy sentì una rabbia irrefrenabile scavargli nel cuore. Lissa stava scatenando tutto il suo odio, rancore, rammarico.
-Nel profondo del tuo cuore, tu sapevi che Luke aveva ragione ad unirsi al re dei Titani. Ma sei stato costretto a metterti contro di lui, lo hai ucciso, e ora avrai per sempre le mani sporche del suo sangue. –
Percy rivide lo sguardo pieno di lacrime e di supplichevole agonia del ragazzo. Rivide sé stesso pugnalarlo nel suo unico punto debole, risentì il suo straziante urlo di dolore, percepì di nuovo il sangue del ragazzo scorrergli tra le dita.
Ricordò le ultime parole del figlio di Ermes.
“Veglierò su di voi… Siete e sarete sempre la mia unica famiglia…Perdonatemi…”
Luke era morto. Era stato lui stesso ad ucciderlo. E la colpa era degli Olimpi.
La vista gli si arrossò agli angoli.
Era pura furia cieca.
-I tuoi amici e compagni, come Beckendorf, Silena o Michael… sono tutti morti in guerra per proteggere il regno di dei a cui non importa dei loro figli. –
Percy sentì la terra sotto ai suoi piedi tremare, il suo potere che gli serrava la gola e premeva per uscire. Voleva solo liberarsi di quella rabbia opprimente. Voleva che smettesse di fargli così male.
Voleva che distruggesse tutto ciò che lo circondava.
-Se non li fermi, Annabeth morirà. E come potresti vivere, senza l’amore della tua vita? Che senso avrebbe continuare a combattere, se la ragazza per cui hai rinunciato all'immortalità non ci fosse più? Potresti perdonare gli dei e te stesso, se l'altra metà di te dovesse morire? –
Percy sentiva la dea stringergli il cuore in un pugno di ferro incandescente.
La sua mente si annebbiò, e come in preda da un delirio vide un momento, uno scorcio della sua vita che però non aveva mai vissuto.
Si vide inginocchiato in mezzo ad un campo di battaglia, in mezzo al fuoco e sotto ad un cielo rosso e senza sole. Stesa sulle sue gambe, col bellissimo viso sporco di terra e sangue, c’era Annabeth.
Aveva gli occhi serrati, la bocca socchiusa ad esalare il suo ultimo respiro, il petto squarciato e ricoperto di sangue caldo e scuro.
Percy sentì qualcosa nella sua anima spezzarsi, e sentì il suo potere bruciargli le membra senza freni e alimentato da una rabbia pura e furiosa.
Un ultimo ricordo gli attraversò gli occhi accecati.
Risentì la sua stessa voce, quella di un ragazzino spaventato eppure pieno di determinazione. Un ragazzino pronto a tutto, pur di vedere la sua migliore amica sorridere, pur di vedere i suoi occhi grigi brillare.
“Non saremo mai soli finché avremo l’un l’altra, Annabeth. Non importa cosa ha fatto Luke, io non ti lascerò mai. Lo giuro sullo Stige.”
Il ricordo di una promessa. Di un amore e di un'amicizia che valeva più di ogni altra cosa. Quell’ultimo pensiero gli diede un’ultima, disperata speranza di svegliarsi da quell’incubo.
Lissa gli era entrata in testa, si era insinuata nel suo cuore, gli aveva inquinato l’anima.
Il suo gesto fu dettato dal terrore che aveva sempre avuto, quello di non riuscire a fermare il suo potere, di non poter arginare la sua rabbia devastante.
Strinse la presa su Vortice, e spinse la spada contro il suo stesso stomaco.
Nella realtà nessun’arma avrebbe potuto scalfirlo.
Ma la lama invece affondò con facilità, mozzandogli il respiro e facendogli spalancare la bocca in un muto urlo di dolore.
Si sentì morire. E sentì Lissa sibilare nell’ombra.
-Hai fatto la tua scelta… Eroe dell’Olimpo - mormorò lei con profondo disprezzo. -Goditi il Tartaro. -
 
   
 
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