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Autore: martos95    05/06/2020    0 recensioni
Artù é morto, e la pace, a Camelot, sembra destinata a perire sotto i colpi di scure di una terribile profezia che la dea Freya rivelerà ad Emrys. Ma il destino non può essere mutato, non senza conseguenze, ed a volte, per quanto dolorose siano, le profezie devono essere rispettate. Un nuovo lungo viaggio tra il dolore ed il coraggio attenderà Emrys, ora più che mai Albion reclama il suo legittimo re.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gaius, Gwen, Merlino, Principe Artù | Coppie: Gwen/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni, Contesto generale/vago
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Una goccia di sangue che cade in un lago, le fiamme che avvolgono Camelot, una donna che urla. Era sempre lo stesso sogno, quello che lo tormentava ormai da diverse notti. Si svegliava nella notte sudato ed ansimante, quasi sempre alla stessa ora, accendeva una candela, guardava fuori dalla finestra, fuori dalla porta, nessuno. Cercava un segno, un indizio…cosa volesse dire, non lo sapeva. C’era qualcuno che cercava di comunicare con lui? Cosa doveva capire che non riusciva ad afferrare? Non ne aveva parlato con nessuno. Solitamente, quelli erano discorsi che avrebbe fatto con il buon vecchio Gaius. Lui sì che avrebbe avuto una risposta. Lui sì che avrebbe saputo dove e cosa cercare. Niente, non sapeva da dove cominciare. Gli indizi erano troppo generici, eppure…qualcosa non andava, qualcosa stava per accadere ed era intenzione di qualcuno comunicarglielo.

“Un lago… un lago…un lago…andiamo” ripetè fra sé e sè freneticamente buttando giù dallo scaffale tutti i libri che potevano tornargli utili. Dove poteva essere questo lago? Cosa poteva voler significare? Qualche libro in quella stanza avrebbe sicuramente contenuto la risposta, sì, ma quale?
Li aveva passati in rassegna tutti. Nessun lago, non lì vicino almeno. Nonn aveva trovato nulla. L’ultima speranza era il frammento di cristallo che aveva portato via dalla grotta della conoscenza anni orsono. Ma non voleva usarlo. La conoscenza è un fardello terribile da sopportare, si era ripromesso di non rifarlo. Lo aveva avvolto in un panno e riposto lì in uno scrigno sotto le assi del pavimento. Aveva promesso a se stesso che lo avrebbe usato solo in caso di estremo bisogno, ed un brutto sogno di certo non era una buona ragione. Il potere di quei cristalli era enorme, talvolta oscuro, talvolta non veritiero. “I cristalli ti mostrano solo una delle possibili ipotesi del futuro, non sempre quella che è destinata a compiersi” aveva detto Gaius una volta, dunque perché fidarsi? Eppure, quel maledetto potentissimo pezzo di roccia, gli aveva permesso di salvare Artù dall’attacco delle truppe a Camlann avvisandolo dell’imboscata, era attraverso il cristallo che lui era riuscito ad avvertirlo. Ma scacciò presto quel ricordo dalla mente per non autoconvincersi a violare ciò che si era ripromesso. No, per ora, non lo avrebbe usato.

Tale fu il concentrarsi su quel pensiero che non si rese conto del tempo che passava, e quando finalmente si destò dal suo torpore il sole aveva ormai mostrato i primi raggi tingendo di rosa tutta la cittadella, ed un’altra notte ancora era passata senza che riuscisse a dormire neanche per un attimo. Non poteva continuare così, doveva capire. Prese il suo cesto delle erbe, si abbottonò il lungo mantello blu con il cappuccio alzato e, di buon mattino, pensò che la cosa migliore da fare per schiarirsi le idee fosse quella di raccogliere un po’ di bacche per i suoi preparati, aveva finito quasi tutto.

“Posso venire con te Merlino?” chiese una vocina sottile ed acuta alle sue spalle. Merlino ebbe un sussulto, non si aspettava nessuno a quell’ora, men che meno una bimbetta di appena 5 primavere, scalza e con ancora indosso il vestito per la notte.

“Thora… che ci fai già sveglia? E’ ancora molto presto. Se tua madre non ti trovasse si spaventerebbe terribilmente” le disse Merlino chinandosi verso di lei con aria seria. Ma riuscire a tenere a lungo un’espressione imbronciata con quella piccoletta era impossibile, quei ricci color del cioccolato che le incorniciavano un visino vispo e furbetto erano irresistibili e Merlino non potè che sciogliersi quasi subito in un sorriso divertito notando che lei era rimasta immobile a fissarlo dubbiosa. Le scompigliò i ricci, le “rubò” il nasino tra l’indice ed il medio e le promise che più tardi le avrebbe fatto vedere una cosa molto divertente lì nel suo studio, ma solo se fosse tornata a dormire immediatamente.

“Ti prego Merlino, mia madre lo sa che vengo sempre con te” rispose la piccola piagnucolando,puntando su di lui quegli enormi occhi nocciola sempre attenti a scrutare ogni suo movimento. “ Così …ti aiuto”.  
“E va bene” sospirò il mago…”ma prima…mangiamo qualcosa. Hai fame?” Entusiasta la bimba annuì e corse a mettersi le scarpe e la sua mantellina rossa. Merlino intanto scaldò un po’ di latte con la magia, prese la piccola in braccio e le passò la scodella di legno. “Attenta che scotta”, ed insieme restarono lì ancora un po’ a vedere le figure delle erbe su un grosso librone. Finirono la colazione e, tenendosi per mano, si incamminarono verso il cavallo, ognuno con il suo cestino. Quella bimba era la sua ombra. Passavano insieme quasi ogni pomeriggio, lui le insegnava a riconoscere e dividere le erbe e le ricette, lei gli insegnava che Artù viveva ancora dentro le cose che lo circondavano, dentro due occhietti marroni vispi e curiosi, ad esempio. Mai avrebbe pensato di potersi innamorare così di una creatura, l’aveva vista nascere, l’aveva fatta nascere! Era dietro i suoi primi passi a reggerle la mano, e c’era alla sua prima parola. L’amava come fosse sua figlia, Artù avrebbe meritato di vederla anche solo una volta,pensò, aveva il suo stesso coraggio.

“Siamo arrivati?” chiese lei riportandolo immediatamente alla realtà.
“Sì, lo vedi quel grosso albero lì giù? Ci fermeremo lì, così possiamo posare i cestini ed iniziare a raccogliere quello che ci serve, e tra qualche ora potremo tornare al castello”. Così dicendo, aiutò la piccola a scendere dal grosso animale ed insieme si allontanarono di poco per iniziare a raccogliere un po’ di bacche nere e qualche petalo di rosa da essiccare al castello. Era incredibile come Thora, così piccola, fosse in grado di seguire attentamente tutte le indicazioni di Merlino, raccoglieva quei petali con una maestria insolita per una bimba della sua età, riponeva tutto con cura nei cestini e, talvolta si sedeva stanca sull’erba a guardare Merlino intento nel suo lavoro, indugiava un po’ e poi riprendeva più svelta di prima.

“ Allora è qui che vi nascondete!” Disse Gwen raggiante scoprendoli a mangiare insieme qualche bacca.

“Madre!!” esclamò subito la piccola correndole incontro felice che fosse arrivata! “Abbiamo raccolto tante cose, vieni a vedere” e con la mano trascinò la regina fino ai cestini, li aprì e con soddisfazione guardò la sua espressione fintamente sorpresa!
“Wow, hai fatto tutto da sola?” disse Gwen complice dell’entusiasmo della figlioletta e, strizzando l’occhio a Merlino aggiunse “ Beh, allora non c’è più bisogno di Merlino, la prossima volta potrai fare tutto da sola!”
“No!!”Urlò la piccola risentita rifugiandosi tra le braccia del mago che finse un’aria dispiaciuta “ Merlino è mio amico” disse guardando sua madre in modo molto arrabbiato, tanto da farla ridere di gusto. “ Va bene, allora vorrà dire che dovrete sempre raccoglierle insieme queste buonissime bacche” disse addentandone una, e la piccola parve rincuorata.
Quella bimba aveva preso le sue difese, degna figlia di suo padre. Si era schierata con tutto il suo cuore dalla parte di un amico che credeva fosse in difficoltà, ribellandosi per ciò che non le pareva giusto. E Merlino lo vide in lei…per un attimo, riconobbe in quella testolina riccia, il riflesso di suo padre. Sebbene non somigliasse ad Artù, aveva il suo stesso cuore, era indiscutibile! Gwen sembrò aver captato il suo pensiero, quasi come se lo avesse raccontato ad alta voce. Lo guardò, gli sorrise malinconica e prese la piccola in braccio che intanto pareva si stesse abbandonando al sonno.

“Dovremmo tornare al castello, ci cercheranno, e poi sta per arrivare una tempesta” Disse Gwen guardando in aria i grossi nuvoloni che cominciavano a coprire l’azzurro sopra di loro. Avvolse Thora meglio che poteva nel suo mantello verde e l’adagiò sul suo petto, in attesa di poterla sistemare sul cavallo con il quale era arrivata. Dormiva già, non si sarebbe accorta del viaggio.
“Avete ragione mia signora, il tempo sta peggior…” ma non ebbe finito la frase che un fulmine cadde poco lontano da loro ed il tuono assordante che ne seguì aprì la porta ad un forte ed improvviso scroscio d’acqua. I cavalli spaventati scapparono senza che gli fu possibile fermarli ed i tre si rifugiarono in una grotta nelle vicinanze. Avrebbero aspettato la fine della tempesta, poi si sarebbero incamminati verso il castello, o comunque qualcuno li avrebbe cercati.

“ Strano, conosco bene questi boschi, non ho mai visto questa grotta” disse Gwen “come è possibile?”

“Non saprei…anche io non ricordo di averla mai vista, eppure, vengo spesso qui a raccogliere erbe”. Prese un legno ed, accendendone l’estremità per farsi luce in quella cavità della terra, notò un passaggio all’interno della grotta. “Mia signora, non è prudente che veniate con me…aspettate qui, sarò di ritorno tra poco”

“Non pensarci neanche un secondo Merlino, se arrivasse qualcuno non sapremmo difenderci,non saprei come proteggere Thora”.
Merlino annuì, e le regina, con la piccola in braccio ancora avvolta nel suo mantello, si avviò con lui tra i meandri di quella roccia. Il percorso fu breve prima che poterono vedere la luce dall’altro capo deltunnel. Pareva ci fosse il sole, eppure era piuttosto strano, potevano ancora sentire la pioggia ticchettare sulle pareti della grotta appena sopra di loro. Raggiunsero l’altro capo della galleria, e dinanzi ai loro occhi si rivelò un luogo che non avevano mai visto, quasi incantato, un pezzo di mondo che si rifletteva nelle limpide acque di un lago al centro di un’immensa vallata, a pochi passi da loro.
Il lago. Pensò Merlino con lo sguardo perso nel vuoto. Era stato lui a farsi trovare.

“State indietro mia signora, non vi avvicinate” disse dirigendosi verso il lago con cautela, misurando con attenzione un passo dopo l’altro. Immerse i piedi nelle sue acque gelide, si concentrò, chiuse gli occhi e pronunciò qualcosa nella sua testa, una formula che non sapeva di conoscere e che mosse le sue labbra quasi fosse stata da sempre stampata su di esse. Nulla, non accadde nulla. Per quello che sembrò essere un lungo tempo, Merlino guardò le acque perfettamente immobili nell’attesa che qualcosa accadesse. Silenzio. Probabilmente, il suo, era davvero solo un sogno, ma appena fece per voltarsi verso Gwen, una luce accecante si sprigionò dietro lo scroscio d’acqua di una piccola cascata tra le rocce. Si voltò, si coprì gli occhi con una mano e udì la voce di una donna che lo stava chiamando.

“Emrys… ci hai messo molto per arrivare fin qui” disse una fanciulla vestita di luce, avvolta in un mantello bianco che riluceva come le acque dalle quali era emersa.

“Chi sei?” disse Merlino presagendo un pericolo.

“ Non è importante chi io sia giovane mago”, disse avvicinandosi a lui facendosi largo tra le acque “ciò che importa, è perché io sia qui”.

“Era questo il luogo del sogno, non è vero?” domandò lui inquieto

“E’ questo” rispose lei, fermandosi a qualche passo di distanza da lui. “Sono Freydis, la ninfa del lago della verità, nato dalle lacrime della dea Freya. “Quale verità sei venuto a conoscere , giovane mago?”.

“Mi hai chiamato tu”

“Ti ha chiamato Freya”, fece qualche passo indietro immergendosi nelle acque cristalline fino a raggiungere la cascata da cui era arrivata, allungò un braccio verso Merlino e lo invitò ad entrare. “ Vieni Emrys, il tuo istinto saprà guidarti”
Merlino, prima di accogliere quell’invito, si voltò verso Gwen che con il terrore negli occhi, gli fece cenno di no con il capo, non si fidava. Strinse forte a sé la bambina ancora addormentata e fece qualche passo indietro.

Il mago si immerse senza staccare gli occhi da Freydis e dalla roccia da cui era sbucata. Ora che ci faceva caso, notava che aveva la forma di un volto con un unico occhio al centro della fronte, cavità da cui sgorgava la cascata. Avanzò guardingo fino a che l’acqua non gli arrivò all’altezza dello stomaco, ed un peso gli si adagiò sul cuore. Cosa stava accadendo? Si chiese,prima che la voce di Freydis gli intimasse di fermarsi. “Inchinati Mago, la mia signora è quì” disse abbassando a sua volta il capo, e la roccia dinanzi a loro prese vita, la cascata si arrestò, e la grande dea del lago mosse il suo enorme occhio.

“Emrys…” disse la dea in un sussurro che pareva provenisse dalle acque in cui erano immersi. La sua voce riecheggiava nelle cose che avevano intorno, Sembrava quasi che parlasse attraverso la terra, che il suono uscisse dalle rocce come un sospiro. Merlino non aveva mai avvertito un simile potere, una simile sensazione…“Tu cerchi di sfuggire alla conoscenza di tutte le cose, ma è nella conoscenza che si nasconde la verità”.

“C’è un motivo per cui mi avete chiamato mia signora?”

“Oh sì Emrys, hai commesso un terribile errore, ma tu questo lo sai già…”ci fu silenzio per un istante, ma Merlino non fece in tempo a chiederle di che errore stesse parlando che la dea continuò “ Sei poco saggio giovane mago. I tuoi sentimenti verso i tuoi amici ti annebbiano la mente e ti allontanano dal destino che è stato scritto per te” e mentre ascoltava, Merlino vide la propria immagine riflessa nelle acque dinanzi sè. Era vecchio, con una lunga barba ed un bastone sulla cui punta poggiava fiero un Nibbio reale. Accanto a lui il volto di un giovane Artù, così come lo ricordava, ed una donna, giovane e bionda con una corona tra le mani. “Cosa vedì, Emrys?” chiese la Dea.

“Vedo, me stesso…vecchio. Ed Artù…e…è il futuro non è vero?” chiese fissando quel grosso occhio di roccia immobile su di lui.

“Se lo sarà, dipenderà solo da te, Emrys. Ciò che vedi, è ciò che dovrebbe essere, e ciò che difficilmente sarà se non presterai ascolto a quello che ti dirò. Tu hai un grande destino Emrys, un destino che è legato ad Artù, ed a nessun altro, ma sembra che tu non voglia capirlo…se non farai come ti sarà ordinato, la profezia si avvererà, e Camelot cesserà di esistere. Mai più Artù avrà motivo di tornare…”.

“Q-quale profezia?” chiese il mago dubbioso. “Non conosco nessuna profezia”

“Sei qui per questo, Emrys. Per conoscere la tua verità”.
Freydis prese a quel punto la mano del giovane mago, ne aprì il palmo e vi chiuse all’interno una pietra tagliente. Merlino si ferì e una goccia del suo sangue cadde nelle acque del lago. Allo stesso modo di come l’aveva sognata. La terrà tremò ed il cielo si scurì. Una voce potente tuonò la sua sentenza:

“ Nacque una vita da un destino mutato,
ma ciò che è non può essere cambiato,
rinuncia a proteggere quella bambina
lei che di Camelot sarà la rovina.
il destino di Artù deve compiersi ancora
se non ascolterai,non ne giungerà l’ora.

E così dicendo la roccia tornò immobile, e la cascata cominciò di nuovo a sgorgare dall’”occhio di Freya”.
Merlino rimase attonito, ed il fiato gli si ruppe in gola, come se qualcuno gli impedisse di respirare. Si piegò in avanti appoggiando una mano a quella roccia che fino ad un istante prima gli aveva parlato. Le sue gambe pareva avessero perso la forza di sorreggerlo e per un secondo, dovette fare appello a tutte le proprie energie per tenersi in piedi. Ma la cascata fu l’ultima cosa che vide prima che fosse nuovamente buio, e si svegliò nel suo letto, ancora una volta, fradicio e dolorante. Non aveva risposte, solo tante domande.
   
 
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