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Autore: Iaiasdream    05/06/2020    1 recensioni
Davide Campana è un nobile proprietario terriero, dal carattere arrogante ma ambizioso. Deluso dalla sua vita che lo ha messo a dura prova dall’età di diciotto anni, passa le sue nottate fra bordelli, pretendendo da ogni donna solo piacere fisico, fino a quando non incontrerà Rebecca, una semplice cameriera che nasconde un amaro passato. Quando le loro vite si incrociano, nessuno dei due sa che l’una lavora per l’altro, e per uno strano scherzo del destino, la loro relazione verrà inghiottita da una turbinosa odissea.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 9
 
Quel giovedì arrivò in fretta come un folata di vento. Rebecca, accompagnata da Anna, si recò in paese per le solite compere. Quando ebbe terminato, cercò una scusa per allontanare l'amica, poi si recò al circolo indecisa se entrare o meno. Era molto ansiosa di incontrare Davide, da quella domenica sentiva il bisogno di vederlo e di riassaporare i suoi baci, non ce la faceva ad aspettare, entrò nella sala e si guardò in torno. Una delle due cameriere che la domenica scorsa con una sua collega aveva bisbigliato quelle taglienti parole, passò davanti a lei, Rebecca la fermò chiedendo se per caso sapesse di Davide.
La cameriera la riconobbe all'istante e rispose subito che non l'aveva visto, aggiungendo in modo informale: «Comunque non preoccuparti, non penso che lo coglierai con le mani nel sacco».
«Come dite?» chiese Rebecca allibita e allo stesso tempo infastidita da tanta sfacciataggine. La cameriera prima di rispondere si guardò intorno, poi prese per un braccio la ragazza e si avvicinò più a lei sibilando: «Tu sei la prima "amica" che il signorino porta qui una seconda volta, questo non è mai successo... inoltre, se sei venuta qui per tenerlo d'occhio ti avviso che questo albergo non accetta tali scandali»
Rebecca lanciò un'occhiata tagliente alla giovane e, scansato bruscamente il suo braccio, esclamò arrabbiata: «Ma che diavolo state dicendo? Per chi mi avete presa? Imparate a fare il vostro lavoro invece di intromettervi negli affari altrui!»
La cameriera cadde in un imbarazzo profondo, specialmente quando si accorse di aver catturato l’attenzione dei presenti, rimase ferma senza avere la possibilità di muoversi, guardando la giovane allontanarsi e uscire dall’albergo.
Quando Rebecca fu fuori, sentì il cuore scoppiarle in petto, le strafottenti parole di quella ragazza le avevano messo addosso un'ansia, sentì di non riuscire a calmare il respiro e in cuor suo sperò che Davide fosse giunto presto per tranquillizzarla con il suo solito sorriso e quelle rassicuranti parole che era ormai solito dirle.
Guardò l'orologio della piazza che segnava le dieci e un quarto; Anna non era ancora giunta dalla sua breve passeggiata e più in là il ragazzo che le aveva accompagnate si era addormentato, seduto sul carro.
Continuò a guardarsi intorno, poi si voltò di nuovo verso il circolo e dalla porta a vetro che faceva da entrata, vide qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere.
Il suo amato Davide stava fermo alla reception e a lui si era avvicinato una donna. Rebecca rimase impietrita trattenendo il respiro e sentendo il cuore in gola, li vide mentre parlavano, la donna sorrideva, lui sembrava alquanto serio, poi lo vide mentre le prendeva la mano e gliela baciava, vide la donna sorridere ancora e dire qualcosa, per poi allontanarsi ed essere seguita poco dopo dal giovane. Non li vide più.
Rebecca rimase ferma, con gli occhi sgranati, con la gola annodata da un grido disperato che non riusciva a trovare via di fuga per farsi sentire e gli occhi pieni di brucianti lacrime. Si sentì tremare le gambe, vocii incomprensibili invasero le sue orecchie, vide tutto intorno a sé girare e poi il buio.
 
***
 
Entrato dalla porta posteriore del circolo, Davide percorse una sala e poi un corridoio ed entrò nella portineria dell’albergo. Avvicinatosi al banco, chiese all'uomo che stava dall’altra parte se la giovane che la domenica era in sua compagnia, fosse arrivata. L'uomo scosse il capo dispiaciuto, dicendo che non l'aveva vista. Davide lo ringraziò e rimase al bancone immerso nei suoi pensieri.
Dopo il tragico segreto che gli era stato rivelato da sua madre, il giovane non riusciva a stare più in pace con se stesso e in quei giorni solo Rebecca era stato l'unico pensiero che gli aveva alleviato il dolore il quale si era impadronito del suo cuore. Non vedeva l'ora di incontrarla, gli bastavano anche solo pochi minuti nel vederla per attenuare le sue ferite.
Mentre pensava, gli si avvicinò a lui qualcuno chiamandolo per nome. Si voltò di scatto e trasalì nel vedere di chi si trattava. Davanti a lui c'era il passato, quel triste, indimenticabile passato che continuava a intrufolarsi nella sua vita, si presentò con un viso ovale, affascinante, occhi azzurro cielo e capelli ricci neri; era Virginia Spadieri, la donna che cinque anni addietro aveva voluto far parte della vita di Davide e che lei stessa dopo poco tempo lo aveva allontanato dalla sua. Ora era davanti a lui, con il sorriso sulle labbra, e con l'atteggiamento di chi si incontra tutti i giorni.
«È da tanto che non ci vediamo, Davide. Cosa c'è? Sei sorpreso di vedermi?»
«Più che sorpreso, direi incuriosito - rispose il giovane rivelando un sorriso sarcastico - Mi chiedo come mai, la nobile Virginia Spadieri stia rivolgendo la parola al... aspetta, com'era? Ah sì adesso ricordo... depravato, approfittatore, arricchito», a quelle taglienti parole, Virginia abbassò la testa sospirando.
«Volevo solo salutarti, non dovresti farlo anche tu?»
Davide la guardò «Ma certo - disse volgendole un falso sorriso, poi le prese una mano e l'avvicinò alle sue labbra senza toccarla, come si faceva con una dama nubile, - È così che si fa, vero mia signora? - continuò lui beffardo - Vedete madama, un arricchito e depravato certe cose non le immagina nemmeno. Mi chiedo come mai io le sappia».
«Immagino che non avrò mai il tuo perdono» mormorò la giovane.
«E perché mai lo vorreste? Non abbiamo niente che ci leghi per pensare al perdono» rispose lui con voce tagliente.
Virginia non ribatté, sapendo che il ragazzo non aveva tutti i torti, lo salutò con un sorriso, aggiungendo che sarebbe stata contenta se il passato venisse insabbiato e che il futuro sarebbe stato anche piacevole con un incontro accompagnato da un saluto.
«Non pensi che sia troppo tardi?» chiese indifferente Davide.
«Chi lo sa?» rispose lei, poi salutò e se ne andò seguita dallo sguardo di Davide che sbuffò e poi volgendosi all'uomo dietro al bancone disse «Penso che la signorina tarderà, lascerò un messaggio, vi prego di farglielo avere quando la vedrete».
Mentre diceva quelle parole, Davide non si accorse che Virginia si era fermata ad ascoltare, poi con fare indifferente, si era allontanato dalla reception e si era incamminato dalla stessa parte in cui era andata la ragazza, le era passato davanti e senza salutare era entrato nella sala del circolo.
Virginia Spadieri si aggiustò il guanto della mano baciata da Davide e mentre lo faceva, rivelò un sorriso fiero, poi vedendo passare una cameriera, la fermò mettendole qualcosa in mano.
«La donna che doveva incontrare il signor Campana è la stessa che ti ha rimproverata, vero?» le chiese ricordando la giovane vestita con abiti borghesi che aveva attirato l’attenzione dei presenti nonché la sua.
La cameriera sentendosi la mano piena, prima di rispondere, ne guardò il contenuto e vedendo le grandi banconote riempire il suo piccolo palmo calloso, trasalì, guardò allibita la donna, poi sorridendo rispose: «Sì, è lei.»
«Sai chi è e che cosa voleva da Campana?»
«È una ragazza povera, da quello che ho potuto capire deve essere una cameriera, il signor Davide l'ha portata qui due volte, cosa strana...»
«Perché dici questo?»
«Perché il signor Campana non ha mai portato qui la stessa ragazza due volte. Questa è la prima giovane. Figuratevi signora Spadieri, che la prima volta il signor Campana ordinò due camere invece di una. Io sono del parere che facciano sul serio»
«Credi che una sguattera insignificante come te, possa dare dei pareri?» esclamò Virginia lanciandole uno sguardo minaccioso, poi allontanatasi, si recò alla portineria e parlò a voce bassa con il giovane dietro al bancone, allungandogli una banconota.
 
***
 
Quel buio che aveva invaso gli occhi di Rebecca si dissolse a poco a poco, quando le immagini si fecero più nitide, la prima cosa che la ragazza vide furono lo sguardo e le labbra sorridenti di Sergio Valli.
«Dove sono...» balbettò con voce impastata.
«Non ti sforzare, sei nel mio ambulatorio»
«A-ambulatorio? - chiese Rebecca allibita - che ci faccio qui? Che cos'è successo?»
«Ti hanno portata Anna e Michele, hanno detto che sei inspiegabilmente svenuta per strada».
Rebecca iniziò a ricordare la scena che l'aveva portata a perdere i sensi, rabbrividì, poi si alzò dal lettino e si rimise la mantella. Sergio osservò tutti i suoi movimenti, e incuriosito chiese: «Dove vai?»
«Devo ritornare al circolo, devo vedere una persona»
«Rebecca, ti consiglio di ritornare a casa, hai qualche linea di febbre»
«Lo farò dopo aver parlato con quella persona. Grazie di tutto Sergio» detto questo uscì dall'ambulatorio lasciando il dottore incuriosito.
Quando arrivò di nuovo al circolo, ci pensò a lungo prima di entrare. Quello che voleva veramente era chiedere spiegazioni a Davide. Quella di svenire per strada era stata una reazione alquanto esagerata, in fin dei conti oltre al baciamano non aveva visto, ma soprattutto sentito, null’altro di strano. Voleva comunque avere la certezza che le sue paure fossero infondate. Sospirò, spinse la porta, entrò e si guardò intorno sperando che i suoi occhi avrebbero incrociati quelli grigio-azzurro del ragazzo. Ciò che riuscì a vedere fu il giovane portinaio che le faceva segno di avvicinarsi.
I suoi passi, anche se brevi, parvero interminabili, trascinati da uno sforzo sovrumano. Sentiva ancora la testa indolenzita e i sintomi della febbre farsi più vividi. Provò a proferir parola, non appena fu davanti al ragazzo, ma questo la precedé porgendole una lettera.
Rebecca non disse nulla e, con mani tremanti, afferrò il pezzo di carta. La saliva le si pietrificò in gola, sentiva che la paura lottava contro le sue speranze e per un istante non volle leggere. Ma gli occhi agirono autonomi e quando si posarono sul quella scrittura dritta, fredda, e priva di sentimenti, il suo cuore esplose in petto.
 
“Non voglio più vederti. Non cercarmi più.
Davide”
 
Un sospiro mozzato da un singhiozzo udì prima che un rimbombo le catturasse l’udito. Alzò lo sguardo verso il ragazzo che a sua volta la fissava apatico.
«Scusatemi, ma io... devo incontrarlo» disse la ragazza con voce soffocata dal pianto.
«Mi dispiace signorina – intervenne il giovane - ma il signor Davide ha espressamente ordinato di non farvi mettere piede qui dentro, soprattutto se cercate lui». Rebecca sentì quella frase trapassargli il cuore come una lama di un tagliente pugnale. Per un attimo si accorse di non respirare, per un attimo immaginò i dolci occhi di Davide fissarla e sorriderle, ma tramutarsi ben presto in gelido sguardo e accanto a lui vide quella giovane donna avvinghiarsi al suo braccio e portarlo via. Le due frasi scritte su quel foglio le sentì uscire dalle immaginarie labbra del giovane. Sentì brividi di freddo percorrerle tutto il corpo, non percepì più niente, vide soltanto immagini confuse passare nei suoi occhi, poi sentendo il suo corpo tremare, si accorse che era stata buttata fuori dall'albergo. Si guardò intorno smarrita e pianse senza accorgersene.
A lei si fece avanti Anna che la guardò preoccupata, le poggiò una mano sulla spalla e le chiese: «Rebecca, cosa ci fai qui? Ti avevamo lasciata dal dottor Valli, cosa è successo, perché stai piangendo?»
«Po-portami via da qui, Anna» balbettò la cuoca con la voce soffocata dal pianto.
«Ma cosa ti sta succedendo?» chiese ancora l’amica.
«Ti prego!» esclamò la ragazza con supplica. Anna tacque, l’appoggiò a sé, e l'accompagnò al carro. Ritornate a casa, la portò in camera sua senza farsi vedere da nessuno. Come furono entrate nella stanza, Rebecca rimase ferma a fissare il vuoto, Anna non parlava, non aveva il coraggio di chiederle altro, rimase solo a guardarla cercando di intuire i suoi sentimenti.
Rebecca non fece caso a lei, era immersa nei suoi pensieri, e non riusciva a dimenticare l'accaduto. A un tratto sentì che l'ansia si stava facendo più intensa, il respiro più profondo e un forte dolore allo stomaco la costrinse a vomitare.
«Rebecca!» esclamò Anna avvicinandosi a lei preocupata, ma la cuoca la fermò con un gesto della mano, rimanendo curva sul lavabo. «Rebecca ma che cos'hai? Ti prego dimmelo, mi stai facendo venire l’ansia!»
«Non preoccuparti, non è niente» rispose Rebecca sforzandosi di parlare, poi si alzò e preso un asciugamano si asciugò la bocca.
«Ma come non è niente? - continuò l'amica - Prima svieni, poi piangi disperatamente, ora dai di stomaco, che cosa...»
«Ho detto che non è niente! - la interruppe Rebecca bruscamente – Va’ in cucina, avranno bisogno di una mano, io ti raggiungerò presto».
Anna non parlò più, abbassò la testa e voltatasi si recò alla porta, prima di uscire diede un ultima occhiata all'amica poi se ne andò.
Rimasta sola, Rebecca poté sentire il suo respiro dominare il silenzio, si guardò intorno ancora una volta smarrita e, sentendosi la testa rimbombare da quelle crudeli parole, portò la mano alle tempie stringendole e ripetendo «Basta!» poi d'istinto e piena di rabbia diede un colpo al lavabo e lo buttò per terra rompendolo. Cadde in ginocchio sconfitta dal pianto e poggiata la testa sul letto diede sfogo a tutta la sua rabbia e tristezza.
 
***
 
Erano ormai passati giorni da quel tragico lunedì che aveva portato Davide e la madre a non rivolgersi più la parola. Clara rimaneva la maggior parte del tempo nella sua camera. Angelica e Mattia, si erano accorti di quella situazione e ogni giorno che passava si chiedevano: perché la loro mamma si era fatta triste e il loro amato fratello era sempre serio e silenzioso? Si accorsero anche che Gabriele Acquaviva non li andava più a trovare. Ormai in quella casa si respirava un’aria pesante e i due fratelli non riuscivano a capirne il motivo.
Quella domenica arrivò in fretta portando con se una mattina più fredda del solito. Dopo essersi alzato da dormire, Mattia si precipitò giù in soggiorno per la colazione, sperando in cuor suo di trovare tutta la famiglia riunita come ai vecchi tempi, ma non fu così. Il posto che occupava sua madre era vuoto, e il bambino si rattristò. Senza salutare, si recò al suo posto e si sedette con la testa abbassata, aspettando che la cameriera gli servisse la colazione.
Davide si accorse dell’atteggiamento del fratello, e prima di sorseggiare il suo caffè disse con voce autoritaria.
«Non ho sentito il tuo saluto, Mattia», ma il bimbo non rispose, e rimase con la testa abbassata. «Che cos’hai?» chiese allora il fratello bonariamente.
«Perché la mamma non esce più dalla sua camera?»
«Perché non sta bene» rispose Davide ostentando una certa indifferenza.
«E durerà ancora molto la sua malattia?» domandò ancora il bambino. Davide non rispose, e a quel silenzio intervenne Angelica.
«La mamma non scende perché avete litigato, vero?»
«Non sono affari che ti riguardano, Angelica» rispose severamente suo fratello.
«È così! E tu per qualche strano motivo, vuoi nasconderci il perché!» esclamò la ragazzina.
«Smettila Angelica, continua la tua colazione in silenzio!»
«E’ sempre così in questa casa! - strillò Angelica interrompendo il fratello - siamo stanchi dei vostri segreti!»
«Adesso basta!» urlò Davide, scoccandole un occhiata minacciosa che fece trasalire i due bambini e piangere Angelica «Fila in camera tua e non uscire fino a quando non te lo dirò io!».
Angelica si alzò piangendo e recatasi alla porta, si voltò verso il fratello gridando «Tu non sei nostro padre! Sei cattivo!» poi uscì sbattendo la porta. Davide era furioso, ebbe uno scatto d’ira e sbatté la tazzina del caffè sul piattino provocando un rumore fastidioso, sbuffò portando la mano alla bocca per poi passarla sugli occhi massaggiandoseli.
«Non farai più pace con la mamma?» chiese Mattia con un sibilo. Davide allontanò la mano dagli occhi e guardò suo fratello che aveva la testa abbassata e piangeva, si alzò e si avvicinò a lui, gli accarezzò il capo e lo rassicurò dicendo «Non ti preoccupare».
Mattia, senza alzare la testa, abbracciò il fratello e continuando a piangere gli sussurrò in un orecchio «Io so che tu non sei cattivo. Sei meglio tu di papà.»
A quelle parole Davide lo strinse forte a sé, e una lacrima gli scivolò dalla guancia.
 
***
 
Gli zoccoli del frisone scalpitavano sul terriccio lasciando orme calcate. Davide Campana stringeva in pugno le redini e ondeggiando in sincronia coi movimenti del destriero, guardava davanti a sé permettendo al vento gelido di sferzargli il volto. La mattina non era cominciata come lui sperava. Benché era quasi una settimana che nella sua casa regnava quell’aria pesante, fatta di silenzi che celavano tristezza, dolore e rabbia, non aveva ancora fatta l’abitudine.
Il pensiero di andare all’appuntamento con Rebecca era la sua unica via di fuga. Non erano riusciti a incontrarsi il giovedì e con tutto il suo cuore aveva atteso quella domenica. Aveva bisogno di allontanare i suoi problemi famigliari ed era convinto che solamente Rebecca potesse riuscire nel suo intento.
Quando giunse davanti alla fermata della corriera, tirò le redini per fermare il cavallo. Scese e si guardò intorno con la speranza di scorgere la figura della sua amata.
All’arrivo della prima corriera, la sua speranza vacillò. Rebecca non c’era, non giunse da nessun’altra via e soltanto verso il primo pomeriggio decise di ritornarsene a casa sua, poiché aveva aspettato invano. Un guizzo di collera lo pervase a quel punto. Perché non si erano detti nient’altro della loro vita? Avevano giaciuto insieme, perché non le aveva chiesto dove abitasse, o dove lavorasse e lui perché non le aveva raccontato nulla di sé. In quel momento si rese conto che non si erano nemmeno detti i loro cognomi. A quell’ora, lui avrebbe saputo dove trovarla. Come poteva essere stato così accecato dalla passione? Dopo l’esperienza con Virginia, aveva imparato ad usare la logica e non permettere ad altri sentimenti di scalfirlo, ma era bastata quella ragazza per far crollare la sua fortezza. Davide si sentì frustrato, ma a un tratto decise di recarsi al circolo e chiedere al portinaio se almeno il suo biglietto fosse giunto nelle sue mani. Quel giovedì le aveva lasciato un messaggio dove la informava che l’avrebbe aspettata la domenica mattina alla fermata della corriera.
Il portinaio, non appena lo vide, perse la sua aria apatica e con voce indecisa, rispose: «Certo, signore. La ragazza ha preso il suo biglietto lo stesso giorno che lo scriveste, ma… ecco… me ne ha consegnato un altro.»
«Bene.» rispose Davide con tono sollevato «Potresti darmelo, allora.», e allungò la mano verso di lui.
Il portinaio guardò il palmo deglutendo a fatica, poi come se tirato da fili di un marionettista estrasse la lettera dalla tasca e preso da tremolii la consegnò a Campana.
Davide non fece caso a quegli strani comportamenti, afferrò il pezzo di carta sgualcito e lo lesse.
 
“Scordarti che esisto. Non cercarmi più”
 
Per un istante le mani del giovane tremarono.
Gli occhi grigio azzurri puntarono come frecce al bersaglio quelle scritte e dalle sue labbra serrate si udì il suono dei denti digrignati.
Le narici si aprirono per resistere al respiro pungente a causa di quelle lacrime di delusione, di dolore.
Davide strinse in mano il foglietto e senza aggiungere altro uscì dall’albergo. Si ritrovò sotto la pioggia, con lo sguardo rivolto verso la fontana della piazza, dove una notte non lontana aveva ripreso ad amare e dove in quello stesso momento aveva capito di essersi illuso e di essere stato uno sciocco.
Scordati che esisto. Ricordò e con un sibilo di voce disse: «Sarà facile scordarti. Non esisti, l’amore…non esiste»
Sapeva, però, di sbagliarsi.


NDA: Buonaserata a tutti/e. Scusatemi per il ritardo, ma sono ancora preda del blocco dello scrittore e per buttar giù questo capitolo è stata un'impresa. Spero comunque che la storia vi stia piacendo, mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima!

 
   
 
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