Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: shirupandasarunekotenshi    07/06/2020    0 recensioni
Fanfic ambientata in seguito agli eventi raccontati nell'oav "Message". Ryo e i nakama si sono ritrovati e capiscono che non possono più separarsi e che il senso della loro esistenza lo troveranno solo nello stare insieme. Ma Realizzare tale sogno potrebbe non rivelarsi così semplice.
Dinamiche polyamorose. Non si trova tra la opzioni così lo diciamo nell'introduzione: possiamo definirla una fivesome più che threesome :P
Questa fanfic andrebbe letta dopo la nostra "Owari no mae ni owari".
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Kento Rei Faun, Rowen Hashiba, Ryo Sanada, Sage Date
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Threesome
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CAPITOLO 17
 
La notte era scesa anche sulla chiassosa Osaka, che non dormiva all'esterno, ma in qualche casa fu accompagnata dal silenzio.
Apparentemente anche l'abitazione di Touma era addormentata e muta ma, nella stanza del ragazzo, due figure erano sedute l'una accanto all'altra, sul letto.
Shin si abbracciava le gambe, una guancia posata sulle ginocchia, ed osservava il compagno.
“Allora hai proprio deciso? Usciamo adesso e prendiamo il primo treno?”.
Mani sul materasso, naso per aria, Touma mosse le labbra nel vuoto, come se stesse baciandolo. In realtà era pensieroso.
“Non so mai come salutare bene quei due... è meglio lasciare un messaggio”.
E poi la giornata passata era stata così strana, piena...
Shin sorrise, comprensivo, strofinando appena la guancia sulla gamba, in una delle sue espressioni a un tempo più tenere e buffe.
“E poi... hai fretta... vero?”.
Un piccolo colpo di spalla contro spalla.
“Un po’...”.
Quando Touma si ritrasse dal contatto, Shin lo inseguì con il proprio corpo e le spalle si appiccicarono di nuovo, per non staccarsi più, anche perché Shin intrappolò il compagno lasciando cadere sulla sua spalla il proprio capo.
“Anche io, sai? Non potrei assolutamente dormire stanotte”.
Touma soffiò appena sulla guancia scoperta del compagno.
“Nemmeno io. Non questa notte...”.
Il naso all'insù di Shin si arricciò e il ragazzo lo strofinò contro la spalla del compagno, sulla quale soffocò anche uno starnuto.
“Scusa...” borbottò, coprendosi il viso con una mano.
La mano di Touma si posò sul suo nasino, strinse e non disse nulla. Poi sospirò di nuovo, si guardò attorno e aprì bocca:
“Allora, andiamo?”.
Shin annuì e sorrise.
“Io sono pronto... non ho disfatto i bagagli... tu hai preparato tutto?”.
“Anche se ti sembrerà strano, quello che posso portare è pronto...” Touma fece un sorriso sghembo. “Per il resto, chiederò loro di mandare dei pacchi via posta”.
Shin fece una linguaccia sbarazzina.
“Non oso immaginare quanti saranno questi... pacchi”.
“Chiedo perdono se sono un ossessivo-compulsivo con l'acquisto di libri. È più forte di me”. Che faccia tosta.
Altra linguaccia condita da una piccola smorfia.
Touma sembrò per un attimo preoccupato.
“C'è una soluzione a tutto. Anche all'invasione dei miei libri”.
Shin si morse le labbra per non ridere.
“Oh, sì... accatastare scatoloni in giardino... ma temo che sia limitato anche quello spazio”.
“Non parlavo di quello” fece Touma alzandosi e trascinando con sé Shin. “So incastrare bene negli spazi, se voglio. Anche se non ti sembra”.
Shin agganciò le proprie mani alle sue, mettendosi in piedi.
“A giudicare dalle condizioni in cui si trovava la casa... non si direbbe”.
“Ma ora ho un motivo per essere più ordinato. Tu e Seiji soprattutto”.
Shin sollevò le sue mani e si tese fino ad appoggiare i loro due nasi.
“Hai paura, eh?”
“Di Seiji” fece l'altro con assoluta sincerità. “Ma per te è diverso. Lo faccio perché avrai da fare già con Shu e Ryo. Soprattutto con Ryo”.
Shin si alzò in punta di piedi e fece un ringhietto poco credibile, schiacciando la punta del proprio naso contro quello di Touma.
“Vorresti dire che non hai paura di me?”.
“Anche se cerchi di fare l'orchetta, beh... me l'hai detto tu che non è un mammifero pericoloso. Quindi, no”.
Shin si sollevò ancora di più e si sbilanciò in avanti, facendo incurvare la schiena di Touma all'indietro. Ormai erano praticamente incollati e Shin tentò di accentuare il proprio ringhio:
“Nessunanessunanessuna?”.
Troppo facile, troppo allettante.
Touma chinò un poco il viso e sfiorò le labbra di Shin con le proprie.
“Nessuna, mi spiace”.
Shin sobbalzò, ricadde all'indietro, i piedi di nuovo a terra e lo fissò, occhi sgranati e labbra socchiuse, le palpebre tremolanti e l'immancabile colore dell'imbarazzo che gli dipingeva il viso.
Poi, dopo un po', arricciò le labbra e la sua voce morbida bisbigliò:
“Non faccio... proprio... nessuna paura? Ma io sono un samurai...”.
Che buffo piccolo pesce. Altro che orca, ora.
“Beh, quando mi minacci con la mancanza di cibo, sì”.
Il guerriero dell'acqua si rialzò di scatto in punta di piedi, i loro nasi furono di nuovo incollati e sotto al velo di rossore ricomparve un tentativo poco riuscito di sguardo feroce.
“Bene, allora attento a quello che fai o finirai in dieta forzata!”.
Touma si picchiò una mano sul petto, teatralmente dicendo non sia mai!, per poi afferrare una delle valige – la più pesante, quella dei libri - e uscire dalla camera.
“Ehi, aspettami!”.
L'intento di Shin era quello di urlargli dietro, ma fu un richiamo bisbigliato, perché sarebbe stato maleducato mettersi ad urlare in casa d'altri nel pieno della notte.
Diede un'occhiata veloce intorno, trovò il suo bagaglio, mise velocemente all'interno le poche cose tirate fuori, quindi scomparve dietro a Touma, oltre la soglia.
 
***
 
Per Seiji si era trattato di un viaggio lungo, malinconico... un po' penoso.
Aveva contato ora per ora immaginando, attimo per attimo, la sua casa... la sua ex casa... che si svegliava.
Aveva provato ad immaginare come avrebbe reagito ciascuno dei suoi familiari notando la sua assenza... e poi leggendo il suo biglietto.
Ad ogni immagine che si presentava alla sua mente, il suo sguardo si incupiva sempre di più, mentre il paesaggio correva davanti ai suoi occhi, oltre il finestrino.
Alla stazione di Tokyo prese la metropolitana in direzione Ueno e tentò di chiudere i sensi alla confusione che lo circondava, obbligandosi a pensare che, da quel momento in poi, avrebbe dovuto conviverci.
Ed era stata una sua scelta, non lo rimpiangeva, il suo posto era insieme ai nakama, la casa di Shin sarebbe stata la sua casa...
E una delle prime cose da fare sarebbe stata avere una copia di chiavi a testa, così nessuno sarebbe stato costretto ad attendere per poter rientrare a casa propria.
Sbuffò.
Poteva solo sperare che Shin e Touma avrebbero fatto il prima possibile: anche se lui aveva voluto tranquillizzarli, la prospettiva di passare ore e ore in mezzo alla folla di gente, seppur sotto la pioggia di petali di ciliegio, non era esaltante.
Il suo umore non era al meglio, altrimenti il pensiero della bellezza primaverile sarebbe prevalso, in lui, rispetto a quello della folla.
Camminò, trascinandosi dietro i propri pochi bagagli, fino al parco, lo sguardo basso e un poco perso, quasi tentasse di non incrociare il viso di nessuno.
Andò a sedersi presso la statua di Saigo Takamori e, un libro tra le mani, si impose di immergersi unicamente nelle pagine.
Peccato che la sua mente collaborasse davvero poco e il desiderio di vedere i suoi nakama si affacciasse con insistenza al suo spirito, cancellando ogni ricordo di quelle righe d'inchiostro al momento, per lui, del tutto prive di significato.
 
***
 
La stazione di Tokyo, quel mattino, sembrava un formicaio addormentato da un lungo letargo.
Ok, era la primavera.
Ok, c'erano i ciliegi.
Faceva freddo, ma il tempo era bello.
In realtà Touma e Shin avevano fretta di arrivare da Seiji e quella lentezza atipica dei tokiensi era davvero snervante.
“Mi sembra di essere una lumaca addormentata” borbottò per l'ennesima volta Touma, arricciando il naso e trascinando la valigia tra la folla come se fosse un'arma pronta all'uso. E Shin dietro a lui con aria stanca e un pizzico divertita: quando voleva, Touma sapeva essere un esserino acidello e buffo assieme.
“Pazienza, Tou-chan... pazienza...” mormorò con un sorriso malinconico e ringraziando che ci fosse il suo compagno accanto a lui. Essere insieme leniva un po' l'amarezza al pensiero di incontrare un nakama che, di sicuro, andava confortato.
Shin posò gli occhi su uno dei tabelloni.
“Se non si muovono, però, rischiamo di perdere il treno: è già in arrivo”.
I nervi di Touma dovevano essere ben allenati per non saltare subito, ma lo sguardo torvo non aiutava.
“La primavera è fuori, non in stazione!” sbottò in mezzo alla folla che si era bloccata davanti ai tornelli d'entrata della metropolitana. Non aveva remore a far muovere quelle lumache per giungere al proprio scopo.
Di fronte alle occhiate colme di disappunto che i due si videro rivolgere, Shin avrebbe voluto scomparire e, in altre circostanze, avrebbe rimproverato Touma con decisione: eppure quella volta sentiva che il compagno non aveva proprio torto.
Avevano fretta, non potevano perdere quel treno, Seiji probabilmente era già al parco che li aspettava, ad affrontare da solo la propria tristezza.
Allora chinò il capo con umiltà ed implorò, con la sua vocina più educata:
“Vi prego, per noi è vitale prendere il treno che sta arrivando, non possiamo rischiare di perderlo”.
Touma arricciò il naso, ma gli astanti si spostarono e loro poterono vidimare i biglietti e correre verso il binario loro assegnato.
“Sei un utilissimo diplomatico, pesciolino...”.
“L'educazione fa miracoli” rispose Shin, scapicollandosi lungo la via lasciata libera, superando ben presto Touma, molto più carico di lui. “Dai, sbrigati!”.
Touma sospirò, lo raggiunse e gli si incollò addosso con la valigia.
“Bisogna lasciare spazio agli altri, no?” cercò di addolcire l'occhiataccia rivolta da Shin, stretto tra Touma e un palo della carrozza.
Ben presto la vettura si riempì e le spinte dei passeggeri li incollarono del tutto l'uno all'altro, completando il lavoro iniziato da Touma.
“Hai fatto la tua, eh?” brontolò Shin.
Touma si lasciò andare a una risatina.
“Non ti piace il mio corpo addosso?” gli sussurrò con tanta, troppa aria da schiaffi.
Shin avvampò... e quel che era peggio, il calore gli invase tutte le membra.
“Non dire queste cose!”.
Touma si morse la lingua, poi soffiò sui capelli di Shin e sussurrò nuovamente:
“Era solo per allentare un po’ la mia tensione... scusa...”.
No... se poi faceva così il gentile, il tenero... non si rendeva conto che peggiorava la situazione?
Disincastrò a fatica le mani dalla trappola umana formatasi intorno a lui e se le portò al volto, soffocando il pigolio che gli sfuggì, suo malgrado:
“Vivremo insieme... davvero tutti insieme...”.
Touma lo guardò silenzioso, poi poggiò il proprio mento su quel capo scombussolato. “Certo che sì. Per sempre insieme”.
Non parlarono più, entrambi cullati dalla reciproca vicinanza, finché il treno non giunse alla stazione di Ueno.
Shin attese che Touma si staccasse da lui, per seguirlo sul marciapiede.
“Sei sicuro che proprio non vuoi una mano con i bagagli?” gli chiese, con gentilezza.
“No, certo che no. Il peso della cultura lascialo alle mie spalle e alle mie braccia. Tu aprimi solo la strada”.
Un occhiolino e l'aria completamente tranquilla contrastavano con l'ombra inquieta nei suoi occhi: ora il suo pensiero era solo Seiji.
Trovarlo, abbracciarlo e non lasciarlo piú.
 
 
***
 
La riga sulla quale gli occhi di Seiji erano posati, venne improvvisamente coperta da un petalo di ciliegio giunto a fargli visita, l'unico sfuggito al vortice rosa sollevatosi poco lontano. Il ragazzo lo fissò per qualche istante, privo di ogni espressione, solo per rendersi conto che quella riga non la stava affatto leggendo.
Da quanto era fermo su un'unica, interminabile pagina?
Sospirò e chiuse il volume, lasciando che il petalo rimanesse lì in mezzo, ad eternare la propria bellezza.
Era inutile tenere gli occhi su qualcosa che non si era predisposti a capire... non in quel momento, per lo meno.
Spostò lo sguardo verso l'alto, osservando una nube che correva veloce, poi le sue iridi viola si posarono sul volto bronzeo di Saigo-sama e lo fissarono intensamente, alla ricerca di risposte che l'antico eroe nazionale, ovviamente, non poteva dargli.
In realtà non sapeva neanche bene cosa chiedersi, quale problema fosse realmente prioritario; c'erano molte considerazioni da fare, la propria sussistenza, la scuola... cose che aveva dato per scontate.
Certo, sarebbe stato con i suoi nakama, ma... aveva sempre riflettuto così poco sui lati pratici dell'esistenza, tanto che gli sembrava più facile agire da samurai.
Si appoggiò all'indietro, chiudendo gli occhi, mentre un altro petalo si posava sul suo ciuffo, ignorato.
Ma non ignorarono quella scena le due paia di occhi che lo scorsero da poco distante e rimasero così, in malinconica contemplazione.
Incerti, titubanti, Shin e Touma si fermarono a guardarlo da poco lungi, senza trovare il coraggio di palesare la propria presenza.
Era stato inevitabile per Seiji.
Era di quello che parlava la sua malinconica presenza.
La telefonata era stata solo un preludio, un tentativo di prepararli, ma...
Ma quando un refolo di vento li scosse con energia, come una spinta ad andare, a muoversi, essi si mossero. E si ritrovarono solo a un soffio da lui.
Senza parole.
“Seiji...”.
Non era la prima volta che Seiji percepiva quel tocco, quella voce che accarezzava la sua mente senza parlare, la stessa voce che aveva lottato, guidato gli altri nakama, per sottrarlo all'abisso nel quale stava affogando quando era in coma.
Caro Shin...
La sua empatia giungeva anche al di là della sua volontà, faceva percepire la sua discreta presenza anche quando se ne stava immobile e muto nel timore di recare disturbo.
Le palpebre di Seiji tremarono un poco, poi si schiusero e, se la voce mentale di Shin aveva toccato per prima i suoi sensi, il primo volto che vide fu quello concentrato, quel bizzarro miscuglio di ostentata seriosità da adulto e innocenza, di Touma, con i suoi occhi color del cielo.
 
Ma Touma non era Shin.
Lui non era così bravo con la mente.
Non così.
Lui era cervello più che mente, se l'era sempre sentito.
L'aveva sempre dimostrato.
Voleva abbracciarlo, ora e subito. Ma per Seiji sarebbe stato imbarazzante e poi, come minimo, Touma sarebbe stato così stupido da mettersi a piangere, perché aveva quella voglia da quando aveva messo giù quel dannato telefono.
“Oh, siete arrivati, non vi avevo sentito”.
Seiji li salutò sorridendo, il volto sollevato sicuro verso di loro che, in piedi, lo sovrastavano e l'ultima cosa che desiderava era mostrarsi vulnerabile: un po' perché non aveva mai imparato realmente a farlo, a vincere la vergogna che provava ogni volta che si mostrava fragile, un po' perché non voleva rovinare il momento del loro incontro.
Avrebbero vissuto tutti assieme, niente e nessuno li avrebbe mai più separati ed era la cosa più importante... nonostante tutto.
 
Perché sei così testardo? Perché sei così, Seiji? E perché io sono una scatola così poco ermetica?
Touma si morse le labbra, segno che non avrebbe saputo tenersi dentro quello che gli turbinava nella mente, nello stomaco, nel cuore.
E c'era Shin, così avvezzo a mettere da parte la propria stessa ansia per assumere il ruolo di cuscinetto, per attutire la tempesta quando stava per esplodere.
Shin intuì ogni cosa: il bisogno che Seiji aveva di non crollare, non in quel momento, l'impossibilità di Touma di resistere, il suo prossimo crollo...
Così, non sapendo bene cosa avrebbe fatto, si slanciò in avanti, afferrò la mano di Seiji e lo strattonò verso l'alto, per poi trascinarlo, tirando fuori una voce tanto squillante e spensierata da ricordare il trillo di un passerotto allegro:
“Andiamo a fare colazione, sto morendo di fame, la nostra prima colazione da coinquilini, dobbiamo pensare a come organizzare tutto, a come accogliere i due ritardatari!”.
Touma li guardò andare solo per un attimo, prima di seguirli, un po’ smarrito, un po’ sull'orlo delle lacrime, ma ancora senza una parola.
Seiji, che non aveva opposto a Shin la minima resistenza, grato fin dal profondo del cuore per quel suo tentativo, si voltò indietro ed incrociò gli occhi del compagno, cercando di mostrarsi rassicurante, mentre lo chiamava:
“Dai, Touma, vieni!”
No, non quello sguardo.
Era lì che gli chiedeva di essere tranquillo, di sorridere, di essere comunque felice con loro.
Si morse un labbro, inspirò a fondo, ma non pianse e seguì i propri compagni. A fare spese, a correre sulla metro e, infine, al rientro a casa.
Quando Touma li ebbe raggiunti, di nuovo l'intuito di Shin entrò in azione: forse per Seiji sarebbe stato più facile tenere sotto controllo Touma se fossero rimasti un po' isolati. Con decisione che non lasciava spazio a nessuna protesta, strinse i pugni sul bagaglio di Touma e glielo strappò letteralmente dalle mani.
“Adesso lo porto un po' io!”.
E, fingendo di scappare, corse in avanti, per rallentare solo dopo qualche passo, quando fu certo di averli distanziati abbastanza da garantire loro una sufficiente intimità.
Seiji comprese al volo e ridacchiò.
“Quando ci si mette sa essere peste come Shu” mormorò, lieto perché l'atteggiamento di Shin riusciva davvero ad alleggerirlo un poco.
Ma Touma non era bravo nemmeno in quello.
Fingere che andasse tutto bene, che non ci fossero problemi, che Seiji stesse bene... non riusciva a sorridere, no.
“Farebbe qualsiasi cosa...” sussurrò, chinando il capo.
“L'hai capito anche tu, eh?” ribatté Seiji, senza smettere di sorridere.
Poi portò il proprio sguardo su Touma.
“Ma con te, oggi, pare non avere molto successo”.
Accompagnò le parole accostandosi più a lui e prendendolo sottobraccio, un gesto talmente confidenziale per uno come Seiji da risultare pressoché incredibile in un luogo pubblico e decisamente frequentato.
Touma sobbalzò, alzò il capo e lo riabbassò nel giro di pochi istanti.
Non doveva, non così.
Doveva essere lui quello che... lo aiutava.
E invece, come al solito, non poteva fare nulla.
Poi, Seiji lo colse ancora di sorpresa.
“Mi sento stranamente libero, sai? È incredibile come un semplice gesto di vicinanza basti a farti sentire meno... rigidamente tradizionale”.
Non sapeva neanche lui perché avesse pronunciato simili parole, ma di sicuro non mentiva; certo, voleva rassicurare Touma, ma in fondo era vero che si sentiva libero, anche se stava omettendo molti particolari di ciò che tale libertà poteva comportare per lui – non ultimo sentimento la sensazione di precipitare nel vuoto, o in un buco nero senza fondo.
No... nero no...
Niente sarebbe stato privo di luce, finché ci fossero stati loro.
 
“Perché vuoi tirarmi su il morale?”.
Touma non sopportava quando tentavano di rallegrarlo e non c'era, non completamente, la serenità.
Seiji sospirò, avrebbe dovuto immaginare una simile reazione; la presa sul suo braccio si fece più intensa.
“Perché io voglio essere su di morale, Panda... parleremo, ci sono questioni che devo affrontare, è vero, ma non voglio che mi distruggano la vita... ci sono io e ci siete voi... soprattutto ci siamo noi, ed è ciò che conta di più. A tutto il resto... troverò una soluzione. Solo una cosa mi farebbe sentire davvero senza speranza... una sola cosa al mondo...”.
Il capo di Touma tremò, gli occhi si socchiusero, già bagnati: non riusciva, davvero, a trovare un poco di serenità, ora?
Seiji ne aveva bisogno.
Seiji aveva bisogno anche di lui.
E lui non era di alcun aiuto.
“S-scusami...”.
Le labbra di Seiji emisero uno sbuffo spazientito e scherzoso al tempo stesso.
“Scusarti perché ti preoccupi per me? Sarei un ingrato e invece mi ritengo il più fortunato del mondo; non ho niente da recriminare, davvero, la mia coscienza è a posto, perché so che era l'unica scelta che potevo fare. Se ho una speranza di felicità è nell'esistenza che ho scelto, non ne avrei avuta alcuna nell'altra. Forse, se non vi avessi mai conosciuti, allora avrei potuto illudermi di una fittizia felicità, ma con voi ho la sola speranza della felicità autentica... che non è mai priva di tristezze e rinunce... lo sai bene anche tu”.
Touma si morse le labbra, doveva cercare di sorridere, di mostrare un po’ di energia positiva, ma...
Venne fuori una smorfia, un cipiglio tutto strano, tutto panda, ma parecchio ambiguo.
Era il tipo di espressione alla quale Seiji non sapeva resistere. Sorrise ed allungò una mano ad arruffargli i capelli.
“Mi sei mancato, panda. Come facevamo un tempo a stare lontani per mesi, quando è bastato un giorno a rendermi insopportabile la distanza?”.
Il capo di Touma si irrigidì, per poi sciogliersi sotto quei polpastrelli dolci e morbidi. Il suo tocco, sempre ben dosato, mai impertinente come il suo, mai molesto come il suo era... la sua medicina.
“Non chiedermi le cose che non so” mormorò tra le labbra appena socchiuse.
Seiji ridacchiò, pizzicandogli la guancia più vicina.
“Non si sa mai... magari il tuo QI aveva una risposta anche per questo”.
Touma scosse ancora la testa, nascondendo il rossore e un sospiro, senza nemmeno tentare di sfiorare quella mano tanto carezzevole.
Non voleva irritarlo, né imbarazzarlo.
Non era il momento, non ancora. Voleva tornare a casa, alla loro.
Gli occhi di Seiji si levarono al cielo e le sue labbra sbuffarono.
“Quando saremo a casa, saprò come farti sciogliere. Ma dov'è Shin?”.
Si era improvvisamente reso conto che il compagno non era più davanti a loro, sembrava scomparso nel nulla.
Touma si alzò sulle punte, sovrastando le persone attorno a loro: scorse, poco più in là, accanto a un banchetto di dolci, il ragazzo dell'Acqua.
“Shin!” chiamò a gran voce, facendo voltare ogni persona lì accanto - e mettendo in imbarazzo il compagno che, una volta raggiunto, lo apostrofò:
“Non c'è bisogno di urlare! Ti ho preso questi, contento? Ma lasciane qualcuno a Shu!”.
E posò sulla mano tesa di Touma un sacchetto colmo di morbidi panda commestibili.
Quando Touma li vide, storse il naso in modo buffo.
“Devo fare il cannibale?”.
Shin si mise le mani sui fianchi e si erse con la sua espressione più da mammina irritata che potesse venirgli fuori:
“Io mica faccio tante storie quando mi regali dei tayaki!”.
“Quanto è vero. Che il pesciolino mi perdoni” una linguaccia e Touma aveva preso il suo solito fare monello. Si infilò uno dei dolci in bocca, in un solo boccone, poi prese per mano entrambi i ragazzi e li trascinò in direzione della metro.
“Hasa...” bofonchiò, cercando di non soffocare.
  
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