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Autore: Shichan    12/08/2009    3 recensioni
[South Korea centric]
In primis, comunque, Yao che aveva notato per primo quello strano comportamento, era rimasto perplesso dall'atteggiamento: perché Yong Soo era un bambino egocentrico.
Lui, che voleva sempre l'attenzione del maggiore, e si metteva in competizione per ottenerla, era strano decidesse di imitare qualcuno.
Dopotutto, pensava Yao, era come ammettere che quel qualcuno era migliore. E, suvvia, Yong Soo non aveva mai dato cenno di pensare una cosa del genere di nessuno dei suoi fratelli.
Tanto ora, quanto una volta.
Eppure un giorno, chissà per quale motivo, Yong Soo aveva guardato Kiku e lo aveva imitato.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cina/Yao Wang, Giappone/Kiku Honda, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi utilizzati sono copyright di Hidekaz Himaruya

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La canzone in apertura è "Over and Out" degli Alkaline Trio.

Note: viva le shot che escono dal nullaaaa *apre champagne* ok, siamo seri.

Scrivo una shot su Hetalia, e giustamente ho il bisogno psico-fisico ci scriverla su un pg mai apparso, attorniato da altri pg mai apparsi *-*" *se c’erano nella prima serie, lei dormiva*

Mi scuso quindi per eventuali OOC, fatemeli notare e siate senza pietà (vanno bene anche i pomodori, li riciclo per cena <3) *__*"

Personaggi: Corea del Sud (Im Yong Soo), Taiwan (...date un nome a questa donna!), Hong Kong (...anche a lui!), Cina (Yao Wong), Giappone (Kiku Honda); Corea centric.

 

Imitation

 

 

Run for cover, as fast as you can,

where fighters are lovers,

enemies are friends.

And guns and knives apologize

for leaving you.

 

Run for cover and you'll find us there,

we'll take out the anguish,

make it disappear.

 

 

Il vizio di copiare le cose che facevano gli altri, Yong Soo lo aveva preso da bambino, assumendolo lentamente come proprio atteggiamento.

Era stato qualcosa di istintivo, che non riconosci se non quando ormai è così radicato in te che - come tutte le brutte abitudini - non sai più liberartene. Era cominciato tutto quando aveva iniziato ad imitare i fratelli.

Strano, poi: perché Yong Soo di fratelli e sorelle ne aveva tanti - c'erano Hong Kong, Taiwan e certamente non bisognava dimenticare Yao - eppure dopo aver provato con loro, aveva iniziato ad imitare anche Kiku.

Tra tutti loro, la scelta era vasta pur escludendo Taiwan - era una ragazza, e lui non imitava certo le femmine!

In primis, comunque, Yao che aveva notato per primo quello strano comportamento, era rimasto perplesso dall'atteggiamento: perché Yong Soo era un bambino egocentrico.

Lui, che voleva sempre l'attenzione del maggiore, e si metteva in competizione per ottenerla, era strano decidesse di imitare qualcuno.

Dopotutto, pensava Yao, era come ammettere che quel qualcuno era migliore. E, suvvia, Yong Soo non aveva mai dato cenno di pensare una cosa del genere di nessuno dei suoi fratelli.

Tanto ora, quanto una volta.

Eppure un giorno, chissà per quale motivo, Yong Soo aveva guardato Kiku e lo aveva imitato - era solo un gioco, e nessuno vi aveva dato peso. Forse, avevano pensato, impara osservando e facendo gli stessi movimenti.

Ma Yong Soo continuava.

«Fratello,» diceva a volte Kiku rivolgendosi a Yao: «vado a fare una passeggiata.» avvisava, con quei suoi modi rispettosi e formali - a volte anche troppo, ma Yao sapeva che era fatto così.

Anch'io!, era la frase fatidica, che seguiva sempre la voce del giapponese.

Poi, Kiku rientrava e mangiava.

E allora, che avesse già pranzato o meno, anche Yong Soo mangiava.

Nei pomeriggi assolati, in cui Taiwan disegnava canticchiando sommessamente con la voce limpida e Hong Kong semplicemente la osservava, Yao controllava che tutti i suoi fratelli fossero tranquilli. Allora, capitava che Kiku - ancora nel pieno apprendimento del sistema di scrittura in kanji - approfittasse di quel tempo libero per esercitarsi.

Ed anche in quel momento, accadeva che Yong Soo sistemasse il leggio, prendesse il pennello e scrivesse: Yao sapeva che non ne aveva davvero bisogno, che aveva assimilato la scrittura.

Ma Yong Soo scriveva finché era Kiku a farlo.

Fintanto che erano felici di passare il tempo pacificamente in quel modo, Yao aveva deciso di non interferire e lasciare che crescessero a modo loro, con uno spirito libero di spaziare nell'aria proprio come il vento - e d'altronde, la sua cultura anelava la libertà dell'animo in ogni momento. Era il motivo per cui, quando sarebbe stato il tempo, li avrebbe lasciati andare.

Avrebbe lasciato che scegliessero la loro via da seguire e la loro vita da vivere.

Eppure, Yong Soo lo faceva per un motivo; non pensava che suo fratello Kiku fosse di molto migliore di lui.

Certo, forse era più pacato: ma anche Hong Kong lo era e a suo modo anche sua sorella, e lui era fierissimo di essere così entusiasta. Per lui, pacatezza e noia erano sinonimi.

E - era vero - forse Kiku combinava meno guai di lui.

Ma Yong Soo aveva notato che c'era qualcosa che il giapponese faceva, che gli procurava elogi da parte del maggiore.

Anche lui voleva essere elogiato da Yao.

 

 

L'abitudine, lentamente era divenuta un vizio che - per troppa accondiscendenza - Yao non aveva corretto tempestivamente.

Yong Soo, per contro, aveva presto imparato almeno a mascherarlo... all'inizio. La sua esuberanza spesso lo tradiva, troppo parte della sua indole per non far sì che si vantasse apertamente tradendosi spesso persino di fronte ai fratelli stessi.

Yao lo rimproverava, perché era lui in dovere di farlo, essendo il maggiore con più esperienza fra tutti loro; tuttavia, lo riconosceva, le intenzioni di Yong Soo non erano cattive.

Per questo, una sera prese Kiku da parte, approfittando del fatto che il coreano e Hong Kong stessero dibattendo - Yong Soo strepitava le sue opinioni, e Hong Kong semplicemente lo fissava in silenzio - su un argomento non eccessivamente serio.

Vedeva, dalla postazione scelta volutamente, Taiwan sorridere e a volte ridere sommessamente; questo lo tranquillizzava, permettendogli di concentrarsi del tutto su Kiku, che in silenzio aspettava.

Portò lo sguardo sul minore, ma per poco, spostandolo poi verso il cielo.

Ponderava quali parole usare, ma il giapponese lo sorprese parlando per primo: «Fratello, per quale motivo Yong Soo continua ad imitare quello che faccio?» gli aveva domandato.

Non sembrava eccessivamente seccato dalla situazione e, in fondo, era nel suo carattere rimanere piuttosto vago sulle risposte e sui suoi pensieri.

Yao ridacchiò sommessamente: «Allora te ne eri accorto anche tu, aru?» chiese con una nota divertita nel tono di voce.

Kiku non rispose, ma era ovvio che se ne fosse accorto dopo anni in cui era cresciuto con i fratelli e dunque anche con Yong Soo.

«Forse ti ammira?» buttò lì casualmente, con semplicità.

«Ammirarmi?» il tono del minore era scettico. Yao non poteva dargli torto, ma toccava a lui spiegare quello che ai minori non era evidente.

«Yong Soo imitava anche me, aru.» confessò, l'espressione di Kiku si mostrava apertamente sorpresa per la prima volta: «Davvero?» si lasciò sfuggire fra le labbra.

Yao, poggiato con il peso sulle braccia a contatto con il legno su cui sedevano, lo sguardo ancora al cielo annuì. Era abitudine del maggiore - aveva notato - parlare guardando la volta celeste.

«Davvero.» confermò, con un sospiro calmo: «Yong Soo è così, lui imita le persone che gli piacciono, aru. Non che si senta inferiore, ma è il modo con cui ti dice che approva ciò che fai, aru.» spiegò.

Kiku ascoltava attentamente, ma non comprendeva del tutto.

«Non capisco del tutto.» ammise.

«Aiya.» sbuffò appena Yao: «Dunque, ti farò degli esempi perché sia più chiaro, aru.» disse chiudendosi per un po' nel silenzio.

Non passò molto, comunque, perché parlasse di nuovo: «C'era un periodo in cui sedeva sempre in silenzio come Hong Kong, aru. Pensava che lo rendesse interessante, credo. E imitava me, nel modo di parlare, aru.» aggiunse.

Kiku annuì appena: «Ora imita te, ma non sa ancora in cosa. Quindi tutto, aru.» concluse semplicemente. Il minore aggrottò le sopracciglia, confuso: «Ma non imita più il modo di parlare, ora non dice più quello che dici tu.»

«Perché è difficile, quando non è istintivo, aru.» fece Yao con ovvietà.

Kiku parve analizzare la cosa: «Parla spesso, ma Hong Kong è ancora silenzioso.» suggerì. Yao ridacchiò con fare decisamente divertito: «La natura di Yong Soo è energia, è voce costante. Si annoia, ad imitare Hong Kong, aru.»

«Non fa le cose che fa nostra sorella, però.» fece notare infine riferendosi a Taiwan, notandolo solo in quel momento.

Yao, che sembrava non aspettare altro che quella osservazione rise di nuovo, una sfumatura di dolcezza nella risata: «Non puoi imitare la gentilezza e la bontà d'animo, aru.»

 

 

Da allora, quando Kiku vedeva Yong Soo seguirlo a distanza, oppure copiare qualche suo movimento abituale - a volte risultando buffo, non riuscendovi - si ritrovava ad incurvare appena le labbra in un sorriso istintivo.

Alla luce del significato che quell'atteggiamento aveva, si sentiva non tanto onorato - l'onore formale di un uomo che riconosce i tuoi meriti non era cosa per fratelli, pensava - ma felice.

Felice di quei fratelli così diversi.

Felice del silenzio di Hong Kong quando, senza un motivo apparente, sedeva al suo fianco ad osservare il sole che tramontava; lieto della timida compagnia della sorella, che portava con sé l'odore del thé che aveva preso l'abitudine di servirgli e l'odore di buono, di casa - Yao aveva detto che era il profumo di tutte le donne, era odore di amore, fedeltà e famiglia.

Felice delle parole che Yao rivolgeva a tutti loro, del modo che aveva di tenerli uniti.

E - ma dirlo non aveva senso, aveva imparato che spesso le parole rovinavano l'uomo e i suoi legami - era felice, che Yong Soo comunicasse la sua ammirazione o il suo affetto imitandolo.

Lo avrebbe apprezzato finché, com'era accaduto con gli altri fratelli, non si sarebbe stancato di farlo.

Ne sarebbe stato grato - come dell'aria che si respirava, o dell'amore che lo circondava - fino al momento in cui le loro strade si sarebbero divise.

 

***

 

La conferenza era stata a dir poco stancante.

Per tutto il tempo in cui avevano parlato, esposto opinioni e pareri, una mano era sempre svettata in aria contro le idee del giapponese. Alfred, per un attimo, era stato convinto che qualcuno avesse portato in sala un imitatore di Arthur - dopotutto, Inghilterra era sempre contrario ad ogni suo piano!

Invece, la Corea del Sud rappresentata da Im Yong Soo, non aveva dato tregua al giapponese: non era importante quale che fosse l'argomento, l'idea, la decisione, la strategia.

Era sempre sbagliata.

Era sempre in disaccordo.

Completamente opposto; Alfred, non se ne lamentava. Un Paese in più ad appoggiarlo.

Per contro, non se ne stupiva: da quando entrambi gli orientali avevano messo piede nella sala, era stato chiaro quanto fossero diversi.

Era stato evidente dall'elegante e posato modo di camminare di Kiku nell'avvicinarsi al proprio posto, così in contrasto con il sedersi più scomposto di Yong Soo.

Il modo di parlare del giapponese, così pacato, era apparso tranquillo tanto quanto impetuoso era stato l'esprimersi della Corea del Sud.

Yong Soo aveva guardato Kiku Honda come si guarda un nemico, come si guarda una persona odiata; nemmeno Yao aveva proferito parola, se non per ammonire il più giovane di non alzare eccessivamente i toni della voce.

 

***

 

Taiwan e Hong Kong avevano atteso fuori dalla sala della riunione.

Intravidero quasi nell'immediato i due fratelli avvicinarsi: Yao parlava concitato con Yong Soo, e questo era lo scenario ormai abituale di quando il maggiore rimproverava l'altro.

A confermarlo, il broncio del minore che spuntava sempre in quelle occasioni - ma per quanto fosse convinto di non meritare la ramanzina, mai osava rispondere.

Li raggiunsero che la predica si era conclusa, e il broncio scemava mentre le braccia - fino ad allora rimaste incrociate al petto - si rilassavano lungo il corpo.

Yao era stanco, fisicamente e anche moralmente; l'allontanamento di un fratello, già così difficile di per sé, era qualcosa a cui era preparato.

Ma una dichiarazione di guerra no.

E Kiku, che se ne era andato, alzava ora la sua arma contro un fratello che lo aveva cresciuto, così come si era occupato di tutti loro.

Gli rivolgeva sorrisi, Yao, come in quel momento; ma era spossato.

Il tempo di un ultimo monito a Yong Soo - non essere impulsivo, anche se è la cosa che fai meglio, aru - si allontanò entro breve.

Taiwan, affiancata da Hong Kong e il cui sguardo vagava su Yong Soo aveva mosso appena la mano per raggiungere la spalla del fratello. Lui si era allontanato - seppur senza movimenti bruschi - sfuggendole.

Lo capiva: quanto soffrivano lei e Hong Kong, legati a Kiku dall'affetto, non era vicino a quanto amara fosse quella situazione per Yao e Yong Soo.

Una volta, il fratello guardava al giapponese come qualcuno che si studia nei minimi dettagli, ammirandone un atteggiamento al punto da volerlo fare proprio. Ora, invece, il coreano guardava Kiku come se dovesse ritornare da un momento all'altro e colpirli.

Colpirli alle spalle.

Taiwan sospirò tristemente: «Fratello...?» chiamò titubante.

«Fratello... non essere così in collera.» aggiunse apprensiva. Yong Soo si voltò, lo sguardo severo sulla sorella: «Non lo perdono, quello.» sibilò.

«Però...» tentò nuovamente.

Hong Kong taceva; quando osservi gli uomini per una vita intera, ti accorgi di quanto siano così strani, e simili, e inclini a distruggersi da soli.

Taiwan era troppo gentile per capirlo, ancora: «Anche lui è nostro frat...»

«Non ho traditori fra i miei fratelli.» rispose aspro, interrompendola. Passò oltre, lasciando che Taiwan mostrasse lo sconforto e la tristezza che un odio fra fratelli porta con sé.

Hong Kong posò semplicemente una mano sulla sua spalla, incitandola a sedersi con una leggera pressione.

Sedevano in silenzio, quando la sorella parlò nuovamente: «Hong Kong... Kiku, tu credi non tornerà più?» domandò, il tono di una bambina che non vuole assistere a qualcosa di così triste.

L'altro non la guardò, continuava ad osservare davanti a sé.

«Nella nostra casa, è così. Lo sappiamo da quando siamo nati.» disse soltanto: «Quando vai via, non puoi più tornare.»

 

 

L'abitudine di imitare gli altri, che ancora oggi era parte della sua indole, Yong Soo l'aveva presa da bambino.

Amando la figura del fratello Yao e pensando che la sua saggezza derivasse dal modo di parlare, aveva continuato ad usare abitudini di esprimersi non sue, finché non era stato chiaro che fosse impossibile per lui imitarlo per tutta la vita.

Apprezzando la calma che aleggiava intorno ad Hong Kong, aveva preso ad essere silenzioso come lui, almeno fino al momento in cui era divenuto insopportabilmente noioso farlo e Yong Soo aveva capito che non era cosa per lui.

Aveva osservato a lungo Taiwan, gentile e dall'animo immacolato; non adatta alle guerre, ai litigi e così perfetta per circondare il cuore della persone con la dolcezza con cui una madre culla il suo amato bambino.

Non era cosa che poteva imitare, solo una cosa di cui bearsi finché era vicina e così aveva fatto.

Di suo fratello Kiku, infine, aveva ammirato la compostezza e la velocità di apprendimento che gli valevano gli elogi di Yao, che certamente sarebbe sempre rimasto la persona che fungeva da modello per Yong Soo.

Era convinto di poter apprendere da Giappone, di poterlo fare davvero: tuttavia, amava suo fratello Yao.

E c'era stato un momento, in cui qualsiasi atteggiamento che ricordasse quelli del giapponese era divenuto per Yong Soo fonte di troppe cose insieme: disgusto, tristezza, amarezza, delusione, rabbia.

Sentimenti così negativi, da desiderare di cancellarli; come loro, l'esistenza del fratello che se n'era andato.

Per una volta, le parole di Yong Soo non erano state "anch'io", ma "neanch'io".

Quel che di negativo aveva annidato silenziosamente nei loro cuori con la sua scelta, lui non avrebbe mai permesso a se stesso di alimentarlo ancora.

 

 

Sarò la spada che trafiggerà il suo nemico,

anche se sarai tu.

Saremo l'appoggio che gli servirà,

anche se tu non ci sarai.

 

Sarò la vita data al suo posto,

soprattutto se sarai tu a strapparla via.

Saremo la famiglia che gli mancherà,

e tu non sei con noi.

 

   
 
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