Disclaimer:
i personaggi
utilizzati sono copyright dei rispettivi autori.
La
canzone in apertura è "Over and Out" degli Alkaline Trio.
Note:
viva le shot che
escono dal nullaaaa *apre champagne* ok, siamo seri.
Scrivo
una shot su Hetalia, e giustamente ho il bisogno psico-fisico ci scriverla su
un pg mai apparso, attorniato da altri pg mai apparsi *-*" *se c’erano nella
prima serie, lei dormiva*
Mi scuso
quindi per eventuali OOC, fatemeli notare e siate senza pietà (vanno bene anche
i pomodori, li riciclo per cena <3) *__*"
Personaggi:
Corea del Sud (Im
Yong Soo), Taiwan (...date un nome a questa donna!), Hong Kong (...anche a
lui!), Cina (Yao Wong), Giappone (Kiku Honda); Corea centric.
Imitation
Run for
cover, as fast as you can,
where
fighters are lovers,
enemies are
friends.
And guns
and knives apologize
for leaving
you.
Run for
cover and you'll find us there,
we'll take
out the anguish,
make it
disappear.
Il vizio
di copiare le cose che facevano gli altri, Yong Soo lo aveva preso da bambino,
assumendolo lentamente come proprio atteggiamento.
Era
stato qualcosa di istintivo, che non riconosci se non quando ormai è così
radicato in te che - come tutte le brutte abitudini - non sai più liberartene.
Era cominciato tutto quando aveva iniziato ad imitare i fratelli.
Strano,
poi: perché Yong Soo di fratelli e sorelle ne aveva tanti - c'erano Hong Kong,
Taiwan e certamente non bisognava dimenticare Yao - eppure dopo aver provato
con loro, aveva iniziato ad imitare anche Kiku.
Tra
tutti loro, la scelta era vasta pur escludendo Taiwan - era una ragazza, e lui
non imitava certo le femmine!
In
primis, comunque, Yao che aveva notato per primo quello strano comportamento,
era rimasto perplesso dall'atteggiamento: perché Yong Soo era un bambino
egocentrico.
Lui, che
voleva sempre l'attenzione del maggiore, e si metteva in competizione per
ottenerla, era strano decidesse di imitare qualcuno.
Dopotutto,
pensava Yao, era come ammettere che quel qualcuno era migliore. E, suvvia, Yong
Soo non aveva mai dato cenno di pensare una cosa del genere di nessuno dei suoi
fratelli.
Tanto
ora, quanto una volta.
Eppure
un giorno, chissà per quale motivo, Yong Soo aveva guardato Kiku e lo aveva
imitato - era solo un gioco, e nessuno vi aveva dato peso. Forse,
avevano pensato, impara osservando e facendo gli stessi movimenti.
Ma Yong
Soo continuava.
«Fratello,»
diceva a volte Kiku rivolgendosi a Yao: «vado a fare una passeggiata.»
avvisava, con quei suoi modi rispettosi e formali - a volte anche troppo, ma
Yao sapeva che era fatto così.
Anch'io!, era la frase fatidica, che
seguiva sempre la voce del giapponese.
Poi,
Kiku rientrava e mangiava.
E
allora, che avesse già pranzato o meno, anche Yong Soo mangiava.
Nei
pomeriggi assolati, in cui Taiwan disegnava canticchiando sommessamente con la
voce limpida e Hong Kong semplicemente la osservava, Yao controllava che tutti
i suoi fratelli fossero tranquilli. Allora, capitava che Kiku - ancora nel
pieno apprendimento del sistema di scrittura in kanji - approfittasse di quel
tempo libero per esercitarsi.
Ed anche
in quel momento, accadeva che Yong Soo sistemasse il leggio, prendesse il
pennello e scrivesse: Yao sapeva che non ne aveva davvero bisogno, che aveva
assimilato la scrittura.
Ma Yong
Soo scriveva finché era Kiku a farlo.
Fintanto
che erano felici di passare il tempo pacificamente in quel modo, Yao aveva
deciso di non interferire e lasciare che crescessero a modo loro, con uno
spirito libero di spaziare nell'aria proprio come il vento - e d'altronde, la
sua cultura anelava la libertà dell'animo in ogni momento. Era il motivo per
cui, quando sarebbe stato il tempo, li avrebbe lasciati andare.
Avrebbe
lasciato che scegliessero la loro via da seguire e la loro vita da vivere.
Eppure,
Yong Soo lo faceva per un motivo; non pensava che suo fratello Kiku fosse di
molto migliore di lui.
Certo,
forse era più pacato: ma anche Hong Kong lo era e a suo modo anche sua sorella,
e lui era fierissimo di essere così entusiasta. Per lui, pacatezza e noia erano
sinonimi.
E - era
vero - forse Kiku combinava meno guai di lui.
Ma Yong
Soo aveva notato che c'era qualcosa che il giapponese faceva, che gli procurava
elogi da parte del maggiore.
Anche
lui voleva essere
elogiato da Yao.
L'abitudine,
lentamente era divenuta un vizio che - per troppa accondiscendenza - Yao non
aveva corretto tempestivamente.
Yong
Soo, per contro, aveva presto imparato almeno a mascherarlo... all'inizio. La
sua esuberanza spesso lo tradiva, troppo parte della sua indole per non far sì
che si vantasse apertamente tradendosi spesso persino di fronte ai fratelli
stessi.
Yao lo
rimproverava, perché era lui in dovere di farlo, essendo il maggiore con più
esperienza fra tutti loro; tuttavia, lo riconosceva, le intenzioni di Yong Soo
non erano cattive.
Per
questo, una sera prese Kiku da parte, approfittando del fatto che il coreano e
Hong Kong stessero dibattendo - Yong Soo strepitava le sue opinioni, e Hong
Kong semplicemente lo fissava in silenzio - su un argomento non eccessivamente
serio.
Vedeva,
dalla postazione scelta volutamente, Taiwan sorridere e a volte ridere
sommessamente; questo lo tranquillizzava, permettendogli di concentrarsi del
tutto su Kiku, che in silenzio aspettava.
Portò lo
sguardo sul minore, ma per poco, spostandolo poi verso il cielo.
Ponderava
quali parole usare, ma il giapponese lo sorprese parlando per primo: «Fratello,
per quale motivo Yong Soo continua ad imitare quello che faccio?» gli aveva
domandato.
Non
sembrava eccessivamente seccato dalla situazione e, in fondo, era nel suo
carattere rimanere piuttosto vago sulle risposte e sui suoi pensieri.
Yao
ridacchiò sommessamente: «Allora te ne eri accorto anche tu, aru?» chiese con
una nota divertita nel tono di voce.
Kiku non
rispose, ma era ovvio che se ne fosse accorto dopo anni in cui era cresciuto
con i fratelli e dunque anche con Yong Soo.
«Forse
ti ammira?» buttò lì casualmente, con semplicità.
«Ammirarmi?»
il tono del minore era scettico. Yao non poteva dargli torto, ma toccava a lui
spiegare quello che ai minori non era evidente.
«Yong
Soo imitava anche me, aru.» confessò, l'espressione di Kiku si mostrava
apertamente sorpresa per la prima volta: «Davvero?» si lasciò sfuggire fra le
labbra.
Yao,
poggiato con il peso sulle braccia a contatto con il legno su cui sedevano, lo
sguardo ancora al cielo annuì. Era abitudine del maggiore - aveva notato -
parlare guardando la volta celeste.
«Davvero.»
confermò, con un sospiro calmo: «Yong Soo è così, lui imita le persone che gli
piacciono, aru. Non che si senta inferiore, ma è il modo con cui ti dice che
approva ciò che fai, aru.» spiegò.
Kiku
ascoltava attentamente, ma non comprendeva del tutto.
«Non
capisco del tutto.» ammise.
«Aiya.»
sbuffò appena Yao: «Dunque, ti farò degli esempi perché sia più chiaro, aru.»
disse chiudendosi per un po' nel silenzio.
Non
passò molto, comunque, perché parlasse di nuovo: «C'era un periodo in cui
sedeva sempre in silenzio come Hong Kong, aru. Pensava che lo rendesse
interessante, credo. E imitava me, nel modo di parlare, aru.» aggiunse.
Kiku
annuì appena: «Ora imita te, ma non sa ancora in cosa. Quindi tutto, aru.»
concluse semplicemente. Il minore aggrottò le sopracciglia, confuso: «Ma non imita
più il modo di parlare, ora non dice più quello che dici tu.»
«Perché
è difficile, quando non è istintivo, aru.» fece Yao con ovvietà.
Kiku
parve analizzare la cosa: «Parla spesso, ma Hong Kong è ancora silenzioso.»
suggerì. Yao ridacchiò con fare decisamente divertito: «La natura di Yong Soo è
energia, è voce costante. Si annoia, ad imitare Hong Kong, aru.»
«Non fa
le cose che fa nostra sorella, però.» fece notare infine riferendosi a Taiwan,
notandolo solo in quel momento.
Yao, che
sembrava non aspettare altro che quella osservazione rise di nuovo, una
sfumatura di dolcezza nella risata: «Non puoi imitare la gentilezza e la bontà
d'animo, aru.»
Da
allora, quando Kiku vedeva Yong Soo seguirlo a distanza, oppure copiare qualche
suo movimento abituale - a volte risultando buffo, non riuscendovi - si
ritrovava ad incurvare appena le labbra in un sorriso istintivo.
Alla
luce del significato che quell'atteggiamento aveva, si sentiva non tanto
onorato - l'onore formale di un uomo che riconosce i tuoi meriti non era cosa
per fratelli, pensava - ma felice.
Felice
di quei fratelli così diversi.
Felice
del silenzio di Hong Kong quando, senza un motivo apparente, sedeva al suo
fianco ad osservare il sole che tramontava; lieto della timida compagnia della
sorella, che portava con sé l'odore del thé che aveva preso l'abitudine di
servirgli e l'odore di buono, di casa - Yao aveva detto che era il profumo di
tutte le donne, era odore di amore, fedeltà e famiglia.
Felice
delle parole che Yao rivolgeva a tutti loro, del modo che aveva di tenerli
uniti.
E - ma
dirlo non aveva senso, aveva imparato che spesso le parole rovinavano l'uomo e
i suoi legami - era felice, che Yong Soo comunicasse la sua ammirazione
o il suo affetto imitandolo.
Lo
avrebbe apprezzato finché, com'era accaduto con gli altri fratelli, non si
sarebbe stancato di farlo.
Ne
sarebbe stato grato - come dell'aria che si respirava, o dell'amore che lo
circondava - fino al momento in cui le loro strade si sarebbero divise.
***
La
conferenza era stata a dir poco stancante.
Per
tutto il tempo in cui avevano parlato, esposto opinioni e pareri, una mano era
sempre svettata in aria contro le idee del giapponese. Alfred, per un attimo,
era stato convinto che qualcuno avesse portato in sala un imitatore di Arthur -
dopotutto, Inghilterra era sempre contrario ad ogni suo piano!
Invece,
la Corea del Sud rappresentata da Im Yong Soo, non aveva dato tregua al
giapponese: non era importante quale che fosse l'argomento, l'idea, la
decisione, la strategia.
Era
sempre sbagliata.
Era
sempre in disaccordo.
Completamente
opposto; Alfred,
non se ne lamentava. Un Paese in più ad appoggiarlo.
Per
contro, non se ne stupiva: da quando entrambi gli orientali avevano messo piede
nella sala, era stato chiaro quanto fossero diversi.
Era
stato evidente dall'elegante e posato modo di camminare di Kiku
nell'avvicinarsi al proprio posto, così in contrasto con il sedersi più
scomposto di Yong Soo.
Il modo
di parlare del giapponese, così pacato, era apparso tranquillo tanto quanto
impetuoso era stato l'esprimersi della Corea del Sud.
Yong Soo
aveva guardato Kiku Honda come si guarda un nemico, come si guarda una persona
odiata; nemmeno Yao aveva proferito parola, se non per ammonire il più giovane
di non alzare eccessivamente i toni della voce.
***
Taiwan e
Hong Kong avevano atteso fuori dalla sala della riunione.
Intravidero
quasi nell'immediato i due fratelli avvicinarsi: Yao parlava concitato con Yong
Soo, e questo era lo scenario ormai abituale di quando il maggiore rimproverava
l'altro.
A
confermarlo, il broncio del minore che spuntava sempre in quelle occasioni - ma
per quanto fosse convinto di non meritare la ramanzina, mai osava
rispondere.
Li
raggiunsero che la predica si era conclusa, e il broncio scemava mentre le
braccia - fino ad allora rimaste incrociate al petto - si rilassavano lungo il
corpo.
Yao era
stanco, fisicamente e anche moralmente; l'allontanamento di un fratello, già
così difficile di per sé, era qualcosa a cui era preparato.
Ma una
dichiarazione di guerra no.
E Kiku,
che se ne era andato, alzava ora la sua arma contro un fratello che lo aveva
cresciuto, così come si era occupato di tutti loro.
Gli
rivolgeva sorrisi, Yao, come in quel momento; ma era spossato.
Il tempo
di un ultimo monito a Yong Soo - non essere impulsivo, anche se è la cosa
che fai meglio, aru - si allontanò entro breve.
Taiwan,
affiancata da Hong Kong e il cui sguardo vagava su Yong Soo aveva mosso appena
la mano per raggiungere la spalla del fratello. Lui si era allontanato - seppur
senza movimenti bruschi - sfuggendole.
Lo
capiva: quanto soffrivano lei e Hong Kong, legati a Kiku dall'affetto, non era
vicino a quanto amara fosse quella situazione per Yao e Yong Soo.
Una
volta, il fratello guardava al giapponese come qualcuno che si studia nei
minimi dettagli, ammirandone un atteggiamento al punto da volerlo fare proprio.
Ora, invece, il coreano guardava Kiku come se dovesse ritornare da un momento
all'altro e colpirli.
Colpirli
alle spalle.
Taiwan
sospirò tristemente: «Fratello...?» chiamò titubante.
«Fratello...
non essere così in collera.» aggiunse apprensiva. Yong Soo si voltò, lo sguardo
severo sulla sorella: «Non lo perdono, quello.» sibilò.
«Però...»
tentò nuovamente.
Hong
Kong taceva; quando osservi gli uomini per una vita intera, ti accorgi di
quanto siano così strani, e simili, e inclini a distruggersi da soli.
Taiwan
era troppo gentile per capirlo, ancora: «Anche lui è nostro frat...»
«Non ho traditori
fra i miei fratelli.» rispose aspro, interrompendola. Passò oltre, lasciando
che Taiwan mostrasse lo sconforto e la tristezza che un odio fra fratelli porta
con sé.
Hong
Kong posò semplicemente una mano sulla sua spalla, incitandola a sedersi con
una leggera pressione.
Sedevano
in silenzio, quando la sorella parlò nuovamente: «Hong Kong... Kiku, tu credi
non tornerà più?» domandò, il tono di una bambina che non vuole assistere a
qualcosa di così triste.
L'altro
non la guardò, continuava ad osservare davanti a sé.
«Nella
nostra casa, è così. Lo sappiamo da quando siamo nati.» disse soltanto: «Quando
vai via, non puoi più tornare.»
L'abitudine
di imitare gli altri, che ancora oggi era parte della sua indole, Yong Soo
l'aveva presa da bambino.
Amando
la figura del fratello Yao e pensando che la sua saggezza derivasse dal modo di
parlare, aveva continuato ad usare abitudini di esprimersi non sue, finché non
era stato chiaro che fosse impossibile per lui imitarlo per tutta la vita.
Apprezzando
la calma che aleggiava intorno ad Hong Kong, aveva preso ad essere silenzioso come
lui, almeno fino al momento in cui era divenuto insopportabilmente noioso farlo
e Yong Soo aveva capito che non era cosa per lui.
Aveva
osservato a lungo Taiwan, gentile e dall'animo immacolato; non adatta alle
guerre, ai litigi e così perfetta per circondare il cuore della persone
con la dolcezza con cui una madre culla il suo amato bambino.
Non era
cosa che poteva imitare, solo una cosa di cui bearsi finché era vicina e così
aveva fatto.
Di suo
fratello Kiku, infine, aveva ammirato la compostezza e la velocità di
apprendimento che gli valevano gli elogi di Yao, che certamente sarebbe sempre
rimasto la persona che fungeva da modello per Yong Soo.
Era
convinto di poter apprendere da Giappone, di poterlo fare davvero: tuttavia,
amava suo fratello Yao.
E c'era
stato un momento, in cui qualsiasi atteggiamento che ricordasse quelli del
giapponese era divenuto per Yong Soo fonte di troppe cose insieme: disgusto,
tristezza, amarezza, delusione, rabbia.
Sentimenti
così negativi, da desiderare di cancellarli; come loro, l'esistenza del
fratello che se n'era andato.
Per una
volta, le parole di Yong Soo non erano state "anch'io", ma
"neanch'io".
Quel che
di negativo aveva annidato silenziosamente nei loro cuori con la sua scelta,
lui non avrebbe mai permesso a se stesso di alimentarlo ancora.
Sarò la spada che trafiggerà il suo nemico,
anche se sarai tu.
Saremo l'appoggio che gli servirà,
anche se tu non ci sarai.
Sarò la vita data al suo posto,
soprattutto se sarai tu a strapparla via.
Saremo la famiglia che gli mancherà,
e tu non sei con noi.