Libri > Le Cronache di Narnia
Segui la storia  |       
Autore: Dhialya    09/06/2020    1 recensioni
Il legame profondo tra una ragazza divenuta Regina e una guerriera dallo sguardo dolce e le frecce dalle piume bianche.
Un passato di cui pochissimi sono a conoscenza, risalente a prima dell'arrivo di Jadis e dei cento anni d'inverno.
Il compito di una lupa dagli occhi di ghiaccio ed un destriero dal manto nero come la notte.
Cosa si cela realmente dietro la Grande Magia e il cui potere è conosciuto solo dal grande Aslan?
C'erano regole che erano state rotte, accordi strappati e segreti che non potevano più essere taciuti, legami che andavano ripristinati e compiti da svolgere. E tutto ciò sarebbe venuto a galla, presto. E non osava - o non voleva - immaginare le conseguenze che tutto ciò avrebbe comportato.
Sulle persone coinvolte e sull'equilibrio di Narnia stessa.

Sullo sfondo della guerra contro Telmar un segreto, tenuto nascosto per più di milletrecento anni, sta per essere rivelato.
[Revisione totale programmata alla sua conclusione.]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Caspian, Edmund Pevensie, Famiglia Pevensie
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Spirits Within - The Just and the Sly special moments.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Narnia's Spirits
Legami scritti dal destino.












Erano le prime ore del mattino, ma il sole non accennava a voler fare la sua comparsa attraverso le nubi grigiastre che ancora costellavano il cielo plumbeo. L'odore di terra ed erba bagnata impregnava l'aria fredda e l'unico rumore che rompeva il silenzio che lambiva la vegetazione attorno alla radura erano le gocce di pioggia che, lentamente, cadevano a terra, scivolando lungo le foglie e gli arbusti con lenti ticchettii.

Era stata una notte burrascosa, di quelle che accadono raramente, che ancora si trascinava dietro i rimasugli della tempesta che si era abbattuta senza pietà intorno alla Casa di Aslan e nei boschi circostanti.

I Narniani avevano osservato il cielo riversarsi sulla terra con sguardi quasi attoniti, spiazzati per quell'improvviso cambio di tempo in un mondo solitamente sempre pacifico, e i più superstiziosi avevano interpretato quell'evento come un segno del destino, il simbolo di una possibile catastrofe imminente. I Pevensie avevano potuto giurare di aver sentito talvolta mormorii sommessi invocare Aslan ed il suo aiuto in preghiere che si erano perse tra i rombi dei tuoni e le mura di pietra.

Il temporale era andato avanti per varie ore prima di quietarsi alle prime ore del mattino, divenendo una pioggia sempre più leggera fino a scomparire. Tuttavia, il grigiore di quella giornata non sembrava volersene andare, rendendo l'ambiente tetro e spento.

Edmund si appoggiò allo stipite di pietra all'entrata della Casa di Aslan, osservando la natura senza reale interesse: i suoi occhi dardeggiarono lungo i confini del bosco, in una ricerca infruttuosa delle figure che fin dalla notte precedente erano scomparse e non avevano ancora fatto ritorno. Più di tutte, il suo istinto gli faceva cercare spasmodicamente Evelyn, come se avesse potuto sbucare fuori dal nulla ad una sua minima distrazione.

Il cuore di Edmund sussultava ogni volta che vedeva qualche movimento che alla fine si rivelava un Narniano qualunque che tornava dalla ronda, facendogli tirare le labbra in una smorfia amareggiata che non riusciva a trattenere.

Evelyn.

-Non seguiteci. Sarebbe solo peggio.-


Lia era stata chiara. Poche parole ma concise che avevano freddato sul posto qualsiasi loro tentativo di ribattere o anche solo muovere un muscolo, congelati come se dagli occhi color ghiaccio della lupa fosse uscito un qualche strano incantesimo che li aveva resi obbedienti dopo il discorso sulle Guardiane.

O forse semplicemente dei codardi, perché sapevano di aver sbagliato nei confronti di Eve e non avevano il coraggio di affrontarla di persona.

Non che ci fosse stato bisogno di convincerli, comunque. Susan era stata portata di peso a sdraiarsi da Peter ed era stata poi raggiunta da un Caspian alquanto confuso, Lucy si era limitata a lanciare delle occhiate preoccupate sia a lui che al fratello maggiore prima di raggiungere la sorella spiegando a bocconi la situazione al Principe.

Il biondo aveva passato la notte seduto sulla tavola spezzata, un fascio di nervi unico con lo sguardo piantato nella pietra come se avesse potuto scavarci attraverso solo con il pensiero facendosi comparire Aslan davanti. Aveva un sacco di domande, Peter, e altrettanto rabbia repressa che gorgogliava per esplodere verso chiunque gli fosse capitato a tiro.

Edmund aveva passato le ore a rigirarsi nelle coperte, sentendo il peso al cuore farsi sempre più opprimente mano a mano che il temporale incalzava.

Nessuno di loro aveva chiuso occhio, persi nei propri ragionamenti e tormenti che li avevano costretti a farsi vari esami di coscienza alla luce di ciò che avevano scoperto, i pensieri che gli rimbalzavano in testa come palline da tennis portandosi dietro i repentini cambi di umore a cui erano stati sottoposti. Avrebbero potuto evitare tutto quello? No. Forse era già passato fin troppo tempo senza che saltasse fuori e alla fine era stato inevitabile.

Inevitabile.


Come il bacio che le aveva dato. Edmund aveva sentito il tempo accorciarsi ogni giorno di più e il suo sesto senso gli aveva fatto capire di stare arrivando al punto limite. Starle lontano e comportarsi normalmente era diventato sempre più difficile e per quello aveva pensato settimane prima di doversi dare una mossa per parlare.

Perché sapeva che avrebbe fatto qualche errore, che era una situazione delicata e che andava presa con le pinze, mentre veniva sempre più attirato verso Eve lasciandosi andare a comportamenti fraintendibili. Non aveva potuto farci nulla.

E, adesso, era tutto un casino.

Una grandissima montagna di detriti che non sapeva come rimettere insieme.

-Come stai, Ed?-

Il moro rilasciò un breve sospiro, continuando a tenere puntata l'attenzione davanti a sé senza il coraggio di spostare lo sguardo per incrociare il volto di Lucy.

Lucy.


Sempre così buona, sempre così comprensiva, sempre pronta a tendere una mano anche nelle situazione più complicate, alle creature meno meritevoli. Il tono basso e dolce con cui gli aveva parlato sentiva di non meritarselo, Edmund. Scrollò le spalle, incrociando le braccia al petto ostentando un'indifferenza che non gli apparteneva, rivolgendo lo sguardo il più lontano possibile.

Quel gesto, tuttavia, la rese solo più determinata a voler penetrare nella corazza di silenzio che si era costruito attorno, vedendone gli occhi persi ed i tratti rigidi. Lucy non riusciva a vedere i suoi fratelli così spenti, così vuoti, senza provare a fare nulla.

La sentì avvicinarsi e posargli una mano sul braccio per richiamare la sua attenzione, le dita che stringevano leggermente la stoffa della casacca in una muta preghiera di guardarla. Anche solo per un attimo, anche solo per dirle di andarsene e lasciarlo in pace – cosa che non avrebbe comunque fatto, lo sapeva, lo sapevano entrambi.

Edmund, però, non ce la faceva. Non poteva. Non ne aveva il coraggio. Perché Lucy stava li da lui, quando era l'ultimo che avrebbe avuto bisogno di sostegno? Quando era stata colpa sua, quando era lui che aveva dato inizio a tutto, creando quella frattura nella loro famiglia?

-Sto bene.- mormorò dopo qualche attimo, stanco di sentirsi trafiggere dagli occhi di sua sorella e cedendo sotto il peso che gli mettevano addosso. Lucy ritrasse la mano, avvicinandosi maggiormente e cercando di infilarsi tra le braccia che teneva ancora incrociate come da bambina faceva con Peter quando litigavano per qualcosa e voleva tornare a farlo sorridere.

Edmund provò a divincolarsi, rifuggendo quel calore che stava provando a dargli nonostante le proprie proteste senza averne la reale intenzione.

Un abbraccio, solo un abbraccio.

-Lo so che non è vero. Non si dicono le bugie.- Edmund ingoiò un groppo in gola sentendo la bocca improvvisamente secca, lasciando cadere le braccia lungo il corpo e facendo si che Lucy l'avesse vinta in quella lotta a senso unico. Qualcosa lo pungolò nello stomaco mentre sua sorella lo abbracciava. Bugie, solo bugie.

Era quello tutto ciò che gli usciva dalla bocca?

Bugie.


Era quella la sua reale natura?

Un traditore.

-Mi dispiace, Lu. Ho fatto un casino.- bisbigliò, appoggiando la guancia sulla testa della Pevensie ed inspirandone l'odore familiare con un lungo respiro mentre le passava stancamente una mano tra i capelli. Sentì gli occhi pizzicare e sbatté le palpebre varie volte per scacciare quella sensazione, ricacciando indietro il magone che gli bloccava la voce e ricambiando la stretta.

Lucy chiuse gli occhi, ascoltando per vari secondi il battito del cuore che le arrivava alle orecchie, immaginando lo sfarfallio agitato che lo stava accompagnando da varie ore. Si morse un labbro, addolorata di non poter far nulla più che dimostrare la propria vicinanza.

-Non è solo colpa tua. Tutti abbiamo taciuto.- Edmund puntò nuovamente lo sguardo sulla radura che si trovava davanti, perso nei propri pensieri mentre sentiva la stretta di Lu farsi più forte intorno alla sua vita e lasciando che quella gli si spalmasse contro come se volesse dargli tutto il sostegno che riusciva.

Un abbraccio.

Si morse un labbro, sentendo il calore di quel gesto quietare il nodo agitato che gli si dibatteva nello stomaco. Un gesto silenzioso, ma che in quel momento per lui valeva più di mille parole.

-No, io intendevo... per l'altra cosa.- disse, sospirando pesantemente, immaginando già di dover rinunciare a quel momento di stasi che si era creata. Lucy si staccò leggermente puntando lo sguardo in alto e senza volerlo Edmund si ritrovò inchiodato dalla sua espressione. Per un attimo si ritrovò perso e fu come se avesse ricevuto una pugnalata. Sentì il respiro spezzarsi osservando la serietà che sprigionava, la bocca tirata e gli occhi che gli scandagliavano il viso con movimenti veloci.

-Si, è un po' strano.- la Pevensie interruppe il contatto visivo per un breve attimo, immaginandosi la scena e sentendosi leggermente imbarazzata. Edmund vide le sue guance arrossarsi lievemente e non poté impedirsi di sentire la nuca pizzicare per l'ansia e la vergogna. Avrebbe voluto gridarle di non pensare certe cose, ma non riuscì a dire niente e ingoiò a vuoto.

-Però io... ecco, lo immaginavo.- Edmund aggrottò le sopracciglia, allontanandosi maggiormente dalla Pevensie per poterla osservare meglio mentre si staccava del tutto e iniziava a torturarsi le dita delle mani.

-Tu... cosa?- domandò, spalancando leggermente gli occhi e riservando un'occhiata stralunata al suo viso rivolto altrove. Il cuore iniziò a battergli più velocemente, inesorabilmente divorato dall'ansia. Cosa voleva dire che lo immaginava? Che cosa immaginava, Lucy?

Edmund sentì le domande accavallarsi in testa e correre verso la punta della lingua come tante onde che si infrangono contro gli scogli allo stesso tempo.

-Che voi due... insomma... che c'era qualcosa tra voi. Avete sempre avuto un rapporto particolare, quindi...- sputò fuori, in un mormorio sommesso e lasciando la frase in sospeso. Si morse il labbro, non sapendo bene come dare vita a quei pensieri che si era sempre tenuta per sé senza mai dar loro una vera e propria voce.

Aveva sempre avuto quel sospetto, Lu, soprattutto considerando il fatto che il moro sapeva benissimo che Eve non era loro sorella di sangue. Li aveva osservati, aveva visto il loro rapporto mutare, crescere e solidificarsi, ma ne aveva anche scorto la fragilità con cui in certe circostanze ne veniva messo alla prova senza una reale motivazione.

All'inizio non ci aveva dato peso, perché erano sempre stati loro cinque, un po' di gelosia verso Peter la provava anche lei perché era il suo fratello preferito quindi immaginava di capire cosa Evelyn sentisse, quando si chiudeva in se stessa lanciando occhiate brucianti a qualsiasi donna si presentasse alle serate di ballo per tentare di avvicinare i due Pevensie. Narnia era praticamente il loro segreto ed Eve era sempre stata abbastanza possessiva verso le cose che riteneva proprie. Una sconosciuta che provava ad infilarsi nel quadro perfetto che considerava la propria famiglia e il proprio regno era un elemento di disturbo di cui non riusciva a nascondere la mal sopportazione.

Lucy non si era mai fatta troppe domande in quei quindici anni, persa a vivere la propria vita circondata da amici e animali parlanti danzando a tempo di flauto con gli alberi del mondo da lei stessa scoperto.

Ma poi qualcosa era mutato. Quando erano tornati a casa. Quando era comparso Simon. Era stata in quella circostanza che Lucy aveva iniziato ad osservare con occhi diversi i due ragazzi che aveva per fratelli e i loro comportamenti. Li aveva trovati sempre più fraintendibili.

Ed occhieggiò i dintorni per assicurarsi che nessuno li stesse sentendo, percependo un brivido lungo la schiena, riavvicinandosi alla sorella con una falcata desideroso di saperne di più. Lucy sapeva.

Non capì cosa quella constatazione gli lasciò addosso, troppo preso da quella confessione per dare ascolto allo sconcerto che sentiva mischiarsi al sollievo in un miscuglio letale che gli fece venire le vertigini. La sua testa si svuotò di tutto, improvvisamente, mentre continuava a ripetersi quelle parole come se si fosse bloccata su di esse.

-Perché non hai detto niente?- chiese alla fine, incapace di darsi una spiegazione. Cosa pensava Lucy? Lo aveva sempre schifato senza farlo trasparire? O gli faceva pena? Per quello non lo guardava? Non poteva certo darle torto. Se avesse potuto si sarebbe preso a sberle da solo, ma era troppo provato anche per avercela con se stesso. Si sentiva solo vuoto, perso. Non sapeva cosa fare e sapeva di non poter contare su nessuno.

-Beh, non ero sicura.- Lucy lo occhieggiò dal basso, mordendosi l'interno di una guancia per scaricare la tensione. Non capì perché, ma davanti al volto allucinato di Edmund si sentì tanto come una spia che deve confessare di aver origliato qualcosa che non doveva. Si sentì in colpa nei confronti dei suoi fratelli, domandandosi se non avrebbe potuto fare di più. Provare a capire di più, parlargli di più, ascoltarli di più.

-Scusami.- gettò fuori, picchiettando un piede a terra e provando a sorridere. Il suo stiramento di labbra durò giusto un battito di ciglia, prima che scomparisse così come le era venuto naturale farlo sommerso dalla sofferenza che sentiva stringerle il cuore in una morsa.

Edmund alzò un sopracciglio e negò con la testa, posandole le mani sulle spalle costringendola a guardarlo dritto negli occhi.

-No, scusami tu. Avrei dovuto essere più sincero.- forse avrebbero evitato di finire in quel casino se lui fosse stato abbastanza acuto da rendersi conto che Lucy era sempre stata parecchio empatica nei confronti altrui, forse non avrebbe dovuto sottovalutarla fino a quel punto. Forse avrebbe solo dovuto fidarsi della Valorosa, dei gesti cortesi e di quelle mani sempre tese verso gli altri, gli occhi rivolti verso un futuro radioso che vedeva solo lei.

Ma la paura era sempre stata più grande.

-Immagino ti farò schifo, comunque…- borbottò, passandosi una mano tra i capelli e tornando ad allontanarsi. Una parte di lui non voleva saperne niente di ciò che pensavano gli altri, consapevole che non avrebbero potuto provare altro che risentimento e disgusto nei suoi confronti. Sarebbe stato logico, naturale, come gli sguardi infuocati di Peter ogni volta che lo incrociava anche solo per sbaglio. Era qualcosa che non aveva nemmeno bisogno di essere spiegato a parole.

Una piccola parte, però, sperava che tutto andasse come l'abbraccio che Lucy gli aveva dato poco prima. Inaspettato, caldo, confortevole. Anche se sentiva di non meritarlo. La parte più irrazionale ed emotiva desiderava comprensione. Solo comprensione. Quella che per tutti quegli anni sapeva non essergli dovuta. Non per quel sentimento.

-Non dirlo nemmeno per scherzo!- Edmund trasalì per la potenza con cui quelle parole gli si conficcarono nei timpani. Scosse la testa, distogliendo l'attenzione dai propri pensieri e puntando lo sguardo su Lucy. Aveva stretto le mani a pugno, le guance leggermente gonfie, e l'espressione offesa con cui lo stava guardando lo lasciò qualche attimo spiazzato con il respiro bloccato in gola.

-Come puoi anche solo immaginare che io possa pensare una cosa simile?- continuò, inchiodandolo con gli occhioni sgranati per l'indignazione. Edmund aprì e chiuse la bocca un paio di volte, incapace di dire qualsiasi cosa, le parole portate via dalla brezza che s'infilò nel cunicolo portandosi dietro il freddo di quel mattino grigio e cupo.

-Ti fidi così poco di me?- Il moro sentì come se un pugno lo avesse colpito direttamente nello stomaco. Si portò una mano al petto, percependo il peso acuirsi mentre quelle parole gli si inchiodavano nella mente insieme all'occhiata angosciata con cui lo stava guardando Lucy.

Lucy che aveva sempre saputo. Lucy che aveva sempre fatto finta di niente, continuando a parlargli e comportarsi come se tutto fosse normale senza giudicarlo.

-No, certo che no.- le sorrise leggermente, sicuro che gli fosse uscita più una smorfia che altro, prima di ritirarsela addosso per ricambiare la gentilezza che gli stava offrendo. La sentì sospirare di sollievo e fu contagiato da quella leggerezza, confortato di averla vicino e sentendo un nodo di commozione incastrarsi in gola. Gli occhi tornarono a pizzicare.

-Ti voglio bene, Ed. Te ne vorrò sempre, non importano le circostanze.-

Non avrebbe potuto aspettarsi nient'altro, da lei.


***


-Fa male, sorella. Perché fa così male?- Dhem si morse un labbro, osservando il viso della ragazza di fronte a lei completamente angosciato.

Aveva gli occhi lucidi e i capelli scompigliati, il rosso di cui erano colorati che si confondeva con il tramonto che si stagliava all'orizzonte donando riflessi aranciati alla carnagione pallida. Gli occhi azzurri si chiusero di botto, mentre si portava una mano alla testa con espressione sofferente.

-Aspetta! Dove vai?- gridò, vedendola incespicare nei propri piedi mentre le dava le spalle.

Azzardò qualche passo, non capendo cosa stesse succedendo, sentendo la terra vibrare sotto di lei e l'aria darle una sferzata violenta alle braccia. Dhem sentì quasi male, esterrefatta per quella crudezza che non apparteneva al vento di Narnia e provando una profonda angoscia che le strinse il cuore in una morsa.

Sua sorella non stava bene, lo sapeva. Ma quel giorno... quel giorno c'era qualcosa di diverso.

-Ahislyn! Che ne sarà di Narnia?- provò a chiamarla, vedendola allontanarsi, il tono più alto del normale che fremette sotto il peso della preoccupazione. La figura davanti a lei sussultò, infossandosi nelle spalle e voltandosi leggermente.

Aveva l'espressione più tetra che le avesse mai visto in viso e Dhemetrya, per la prima volta nella sua vita, ebbe paura, mentre ne osservava gli occhi vacui guardarla con rammarico.

Una paura folle, reale, sinistra, che le mozzò il respiro in gola e le diede un brivido di freddo lungo tutto il corpo. Fu come una scossa che la mise di fronte a una delle verità più crudeli, a una di quelle che aveva cercato di ignorare per molto, troppo tempo.

Lo sapeva.

Lo sapevano entrambe, come una realtà taciuta ma sempre stata presente, visibile, sotto gli occhi di tutti.

Dhemetrya si morse il labbro percependo gli occhi pizzicare e si portò una mano alla bocca per reprimere un singhiozzo.

-Non voglio più sentire niente, non ce la faccio. È troppo da sopportare.-

La realtà che Ahislyn si stava lasciando morire.


-Mi scoppia la testa.-

Dhemetrya sbatté le palpebre, fissando gli occhi sul cielo nuvoloso che si riusciva ad intravedere dalle fronde degli alberi e provando una fitta di fastidio per la luce improvvisa. Una leggera folata di vento le accarezzò la pelle e percepì distrattamente qualche goccia trasportata dall'aria caderle sulle guance.

Provò a muovere un braccio, sentendolo particolarmente pesante, le dita che accarezzarono il terriccio ancora umido passandoselo tra i polpastrelli per riprendere contatto con la realtà. Sentiva tutto il corpo addormentato, spossato. Gli occhi le bruciavano e aveva sete. E quel sogno... no, quel ricordo. Faceva male, come se vi fosse ancora completamente immersa.

-Sarebbe strano il contrario.-

Dhem voltò leggermente la testa, accorgendosi della figura di Antares dietro di lei che le aveva fatto da appoggio durante la notte, Evelyn seduta poco distante con una mano sulla tempia. Lia era accoccolata davanti a loro, come se insieme al Narniano avessero costruito un bozzolo che le aveva circondate le ore precedenti per cercare di proteggerle da ciò che stava intorno a loro.

Sentì i vestiti appiccicati alla pelle e un brivido le diede la pelle d'oca per il freddo che le stavano lasciando addosso. La mora lo percepiva penetrarle fin dentro le ossa, ora che aveva riacquistato abbastanza lucidità, congelandole le membra in una morsa inclemente a cui non era più abituata. A nulla era valso tentare di coprirsi con il mantello.

Evelyn non si era voluta muovere, andando avanti a piangere tutta la notte, e lei non aveva potuto fare altro che seguirla in quelle ore di tormento, troppo confusa anche solo per provare a pensare che sarebbe stato meglio trovare un posto coperto.

Si tirò leggermente seduta, appoggiandosi meglio al fianco che l'animale le stava offrendo e attirando l'attenzione di Lia che si limitò a lanciare un'occhiata, prima di tornare a osservare la Pevensie.

-Ciao.- la salutò la ragazza, lanciandole uno sguardo veloce accorgendosi che si fosse svegliata seguendo la direzione in cui stava guardando la lupa. Tornò a massaggiarsi la fronte, per alleviare il fastidio pressante che le pulsava a intermittenza.

-Mh... ciao.- mugugnò, poco convinta, tirandosi addosso il mantello fradicio. Scosse le spalle, cercando di scacciare la sensazione di angoscia che sentiva ancora serpeggiarle sotto la pelle se ripensava ai propri sogni.

Fece dardeggiare lo sguardo lungo la piccola radura, ispirando l'odore di terra bagnata e fogliame, per cercare di riacquistare una mera apparenza di equilibrio in mezzo al caos che erano le sue emozioni e il contatto con Narnia. Sentiva il legame più vivo che mai, e più sofferente che mai. Narnia soffriva, era stanca, la magia scomparsa. Ma più di tutto sentiva anche un senso di tradimento, l'aria fitta che tagliava i polmoni e qualcosa di anomalo nell'atmosfera, qualcosa di pesante che si posava su di lei rendendo il tutto angustio.

Giusto, sbagliato, non sapeva dargli un termine.

Forse c'entrava che Evelyn fosse venuta a conoscenza della cosa, come se in qualche modo il suo spirito si fosse risvegliato toccato dalla consapevolezza che la terra che aveva sempre conosciuto non era la sua casa. Come sorta di richiamo a cui aveva risposto inconsciamente.

Insomma, Aslan non era mai stato chiaro su come quel tornare alle origini dovesse avvenire e le conseguenze che ne sarebbero scaturite, si era limitato a metterli al corrente delle cose e che tutto avrebbe avuto una sua strada da percorrere. Non che ne fosse sorpresa. A lui interessavano gli equilibri di un mondo che però molte volte si era lasciato alle spalle.

Un controsenso.

E loro ne pagavano le conseguenze. Lo avevano sempre fatto.

Dhemetrya iniziò a domandarsi quanto ci fosse di giusto nella propria esistenza millenaria, nel disegno che la grande magia aveva tessuto per lei dall'alba dei tempi.

Scosse la testa per cercare di scacciare quei pensieri traditori, alzandosi in piedi con non poca fatica. Stirò le braccia e salutò Antares con un cenno del capo, tornando poi a rivolgere l'attenzione alla Pevensie, tenuta pazientemente sotto osservazione dalla lupa.

Lia non aveva dormito, quella notte, e aveva passato il tempo sentendo la pioggia infradiciarle il pelo mentre concedeva a se stessa di perdersi nei ricordi.

-Mi fa male tutto.-

La mora occhieggiò Eve, sentendo la gola secca e accovacciandosi nuovamente da parte a lei per osservarla più da vicino. Aveva i vestiti zuppi, come lei, vari tagli sul viso e le escoriazioni sulle mani erano ancora arrossate.

-Dovremmo tornare, almeno per cambiarci e medicarti.- forse sarebbe stato meglio portarla da Lucy e farle prendere la sua medicina per evitarle ulteriori dolori e possibili malanni.

-No!- Dhem bloccò a mezz'aria la mano che le stava offrendo come appoggio, congelata dal tono rabbioso con cui quelle parole lasciarono la bocca di Eve come se fossero rivolte direttamente a lei.

-Non voglio tornare! Non voglio vedere nessuno!- incalzò la Pevensie, e il ringhio intriso in quelle frasi si espanse nell'aria come un tuono mentre incrociava le mani al petto per sottrarsi ad un eventuale contatto. La Narniana si umettò le labbra, turbata. Giusto... Evelyn non sapeva ancora tutto.

-Va... va bene, possiamo rimanere qui.- mormorò, lanciando un'occhiata implorante a Lia chiedendole tacitamente aiuto. Era sempre stata quella che ascoltava di più.

Eve socchiuse gli occhi, nascondendo il viso tra le ginocchia che si portò al petto. I muscoli del corpo le dolevano incredibilmente come se avesse passato le ultime giornate a combattere senza sosta, la caviglia si era ingrossata. Strinse i denti, ignorando le fitte alle tempie sempre più frequenti e i lampi di luce che ogni tanto le scoppiavano davanti agli occhi, lasciandola stordita.

Doveva calmarsi. Doveva solo calmarsi e il dolore sarebbe passato.

Respirò profondamente, concentrandosi sui rimasugli di pioggia che cadevano attorno. Tutto il resto della foresta era silenzioso, chiuso in quel mutismo ermetico che ormai aveva imparato a conoscere fin troppo bene. Avrebbe voluto sparire insieme a quel vuoto, inghiottita dal peso che sentiva sul cuore pur di non doverlo più sentire. Appena aveva ripreso contatto con la realtà era stato lì, pronto a toglierle il respiro e farla ribollire di rabbia e delusione.

Perché le avevano mentito? Quante cose le avevano tenuto nascoste?

Evelyn strinse i pugni, domandandosi come avesse fatto a non accorgersi che c'era qualcosa che non andava tra di loro. Come erano riusciti a mantenere così bene quel segreto?

Il segreto che lei non era una Pevensie. Non era una di loro.

Non era nemmeno nata in quel mondo che non aveva mai sentito totalmente proprio, troppo rumoroso, pericoloso e violento, ma che era l'unico che avesse mai conosciuto – almeno, prima di Narnia. Quella sensazione, almeno, adesso sembrava aver trovato una motivazione valida.

Lei non era... cosa non era? Chi era? Se non era una Pevensie, chi era?

Evelyn si sentì vuota, persa nei propri pensieri e in balia dell'insicurezza che prendeva lentamente il sopravvento su tutta la tormenta di emozioni che l'avevano scossa senza tregua le ore precedenti. Tutto ciò che conosceva era una bugia. Non era più sicura di nulla. Nemmeno di se stessa.

-Perché? Perché mentirmi?- si lasciò sfuggire insieme ad un sospiro, gli occhi socchiusi che osservavano il terreno ai suoi piedi ed il vestito sporco. Gonfiò leggermente le guance, inclinando il viso senza staccare lo sguardo dal terreno.

-Se non sono una Pevensie, chi sono?- non vide i tre che la circondavano guardarsi per vari secondi mentre era intenta a smuovere il terreno con un piede.

Dhemetrya si morse un labbro, aprendo la bocca per parlare ma sentendo le parole bloccarsi in gola insieme al poco coraggio che era riuscita a raccogliere. Si schiarì la voce, distogliendo lo sguardo per puntarlo sul cielo plumbeo. Temeva come avrebbe reagito Evelyn una volta che le avessero raccontato tutto.

-Noi... possiamo aiutarti. Possiamo spiegarti.- la Pevensie voltò leggermente il viso, fissandolo su Antares senza cambiare espressione. Osservò il Narniano con sguardo perso, aggrottando le sopracciglia per un breve attimo, rimanendo in silenzio mentre questi la osservava, serio.

-Cioè?- soffiò fuori, dopo un po', affilando leggermente lo sguardo con sospetto. Dilatò le narici per respirare ed Antares fu certo si fosse messa sulla difensiva da come si immobilizzò sul posto, come se le sue parole l'avessero colpita solo dopo interi attimi e temesse di poter ricevere altro dolore.

-Ciò di cui parlavano i tuoi fratelli, noi lo sappiamo. Non è colpa loro...- provò ad intercedere il Narniano, ma la vide tirare le labbra a quell'ultima frase e si fermò, smorzando ciò che stava per dire.

Che avrebbe dovuto perdonarli.


Evelyn non l'avrebbe mai accettato, non con quella ferita ancora vivida e sanguinante che le tediava la testa e il cuore. Certo che lei pensava fosse colpa loro. Erano loro ad aver taciuto.

La Pevensie scoccò un paio di sguardi a Dhemetrya e Lia, forse cercando di captarne i pensieri, prima di tornare a guardare Antares di sottecchi dopo aver analizzato brevemente la natura circostante. Si morse il labbro, guardinga, sentendo la brama di conoscenza accendersi come una piccola fiammella tra i cocci che erano il suo cuore e la sua anima.

-Spiegati, per favore.-

Se qualcuno poteva darle delle risposte le avrebbe ascoltate. Non aveva senso che si nascondesse ancora dietro delle bugie. Più male del tradimento dei propri fratelli non ci poteva essere nient'altro, potevano pure dirle che fosse un alieno e non le sarebbe importato.

Lia sospirò, occhieggiando il compagno e annuendo, lasciando che fosse lui a parlare, quella volta.

-Perché mentirmi? Perché non dirmi nulla?- incalzò nuovamente, sembrando tanto un disco rotto. Sembrava che la sua mente si fosse fermata a quel particolare, incapace di formulare altri pensieri al di fuori di esso; probabilmente era ancora sotto shock.

-Immagino avessero... paura della tua reazione.- azzardò Antares, cercando di infonderle un po' di calma con il suo tono di voce neutro. Non era sicuramente una situazione facile essere divisi tra sapere la verità e nasconderla dietro una facciata di quotidianità sperando non saltasse mai fuori.

Evelyn s'infossò nelle spalle, non potendogli dare torto. In ogni caso non avrebbe reagito bene, ma avrebbe preferito saperlo anni prima. Molti anni prima. Avevano passato quindici anni a Narnia. Le cose con Edmund non gli avevano insegnato niente? Pensava che la trasparenza fosse un aspetto fondamentale della loro vita dopo mesi e mesi di discorsi mal interpretati e sentimenti repressi che li avevano messi tutti in pericolo quando erano ancora bambini.

Eve sospirò, socchiudendo gli occhi ed appoggiando nuovamente il viso sulle ginocchia. Nemmeno lei era stata sincera con loro, se la metteva sotto quel piano. Aveva taciuto un sentimento per anni ed era come se avesse sempre mentito in faccia ad ognuno di loro ogni volta che gli rivolgeva parola.

Scosse la testa, percependo l'abito umido procurarle dei brividi e i capelli appiccicati alle spalle.

No.


No, erano due cose completamente diverse. Non si potevano nemmeno paragonare.

Evelyn tornò ad osservare i tre Narniani, mugugnando un assenso tra i denti.

-Quindi, cosa sapete su di me?- domandò, prendendo coraggio e affilando lo sguardo. Dhemetrya fremette davanti a quel cambio di comportamento, percependo l'aria farsi più elettrica attorno a loro. Le sembrò di sentire la terra vibrare leggermente, ma fu un pensiero talmente veloce che pensò di esserselo immaginata.

-Sei la reincarnazione delle Guardiane di Narnia.- tagliò corto il Narniano, senza girarci troppo intorno. Evelyn ammutolì, boccheggiando a vuoto varie volte mentre processava quelle parole. Si rese presto conto di capirci meno di prima, mentre una strana sensazione di angoscia e agitazione prendevano piede dentro di lei. Che diavolo voleva dire? Che storia era?

-Antares!- fu il richiamo allarmato di Lia che ruppe il silenzio che li circondava. La lupa sospirò esasperata, ricordandosi come mai fosse sempre stata lei quella che portava le notizie in giro, mentre scoccava un'occhiata bruciante al compagno a cui questi non fece caso.

“Un po' di tatto era chiedere troppo?”

“Non vale la pena girarci intorno ancora.”


Lia sbuffò, tirando indietro le orecchie e sbattendo la coda contro il terreno con nervosismo, puntando lo sguardo su Eve che si passò una mano tra i capelli per togliere i ciuffi da davanti agli occhi.

-C__Cosa... che intendi?- soffiò fuori, la bocca semi aperta in un'espressione che sembrava tanto stupore.

-Prima del lungo Inverno, quando Narnia era ancora alle origini, Aslan e la Grande Magia diedero la possibilità agli elementi che mantengono questo mondo in equilibrio d'incarnarsi. Diedero vita alle Guardiane, nate dall'essenza più pura di un elemento e della magia.-

Evelyn aggrottò le sopracciglia, non capendo quella storia assurda ma sentendosene suo malgrado irrimediabilmente rapita. Si permise di lasciare da parte i tormenti per ascoltare.

-Le Guardiane? Nessuno ne ha mai parlato.- constatò, cercando di ricordare tra i meandri della propria mente se fosse effettivamente la prima volta che sentiva quell'argomento. Le sembrava come se si fosse aperta una porta che la collegasse direttamente a millenni prima.

-Sono ormai leggende, dubito ci sia ancora qualcuno che ricordi le fondamenta su cui si basa l'equilibrio di Narnia fin dall'alba dei tempi. Le Guardiane avevano l'ingrato compito di sorvegliare questo mondo, mantenerne intatto l'equilibrio preservando la loro stessa purezza di animo, perché erano nate da esso e dagli elementi che lo costituiscono ed erano irrimediabilmente collegate. Una vita... non vita.- provò a spiegare Lia, persa nei propri ricordi.

Il legame che univa quegli spiriti sempre erranti alla terra a cui appartenevano era qualcosa di simbiotico. I loro pensieri, le loro emozioni, i loro turbamenti... tutto era collegato. E per questo doveva essere sempre tutto equilibrato, al fine di mantenere Narnia sempre viva e pulsante.

La Pevensie formulò un'espressione dubbiosa che non riuscì a reprimere.

-Ancora non capisco... cosa c'entro io?- chiese, in un mormorio sommesso e scuotendo la testa. I suoi occhi brillarono in cerca di risposte, spaesati.

-Tutto a Narnia è collegato.- interruppe Dhemetrya, con la voce roca. Toccava a lei dire quella parte, lo sapeva. Era compito suo. Tossì un paio di volte per schiarirsi la gola, ma la voce le uscì graffiante allo stesso modo.

-La fine non è mai una vera fine e anche quando le Guardiane scomparvero non... non morirono. I loro spiriti tornarono a collegarsi all'elemento da cui avevano avuto origine. Come un cerchio, ecco. Tu immagina un cerchio.- le disse, puntando un dito a mezz'aria per facilitarsi. Eve seguì la punta del dito davanti al proprio viso, concentrandosi per quanto possibile.

Dhemetrya chiuse gli occhi, riportando a galla la propria storia e iniziando a raccontare.

-La prima Guardiana a prendere vita fu quella nata dalla Terra. Quando scomparve si riunì al proprio elemento. La Grande Magia li fece passare tutti e quattro, ma nessuna di loro fu immune dai problemi e prima o poi finirono tutte con il fallire, rischiando di mandare Narnia nel caos. Pensò fosse perché un elemento singolo fosse instabile per un carico così pesante da sopportare. Quindi raccolse le essenze di tutti e quattro, reincarnandoli in una quinta Protettrice.- Dhem deglutì, sentendo la voce venire meno, lo sguardo perso a millenni prima.

Ricordava la prima volta che aveva aperto gli occhi e la prima cosa che aveva potuto vedere era stata la mano che le veniva offerta, il viso etereo che le sorrideva magnanimo. Scosse la testa, rimandando quelle memorie a un altro momento.

-Ma fu inutile. Era una vita di sofferenze, e avere delle guide vicino non alleviava la solitudine e la sofferenza che sentivano quelle anime. Senza contare che, essendo tutto collegato, nello spirito della quinta Guardiana erano conservate le essenze di quelle che l'avevano preceduta, come dei ricordi andati a male che ne intaccavo l'anima che invece doveva restare pura. Quando scomparve lasciò Narnia in balia del gelo... e di Jadis.-

-Un circolo vizioso.- mormorò Evelyn, ancora scossa per quel racconto. Voleva saperne di più. Che fine avevano fatto le Guardiane? Perché se ne erano andate lasciando il posto che gli aveva dato la vita a sé stesso? Se tutto ciò che dovevano fare era proteggere Narnia, perché non ci erano riuscite? Lia annuì, grave.

-Dal momento che è tutto un grande cerchio... anche lo spirito dell'ultima Guardiana ha dovuto reincarnarsi... in te. Per continuare il compito che le era stato dato. È stato qualcosa di inaspettato, ma si è andato a mischiare con la profezia dei tuoi fratelli.- La Pevensie si ritrovò a riflettere, suo malgrado.

-Un po' come se fossi stata creata per questo momento?- chiese, titubante. Dhemetrya aggrottò le sopracciglia, non capendo subito a cosa si riferisse Evelyn. La osservò mentre si teneva il mento tra indici e pollice, i graffi che iniziavano a fare le prime crosticine.

-Può darsi. La Grande Magia ha sempre mosso le cose che poteva a piacimento, il resto... credo sia una storia già scritta che nessuno di noi sa come deve andare.- I quattro si ritrovarono in silenzio, persi nei propri ragionamenti.

Le Guardiane avevano sempre fallito, per un motivo o per l'altro. E millenni dopo Narnia aveva bisogno di aiuto, esattamente come lo aveva avuto per sconfiggere Jadis. Era come se il destino avesse fatto in modo che ci fosse nuovamente la presenza di quelle che erano state le sue guide in quei periodi di profonda crisi.

-Quindi... non sono umana perché sono una Guardiana?- provò Eve, ancora frastornata, sentendo la voce cedere sotto il peso di quella domanda. Antares scosse lievemente la testa, sbuffando leggermente.

-No... non proprio. Il tuo spirito, indubbiamente. Ma prima di tutto tu resti Evelyn.-

Dhemetrya si morse il labbro, sentendo una fitta al cuore a quelle parole. Si passò una mano sugli occhi con stizza per scacciare il principio di lacrime che percepiva iniziare ad offuscarle la vista.

Già... Eve era semplicemente Eve.

Aveva sempre creduto che avrebbe ritrovato la sorella, una volta che tutto fosse venuto alla luce, ma mai come in quel momento, mentre la vedeva osservarsi in giro con occhi spaesati raggomitolata su se stessa, l'abito infradiciato e l'espressione ancora mezza spiritata, Dhem capì di essersi sbagliata. Per tutti quegli anni, si era sbagliata, attendendo qualcosa che non sarebbe mai arrivato.

Poteva anche essere tutto collegato, poteva anche condividerne lo spirito... ma Evelyn non sarebbe mai stata Ahislyn.

Ahislyn se n'era andata. Molto tempo prima.


-Mi dispiace, Figlia mia. Speravo sarebbe andata diversamente, questa volta.-

Dhemetrya tirò su con il naso, puntando lo sguardo pieno di lacrime sulla figura eterea che le era comparsa davanti. Non avrebbero dovuto provare niente, avrebbero dovuto essere immuni alle sensazioni per evitare di complicare le cose, eppure... poteva il dolore della mancanza essere così letale?

La Grande Magia la osservò per un lungo istante, studiandone i tratti distorti dalla sofferenza e gli occhi arrossati, le labbra tumefatte per i morsi che si era data pur di ricacciare indietro le urla di frustrazione che avrebbe voluto fare esplodere.

La donna tirò le labbra esibendo per una rara manciata di secondi un'espressione tesa, indecisa se muovere un passo verso la figura inginocchiata di fronte al piccolo stagno da cui aveva preso vita, totalmente incapace di fare qualsiasi cosa dinanzi a quella visione.

L'acqua del lago si increspava in onde agitate in simbiosi con il tormento che percepiva provenire dalla Narniana e candidi fiocchi di neve iniziarono a scendere dal cielo coperto di nuvole bianche.

Eppure era piena estate.

Dhem li osservò posarsi su Narnia in modo sempre più fitto e sentì quello stesso gelo lambirle il cuore, l'anima, congelarla fin nella parte più profonda che aveva allo stesso modo in cui prepotentemente prendeva il sopravvento su quel mondo.

La Grande Magia congiunse le mani in una preghiera che avrebbe dovuto concedere ancora un po' tempo prima di quel nuovo capitolo per Narnia, allungandone poi una verso la ragazza per costringerla a guardarla negli occhi.

Non seppe bene cosa dire, incapace di provare reali sentimenti e tutto ciò che riuscì a rivolgerle fu un mezzo sguardo compassionevole.

-Fatti forza, Dhemetrya Selenya. Vederti così mi spezza il cuore, e Narnia soffre.-



-Eve?-

I quattro si girarono contemporaneamente verso un angolo del piccolo spiazzo in cui erano rifugiati ormai da ore. Evelyn si irrigidì di colpo, sbiancando visibilmente, mentre Dhem scattò in piedi come se fosse stata punta da qualcosa. Si mise di fronte alla ragazza, nascondendola leggermente dietro le proprie gambe esili e puntando lo sguardo improvvisamente attento sul ragazzo sbucato fuori dal nulla.

Edmund.


Come aveva fatto a trovarli? Li aveva cercati?

-Ed...- sentì dire da Evelyn, e ne captò la poca convinzione con cui il nome del fratello le era uscito dalle labbra. La Narniana strinse i pugni, percependo una chiara irritazione gorgogliarle nel petto. Non erano stati chiari a dire di lasciarli stare? Che cosa volevano combinare, ancora?

-Vattene, Edmund.- ringhiò improvvisamente Eve, ritraendosi inconsciamente ancor di più contro Antares per cercarne il calore. La Pevensie interruppe il contatto visivo, rivolgendo l'attenzione altrove, lasciando che per vari secondi un silenzio esterrefatto si annidasse tra le tre figure che le stavano vicino.

Dell'espressione pensierosa e quasi tranquilla di poco prima non era rimasto nulla. I tratti le si erano irrigiditi e si potevano sentire i denti sfregare tra loro per il nervoso, le mani strette a pugno sulla gonna del vestito e gli occhi gelidi.

-Volevo solo sapere come st__-

-Cosa non hai capito del fatto che te ne devi andare?- incalzò nuovamente, scoccando la lingua contro il palato palesemente scocciata e parlando più veloce del solito. Lia notò che le tremava il labbro inferiore ed era sicura si stesse trattenendo pur di non scoppiare a piangere, improvvisamente turbata da tutto ciò che per un attimo aveva lasciato da parte e che la comparsa del fratello aveva riportato a galla.

Edmund abbassò lo sguardo, colpevole, sentendosi trafitto da sei paia di occhi – e nessuno di loro era lo sguardo che invece stava cercando e che si era preparato ad affrontare. Voleva solo sapere se stesse bene.

Si ritrasse, infossandosi nelle spalle e domandandosi perché mai avesse tentato di avvicinarsi. Evelyn era arrabbiata con loro. Con tutti loro. Lui non faceva eccezione. Poteva comprenderlo, ma il suo rifuto gli faceva male comunque. Dannatamente.

-Mi dispiace.- mormorò, mordendosi un labbro. La sua mente gli urlava di girarsi e andare via, di non farsi ancora più male, ma non ci riusciva. Alzò lo sguardo, sentendo il respiro mozzarsi e sgranando gli occhi, colpito dall'angoscia.

Era come se stesse guardando la scena dall'esterno. Lui da una parte, diviso irrimediabilmente dai quattro poco distanti come se vi fosse appena calato un muro insormontabile. Ebbe l'inconfondibile impressione di non essere il benvenuto e cercò nuovamente lo sguardo di Evelyn per cercare di scacciare quella sensazione, contatto visivo a cui questa volta lei non si sottrasse.

Forse avrebbe preferito avesse continuato a farlo, Ed, lasciandolo beato nella sua ignoranza. Perché l'espressione che gli stava relegando gli fece gelare il sangue nelle vene e piuttosto avrebbe preferito morire, invece che essere guardato con quegli occhi che gli diedero la sensazione di volerlo annientare sul posto.

-Vattene, Edmund.-

















































































































































Holaa! Benvenuti o bentornati! Come vi procedono le cose? Spero tutto bene!
Allora, che dire... ho fatto un pochino fatica con questo capitolo, spero che la spiegazione sia più chiara ma non temete, la storia delle Guardiane tornerà fuori e verrà approfondita per capire bene cosa sia successo. Per il resto... ve la aspettavate la reazione di Lucy? Spero risulti abbastanza IC con il personaggio, ecco.
Ringrazio le persone che leggono, preferiscono, ricordano, seguono e un grazie anche a coloro che ogni tanto si fermano a lasciarmi qualche parere! Fa sempre piacere sapere che nonostante il tempo trascorso questa storia riesca ancora ad interessare qualcuno. :)
Alla prossima,
D. <3
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Le Cronache di Narnia / Vai alla pagina dell'autore: Dhialya