Anime & Manga > Captain Tsubasa
Ricorda la storia  |      
Autore: Ai_1978    10/06/2020    2 recensioni
[SPIN-OFF DI "THE EYE OF THE TIGER"]
Tanti anni fa (ma proprio tanti!) scrissi una storia sciocca e infantile chiamata "The eye of the Tiger". Anni dopo la ripresi in mano e mi sembrò così insulsa che prima di pubblicarla la rimaneggiai, aggiunsi la tecnologia per renderla più attuale e misi l'avvertimento OOC grosso come una casa. A quella storia, però, sono affezionata ed ora vorrei proporvi un reboot di alcuni momenti salienti di quella vicenda. Ho cambiato l'ambientazione e le vicende rendendole più congrue al Giappone di primi anni '90 (dove è ambientato il manga) e ho usato i nomi originali dei personaggi. Vi propongo questa one-shot, sperando che dopo tanti anni qualcuno si ricordi ancora di me e della mia Minami Ozora.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny Mellow/Takeshi Sawada, Ed Warner/Ken Wakashimazu, Kazuki Sorimachi/Eddie Bright, Kojiro Hyuga/Mark, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il mito delle Metà'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
 
I personaggi di Kojiro Hyuga, Takeshi Sawada, Tsubasa Ozora, Ken Wakashimazu, Kazuki Sorimachi e Genzo Wakabayashi non sono una mia creazione ma appartengono al genio e alla maestria di Sensei Yoichi Takahashi.
 
Yasu Wakabayashi appartiene a Berlinene
 
Minami Ozora, invece, è mia in tutto e per tutto.
 
Tutto quello che ho scritto è stato fatto senza alcun scopo di lucro, ma per puro divertimento
 
*******
 
 
 
L'INCONTRO: Come tutto ebbe inizio
 
Takeshi Sawada aprì il proprio armadietto e ne estrasse le scarpe da esterno. Si sfilò quelle che utilizzava in aula e nel frattempo si rivolse alla ragazza proprietaria dell’armadietto accanto al suo: «Allora Minami…»
«Nacchan, non “Minami”. Quante volte te lo devo dire?» lo corresse lei.
Takeshi la guardò: era davvero una splendida ragazza con quei capelli neri e lunghissimi e gli occhioni color del mare sottolineati da ciglia foltissime. E poi aveva un magnifico sorriso, di quelli che ti sciolgono cuore ed anima.
Bella.
Troppo bella.
Decisamente fuori portata.
Meglio non farci neanche un pensiero e limitarsi a considerarla come una semplice compagna di banco.
Ricominciò a parlare: «Dicevo… allora Nacchan: come ti sembrano questi primi giorni alla Toho Gakuen?»
Lei sorrise radiosa: «Mi sta piacendo più o meno tutto, Take-chan. E sono davvero contenta di avere trovato te come compagno di banco!» così dicendo gli fece l’occhiolino.
Era strano: si conoscevano da soli tre giorni e già lei lo chiamava “Take-chan” e voleva essere chiamata “Nacchan”.
Eppure quei nomignoli affettuosi non suonavano strani: essere in confidenza con Minami era una cosa che veniva quasi spontanea.
La ragazza si mise ad armeggiare con la serratura del proprio armadietto: la chiave girava a vuoto e non c’era proprio verso di aprirlo.
«Ecco…» sbuffò lei: «Ho trovato qualcosa che non funziona in questa scuola: gli armadietti.»
«Aspetta, ci provo io!» si offrì Sawada.
Prese le chiavi e cercò di far scattare la serratura.
Niente da fare.
«Mi sa che dobbiamo andare a chiedere aiuto agli assistenti: l’armadietto è difettoso. Non si può aprire.» si arrese infine Takeshi.
Una voce baritonale alle sue spalle lo interruppe: «Togliti Sawada, lascia fare a me.»
Il giovane centrocampista riconobbe immediatamente quel timbro e si voltò di scatto: «Capitano! Certo… fai pure.»
Minami osservò con attenzione il nuovo arrivato: un bellissimo ragazzo molto alto, dalla carnagione scura e dai capelli nerissimi. Portava il gakuran grigio chiaro della Toho mezzo slacciato, con disinvoltura.
L’espressione era ferma e gli occhi scurissimi e incredibilmente profondi.
Nami non ebbe il minimo dubbio: quello era Kojiro Hyuga, il Capitano della Toho.
Lo vide avvicinarsi al suo armadietto e dare un poderoso pugno a lato, all’altezza della serratura. Quindi girò la chiave e, come per magia, lo sportello si aprì senza alcuna difficoltà.
«Ecco fatto. Riecco le tue chiavi.» disse Hyuga a Takeshi, facendo un mezzo sorriso. L’attaccante sovrastava il centrocampista di almeno una spanna.
«Grazie Capitano, ma questo armadietto non è mio.» disse Sawada.
«Ah no? E allora di chi…» chiese stupito Kojiro.
«È mio.» affermò Nami facendosi finalmente avanti e oltrepassando Takeshi.
La Tigre se la vide comparire davanti all’improvviso:  una bella ragazza, alta, che lo guardava dritto negli occhi.
Rimasero entrambi in silenzio a fissarsi per un po’, quando Sawada  finalmente decise di fare le dovute presentazioni: «Capitano, ti presento Ozora Minami… la cugina di…»
«Ozora Minami è sufficiente, Take-chan.» lo interruppe lei : «Non è necessario che ricordi a tutti che sono la cugina di Tsu-chan.»
«Tsu… Tsu-chan?» chiese incredulo Hyuga. Non era per nulla abituato a sentir chiamare il suo grande rivale in quel modo.
La ragazza gli sorrise, maliziosamente: «Tsu-chan… mio cugino: Ozora Tsubasa.»
«Sì, certo.» confermò Kojiro.
Lei si voltò verso Sawada e chiese sorniona: «E io con chi ho l’onore di parlare, Takeshi? Chi è questo bel ragazzo?»
Udendo quelle parole Hyuga si irrigidì, mentre al centrocampista sfuggì un sorrisetto divertito: «Nacchan, ti presento Hyuga Kojiro, il mio Capitano.»
Minami tornò a guardare l’attaccante dritto negli occhi, poi chinò il capo e disse con voce suadente: «Onorata di conoscerti, Hyuga Senpai
Kojiro non riusciva proprio a staccarle gli occhi di dosso: quella ragazza lo colpiva profondamente. Era bella e terribilmente sfacciata. Alta, con la carnagione chiarissima e… sensuale. Non gli veniva in mente nessun altro temine per descriverla.
Insomma, era decisamente il suo tipo, ma forse non era il caso di darlo troppo a vedere.
«Il piacere è mio, Ozora.» disse infine senza alcun tono particolare.
Lei sollevò il capo e lo guardò nuovamente negli occhi, sorridendo. A lui sembrò quasi di leggere una scintilla divertita nel verde profondo di quelle pupille.
No, forse era solo una sua impressione.
La ragazza, a qual punto si avvicinò a Sawada e gli appoggiò una mano sulla spalla: «Ok, io vado. Ci vediamo domani in classe, Take-chan.». Inaspettatamente si chinò verso di lui e gli diede un leggero bacio sulla guancia. Il centrocampista, colto alla sprovvista, arrossì violentemente, mentre Hyuga rimase  fermo e pietrificato. Quindi Nami guardò nuovamente di sfuggita il Capitano e disse con voce modulata: «Spero di rincontrare presto anche te, Senpai. Ci vediamo.»
«Arrivederci.» rispose lui seguendola con lo sguardo mentre si allontanava.
Takeshi era in confusione totale: Minami l’aveva baciato sulla guancia e questo già un pochino lo sconvolgeva. Ma ciò che più lo sorprese fu lo sguardo del Capitano: sembrava che fosse completamente catturato dalla ragazza che se ne stava andando.
«Tutto a posto, Capitano?» chiese infine.
Kojiro si scosse dallo stato di torpore e mormorò freddamente: «Non assomiglia molto a Tsubasa …»
«No, direi proprio di no…» replicò Sawada con un sorrisetto ilare.

 
*******
 
Il giorno seguente Minami parlava con alcune compagne di classe nel cortile della Toho Gakuen. Non le erano molto simpatiche, erano quasi tutte ricche ragazze snob. Tuttavia doveva conviverci e tanto valeva mostrarsi cordiale. Ad un tratto le sue amiche si zittirono quasi contemporaneamente.
«Cosa c’è? Perché non parlate più?»
La Yamaoka le rispose subito, ridacchiando con fare civettuolo: «Non ti voltare, ma dietro di te sta passando il Capitano Hyuga.»
Dire a Nacchan “non ti voltare” equivaleva praticamente ad invitarla a farlo immediatamente.
Infatti la ragazza guardò dietro di sé e a pochi metri di distanza vide il numero dieci della Toho, in tuta e borsone da calcio, che attraversava il cortile.
La Yamaoka parlò di nuovo: «È davvero un bel ragazzo. Peccato abbia un caratteraccio. È praticamente impossibile avvicinarlo…»
Minami guardò l’amica, con aria di sfida: «Figuriamoci. Vuoi scommettere?»
«Come?» rispose l’altra senza capire.
«Vuoi scommettere 10.000 yen che adesso io vado là e mi allontano insieme a lui?» ripeté la Ozora.
Le compagne risero, sbeffeggiandola e la Yamaoka aggiunse: «Se hai il coraggio di farlo, di yen te ne do anche 20.000!»
«Affare fatto!» accettò Nami e, dando le spalle alle amiche, si incamminò verso Kojiro.
 
«Hyuga Senpai!»
Udendo quel richiamo alle sue spalle il ragazzo si immobilizzò. Nessuno lo chiamava “Senpai”, nessuno tranne…
Si voltò di scatto e si ritrovò faccia a faccia con una raggiante Minami Ozora. Indossava il fuku della Toho e aveva raccolto i capelli in un morbido chignon, con qualche ciocca che le cadeva sul viso.
Pensò che fosse dannatamente bella.
La ragazza aveva il volto illuminato da quel maledetto sorriso seducente e quello sguardo brillante fisso nel suo.
Lei fece ancora due passi e gli fu di fronte: «Buongiorno, Senpai. Che piacere vederti.»
«Ciao Ozora.» rispose lui in tono freddo.
Minami non si fece intimidire e proseguì: «Senti, le vedi quelle quattro oche laggiù?» disse  indicando le compagne sghignazzanti ad una decina di metri di distanza.
Lui sbuffò: «Sì, le vedo.»
«Ecco: sono delle cretine. E ho appena scommesso con loro 20.000 yen che io e te ce ne andiamo da questo cortile insieme. Quindi evita di mandarmi a quel paese: se mi fai vincere la scommessa, facciamo a metà.» spiegò Nami.
Kojiro sollevò dubbioso un sopracciglio: «20.000 yen, hai detto?»
«Sì.»
«Per andarcene via insieme?»
«Esatto.»
Il ragazzo fece una specie di ghigno: «E allora cosa aspettiamo: andiamocene!»
Lei rise di gusto e lo affiancò prendendolo a braccetto: «Mi piaci, Senpai. Hai il senso degli affari!»
A Kojiro scappava da ridere, ma la sensazione del braccio di Minami intorno al suo gli impediva di fare qualsiasi cosa.
Con la coda dell’occhio la ragazza vide le amiche rimanere totalmente paralizzate a guardarli andare via. Non trattenne una risata: «Che stupide! Adoro vincere facile… mi domando quanti soldi mi darebbero se io ti baciassi!»
Hyuga quasi balbettò: «C-come scusa?»
Lei lo fissò serissima: «Ho detto: chissà quanti soldi mi darebbero se io ti dessi un bacio. Non fare quella faccia! Ti farebbe così schifo baciarmi, Senpai?»
Kojiro cercò di dissimulare l’imbarazzo: «Limitiamoci a guadagnare 20.000 yen per oggi, Ozora. Credo sia sufficiente.»
«Come vuoi.» rispose lei con una punta di delusione.
Quando sparirono dietro l’angolo dell’edificio principale della Toho Gakuen, si fermarono.
«Puoi lasciarmi il braccio, adesso.» disse Hyuga.
Minami si divincolò rapidamente: «Oh, sì, certo… scusa. È che ci stavo bene .»
Buttò un occhio per vedere se la sua affermazione avesse colpito nel segno e si inorgoglì vedendo che Kojiro distoglieva lo sguardo. Quindi, fingendo indifferenza, si congedò: «Devo proprio scappare adesso. È stato un piacere fare affari con te, Senpai. Appena riscuoto vengo a cercarti per fare a metà.»
Facendo l’occhiolino all’incredulo Capitano, Minami scappò via.
Kojiro fece appena in tempo a mormorare: «A presto» e lei era già scomparsa.

 
 *******
 
Due giorni dopo Hyuga si imbatté nuovamente in quello che ormai aveva soprannominato mentalmente “L’uragano Ozora”.
Stava uscendo tranquillamente dall’ingresso principale, quando la vide.
Come al solito pensò che fosse meravigliosa, ma tenne quel pensiero per sé. Lei gli si fece incontro esclamando allegramente: «Ciao Senpai, ti aspettavo.»
«Aspettavi me, e perché?» fu l’assai poco lusinghiera risposta di Hyuga.
Nami finse di non sentire e proseguì: «Ti devo dei soldi.»
«Uh?»
Lei rise: «Abbiamo la memoria corta, eh Senpai? La Yamaoka mi ha pagato.»
«La Yamaoka?» chiese Kojiro sempre più perplesso.
«Ma sì. Quella della scommessa.» spiegò la Ozora: «Mi ha dato i 20.000 yen e la metà, come da accordi, sono tuoi.» aggiunse porgendo al ragazzo un banconota spiegazzata.
Hyuga fece per afferrarla, poi ebbe un moto di orgoglio: «Tienili. Non li voglio.» disse bruscamente.
Nacchan sussultò leggermente, poi protestò: «Ma perché? Avevamo fatto un patto…»
Kojiro si soffermò per qualche secondo sui bei lineamenti imbronciati della sua interlocutrice: quella ragazza gli piaceva davvero molto. Faticava a ragionare in sua presenza. Tuttavia la sua tenacia prevalse: «Era una scommessa tua, non mia. Quindi i soldi spettano a te…»
«Come vuoi…» sussurrò Nami chinando il capo delusa: «Allora io vado. Arrivederci Senpai.»
La ragazza, mestamente, incominciò ad allontanarsi mentre il Capitano la guardava.
Era così… così… maledettamente affascinante.
Sbuffò sonoramente e sbraitò: «Ozora!»
Lei si bloccò subito e si voltò, sorridendo.
Hyuga non si trattenne e disse tutto di un fiato: «Non voglio i tuoi soldi, perché l’ho fatto volentieri.»
«Cosa?» chiese lei fingendo di non capire.
«Andarmene via a braccetto con te. Mi è piaciuto.» ammise lui.
Minami sorrise ancor di più: «Sul serio, Senpai?»
Lui annuì, senza guardarla.
Nami non stava più nella pelle dalla gioia: la sua strategia stava funzionando. Meglio non tirare troppo la corda comunque. Dolcemente aggiunse: «Ne sono felice. Grazie. Ora però devo andare a casa…»
Kojiro la guardò senza capire: «Ma perché vai di lì? I dormitori femminili sono nell’altra direzione.»
«Io non vivo ai dormitori, ho un appartamento qui vicino. Detesto le regole e ho bisogno dei miei spazi.»
La Tigre fece un’espressione stupita: «Ah, non lo sapevo.»
La cosa si faceva parecchio interessante: Minami Ozora aveva una casa tutta sua… quindi se lui avesse voluto avrebbero anche potuto…
I suoi pensieri furono interrotti dalla voce allegra della ragazza: «Tieni, Senpai.»
La guardò e vide che lei gli porgeva un foglio a quadretti su cui aveva scritto qualcosa.
«Cos’è?» chiese lui.
«Il mio indirizzo e il mio numero di telefono.» rispose Minami con naturalezza: «Non si sa mai: magari ti viene voglia di venirmi a trovare e fare quattro chiacchiere.»
Lui prese il foglio e lei sorrise di nuovo.
Quindi, per l’ennesima volta, rimase imbambolato a guardarla mentre si dileguava.
Osservò stranito il foglietto tra le sue mani e senza pensarci troppo se lo infilò nella tasca dei pantaloni della tuta che indossava.

 
*******
 
La Tigre stava per essere domata.
Ma questo Kojiro ancora lo ignorava. Sicuramente si era reso conto che qualcosa in  lui stava decisamente cambiando. Per la prima volta da parecchio tempo si ritrovava a pensare a qualcosa che non fosse il calcio. O meglio... A qualcuno.
La goccia che fece traboccare il vaso arrivò il pomeriggio successivo, quando Minami Ozora si presentò nell'appartamento che lui divideva con Sawada, Wakashimazu, Sorimachi e Yasu Wakabayashi per studiare matematica con il compagno di classe.
In casa erano presenti solo lui e Takeshi: Ken e Yasu erano a lezione di inglese, mentre Sorimachi era impegnato con i corsi preparatori all'università.
Lui stava studiando svogliatamente chimica chiuso nella sua stanza, quando sentì bussare alla porta.
Contemporaneamente udì Sawada urlare: «Vado io, è per me!»
Lì per lì non fece molto caso alla cosa, finché non udì distintamente una voce femminile e nota che chiedeva il permesso di entrare.
Il libro di chimica quasi gli cadde dalle mani: quella era la Ozora, ci avrebbe scommesso.
La sentì chiaramente ridere con l'amico e poi sedersi al tavolo del soggiorno.
Da quel momento in poi non riuscì più a leggere nemmeno una riga: nell'altra stanza c'era troppo silenzio. Cosa diavolo stavano facendo Sawada e la Ozora?
Lentamente, senza farsi notare, mise la testa nel corridoio e diede una sbirciatina in salotto: con enorme sollievo li vide entrambi concentrati sui libri e seduti a debita distanza uno dall'altra.
Kojiro era indeciso: cosa doveva fare? Moriva dalla voglia di vedere la ragazza, ma se fosse uscito a salutare avrebbe reso evidente il proprio interesse. Proprio non poteva farlo. Meglio far finta di niente.
Passò un'oretta buona. Hyuga se ne stava immobile in camera sua con l'orecchio teso: sentiva i due parlottare e ridacchiare ogni tanto. Poi all'improvviso udì che il buon Takeshi si congedava per andare in bagno. Con la coda dell'occhio vide la sagoma del coinquilino che passava nel corridoio in direzione del WC.
Perfetto: la Ozora era sola in soggiorno. Era giunto il suo momento. Quando Takeshi andava in bagno ci stava dei secoli, di solito. Per la prima volta in vita sua, ringraziò l'intestino pigro del compagno di squadra.
Si alzò dal letto e uscì.
Percorse lentamente la distanza che lo separava dal soggiorno e si fermò ad osservare la scena: Minami sedeva a capo chino e scriveva su un quaderno, portandosi ogni tanto la penna alla bocca per riflettere.
Per tutti gli dei: quanto era bella!
Kojiro deglutì e continuò ad avvicinarsi. Quando fu alle spalle della ragazza, disse piano per non spaventarla: «Ciao Ozora.»
Lei si voltò e quando lo vide assunse un’espressione gioiosa che scaldò il cuore del ragazzo.
«Buongiorno Senpai. Non sapevo fossi in casa.» rispose lei.
Kojiro rimase interdetto e non sapendo come ribattere, cercò una scappatoia: « Ero in stanza a studiare. Ora mi è venuta sete e sto andando a prendermi qualcosa da bere in cucina.»
Era una scusa terribile, infatti Nami non gli credette nemmeno un secondo.
Ridacchiando, tornò sui libri mormorando: «Ok, Senpai.»
Hyuga si diede mentalmente dell'idiota e, imprecando tra i denti, si eclissò in cucina mentre la ragazza lo seguiva con lo sguardo.
Nacchan lo lasciò allontanare per poi sporgersi dalla sedia e spiare cosa il ragazzo stesse facendo: lo vide distintamente aprire il frigorifero ed estrarne una lattina di coca. Poi si spostò evidentemente dall'altro lato della cucina, uscendo dal suo campo visivo.
Rapidamente la ragazza elaborò un pensiero: «Ora o mai più!»
Si alzò e si diresse verso la porta della cucina.
Quando Hyuga se la vide comparire di fronte quasi si ingozzò con la coca. Appoggiò la lattina sul ripiano vicino al fornello e rimase immobile a contemplarla.
Minami sommessamente chiese: «Posso avere un po' di coca anche io?»
Kojiro, rendendosi conto di essere stato poco ospitale, si affrettò a rispondere indicando il frigorifero: «Ma certo, serviti pure.»
Inaspettatamente la ragazza ignorò completamente il frigo, afferrando invece la lattina abbandonata da lui e portandosela alle labbra. Il ragazzo rimase paralizzato: quello era un colpo basso. Quella donna giocava sporco.
Lo stava decisamente provocando.
Fece appello a tutto il proprio autocontrollo per non saltarle addosso. Minami lo guardò ammiccante, e riappoggiò la lattina sul ripiano. In quel momento, un piccolo ragno nero e peloso percorse la formica bianca , proprio vicino alla mano della ragazza.
Nami lanciò un urlo terrorizzato.
Kojiro, con un gesto istintivo, la afferrò per un polso e la attirò a sé, stringendola contro il suo petto con il braccio sinistro. Lei, affondando il viso nei suoi pettorali singhiozzò: «Ti prego, Senpai. Uccidi quell'orrido mostro!»
«Ma è solo un ragnetto!» la sfotté Hyuga, senza tuttavia lasciarla.
«Ammazzalo subito!» lo implorò lei.
«E va bene...» acconsentì il calciatore. Continuando a stringere a sé la ragazza col braccio sinistro, col destro afferrò un giornale arrotolato e spiaccicò il povero aracnide sul ripiano della cucina.
Sentendo il rumore, Nacchan chiese con un filo di voce: «È morto?»
«Sì, fifona. È morto.» rispose lui, quasi dolcemente. 
Minami scostò il viso dal suo petto e lo guardò: i loro volti erano terribilmente vicini e tra le loro bocche non c'erano più di cinque o sei centimetri di distanza. Lei sentiva battere il cuore di lui, sentiva le sue braccia muscolose che la stringevano.
Con fare lascivo sussurrò, guardandolo fisso negli occhi: «Grazie.»
Lui poteva percepire il suo fiato caldo. Gli girava la testa. Sempre continuando a guardarla rispose, sussurrando a sua volta: «Figurati. Non c'è di che.»
Rimasero immobili qualche secondo in quella posizione, coi visi e le bocche vicinissime.
Poi Nami parlò di nuovo, sottovoce:« Senpai... Posso farti una confessione?»
«Certo.»
La ragazza sorrise: «Io non ho paura dei ragni!»
Kojiro rimase spiazzato: «ma... Come... Tu hai... Urlato!»
Lei ridacchiò: «Era una tattica per farmi abbracciare e mi sembra abbia funzionato alla grande!»
Hyuga non poteva crederci! Quella ragazza era incredibile. Però aveva ragione: lui l'aveva abbracciata e sinceramente non aveva nessunissima intenzione di lasciarla andare.
Con infinita lentezza incominciò ad avvicinare la sua bocca a quella di lei: inutile negarlo, moriva dalla voglia di baciarla.
Le loro labbra si sfiorarono appena quando dal salotto giunse la voce di Sawada: «Nacchan? Dove sei? Eri tu che urlavi prima?»
Fine della magia.
Minami si staccò da lui di colpo e facendogli l'occhiolino, scappò da Takeshi esclamando: «Sì, c'era un ragnaccio schifoso! Ma Hyuga Senpai mi ha salvato!»
Fuggita via, di nuovo.
Ma stavolta l'amaro in bocca gli era restato, e parecchio.
Kojiro strinse il pugno e lo picchiò con vigore sul ripiano della cucina facendo cadere a terra sia la lattina vuota che il giornale che lì erano ancora appoggiati.

 
*******
 
La sera stessa, verso le 19:30, Kojiro si aggirava ancora nell’appartamento camminando avanti ed indietro. Una vera e propria tigre in gabbia.
Ken Wakashimazu lo osservava preoccupato: «Capitano? Tutto bene? Mi sembri nervosetto.»
«Un po’ più che nervosetto, direi…» commentò Yasu con apprensione.
Hyuga si voltò verso la coppia di amici e… grugnì.
La Wakabayashi si avvicinò all’orecchio del fidanzato e bisbigliò: «Secondo te era un modo carino per dirci di farci i cazzi nostri?»
Il portiere annuì:« Ho questo sospetto anche io.»
Il Capitano improvvisamente si fermò, si diresse verso la porta e sbraitò scortese: «Io esco. Non cercatemi e non preoccupatevi se non rientro per il coprifuoco. Al massimo, se trovo i cancelli chiusi, scavalco il muro di cinta sul retro… come al solito.»
Dette queste parole, il ragazzo prese le chiavi di casa e uscì sbattendo la porta con malagrazia.
Ken e Yasu si fissarono perplessi e , sospirando, tornarono a guardare la TV.
Kojiro  uscì dai cancelli della Toho Gakuen e si avviò lungo il viale principale. Non aveva una meta precisa, aveva solo voglia di camminare e starsene da solo.
Infilò le mani in tasca dei pantaloni della tuta e subito si ritrovò tra le dita un pezzo di carta. Il suo cuore perse un battito.
Estrasse il foglietto e rimase a fissarlo imbambolato: era la pagina di block-notes sulla quale Minami Ozora aveva scarabocchiato il proprio numero di telefono e il proprio indirizzo, consegnandolo nelle sue mani e sussurrandogli: «Magari ti viene la voglia di venirmi a trovare e fare quattro chiacchiere, Senpai.»
Il tutto con una naturalezza disarmante e un sorriso che, per un attimo, gli aveva mozzato il respiro.
Insomma: lui era uscito per prendere una boccata d’aria e smettere di pensare a lei e a quei suoi maledettissimi occhi verdi ma, evidentemente, la sorte gli remava contro.
Rimase immobile sul marciapiede, fissando il pezzo di carta: l’indirizzo indicato non era molto distante da dove si trovava in quel momento.
Magari ti viene la voglia di venirmi a trovare e fare quattro chiacchiere, Senpai.”
Quelle parole gli rimbombavano nel cervello.
Aveva una gran voglia di fare quattro chiacchiere con lei, ad essere sincero.
Anzi, a dirla tutta, aveva voglia più che altro di vederla.
Erano passate solo due ore dal loro ultimo incontro, quando se l’era ritrovata in casa a studiare con Sawada.
 E si erano quasi baciati in cucina.  Ma a lui sembrava già un’eternità.
«Vaffanculo.» imprecò tra sé prendendo a calci un sasso sul marciapiede: «Vado da lei.»
Svoltò l’angolo e si diresse verso l’indirizzo indicato sul foglio.
La piccola palazzina si ergeva sul lato destro della strada: era un grazioso condominio residenziale, con scalinata e ballatoio esterno sul quale si affacciavano le porte dei vari appartamenti.
Quello della Ozora, secondo le indicazioni, doveva essere il 3/B.
Giunto a destinazione controllò per precauzione il nome sul campanello: Ozora Minami.
Perfetto: si trovava nel posto giusto.
Prese un bel respiro e suonò.
Gli venne aperto praticamente subito, anche se a lui quei pochi secondi sembrarono un’ eternità.
Minami gli si presentò davanti in canottiera bianca attillata e larghi pantaloni della tuta calati sui fianchi, in modo che risultassero a vita bassa.. Portava i lunghissimi capelli neri sciolti.
Kojiro rimase senza fiato: finora l’aveva vista soltanto in divisa scolastica e coi capelli raccolti.
La ragazza come lo riconobbe sgranò gli occhi sorpresa e sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi esclamando: “Hyuga Senpai!”.
Ancora quel sorriso. Doveva dire qualcosa se non voleva fare la figura del perfetto cretino: «Ciao Ozora, mi trovavo a passare di qua e…»
Lei non lo lasciò finire: «Ma certo, entra! Non stare sulla porta.»
Kojiro varcò la soglia e si sfilò le scarpe da ginnastica mentre Minami gli diceva: «Accomodati sul divano, io ti porto qualcosa da bere. Hai preferenze?»
«Coca, se ce l’hai. Grazie.» rispose lui dirigendosi verso il sofà.
In pochi secondi la ragazza fu di ritorno con due lattine: «Ce l’ho solo light. Ti va bene lo stesso?»
Light?
Lui non beveva coca light! Tuttavia pensò che rifiutare sarebbe stato scortese, quindi accettò: «Va benissimo, grazie.»
Si sedettero entrambi sul divano.
Lui aprì la sua lattina e bevve un sorso.
Non era tanto male quella bibita senza zucchero, in fondo: sembrava quasi coca vera.
Lei rimase in silenzio a guardarlo. Poi gli porse la sua lattina: «Saresti così gentile da aprire anche la mia, Senpai?»
«Solo se la smetti di chiamarmi “Senpai”. Mi sa di presa per il culo!» disse lui aprendo la bibita alla ragazza e ridandogliela.
Nami  bevve e poi rise di gusto: «E come dovrei chiamarti, allora? Scordati che ti chiami “Capitano”. Tu non sei il “mio” capitano…»
«Chiamami Hyuga, come fanno tutti.» propose Kojiro
Lei sorrise, beffarda avvicinandosi a lui: «Io non sono “tutti”… quindi ti chiamerò Kojiro
Kojiro?
Ma come: solo sua madre, i suoi fratelli e Kira-san potevano chiamarlo “Kojiro”!
E anche Misaki… e Yasu … ma quella era un'altra storia.
Con suo immenso stupore il ragazzo si ritrovò a pensare che sentire il proprio nome pronunciato da Minami non gli dispiaceva affatto. Quindi chiese a sua volta: «Ed io? Come vuoi che ti chiami? Ozora o Minami?»
«In nessuno dei due modi.» rispose lei: «Chiamami Nami, mi sento più a mio agio.»
«Come vuoi, Nami.» acconsentì il calciatore pronunciando per la prima volta il suo nome abbreviato.
Lei gli sorrise.
Di nuovo.
E la testa di Kojiro ricominciò a vorticare.
Ma cosa gli stava succedendo? Voltò il viso dall’altro lato fingendo di osservare l’appartamento. In realtà cercava di dissimulare l’imbarazzo.
La ragazza appoggiò la lattina di coca sul tavolino e tirò le gambe sul divano. Si spostò molto vicina a lui e allungò una mano sfiorandogli una spalla. Il ragazzo indossava i pantaloni della tuta della Toho e una maglietta bianca a mezza maniche… arrotolate.
Come Kojiro percepì il tocco delle dita di Minami, sussultò e si voltò di scatto, ritrovandosela molto più vicina di quanto si aspettasse.
«Posso chiederti una cosa?» domandò lei
«Dimmi…»
«Perché porti le maniche così? È tremendamente… cafone
Cafone? Quella ragazzina, anzi - si corresse mentalmente - quella bella ragazza stava dando a lui del cafone? Ma era una cosa che non stava né in cielo né in terra!
Doveva reagire.
Purtroppo, lì per lì, l’unica reazione che gli venne fu ridere.
Nami rimase interdetta, quindi lo seguì nella risata. Lui smise e si fece serissimo. Minami era inginocchiata sul divano, vicinissima a lui.
Troppo vicina.
Maledettamente vicina.
E rideva. Il suo petto sussultava. Non era molto formosa, ma aveva un delizioso seno piccolo e sodo e una pelle talmente bianca che…
Il numero dieci della Toho allungò una mano e le toccò il viso. Nami smise immediatamente di ridere e appoggiò la mano sopra quella di Hyuga mormorando a fior di labbra: «Kojiro…»
«Nami…»
Nessuno dei due seppe spiegarsi come accadde di preciso, ma si ritrovarono avvinghiati. Lui le cercò le labbra, mentre lei non oppose alcuna resistenza.
Si baciarono a lungo fin quando lui non si staccò di colpo e si alzò in piedi di scatto dicendo: «Meglio che io vada, ora.»
Lei non capì: «Andartene? Adesso? Sul più bello?»
Kojiro cercò di risponderle la cosa più sensata che gli venne in mente: «Nami, ascolta… io e te ci conosciamo appena. E sconveniente che…»
«Mi pare che il tuo corpo dica tutt’altro!» lo canzonò la ragazza indicando l’inguine di Hyuga dove, sotto la stoffa scura della tuta, si intravedeva benissimo l’eccitazione del ragazzo.
«Lascia perdere il mio corpo!» esclamò lui.
Lei balzò in piedi e gli buttò le braccia al collo: «Lasciarlo perdere? Fossi matta! Il tuo corpo è bellissimo.»
Kojiro sbuffò esasperato.
Insomma, lui stava facendo di tutto per comportarsi da “signore”, ma non era dotato di una resistenza infinita. E quella ragazza lo stava provocando oltre misura. Inoltre lei gli piaceva, e anche tanto.
Detto in poche parole: non ce la faceva più.
Le cose erano due: o usciva da quella casa SUBITO o ci restava. Ma in tal caso per fare una cosa sola.
«Senti Nami io…» cercò di dire ma lei lo zittì con un nuovo bacio, cui lui rispose.
Poi Minami gli sussurrò in un orecchio: «Non te ne andare, Kojiro. Io voglio che resti. Io… voglio te
Fu il colpo di grazia.
L’attaccante prese una decisione: sarebbe restato.
Le infilò una mano sotto la maglietta e sentì sotto il tocco delle dita la pelle morbida della ragazza.
La spinse indietro sul divano.
Anche lui la desiderava: desiderava con tutto se stesso Minami Ozora.
Le mani di lei che si infilavano nei suoi boxer gli impedirono di pensare ulteriormente all’assurdità di quella situazione.

 
##FINE##
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: Ai_1978