Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: MissRosalie42    10/06/2020    0 recensioni
La cosa più importante da sapere su Sam è anche l'unica che nessuno conosce. Il ragazzo può vedere i fantasmi.
Nulla di particolarmente esaltante, per lui. Può vederli e parlare con loro da sempre, ci è abituato.
Quando però si trasferisce in una nuova casa e la trova infestata da un ragazzo morto alla sua età pochi anni prima, le cose cambiano.
Sam sarà costretto ad affrontare tutto ciò che lo spaventa e che aveva sempre evitato: la sua famiglia, le sue insicurezze, i suoi sentimenti. A quale prezzo imparerà ad essere se stesso?
Genere: Drammatico, Fluff, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
14. Inizio e fine

Brandon e Amy Beth trascorsero l’intera domenica in camera di Sam per fargli compagnia, e lui mostrò finalmente loro i suoi disegni. Tutti, persino i ritratti che aveva fatto a loro e a Thomas.
Il giorno dopo trovarono proprio Thomas ad aspettarli davanti al cancello scolastico. Era ancora fuori, sul marciapiede, e sembrava un po’ nervoso.
Quando lo raggiunsero, sorpresi, si avvicinò subito a Sam.
“È ok, questo?” gli chiese.
“Questo cosa?”
“Entrare a scuola insieme.”
Sam gli sorrise e annuì. Non si stavano toccando, a un’occhiata esterna erano due amici che parlavano.
“Come va lo zigomo?”
“Meglio.”
Il gonfiore non c’era più. Mindy e sua madre avevano provato a coprire il livido con un leggero strato di fondotinta, con il risultato di rendere ancora più evidente l’ecchimosi e il fatto che aveva del trucco in faccia, così alla fine il ragazzo si era lavato il viso e aveva deciso di presentarsi in classe così com’era.
Varcarono la soglia e a metà viale, in cortile, Sam si fermò di colpo.
Rose stava correndo verso di lui. Non proprio correndo, ovviamente, ma fluttuando a tutta velocità.
“Samuel! Parlano di voi in tutta la scuola!”
Sam la guardò con aria interrogativa. Ignorò il ‘che succede?’ di Brandon e cercò di non sembrare troppo allarmato. Comunque non staccò lo sguardo dal viso di Rose.
La ragazza fantasma si portò una mano davanti alla bocca quando si accorse della ferita. “Allora è vero? Siete stato malmenato da vostro padre?”
Il volto di Sam sbiancò, e adesso era lui a sembrare più morto che vivo. Lanciò un’occhiata agli altri. Tutti e tre lo fissavano senza dire niente. Si girò di nuovo verso Rose e cercò di farle capire che voleva una spiegazione. Erano quattro anni ormai che comunicavano silenziosamente in quel modo, e la ragazza afferrò subito.
“Circola una voce tra tutti gli studenti. Che vostra madre ha denunciato vostro padre per violenza… domestica. Sì, è questa la parola che usano. Dicono che… che ha picchiato voi e vostra madre, che lo avete cacciato di casa.”
Erano passati solo due giorni, eppure tutti sapevano. Si ricordò che alcuni suoi compagni avevano genitori che lavoravano al distretto di polizia e altri addirittura in ospedale con i suoi genitori. Ovvio che tutti oramai sapessero. Cominciò a mancargli il fiato. Si guardò intorno, e si accorse che i pochi alunni che erano già in cortile lo stavano fissando. Quando incrociavano il suo sguardo, abbassavano tutti la testa.
Brandon gli si avvicinò e gli mise le mani sulle spalle.
“Tutto bene?”
Sam annuì.
“Stai tremando.”
Sam non fece in tempo a negare l’evidenza, che Rose gli fece notare altri in avvicinamento. Erano Archer, Nathan, Vinnie e Diana.
Avevano tutti facce da funerale, segno che avevano già sentito le voci che circolavano. Si fermarono davanti a Sam e agli altri, un po’ in imbarazzo. Con grande sorpresa di tutti, fu Diana la prima a parlare.
“Volevo dirti, che io non l’ho detto a nessuno. Nemmeno a Vinnie. Non sono stata io a far circolare la voce” disse. Quando il ragazzo la guardò confuso, lei si spiegò. “Oh, credevo lo sapessi. L’albergo dove… tuo padre…” sembrava molto in imbarazzo, persino più degli altri tre. Forse perché conosceva Sam molto di meno. “Insomma, l’albergo è di proprietà della mia famiglia. Non volevo che pensassi che io lo avessi raccontato in giro. Non è così, non mi sarei mai permessa.”
Otto paia di occhi lo fissavano.
“Grazie” disse Sam, incapace di aggiungere altro, perché sentiva gli occhi pizzicare. Non voleva scoppiare a piangere lì, in mezzo al cortile della scuola, sotto lo sguardo di metà del corpo studenti.
Archer fece un passo avanti e lo abbracciò. “Mi dispiace, amico” gli disse.
Quando lo lasciò andare, Nathan prese il suo posto. “È uno schifo” commentò, mentre lo stringeva.
“Almeno è solo un livido, suppongo poteva andarti peggio” disse Vinnie, quando venne il suo turno.
È solo un livido, vero?” domandò Archer.
“Sì, tranquilli” rispose Sam, che si sentiva molto in soggezione nel ricevere tutte quelle attenzioni alle quali non era abituato, soprattutto non da persone diverse da Brandon.
Tutti e otto i giovani si diressero finalmente verso l’ingresso dell’edificio, mentre Rose lo salutò dicendo che sarebbe andata ad indagare ulteriormente su quello che sapeva il resto della scuola.
 
Le prime ore di lezione trascorsero in maniera piuttosto ordinaria. Nessuno degli insegnanti gli chiese spiegazioni per il livido, anzi, era come se tutti evitassero di guardarlo. A differenza degli studenti, che invece lo fissavano di continuo, persino apertamente. Alcuni che non gli avevano mai rivolto la parola lo salutarono brevemente, quelli che invece di solito si divertivano a bullizzarlo, distoglievano lo sguardo da lui in tutta fretta. Persino Sean McDonald non disse nulla, ma abbassò la testa con aria grave. Evidentemente, un padre che picchiava suo figlio era troppo persino per lui, forse anche alcuni bulli hanno dei limiti.
Quando suonò la pausa pranzo, la segretaria del preside lo raggiunse al suo armadietto e gli disse che l’uomo voleva vederlo subito nel suo ufficio. Sam non ne fu sorpreso, Rose lo aveva avvisato che alcuni insegnanti si erano riuniti per decidere se parlare con lui oppure no di quello che era successo. Con lui in quel momento c’era Amy Beth. Le chiese di avvisare Brandon che avrebbe fatto tardi a pranzo, poi seguì la segretaria.
L’incontro con il preside fu breve e abbastanza indolore. Saltò fuori che era stata la stessa signora Robertson a chiamare la scuola per mettere al corrente gli insegnanti delle ragioni delle condizioni di Sam. Il preside voleva solo assicurarsi che a parte il livido sul viso il ragazzo stesse bene.
Dieci minuti più tardi, quando Sam entrò finalmente in mensa, vide che il suo tavolo, che all’inizio dell’anno era occupato soltanto da lui stesso, oggi era pieno di gente. Non solo i soliti Brandon, Archer, Nathan e Vinnie, ma anche Amy Beth e Diana, e persino Thomas.
Ma qualcosa non andava.
Thomas, che di solito era la persona tra quelle che gli riservava i sorrisi e gli sguardi più dolci, adesso aveva un’espressione dura che Sam gli aveva visto solo quando aveva creduto che fosse stata una sua decisione non averlo più come tutor.
Ancora a metà strada tra la porta e il suo tavolo, Sam scambiò uno sguardo confuso con Brandon. L’amico aveva un’aria colpevole, che confermò mimando con le labbra un ‘mi dispiace’.
Sam non fece in tempo ad allarmarsi, che Thomas si alzò dal tavolo e lo raggiunse.
“Seguimi” gli disse brevemente, superandolo e dirigendosi fuori dalla sala mensa a passo deciso.
Col cuore a mille, Sam girò su se stesso e lo seguì.
Nessuno dei due disse niente mentre proseguivano veloci verso la biblioteca. Sam era terrorizzato. Non aveva idea di quale fosse il problema, ma una parte di lui era sicuro che qualunque fosse, avrebbe dovuto aspettarselo. Pensava davvero che avrebbe potuto essere felice per più di 24 ore?
La biblioteca non era deserta, neppure in pausa pranzo, ma c’era poca gente. Fecero slalom tra gli scaffali e raggiunsero l’angolo isolato e chiuso alla vista dove di solito facevano ripetizioni.
Quando finalmente furono ‘soli’, Thomas lasciò cadere lo zaino per terra e gli prese una mano.
“Perché non me lo hai detto?!” sussurrò, ma il tono di voce era arrabbiato.
“Cosa?” domandò Sam, che aveva di nuovo le lacrime agli occhi. Gli ultimi due giorni lo avevano messo a dura prova, li sentiva pesare come due mesi.
“Che è stata colpa mia!”
Sam si strofinò un occhio con la mano libera, sforzandosi con tutto se stesso di non lasciar cadere neppure una lacrima. Quindi era a questo che si era riferito Brandon, poco prima.
“Quando te lo ha detto?” chiese a Thomas.
“Che importanza ha?”
“Chi lo sa oltre te?” insistette Sam, che cominciava ad avvertire il panico in arrivo.
Finalmente Thomas capì. “Solo io. Non me lo ha detto a pranzo, davanti agli altri.” Con l’altra mano gli accarezzò il viso, mentre con quella che gli stringeva le dita rafforzò la presa. “Eravamo da soli, stavamo andando in mensa. Eravamo solo io e lui. E in sua difesa devo dire che era convinto che io lo sapessi già.”
“D’accordo” disse Sam, prendendo fiato. Non si era neanche accorto di essere talmente in tensione da stare trattenendo il respiro.
“Scusa, non volevo arrabbiarmi” disse infine Thomas. Smise di accarezzarlo e gli lasciò la mano, facendo un passo indietro. “Però mi sono sentito un cretino. Sia perché ci sarei dovuto arrivare da solo, sia perché non me lo avevi detto. Perché non lo hai fatto?”
“Perché non è stata colpa tua e avevo paura che pensassi che era stata colpa tua.”
“Ma certo che è stata colpa mia!”
“Visto?” Sam tentò un debole sorriso, che Thomas ricambiò.
“Mi sento uno schifo” disse Thomas.
“Se non vuoi più stare con me, lo capisco” mormorò Sam, rassegnato, senza riuscire a guardarlo negli occhi.
“Cosa?!” Thomas fece di nuovo un passo avanti. “Che stai dicendo?!”
“Che se non vu-”
“Sam, ma ti pare!? Ma sei serio?!”
Thomas scoppiò a ridere e Sam lo guardò di nuovo in viso.
“Non lo so! Non capisco niente!”
Thomas lo abbracciò.
“Senti, mi dispiace se ho reagito male” gli sussurrò all’orecchio, per non farsi sentire dal altri. “Capisco perché non mi hai detto la verità, anche se avresti dovuto. Mi sono innervosito perché mi sento in colpa, ma non sono davvero arrabbiato con te. Forse sono arrabbiato con tuo padre ma ho riversato la mia rabbia su di te perché mi hai mentito.”
“Non ti ho mentito, ho solo tralasciato…” mormorò Sam, con il viso affondato nella spalla di Thomas.
Thomas sorrise tra i capelli spettinati di Sam. “Il risultato è lo stesso” disse. “Però questo non cambia niente tra di noi.”
“Quindi…” il ragazzo abbassò la voce il più possibile. “Siamo una coppia? Cioè, sei il mio ragazzo? Ufficialmente?”
Thomas scoppiò a ridere ancora più forte, sciogliendo l’abbraccio per costringere Sam a guardarlo negli occhi.
“Ufficialmente” confermò. Poi finse un’espressione arrabbiata. “Ma sono offeso che tu avessi anche solo il minimo dubbio. Forse dovresti darmi un po’ più di credito, no?” Si strinse nelle spalle. “Sai, parlando in generale, tipo su queste cose e sul fatto che non vuoi racc-”
“Ok ok ok ho capito ho capitooo” sbuffò Sam, senza riuscire a trattenere il sorriso. “Ho sbagliato, mi dispiace. Ma in ogni caso non mi sembra una ragione sufficiente per farmi saltare il pranzo.”
“Ho preso due tramezzini alla caffetteria” rispose Thomas, prendo lo zaino e appoggiandolo sul tavolo. “Mangiamo qui?”
“Sì, non ho tanta voglia di stare in mezzo alla gente. Mi fissano tutti.”
“Immaginavo.”
 
La settimana di Sam trascorse tranquilla.
Il padre non tornò a casa, non telefonò, si limitò a far ritirare le sue cose da un fattorino, ma avvenne tutto mentre lui era a scuola.
Sua madre, Mindy e Hugh rispondevano vagamente a tutte le sue domande, però per fortuna lui aveva Maxwell a riferirgli qualsiasi cosa venisse discussa tra quelle quattro mura mentre lui non c’era.
Non che ci fosse da sapere chissà cosa. Le autorità stavano ‘elaborando’ la denuncia. Bisognava solo aspettare.
A scuola il suo gruppo cercava di trattarlo come sempre, ma Sam non riusciva a non notare una certa attenzione in più.
Archer gli teneva aperta la porta per entrare in mensa, Brandon lo scortava da una classe all’altra anche quando aveva lezione in aule dall’altro lato della scuola, Vinnie gli dava sempre la precedenza in fila alla mensa… tante accortezze di quel genere da parte di tutti, incluso Thomas che aspettava il trio al cancello e poi si univa al loro tavolo a pranzo.
Era strano essere circondati da così tante persone che cercavano di farlo sentire meglio, dopo una vita in cui era stato abituato a poter contare solo su Mindy. Oltre agli amici, adesso aveva persino sua madre.
Nei corridoi e in aula, nessuno lo aveva più preso di mira, neppure Sean, però per fortuna erano diminuite anche le occhiate colme di pietà. Sam non le sopportava, gli facevano venir voglia di piangere.
Anche il livido era quasi completamente sparito, e né Sam né Thomas dovevano più preoccuparsi del dolore durante i baci rubati in angoli nascosti della biblioteca, adesso che avevano ricominciato a fare ripetizioni insieme.
Sam si sentiva bene. Era come se i macigni che si era trascinato sulle spalle negli ultimi anni si fossero finalmente sgretolati. Poteva essere se stesso, e aveva delle persone con le quali esserlo e che lo accettavano per quello che era. Una cosa che gli era sempre sembrata irraggiungibile era finalmente sua.
Per quanto potesse essere triste l’idea di avere una famiglia spaccata, senza suo padre stavano tutti molto meglio. Sam, soprattutto, stava molto meglio. Non aveva più il terrore di passare il tempo tra le mura di casa, e anche se aveva dovuto beccarsi un pugno in faccia per liberarsi di quella situazione, dal suo punto di vista ne era valsa la pena.
 
L’ultimo venerdì di febbraio arrivò in fretta, portando con sé il compleanno di Amy Beth.
Sam era un po’ nervoso. Sia perché aveva lavorato molto sul regalo per la ragazza e sperava con tutto il cuore che le piacesse, sia perché Thomas gli aveva chiesto di andare prima a casa sua e poi raggiungere insieme la festa.
Da un lato, Sam era entusiasta all’idea di andare a una festa dove era sicuro che non si sarebbe sentito a disagio (sarebbe stata la prima volta), dall’altro era un po’ agitato perché Thomas voleva che andassero insieme. Nessuno dei due era pronto a rendere pubblica la loro relazione, neanche con gli amici di Brandon o gli amici dalla scuola pubblica di Thomas. Tra questi ultimi, solo Jack, il migliore amico di Thomas, sapeva che il ragazzo era gay ed era a conoscenza dell’esistenza di Sam.
Però avevano deciso che alla festa sarebbero comunque andati insieme, come una coppia, per loro stessi, anche se nessun altro lo avrebbe saputo e sperando che nessun altro se ne sarebbe accorto.
Un passo alla volta.
Così, quel venerdì Sam era arrivato a scuola con una scatola rettangolare abbastanza grande che conteneva la cornice nella quale aveva sistemato l’illustrazione del castello irlandese per Amy Beth, e nello zaino aveva un cambio di vestiti e un piccolo tubo che custodiva un altro disegno.
Non si era preoccupato di incartare la scatola, ma tutti, inclusa la festeggiata, avevano capito che si trattava del regalo e avevano cercato di sbirciare o di strappargli qualche informazione. Persino Brandon non sapeva cosa avesse combinato Sam, ma lui era stato irremovibile.
Dopo le lezioni Sam e Thomas non si fermarono in biblioteca e raggiunsero a piedi, lentamente e chiacchierando, la casa del tutor.
Era in un quartiere di periferia non troppo lontano dalla scuola, in una via piena zeppa di villette a schiera grandi un quinto rispetto a quella di Sam, tutte in mattoncini e imposte scure, ma tutte con un aspetto curato e accogliente.
Man mano che proseguivano, i due ragazzi si erano fatti sempre più silenziosi, e Sam per calmare i nervi si mise a contare le villette che superavano.
Thomas si fermò davanti alla dodicesima.
“Eccoci” disse, facendo strada mentre tirava fuori un paio di chiavi dalla tasca.
Sam si strinse forte la scatola al petto e lo seguì docilmente.
L’ingresso era minuscolo e buio. Di fronte alla porta principale c’erano delle strette scale per il piano di sopra, e tutte le porte che Sam riusciva a vedere al piano di sotto erano chiuse.
“C’è nessuno?” domandò Thomas, a voce alta.
Sono qui!” giunse una forte voce femminile dal piano superiore.
Thomas sorrise a Sam, richiuse la porta e iniziò a salire.
Anche lì tutte le porte, quattro, per la precisione, erano chiuse, tranne una, che lasciava intravedere una stanza molto luminosa.
Thomas entrò in quella camera bussando sullo stipite di legno.
“Ehy” salutò.
Sam entrò subito dietro di lui. Era chiaramente la camera da letto di Thomas ed Evelyn. C’erano due letti singoli, una grande finestra, una scrivania, un armadio, mensole su ogni parete, e due comodini, niente di più. Non era disordinata come quelle di Brandon e Amy Beth, ma neppure ordinata e impersonale come quella di Sam.
Il lato di Evelyn era sommerso di poster, libri e pupazzi, mentre quello di Thomas era più spoglio, con qualche polaroid attaccata ai bordi delle mensole piene di fumetti.
La ragazza era seduta sul proprio letto, quello vicino alla porta, con la schiena appoggiata al muro e una rivista sulle ginocchia.
“Tu devi essere Sam!” esclamò, balzando in piedi e allungando una mano per presentarsi. “Io sono Evelyn. Puoi chiamarmi Eve.”
“C-ciao. Piacere di conoscerti” rispose Sam, un po’ in imbarazzo, perché non si aspettava tutto quell’entusiasmo.
“Vi stavo aspettando per salutarvi” disse ancora la ragazza. Assomigliava tantissimo al fratello, quasi come se fossero gemelli, un po’ come Brandon e Amy Beth. Anche Evelyn aveva luminosi occhi castani e i capelli ondulati dello stesso colore. Però lei, nonostante l’anno in più, di altezza arrivava a stento alle spalle del fratello.
“Ho l’ultimo turno al negozio” proseguì. “Mamma e papà sono già al lavoro” aggiunse, rivolgendosi a Thomas. “Vogliono sapere a che ora torni dalla festa.”
“Non ne ho idea…” rispose il ragazzo. “Comunque mi hanno già detto che qualcuno mi darà un passaggio in macchina. Forse la mamma di Sam o di Amy Beth.”
“Allora va bene” sorrise la sorella. Afferrò una borsetta che era attaccata al retro della porta della stanza e fece un passo nel corridoio. “Ci sentiamo più tardi. Divertitevi” li guardò maliziosamente e si avviò giù per le scale.
Immobili, rossi di imbarazzo, senza guardarsi in faccia, i due ragazzi rimasero ad ascoltare i rumori che provenivano dal piano di sotto mentre la ragazza si infilava il cappotto e usciva di casa.
Quando ci fu di nuovo silenzio, Thomas si schiarì la voce.
“Posso vedere il regalo di Amy Beth?” chiese.
“Certo.”
Sollevato, Sam si tolse il giubbotto. Thomas fece lo stesso e li sistemò entrambi sul letto della sorella, prima di dare una mano a Sam a sfilare la cornice dalla scatola.
La prese con entrambe le mani e osservò l’opera con occhi rapiti.
“È meraviglioso” disse, senza staccare lo sguardo dal disegno.
“Davvero?”
“Amy Beth lo adorerà. Per forza! Se lei non lo vuole, me lo tengo io.”
Sam sorrise e si chinò verso il suo zaino abbandonato sul pavimento per estrarre il piccolo tubo.
“Ho una cosa anche per te.”
“Dici sul serio?!” domandò Thomas con entusiasmo, ricacciando la cornice nella scatola e appoggiandola alla scrivania. Prese il tubo dalle mani di Sam e lo aprì.
Estrasse un disegno. Non era incorniciato, ma Sam lo aveva fatto plastificare.
Si trattava del cuore umano di cui Thomas si era innamorato quella sera al club di Storia. Non aveva aggiunto nient’altro a parte la propria firma e una piccola T in un angolo in alto del foglio.
Il viso di Thomas esprimeva meraviglia e commozione.
“Posso tenerlo?” chiese a voce bassa, continuando a osservarlo.
“Sì. È un regalo.”
Thomas staccò lo sguardo dal disegno solo per spostarlo su Sam. Gli si avvicinò e gli diede un bacio leggero sulle labbra, poi posò il regalo sulla scrivania, staccò l’angolo di un foglio da un quaderno, ci scarabocchiò sopra qualcosa e lo porse a Sam
Sam osservò il pezzetto di carta. Thomas ci aveva disegnato un cuore, nella solita forma dei cuori di San Valentino, e dentro aveva aggiunto le loro iniziali.
“Non mi sembrava giusto avere il tuo cuore senza che tu avessi il mio” disse Thomas.
Sam scoppiò a ridere, stringendo il pezzettino di carta nel pugno, e Thomas rise con lui.
“D’accordo, scusa… è una stronzata, mi sento un idiota.”
“Mi dispiace, non volevo ridere” disse Sam, quasi alle lacrime per colpa delle risate, ma Thomas non era da meno. “È una cosa molto dolce. Giuro che lo custodirò con a-” si bloccò per un istante. “Con cura” concluse.
Abbassò lo sguardo. Non stava più ridendo adesso.
Thomas fece un passo verso di lui e gli accarezzò la guancia sinistra. “Ti fa ancora male?”
“No, ormai è quasi completamente guarita.”
“Ottimo.”
Gli prese le mani e iniziò a indietreggiare verso il proprio letto tirandolo con sé, poi lo baciò.
Sam si rese conto che questa era la prima volta che erano davvero soli.
A scuola non lo erano mai stati, ovviamente, e nemmeno al loro primo appuntamento, perché anche la galleria d’arte era un luogo pubblico. E casa di Brandon era stata piena di gente il giorno del loro primo bacio, anche se avevano avuto un po’ di privacy.
Stavolta era diverso. Nessuno poteva vederli, o interromperli.
Per un attimo questo pensiero spaventò Sam, che interruppe il bacio, ma senza allontanare il viso da quello di Thomas e senza lasciargli le mani.
Fu solo un istante, però. La sensazione di protezione e la felicità che provava in quel momento con Thomas presero il sopravvento su paura e insicurezza.
Sam lasciò le mani di Thomas per attirarlo a sé con entrambe le braccia e ricominciare a baciarlo, decisamente con più fervore di prima.
Thomas si abbandonò a quell’impeto da parte del suo ragazzo, e un minuto dopo si ritrovò seduto sul suo letto, con il corpo di Sam ancora premuto sul proprio, e poi non era più seduto, ma era disteso, e Sam era completamente sopra di lui, i loro corpi che aderivano perfettamente, e non avevano smesso di baciarsi per un solo istante.
“Ehy…” mormorò Thomas, inspirando profondamente per riprendere fiato.
Sam sollevò la testa per lasciargli spazio, ma non si mosse. Anche lui aveva il fiato corto, e il sangue che ribolliva, e finalmente si rese conto di cosa stava succedendo, e del fatto che, non sapeva nemmeno lui come, si erano ritrovati stesi a letto l’uno sull’altro.
“Vorrei…” continuò Thomas, girando la testa verso la parete per non guardarlo in viso. “Vorrei rallentare un po’.”
Per Sam fu come se gli avesse tirato uno schiaffo. Non si era reso di essersi spinto troppo oltre. Non sapeva neppure come fosse stato possibile, dato che in quella relazione si era sempre sentito un passo indietro, impacciato, buono solo a lasciarsi trascinare da Thomas.
“Mi dispiace” disse, disperato, diventando completamente rosso in viso.
Si mise a sedere per allontanarsi, ma peggiorò la situazione, perché adesso si ritrovava con le ginocchia che stringevano i fianchi di Thomas e tutto il suo peso sul corpo del ragazzo.
“Scusa!” esclamò. Sollevò una gamba e iniziò maldestramente a scendere dal letto, ma Thomas lo fermò prima che potesse appoggiare tutti e due i piedi sul pavimento.
“Aspetta!”
Con un sorriso gli afferrò una mano e lo tirò di nuovo a sé, stavolta facendolo distendere al suo fianco, mentre lui scivolava di lato, verso il muro, per lasciargli spazio.
Il letto era piccolo, quindi anche così i due ragazzi erano praticamente appiccicati l’uno all’altro, distesi su un lato cosicché potessero guardarsi.
Ma Sam non aveva il coraggio di aprire gli occhi.
“Scusami, non volevo farti scappare” disse Thomas. “È solo che… non so se sono ancora pronto per… per quello.”
Finalmente l’altro lo guardò. Il tono di voce dolce di Thomas aveva dissipato un po’ l’imbarazzo, e anzi, a Sam pareva quasi che il ragazzo fosse… mortificato?
“Non capisco” disse sinceramente Sam.
“No-non è che non voglia farlo con te. È solo che non…”
“Cosa?!” esclamò Sam, che adesso aveva finalmente capito. “No, no! Ma sei matto?! Non stavo cercando di… assolutamente no!”
“Oh. Ok.”
Adesso Thomas sembrava ancor più mortificato di prima.
Ma come aveva fatto Sam, proprio lui, a ritrovarsi in una situazione del genere? Ormai aveva perso il conto delle cose incredibili accadute sulla faccia della terra nelle ultime settimane.
Strinse entrambe le mani di Thomas nelle sue.
“Intendevo dire che per me è lo stesso. Mi sono lasciato prendere dal momento” sentì di nuovo il volto andare in fiamme. “Ma non volevo arrivare a quello. Nemmeno io mi sento ancora pronto. Insomma, hai presente chi hai davanti?!” accennò una risata, e per fortuna questo fece allargare il sorriso di Thomas.
“Penso che tu sia molto più coraggioso e intraprendente di quanto pensi” rispose Thomas, lasciando un paio di baci leggeri sulle dita di Sam.
“È… è tutto a posto, allora? Tra di noi?”
Thomas sorrise, divertito da quella domanda un po’ sciocca, e rispose coprendo la distanza che separava i loro volti per baciarlo ancora.
 
Il movimento brusco lo spaventò talmente tanto, che Sam quasi cadde dal letto, perché per istinto si era tirato indietro anche lui. Per fortuna il braccio di Thomas lo teneva ancora stretto e gli impedì di rompersi l’osso del collo.
Ma era stato proprio Thomas ad allontanarsi per primo, contraendo il corpo e staccandolo da quello del ragazzo, spingendosi con la schiena contro la parete, così forte che avrebbe potuto bucarla.
Sam lo guardò negli occhi per un secondo, poi girò su se stesso per distendersi sulla schiena e non averlo più faccia a faccia.
“Che ore sono?” chiese.
“Non lo so” rispose Thomas, rosso in viso. Lanciò un’occhiata alla finestra. “Ok, sembra veramente tardi.”
“Merda!” esclamò Sam, e si alzò dal letto.
Lui e Thomas avevano passato l’ultima ora abbracciati, baciandosi, sfiorandosi, parlando.
In pratica, era stata l’ora più bella della vita di Sam.
Ma adesso l’altro sembrava essersene stancato, e forse era un bene. Perché se c’era una cosa che Sam aveva imparato negli ultimi tempi era il valore dell’amicizia, e non voleva mancare di rispetto a Amy Beth. L’aveva già fatta soffrire abbastanza.
“Ok, ma mi servono cinque minuti” disse Thomas, con un tono di voce strano, che Sam non riuscì a catalogare.
“Non abbiamo cinque minuti” rispose. “A meno che tu non voglia restare qui. Insomma, non sei obbligato. Sono io quello che non può mancare a questa festa se non vuole farsi ammazzare dai King.”
Nella fretta, Sam aveva tirato fuori dallo zaino un maglioncino pulito e, senza pensare, si era sfilato quello che aveva addosso ed era rimasto soltanto con una t-shirt che in quel momento era rimasta bloccata sotto le sue braccia, lasciandogli mezzo busto scoperto.
“Così non mi aiuti!” Thomas si strinse le labbra. Si era seduto e si era messo un cuscino in grembo.
“Cosa?” Sam si tirò giù la maglietta e infilò il maglione nuovo, talmente preoccupato dell’orario e da come Thomas si era allontanato da lui, da non rendersi nemmeno conto di quello che stava facendo.
“Perché pensi che mi sia tirato indietro, prima?” rise Thomas, scuotendo la testa.
“Non lo so. Magari avevi caldo. O ti sei stancato di starmi appiccicato” rispose Sam, abbassando lo sguardo sui propri piedi.
“Il contrario, direi.”
Sam alzò la testa per guardarlo, e gli occhi di Thomas slittarono per un momento sul cuscino che teneva sulle gambe e poi tornarono a incrociare quelli di Sam.
“Oh.”
“Già” disse Thomas, con un sorriso colpevole. “Mi dispiace.”
Sam si morse le labbra. “Non dispiacerti. Sono lusingato” e sorrise anche lui. Fece un passo avanti e, assicurandosi di non toccargli nessun’altra parte del corpo, gli lasciò un bacio a stampo sulle labbra.
“Avevo paura che ti saresti spaventato. Sai, dopo tutto il discorso di prima… avevo paura che se te ne fossi accorto avresti dato di matto.”
Sam non sapeva come avrebbe reagito se se ne fosse accorto. Forse il suo corpo avrebbe reagito allo stesso modo. Magari avrebbero mandato alle ortiche tutta la faccenda dell’essere pronti e si sarebbero tolti i vestiti di dosso a vicenda. Oppure, forse avrebbe dato di matto sul serio, perché le cose stavano andando davvero troppo in fretta.
“Non ho tempo per dare di matto” rispose, cercando di sdrammatizzare. “Dovremmo essere a una festa in questo momento. Ricomponiti!”
Thomas rise e gli lanciò il cuscino in faccia.
 
Quando Sam si svegliò il giorno dopo, si rese conto che era già mattina inoltrata.
“Buongiorno” disse una voce familiare.
Sam sussultò, perché era fin troppo vicina. Si girò dall’altro lato del letto e trovò Maxwell disteso accanto a lui, intento a leggere.
“Buongiorno” rispose, con la voce impastata di sonno.
“Com’è andata la festa di Amy Beth?”
“Bene. Dov’eri quando sono tornato?”
La festa era andata bene davvero. Lui e Thomas erano arrivati insieme, ma nessuno si era insospettito, perché in fondo ormai tutta la scuola sapeva che erano amici. Brandon però gli aveva fatto l’occhiolino e gli aveva sussurrato all’orecchio: come mai avete fatto tardi, sporcaccioni?
Amy Beth aveva adorato il quadro con il castello, si era persino commossa.
La serata si era svolta tranquillamente, Sam si era rilassato con tutti i suoi amici e l’unica vera nota dolente era stata il dover trattenersi dallo stare troppo vicino a Thomas, tenergli la mano, appoggiare la testa sulla sua spalla, guardarlo e sorridergli in ogni momento. Soprattutto dopo aver trascorso il pomeriggio nel suo letto e tra le sue braccia, dover mantenere le distanze era stato incredibilmente difficile.
“Nella stanza degli ospiti” rispose Max, senza spostare lo sguardo dal libro.
Sam non disse niente. Ormai, dopo quei mesi di convivenza con Max, sapeva che il fantasma attraversava momenti in cui non aveva voglia di parlare, e in quei casi stava sempre alla larga da qualsiasi stanza in cui ci fosse lui. Sam aveva imparato a non offendersi, sapeva che non era una cosa che riguardava lui personalmente.
Prima che entrambi potessero dire altro, bussarono alla porta.
“Sei sveglio?” domandò la voce di sua madre dall’altra parte.
“Avanti” rispose Sam, alzando il tono di voce. Sperava che prima non lo avesse sentito parlare con Max, ovvero da solo.
La donna entrò nella stanza, vestita di tutto punto.
“Ho dato a Mindy il sabato libero. Lei e Hugh sono usciti” disse, sorridendo debolmente.
“D’accordo” disse Sam, tirandosi su a sedere.
Max riprese a leggere.
“Possiamo parlare un secondo?” continuò la signora Robertson.
“Che succede?” chiese subito Sam, allarmato, e anche il fantasma riportò di nuovo l’attenzione sui vivi.
“Ci sono novità su tuo padre. Ho saputo tutto ieri pomeriggio, ma quando sono venuta a prenderti abbiamo dovuto dare un passaggio ai tuoi amici, e poi eri stanco, e allora…”
Thomas non era solo un amico, e sua madre lo sapeva benissimo. Una parte di Sam era sicura che la madre aveva approfittato della presenza di Nathan per usare quella parola, e si chiese nel caso in cui avessero dovuto accompagnare a casa soltanto Thomas quale sarebbe stata. Amico? Ragazzo? Fidanzato?
“È stato trasferito. In un altro ospedale, vicino Liverpool” disse finalmente la donna.
“Oh.” Non se lo aspettava.
“Ormai non c’è più niente di suo in questa casa, e lui non ha motivo di tornare. Non qui, e neppure in questa città. Non nelle prossime settimane, almeno. Il divorzio sarà gestito tutto dagli avvocati, e i suoi hanno già detto che… che lui è interessato solo alla parte economica.”
“Quindi non si prenderà la casa?”
“La casa è inclusa nella parte economica. Forse dovremo trasferirci di nuovo, ma in un posto più piccolo. Senza Mindy. Da sola non guadagno abbastanza per mantenere questo stile di vita, tesoro.”
Sembrava che la madre stesse facendo di tutto per consolarlo, ma Sam non ne sentiva il bisogno. Così come non aveva mai sentito il bisogno di vivere in un castello. Nemmeno il licenziamento di Mindy lo preoccupava, perché il suo rapporto con la ragazza era molto forte, e sapeva che non l’avrebbe persa solo perché non lavorava più per loro. Sperava solo che potesse trovare un nuovo lavoro in fretta.
“Quale sarebbe la parte non economica, allora?”
La signora Robertson fece un sorriso triste. “Tu” rispose.
Sam impallidì. A questo non aveva pensato affatto.
“Tranquillo, tesoro.” La donna gli accarezzò la testa, scompigliandogli i capelli già in disordine. “Non vuole la tua custodia. Ha richiesto espressamente di non averla. Mi dispiace.”
“Perché ti dispiace?” chiese Sam, quasi con disgusto.
“Lo so che non vorresti mai vivere con lui, ma… è pur sempre tuo padre.”
“No, non lo è” replicò Sam duramente.
Sua madre sospirò.
“E la denuncia? Cosa faranno con lui? Lo arresteranno?”
La signora Robertson scosse la testa. “Temo che non gli faranno neppure una multa. Gli hanno solo impedito di avvicinarsi a me e te per almeno un anno, e quindi adesso lavora in un altro ospedale. Ma anche questa decisione è provvisoria.”
“Ma… non è giusto” replicò Sam, con la voce piena di rabbia.
“Benvenuto nel mondo degli adulti, Sam” disse la madre, con espressione triste.
“Dove non c’è giustizia” aggiunse Max.
 
Quella sera Sam e Max stavano guardando la televisione in salotto, da soli, seduti ognuno ad un’estremità del divano, quando squillò il telefono. Sam aveva cenato ormai da due ore, dai King, dove aveva trascorso anche il pomeriggio, e stava aspettando che Mindy e Hugh rientrassero a casa.
Sam scattò in piedi e corse a rispondere.
“Tesoro? Sono io” disse sua madre, frettolosamente. “Ho dimenticato il portafoglio, ci sono dentro i miei documenti e mi servono subito. Dovrebbe essere in camera mia. Puoi chiedere a Mindy di portarmelo? È urgente.”
“Mindy non è ancora tornata.”
“Dannazione” sfuggì alla donna. Sam la sentì sospirare. “D’accordo. Dentro ci sono dei contanti, usali per un taxi e portami tu il portafoglio, per favore. Fai il prima possibile, ma stai attento, è tardi.”
“Agli ordini, capo” rispose Sam.
Quasi mezz’ora dopo, il ragazzo era in ospedale. La madre si fece trovare nell’ingresso, ma non era sola.
“Ciao, Sam” lo salutò Sarah Burke, con un sorriso.
“Ciao” ricambiò il ragazzo.
“Grazie, Sam” disse la madre. “Sarah ha finito il turno, ti riaccompagna a casa lei. Chiedi a Mindy se mi lascia qualcosa di pronto da mangiare per domani mattina? Dovrei tornare verso le sei.” Gli strinse brevemente la spalla in maniera affettuosa, fece un cenno d’intesa a Sarah e poi si allontanò lungo il corridoio.
“Devo solo prendere la giacca e la borsa nel mio ufficio. Mi accompagni?” chiese la ragazza.
“Hai un ufficio tutto tuo?” domandò Sam stupito. Neppure la madre lo aveva.
“Sì, gestisco un’associazione che ha sede qui in ospedale. Una fondazione. Quindi, insomma, non è proprio il mio ufficio. È una sede” rise Sarah. Aveva una risata contagiosa.
Chiacchierarono per tutto il tragitto in ascensore e poi lungo un corridoio semi deserto. Era tardi, e quell’ala dell’edificio sembrava riservata alla burocrazia. Non c’erano stanze per i pazienti, né malati.
“Eccoci” disse Sarah, fermandosi finalmente davanti a una porta chiusa. Entrò e accese la luce, mentre Sam si attardò per leggere la targa sulla parete.
Non poteva credere a quello che stava leggendo. Le labbra gli si incurvarono in un sorriso, poi seguì la ragazza all’interno.
Si guardò intorno, mentre Sarah prendeva le sue cose. La prima cosa che notò fu una foto sulla scrivania. Era incorniciata e ritraeva due giovani abbracciati. Non c’erano dubbi su chi fossero. Sarah e Max. Si avvicinò per guardarla meglio.
“È il tuo fidanzato?” chiese, solo perché voleva sentirle parlare di Maxwell.
“Oh, no” rispose lei. “È un amico. Lui è…” le si spezzò la voce, ma nient’altro nel suo aspetto lasciava trapelare del turbamento. Probabilmente aveva già avuto quella conversazione migliaia di volte. “Lui è la persona più importante della mia vita. Lo sarà sempre. Ma no, non è il mio fidanzato” e sorrise come se fosse una constatazione sciocca. E in effetti lo era, per lei e Sam, sapendo che Max aveva… altri gusti.
Sam non chiese nient’altro, perché la ragazza aveva parlato al presente, quindi non poteva indagare oltre senza creare sospetti, così cominciò a girovagare per la stanza.
C’erano un sacco di poster alle pareti, alcuni con slogan intimidatori, altri incoraggianti. E su un mobiletto accanto alla porta c’erano una sfilza di brochure. Ne prese una e cominciò a sfogliarla. Era un’informativa abbastanza generica, ma sul retro c’era il logo della fondazione di Sarah e una breve presentazione. In un momento di distrazione della ragazza, infilò la brochure a forza nella tasca dei jeans.
“Fai un lavoro importante” le disse poi. Iniziava a sospettare che questa ‘visita’ nell’ufficio di Sarah non fosse casuale, ma orchestrata da sua madre.
“Anche tua madre, e tutti gli altri medici che lavorano qui. Comunque grazie. Lavoro soprattutto con i giovani. Non per forza solo con i malati, cerchiamo soprattutto di fare lavoro di prevenzione.”
Sam indicò uno dei poster. “Cercate volontari? Per fare cosa, esattamente?”
“Niente di particolare” rispose Sarah, sostituendo il camice con il cappotto. “Per distribuire volantini, soprattutto davanti alle scuole, oppure nell’organizzazione di convegni, raccolte fondi… cose del genere. Alcune volte anche Amy Beth fa la volontaria. L’anno scorso persino Brandon ha dato una mano con una raccolta fondi.”
“Non me lo hanno mai detto.”
“Forse… forse non volevano essere fraintesi” suggerì la ragazza. “Dato che…”
Aveva senso, in effetti.
“Può essere un argomento delicato per alcuni” concluse lei.
“Beh, la prossima volta che vi serve una mano… conta su di me.”
Il sorriso di Sarah illuminò l’intera stanza.
 
“Mindy…?” chiamò a voce alta, rientrando in casa. Non aveva visto l’auto parcheggiata fuori, ma voleva essere sicuro. Si tolse il giubbotto e lo appese all’appendiabiti nell’ingresso. Nessuno risposta.
Col cuore in gola, corse in camera sua.
Trovò Max disteso sul letto a leggere.
“Max!” strillò, sfilandosi la brochure dalla tasca.
“Che succede?” domandò preoccupato il fantasma, vedendolo così sconvolto. Fluttuò giù dal letto e si sistemò di fronte a lui.
“Guarda!” Sam gli mostrò la prima pagina.
Max la lesse.
“È un po’ tardi per salvarmi, non ti pare?”
“Oh, scusa” disse Sam, girando la brochure per mostrargli il retro. “Pagina sbagliata.”
Max sbarrò gli occhi, leggendo.
M.A.X. Well Foundation – Supporto medico, psicologico ed economico per persone affette da HIV.
C’era una piccola presentazione e infine la firma: Sarah Burke, Presidente.
“Sei un idiota” disse Sam, senza lasciarsi scoraggiare dallo sguardo sconvolto dell’altro. “Tu pensavi che lei ti avesse dimenticato, e invece ha passato tutta la sua vita pensando a te. Ma che dico! Non ha solo pensato a te. I suoi studi, la sua carriera…. Ti ha reso lo scopo di tutta la sua vita. Ha passato gli ultimi dieci anni a cercare un modo per onorare la tua memoria.”
Max aveva indietreggiato e distolto lo sguardo. A suo modo, stava piangendo.
“C’è una vostra foto sulla sua scrivania” continuò Sam. “Max… non l’hai persa.”
Che cosa strana, pensò Sam. Aver perso tutto, persino la vita, il futuro, la speranza… ma non aver perso un’amica.
Gli occhi di Maxwell incrociarono i suoi per un attimo. Il fantasma sembrava distrutto. L’istante dopo, sparì così velocemente attraverso la parete più vicina che Sam credette si fosse smaterializzato sul posto.
 
Il bagliore lo svegliò.
Non era molto forte, ma Sam non era riuscito a perdersi in un sonno profondo, rigirandosi tutta la notte nel letto, turbato dalla reazione di Max.
Insomma, sapeva che sarebbe stata una notizia forte da digerire, ma aveva pensato che ne avrebbero parlato, che l’avrebbero affrontata insieme. Evidentemente non aveva imparato poi così tanto su Max, da quando lo conosceva.
Ma adesso il fantasma era lì, disteso accanto a lui sul letto, fluttuando a pochissimi centimetri dal piumone, sembrava appoggiarcisi veramente.
“Sam?” lo chiamò.
“Ehy.” D’istinto Samuel allungò una mano verso il ragazzo, che se la lasciò stringere.
Sam emise un grugnito di fastidio involontario, un po’ per il calore del tocco, un po’ per l’intensificazione della luce, ma compensò quel gesto stringendo forte le dita di Maxwell in un modo che sperò risultare rassicurante.
“Sam…” sussurrò Max, guardandolo negli occhi, e continuando a parlare solo quando finalmente Sam ricambiò lo sguardo. “Posso restare qui stanotte?”
Di solito non trascorreva mai le notti in camera del ragazzo. Non solo sarebbe stato inquietante avere una figura a fissarlo di notte, ma la luce lo avrebbe disturbato.
“Certo.”
“Grazie.”
“Ti va di parlarne?”
“No. Voglio solo… Voglio solo tenerti stretto finché posso. Ok?”
“Ok.”
Il mattino dopo, al risveglio, Sam si accorse che Max non c’era più. Non solo accanto a lui, ma in tutta la casa. E non era come quando non voleva farsi trovare, no, stavolta Sam sapeva cos’era successo, sapeva che Max era finalmente dove doveva essere, e che quindi non l’avrebbe mai più rivisto.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: MissRosalie42