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Autore: Pervinca95    11/06/2020    2 recensioni
Nora Gigli frequenta l'ultimo anno del liceo quando decide di trovarsi un piccolo impiego come babysitter per aiutare sua mamma con le spese.
Peccato che, troppo tardi, si renderà conto che i bambini di cui dovrà prendersi cura sono i fratelli di Riccardo Sodini, il ragazzo per cui la maggior parte del genere femminile della sua scuola ha un debole.
*
Dalla storia:
Appena si fu girato gli feci una boccaccia. Fu un impulso al quale non potetti resistere.
"Come hai detto che ti chiami?"
Mi bloccai con un piede già fuori dalla porta. Che mi avesse beccata?
Virai con lo sguardo su di lui, fermo a fissarmi con le mani nelle tasche dei jeans.
Evitai di fargli notare che non ci eravamo ancora presentati. "Nora", risposi guardinga.
Abbassò un attimo gli occhi mentre si mordeva il labbro inferiore per trattenere una risata. Quando li rialzò, l'azzurro delle iridi luccicava di spasso. "Fossi in te, Nora, mi darei un'occhiata" affermò con un sottile tono schernente. "Prendilo come un consiglio" aggiunse senza risparmiarmi il suo sorrisino. Poi ruotò di nuovo le suole e si avviò verso la cucina.
Quando uscii da quella casa mi prudevano le mani.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Scacco Matto

 

 

 

 

 

 

 

Perché mia mamma non mi aveva proibito di uscire? 

In quel momento sarei stata spaparanzata sul divano in compagnia di un bel film, e non lì con quella missione ridicola. 

Inspirai a pieni polmoni l'aria pesante del locale e puntai il gruppo di Voldemort.

Di qualcosa si doveva pur morire dopotutto, nel mio caso di vergogna. 

Ripassai mentalmente ciò che avrei dovuto dire mentre avanzavo. 

Non ero psicologicamente pronta a umiliarmi in quel modo, ma non avevo scelta. 

Mi schiarii la voce per attirare l'attenzione di uno dei ragazzi dietro cui mi ero appostata, ottenendo meno considerazione di un moscerino. 

Perché? Perché dovevo anche faticare? 

Ritentai, stavolta sporgendo la testa per farmi notare. << Scusate >> dissi con un piccolo sorriso.

Sette paia di occhi approdarono su di me, il ragazzo dietro cui mi ero nascosta si spostò di lato per osservarmi. 

Sentii le guance surriscaldarsi per l'imbarazzo. Odiavo quel genere di situazioni, soprattutto quando finivo per trovarmi sotto i riflettori in mezzo ai ragazzi.

Un altro incubo coronato. 

Abbassai lo sguardo sul cartoncino che tenevo in mano.

Cosa dovevo dire? 

<< Ehm... alle mie amiche è avanzato questo dischetto >> pronunciai indicandole al tavolo. << Stavo chiedendo in giro se qualcuno lo volesse >> conclusi guardandoli.

Ignorai il mezzo sorriso di Sodini. 

Un ragazzo dai capelli neri e il naso leggermente adunco allungò la mano e me lo prese. << Grazie >> disse con un sorriso.

<< Quali sono le tue amiche? >> chiese un altro che avevo visto una marea di volte fuori da scuola insieme al sorcio. 

Era un giovanotto alto, con i lineamenti squadrati, la mascella larga e gli occhi vispi come una volpe. 

Mi voltai a guardare le tre comari che, non appena notarono che le stavo indicando, presero a parlare tra loro con noncuranza. 

Lui sorrise e mi squadrò da capo a piedi mentre altri due gorilla gli rifilavano delle gomitate o delle pacche sul petto. 

Non vedevo l'ora di defilarmi. La mia voglia di stare in mezzo a loro era pari a quella di un condannato che si accingeva alla decapitazione. 

<< E tu sei? >> mi domandò. 

Mi sforzai di essere gentile. << Nora. >> 

<< Nora >> ripeté, come se volesse imprimersi il mio nome nella mente. Se possedeva il cervello dell'amico era naturale che memorizzare quattro lettere gli costasse fatica. 

<< Perché non ci presenti anche le tue amiche? >> aggiunse con un ampio sorriso.

Il pollo non sapeva di essere caduto nella trappola di Linda, Vanessa e Francesca. E non sapeva di aver fatto la mia felicità, così sarei potuta sgattaiolare via una volta aver portato quel branco di scimmie da loro. 

Avrei escogitato un modo per tornare a casa il prima possibile, non importava come. Sorbirmi ancora quel supplizio era fuori discussione. 

Sorrisi affabile. << Certo. >> 

Ruotai le suole degli stivaletti e m'incamminai verso il tavolo intorno a cui erano sedute le mie amiche, i ragazzi che mi seguivano. 

Francesca fu la prima a ruotarsi. Per poco non le uscirono gli occhi dalle orbite quando vide la pesca miracolosa che avevo fatto. 

<< Loro sono Linda, Vanessa e Francesca >> le presentai indicandole una ad una. 

Vanessa si ritoccò là frangetta in un gesto nervoso, Linda si mosse irrequieta sul divanetto. 

Ciascun ragazzo strinse la mano alle mie amiche, ma Sodini non si mosse. Se ne stava sul fondo del gruppo ad osservare silenziosamente la scena mentre sorseggiava il suo drink. 

La sua maleducazione non mi sorprese. Quando uno nasceva tondo non poteva morire quadrato, e lui cafone era e cafone sarebbe rimasto. 

Intercettò il mio sguardo infastidito e sollevò un sopracciglio con fare provocatorio. 

Sviai dai suoi occhi con stizza. 

Avevo fatto tanta fatica per portarlo fin lì e quello stupido osava rovinare i miei sforzi non introducendosi nemmeno. 

<< Nora ci ha portato il vostro dischetto >> disse il ragazzo che aveva insistito per conoscerle e che, se non avevo sentito male, si chiamava Lorenzo. 

<< Ha girato molto prima di trovare qualcuno a cui lasciarlo >> s'intromise l'odiosa voce di Sodini, il tono che conteneva una palese presa in giro. 

Le mie amiche non colsero quella nota stridente, così come il suo sorrisetto da schiaffi, erano troppo intente a contemplarlo. 

Non mi sarei sorpresa di vedere dei cuori uscire dai loro occhi. 

Ridacchiarono come se quello stupido avesse fatto la battuta più divertente del mondo. 

Io invece avevo afferrato alla lettera la beffa insita nelle sue parole. Mi ero presentata nel suo gruppo affermando che stavo chiedendo alla gente chi volesse quel cartoncino, ma in verità ero andata solo da loro, e per di più spedita.

Il babbuino lo aveva chiaramente notato. 

<< Perché ho cominciato il giro da voi >> ribattei pungente.  

<< Certo >> asserì irrisorio.

Razza di stupido. Voleva farmi passare davanti ai suoi amici per una che aveva intenzionalmente cercato le loro attenzioni? 

Il fatto che fosse vero non gli dava il diritto di rivelarlo ai quattro venti. 

<< Perché non ci trasferiamo ai tavolini di sopra? Sono più spaziosi >> propose Lorenzo, indicando la balconata. 

Santo cielo, no. Se avessi trascorso altro tempo con Sodini il mio sistema nervoso sarebbe stato danneggiato in maniera irreversibile. 

Prima che potessi anche solo provare a inventare una scusa per filarmela, Francesca e Vanessa acconsentirono con entusiasmo. 

Balzarono praticamente in piedi mentre i ragazzi procedevano verso la scala a chiocciola. 

<< Grazie, Nora >> bisbigliò Francesca abbracciandomi di slancio. 

Io volevo morire. 

<< Posso rifiutarmi di salire con voi? >> chiesi mesta. 

Linda scattò in piedi. << Certo che no, tu devi stare con me. >> Mi fece ruotare sul posto e, con le mani sulle mie spalle, mi sospinse verso la scala. 

Speravo ardentemente che mia mamma mi chiamasse e mi ordinasse di tornare a casa. Non sapevo come liberarmi di quella situazione. 

Avrei avuto bisogno di tutta la domenica per riprendermi psicologicamente. 

Salii gradino dopo gradino con uno stato d'animo che rasentava la depressione. 

Un altro ragazzo, che mi sembrava si chiamasse Matteo e che conoscevo solo di vista, mi sorrise mentre Lorenzo indicava il tavolo a cui dovevamo prendere posto. 

Sorrise mosso a pietà, era ovvio. 

Scivolai sul divanetto per prima, finendo all'estremità del tavolo, attaccata al balcone da cui si vedeva la pista. 

Quel posto aveva i suoi pro e contro. Da una parte me ne sarei potuta stare in un angolo, lasciando al centro le mie amiche, dall'altra mi era praticamente impossibile fuggire. A meno che non mi fossi buttata di sotto, ma quell'alternativa valutavo di non utilizzarla. 

Linda si sedette accanto a me, poi entrarono Francesca e Vanessa.

Davanti a me prese posto il ragazzo coi capelli neri e il naso adunco a cui avevo ceduto il cartoncino-trappola.  

Sodini si sedette per ultimo, all'estremità opposta alla mia, con totale disinteresse. 

Se non altro condividevamo la voglia di stare lì. 

Stese un braccio sulla testata del divano, posizionò una caviglia sul ginocchio ed estrasse il cellulare per dedicarsi a quello. 

<< Di che sezione siete? Mi sembra di avervi già viste in giro per la scuola >> domandò naso adunco. Purtroppo non ricordavo il suo nome. 

<< Siamo della F. Abbiamo educazione fisica alla stessa ora il martedì >> rispose Vanessa. 

Si misero a chiacchierare del più e del meno: a partire dai professori in comune fino a raccontarsi aneddoti di ogni tipo. 

Io ascoltavo senza partecipare. Ritenevo che la mia presenza in vece di mummia fosse più che sufficiente. 

<< Sì, è stato l'anno scorso >> esclamò Francesca, ridendo. << È stata Nora la colpevole. >> 

Rizzai le orecchie. Chi osava rovinare il mio momento di quiete nominandomi?

Guardai i volti ilari delle mie amiche domandandomi di cos'avessero parlato. 

Per gli ultimi cinque minuti avevo staccato la spina del cervello e smesso di prestar loro attenzione. 

<< Ti ricordi quando hai intasato tutti i bagni della scuola? >> insistette Francesca, innocentemente.

Santo cielo, detta in quel modo era terribilmente fraintendibile.

Scorsi la testa di Sodini voltarsi nella mia direzione. 

Oh mamma. 

Ma cosa raccontavano quelle tre? 

Mi schiarii la voce per dissimulare l'imbarazzo. << È stato un incidente >> spiegai alle numerose paia d'occhi che mi osservavano divertite. << Non mi ero accorta di aver fatto cadere un rotolo di carta igienica nel water e... >> Ma perché dovevo parlare di quello a dei ragazzi? << E ho tirato lo sciacquone. È... è venuto su di tutto, e sono scappata >> conclusi congiungendo le mani sul tavolo. << Non ero pronta a vedere tutto quello >> aggiunsi con un'espressione schifata.

Potevo ben dire di aver visto cose che gli altri esseri umani non potevano neanche immaginare.

I ragazzi e le mie amiche risero, a Sodini spuntò un mezzo sorriso mentre rizzava il capo e mi osservava tra le ciglia. 

<< Quindi è stata colpa tua se per tutta la mattina abbiamo dovuto usare il giardino come un gabinetto >> disse naso adunco, sorridendo.

Mi strinsi nelle spalle e strizzai gli occhi. << Mi dispiace. >>

<< Nora! >> sentii urlare dal piano di sotto. 

Mi sporsi e misi a fuoco Giacomo e Ruggero.

Li salutai con la mano come una scema.

<< Francesca è lì? >> chiese Giacomo, le mani intorno alla bocca per farsi sentire. 

Annuii energicamente, così sollevò il pollice e si avviarono alla scala.

Gongolai. 

Magari Giacomo avrebbe fatto una scenata di gelosia per la sua pseudo-ragazza, avrebbe intimato a quei giovanotti di lasciarci in pace e ci avrebbe riportate a casa. 

E così mi sarei liberata di Sodini e combriccola.

I miei compagni di classe spuntarono dalla scale e si incamminarono verso di noi.

Fremevo all'idea di assistere ad un rapido scontro verbale che sarebbe culminato con la mia liberazione. 

Ancora qualche secondo e...

Giacomo spalancò gli occhi. << E voi? >> esclamò entusiasta, prima di lanciarsi a dare il cinque a tutti i ragazzi insieme a Ruggero.

La mia mascella cadde a terra. 

Non era possibile, si conoscevano. 

Un'altra speranza sepolta sotto metri e metri di delusione.

<< Che ci fate qua tutti insieme? >> domandò Giacomo, incuriosito dalla nostra unione. 

Sodini sfoderò un sorrisetto mordace. << La tua amica voleva abbordarci >> rivelò indicandomi con un cenno del capo. 

Sbarrai gli occhi, presa in contropiede. 

Quel mollusco stava spiattellando la verità senza ritegno, veicolando un messaggio del tutto sbagliato. Non potevo certo difendermi confessando che ero stata costretta ad andare da loro da Linda, Vanessa e Francesca. 

Avrei voluto scavalcare quel tavolo e strangolarlo senza pietà. 

<< Nora? Sul serio? >> chiese Giacomo, incredulo, alternando lo sguardo tra me e lui. 

<< Ovviamente no >> ribattei con un sorriso tirato. 

Lo stupido topo di fogna issò un sopracciglio. << Ah davvero? >> 

Cercai d'infilzarlo con un'occhiata truce. << Davvero. >> 

Nella mia mente provai a contare fino a dieci per placare i nervi. 

In fondo stava solo cercando di umiliarmi difronte a undici persone, perché scaldarsi tanto? 

Strinsi una mano a pugno e incamerai aria lentamente. 

Ero arrivata a nove quando quello stupido arricciò il naso con un'espressione beffeggiatoria. << In effetti non eri molto credibile >> pronunciò.

Stava forse dicendo che non ero credibile in veste di seduttrice? 

Per quella serata avevo sentito fin troppo. 

Ero consapevole di essere piuttosto impacciata e sicuramente non portata per adescare ragazzi, ma il fatto che lui minasse volontariamente alla mia autostima era inconcepibile. 

Se non mi alzai in piedi per menarlo fu solo perché avvertii la mano di Linda sulla gamba. Stava cercando di calmarmi e non farmi agire d'istinto. 

Presi un grosso respiro e lo guardai con sfida. << Eppure sei qui >> gli feci notare.

Un angolo della sua bocca si sollevò divertito. Non disse nulla, non fu necessario perché i suoi occhi contenevano una risposta che m'irritò più di quanto avesse potuto fare a parole. 

Le sue iridi cerulee erano la perfetta descrizione della derisione, come se mi stessero dicendo che gli facevo solo pena. 

<< Ok, ragazzi >> intervenne Giacomo, cauto. Con la coda dell'occhio notai che alternava ancora lo sguardo fra noi.  

<< Che ne dite di andare a ballare? >> propose, forse per allentare la tensione. 

<< Io dico di sì >> disse qualcuno. 

<< Nora? >> mi chiamò Ruggero. Solo a quel punto smisi di fulminare Sodini e mi voltai verso il mio amico.

I suoi occhi castani mi fissavano con aspettativa. << Andiamo? >> 

Annuii e mi alzai in piedi mentre le mie amiche scorrevano sul divanetto per uscirne.

Una volta che riuscii a liberarmi anch'io da quella trappola, nel momento in cui stavo per girarmi verso la scala, notai che il babbuino era proprio dietro a me. 

E stava bevendo l'ultimo sorso del suo drink. 

La mia mente partorì un piccolo ed innocente scherzetto che, senza perdere tempo, misi subito in atto.

Quando capitavano certe occasioni non era saggio lasciarsele sfuggire.

Cacciai un gomito all'indietro e lo beccai nello stomaco. Un secondo dopo le mie orecchie udirono la soave musica composta dai suoi colpi di tosse. 

Poverino, si era strozzato. Mi stava giusto scendendo una lacrimuccia. 

Mi voltai e sfoderai dal mio repertorio di attrice uno sguardo dispiaciuto. << Ops, ma che sbadata >> dissi strizzando le labbra per trattenere una grassa risata.

Il cafone era leggermente piegato in avanti che continuava a tossire, la mano sullo stomaco.

Alzò lo sguardo tra i ciuffi di capelli che gli erano ricaduti sulla fronte e mi infilzò con un'occhiata fredda. 

Un amico gli rifilò una pacca sulla schiena che gli fece scappare un altro colpo di tosse. 

Non potei trattenere un sorriso gongolante. Girai i tacchi e seguii i miei amici che erano già scesi al piano di sotto. 

Saltellai fino alle mie amiche con un sorriso smagliante. 

Finalmente una nota positiva in quella serata disastrosa. Provavo un'immensa soddisfazione, come se avessi appena portato a compimento la missione della mia vita.  

Le ragazze mi circondarono: Francesca a mani congiunte, Vanessa che sbatteva rapidamente gli occhi, Linda con un'espressione preoccupata. 

<< Non sei arrabbiata con noi, vero? >> mi chiese Linda. << Non volevamo metterti in una situazione scomoda. >> 

<< E perdonerai Sodini? >> aggiunse Francesca. << Lui è così... >> Il suo sguardo divenne sognante. << Insomma, è così... lui. >> 

Il suo ragionamento non faceva una piega. 

<< Non vi preoccupate, non sono arrabbiata >> ammisi serena. << E Sodini l'ho già perdonato >> conclusi con un ghigno a cui non fecero caso. 

Avevo già regolato i conti a modo mio. 

Sodini aveva saldato il suo debito nei miei confronti. 

<< Nora non è una persona rancorosa >> affermò Vanessa in mia difesa. 

No infatti, la vendetta era sopraggiunta prima che potessi covare rancore. 

La mia pace mentale era stata ristabilita. Mi sentivo leggera come una piuma.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

 

 

Avevo trascorso la domenica mattina a dormire e il pomeriggio a studiare come una matta con l'obiettivo di avvantaggiarmi quanto più possibile. 

La sera avevo potuto dedicare tutte le attenzioni a mia mamma. 

Mi ero imposta con lei per preparare la cena e successivamente rimettere tutto in ordine. Era il minimo che potessi fare dopo una settimana in cui non aveva fatto altro che lavorare. 

Con tutta calma ci eravamo poi trasferite sul divano e mi ero accoccolata contro di lei per guardare un film. 

Purtroppo il tempo era volato e il lunedì aveva fatto il suo ingresso in scena con un sole caldo ed un cielo terso. 

Quella mattina salutai mia mamma con un bacio sulla guancia e uscii di casa per recarmi a scuola.

Per tutto il tragitto ripassai mentalmente le lezioni a cui sarei potuta essere interrogata. 

Su filosofia mi sentivo abbastanza sicura, ma matematica era una battaglia persa in partenza. 

Linda, che era davvero brava in quella materia, aveva cercato più e più e volte di spiegarmi le formule e la teoria, ma il mio cervello pareva respingere con decisione quelle nozioni. 

La cosa drammatica era che il mio liceo era uno scientifico. Il fatto che amassi la chimica e i suggerimenti delle mie professoresse delle medie mi avevano chiaramente tratta in inganno nella scelta della scuola. 

Avevo la spiacevole sensazione che quella mattina la Fantucci mi avrebbe interrogata dato che era stata assente per malattia, o meglio, per colpa della sua allergia al gesso.

Me la immaginavo sul piede di guerra dato che ero stata io la causa del suo sfogo.

Varcai il cancello della scuola tirando dritto per tutto il vialetto. 

Con la coda dell'occhio, infatti, avevo intravisto Sodini e i suoi amici stanziati sempre nel solito punto, accanto al muretto. 

Ero certa che l'innocente gomitata che gli avevo mollato nello stomaco avesse alzato l'asticella della sua antipatia nei miei confronti. 

Me ne compiacevo, perché il sentimento era reciproco. 

Giunsi in classe e salutai alcuni compagni di classe con un sorriso, poi puntai alle mie amiche. 

Linda stava spiegando a Francesca e Vanessa lo svolgimento di un esercizio di matematica. 

<< Buongiorno, fanciulle >> esordii appoggiando lo zaino sul banco. 

Alzarono la testa per guardarmi, forse sorprese dalla mia tranquillità. 

<< Non per metterti ansia, ma lo sai, vero, che la Fantucci ti interrogherà di sicuro? >> mi domandò Vanessa.

Estrassi l'astuccio e lo collocai sul lato destro, come sempre. << Lo so, ma dato che ce l'abbiamo alla quarta ora ripasserò durante la ricreazione >> spiegai stringendomi nelle spalle. << Non ho la forza di cominciare ora, il mio cervello deve ancora svegliarsi. >> 

Linda sorrise. << Dopo ti aiuterò io. >> 

<< E io ti suggerirò a più non posso >> aggiunse Francesca, stringendo un pugno con foga.

Risi e annuii portandomi una mano sul petto. << Ne sono onorata. >> 

<< Buongiorno, ragazzi >> udii dal fondo della classe.

Raggelai all'istante.

Perché il professor Toschi aveva una voce femminile? E perché indossava dei tacchi? 

E perché aveva assunto le fattezze della Fantucci? 

I piccoli occhi incavati della vipera mi puntarono non appena raggiunse la cattedra. 

Eravamo tutti immobilizzati, ero quasi sicura che Francesca avesse persino smesso di respirare. 

<< Cosa sono quelle facce imbambolate? Mettetevi subito a sedere >> pronunciò la professoressa, accomodandosi. << Io e il professor Toschi abbiamo fatto uno scambio di ore, perciò non perdiamo altro tempo. Gigli vieni alla lavagna >> disse da ultimo, rischiando di farmi venire un colpo.

Il cuore cominciò a battermi furiosamente e le mani mi divennero fredde come una lastra di ghiaccio. Avevo persino perso la salivazione. 

Come avevo fatto ad abbonarmi alla sfortuna? Dovevo assolutamente trovare il modo di sciogliere quell'abbonamento. 

Non era possibile che ogni mio piano finisse con un fallimento. 

La Fantucci si voltò a guardarmi con freddezza. << Gigli, hai sentito cosa ho detto? Alla lavagna, subito. >> La indicò con un cenno del capo e poi spostò l'attenzione su Vanessa e Francesca, ancora in piedi accanto al mio banco. << Siete sorde anche voi? Ho detto a sedere. >> 

Loro praticamente volarono al posto. 

Io presi un grosso respiro e mi alzai dalla sedia. 

Avrei voluto avere il tempo di inviare un ultimo messaggio a mia mamma in cui la mettevo al corrente che, quel giorno, la professoressa di matematica avrebbe stroncato la mia vita. Perché era chiaro che quella sarebbe stata la mia triste sorte.

<< Copia quest'esercizio, e che sia leggibile >> ordinò porgendomi il libro. 

Non sapevo da che parte sbattere la testa. Ero disperata, oltre che spaventata all'idea di beccarmi i suoi urli e rimproveri. 

Cominciai a ricopiare quella serie di numeri e segni senza capirci nulla. 

Ero talmente agitata che il cervello aveva deciso di fare le valigie e abbandonarmi. 

Le restituii il libro e mi rigirai il gesso tra le dita mentre fissavo la lavagna con la vana speranza che la soluzione uscisse fuori da sola. 

<< Hai avuto un'intera settimana per ripassare >> sottolineò la Fantucci.

Nel suo tono si poteva già percepire una nota di nervosismo. Odiava quando un alunno non si buttava subito a capofitto nella risoluzione di un problema, ma si prendeva del tempo per pensarci. 

Il problema era che a me ne serviva parecchio. 

Spostai lo sguardo su di lei e mi sfregai le mani in un gesto nervoso. << Infatti ho studiato >> dissi a mia difesa. 

I suoi occhietti mi inforcarono. << Allora lo sapresti risolvere. >> 

Se me ne dava il tempo, forse, qualche numero l'avrei cavato fuori. 

Tornai a guardare la lavagna e spremetti le meningi per cercare nella memoria una formula che mi potesse aiutare. 

Mi avvicinai e appoggiai il gesso per cominciare a scrivere, seppur lentamente, il primo passaggio. 

Ad un certo punto mi fermai per ragionare. 

<< Gigli, a posto >> sentenziò la professoressa, tagliente. 

Sgranai gli occhi. << Ma lo stavo risolvendo. >> 

<< Se avessi studiato, lo avresti già risolto >> s'impuntò aprendo il registro con un colpo secco. << È un tre. Vai a sedere. >>

<< Tre >> ripetei sconvolta, più a me stessa che per controbattere. 

Non avevo mai preso un tre ad un'interrogazione. Mi chiedevo come avrei potuto recuperare, neanche con un sette avrei raggiunto la sufficienza data la media scarsa che avevo nella sua materia. 

<< Sì, tre. E se continui a rispondere ti metto due >> asserì lei, irritata. 

Mi zittii e, sconsolata, andai al mio banco mentre un'altra vittima prendeva il mio posto alla lavagna. 

Linda mi accarezzò un braccio per rassicurarmi.  

Ero spacciata e assolutamente inconsolabile. Il solo pensiero di confessare a mia mamma che avevo preso un altro brutto voto a matematica mi faceva venire il mal di stomaco. 

Ci tenevo molto a renderla orgogliosa di me. Non a caso, prima che iniziasse la scuola, le avevo promesso che in quella materia mi sarei sforzata di non prendere mai un voto più basso del cinque, almeno per quell'ultimo anno.

E invece, pur essendo solo ad Ottobre, avevo già collezionato una schiera di voti tutti al di sotto del cinque. Quel tre, poi, aveva inferto il colpo di grazia.   

L'ora trascorse senza che prestassi la minima attenzione alle interrogazioni altrui. 

Ero troppo abbattuta per dedicare agli altri un solo pensiero che non mi facesse sprofondare ancora di più nella depressione. 

Anche la lezione successiva, quella d'italiano, la vissi ad autocommiserarmi mezza riversa sul banco. 

E se mia mamma avesse imputato quel brutto voto al mio lavoro? 

L'equazione veniva spontanea. Più lavoro, meno tempo per studiare, uguale a pessimi risultati nelle materie in cui già zoppicavo. 

Sbuffai impotente. Se mia mamma mi avesse impedito di guadagnare qualcosa con quel lavoro, come avrei potuto aiutarla nella gestione delle spese?  

Non volevo permettere che quello succedesse, ma dall'altra parte non sapevo neanche come avrei potuto risollevare la mia media. 

Urgeva un miracolo. 

Alla terza ora fece il suo ingresso il professore di filosofia. 

Mi tirai su dritta per darmi un minimo di contegno e venni colpita da una pallina di carta.

Mi piegai per raccoglierla e spiegai il foglietto. 

Riconobbi subito la calligrafia tondeggiante di Francesca.  

Ti aiuteremo noi a recuperare con quella vecchia megera. Ricordati che sei una principessa guerriera! 

Mi spuntò un sorriso.

Ripiegai il biglietto e lo riposi con cura nell'astuccio, poi mi voltai e la guardai da sopra la spalla.

Era piegata sul banco, intenta a scarabocchiare uno spazio bianco nel libro di filosofia. 

Si portò la penna tra i denti e la mordicchiò nervosamente, preoccupata che potesse essere interrogata. 

<< Gigli >> udii pronunciare dal professore. 

Per la seconda volta, mi si gelò il sangue nelle vene. 

Non volevo credere di essere stata chiamata proprio io. 

Si erano messi d'accordo e a fine mattinata mi avrebbero confessato che si trattava di una candid camera. Per forza. 

Spostai lo sguardo sul professore con dei movimenti lenti e misurati.

Notai che reggeva dei fogli in mano, tesi proprio nella mia direzione. 

<< Mi porti questi in 5ªD? Ho bisogno che la professoressa me li firmi >> spiegò, ridonandomi vita.

Vidi i fuochi d'artificio intorno alla sua testa. 

Sentii la tensione allentarsi e le spalle cedere stancamente.

Finalmente una lieta notizia. In quel momento non m'importava se si trattava della classe di Sodini, mi bastava aver scampato il pericolo. 

Balzai in piedi e raccolsi i fogli che mi stava porgendo, poi mi defilai prima che riuscissi ad udire il nome della sua prima vittima. 

Tirai un sospiro di sollievo e m'incamminai lungo il corridoio che congiungeva le torrette finché non mi accolse la vista di una striscia viola che correva per tutto il muro. 

Individuai la classe di Voldemort e mi schiarii la voce prima di bussare.

<< Avanti. >>  

Oh no. Quella era la voce della Fantucci. 

Speravo di sbrigare la faccenda in poco tempo, così da togliermi quel disturbo in fretta. 

Quando la mia testa fece capolino nella classe, scorsi che negli occhietti neri della professoressa saettò il mio stesso pensiero.

<< Mi scusi, il professor Iradi mi ha dato questi fogli da farle firmare >> mi introdussi avanzando verso la cattedra. 

Solo quando le porsi il plico, mi resi conto che alla lavagna c'era il buon vecchio Sodini.  

Me ne compiacevo. Finalmente le posizioni erano invertite, così avrei avuto io il piacere di godermi la sua brutta figura. 

Se ne stava pigramente appoggiato al termosifone, le gambe allungate davanti a sé, le caviglie incrociate e un braccio steso a reggere il gesso mollemente.

Mi rivolse uno sguardo tra le ciglia dopo aver issato il mento in una posa spavalda. 

Bastò quello ad irritarmi. 

Era borioso e pieno di sé. Ed era necessaria una sola occhiata per evincerlo dato che non si premurava di nasconderlo. 

<< Sodini, risolvi un attimo quest'esercizio >> comandò la Fantucci, consegnandogli il libro, poi alzò lo sguardo su di me. << E tu, Gigli, vai a sederti un attimo al posto di Sodini, così guardi come si fa dato che non l'hai saputo svolgere. >> 

Mi si spalancò la bocca per lo shock. 

Non era possibile che mi avesse appena umiliata davanti ad un'intera una classe di sconosciuti. Come osava, quella faina, calpestare la mia dignità senza un briciolo di compassione?

Alle mie sensibili orecchie sopraggiunse il suono di una risata mal trattenuta: quella di Sodini. 

Ormai ero diventata brava a riconoscerla dato che mi urtava ogni tre per due. 

<< Ma io... >> La protesta mi morì sulla punta della lingua all'occhiata raggelante della strega. 

Non ebbi altra scelta. 

Sorpassai la cattedra e, dopo una veloce ispezione, mi fiondai agli ultimi tre banchi della fila centrale che già ospitavano Lorenzo e Naso Adunco.

Scivolai sulla sedia, che fino a quel momento aveva sorretto il regale sedere del sorcio, e puntellai i gomiti sul tavolo per appoggiare il mento. 

Lorenzo mi diede una piccola spinta al braccio, così mi voltai per salutarlo con un sorriso.

<< Gigli, ci distraiamo? >> mi riprese la Fantucci. 

Quell'arpia aveva occhi fin dietro la testa. 

Sospirai per concentrarmi sul topo di fogna alla lavagna. 

Prima di focalizzare lo sguardo su quanto stesse scrivendo, constatai che indossava dei jeans a vita bassa e una camicia blu lasciata fuori dai pantaloni e arrotolata sui gomiti. 

Rilevai come il suo polso si muovesse sicuro mentre metteva in fila numeri e simboli. 

Nel costante picchiettio del gesso contro la superficie di ardesia non c'erano esitazioni. 

In meno di un minuto finì l'esercizio che avevo provato a risolvere quella mattina. 

La Fantucci mi rivolse un sorriso velenoso. << Hai visto, Gigli? Basta studiare. >> 

La vena sulla mia fronte pulsò pericolosamente.

La mente quadrata di quella strega non riusciva a capire che studiare, a volte, non bastava. Trovava inaccettabile il fatto che, semplicemente, non fossi portata per la sua materia. 

Evitai di risponderle e ingoiai l'amaro boccone. 

Ripensandoci, avrei preferito essere interrogata a filosofia piuttosto che starmene lì. 

<< Dovresti farti dare ripetizioni da Sodini >> aggiunse, rischiando di farmi ridere.

Come no, sarebbe stata la prima cosa che avrei fatto.

Non vedevo l'ora di trascorrere altro tempo con quello stupido. 

Sorrisi educatamente. << Linda Ricciardini mi sta già dando una mano. >> 

L'espressione della Fantucci si indurì come se l'avessi insultata. << A giudicare dai risultati, non si direbbe >> rispose tagliente. I suoi occhietti mi sondarono per qualche secondo, facendomi sudare freddo. << Faremo così >> esordì poi, rigirandosi la penna fra le mani. << Sodini ti darà delle ripetizioni. E vi avverto: non pensate di fregarmi perché per ogni tuo voto mediocre, Gigli, abbasserò la media ad entrambi >> concluse, puntando la penna prima su di me e poi su Sodini. 

Volevo morire. 

Perché il professor Iradi aveva scelto me per portare quei benedetti fogli? 

Era tutto un complotto. Qualcuno mi voleva fare secca. 

Non solo non avevo la minima intenzione di umiliarmi accettando ripetizioni da quel babbeo, ma non potevo neanche farla franca. 

A giudicare dall'espressione seccata di Sodini, quella novità non andava a genio neppure a lui.

Il che mi irritò ancora di più. Ero io la povera vittima, non lui. 

Per quello stupido doveva solo essere un privilegio. 

La Fantucci batté una mano sulla cattedra, compiaciuta del suo piano per annientarmi. << Bene, Gigli, ora puoi andare. Mi aspetto grandi miglioramenti. >> 

Io, chissà perché, mi aspettavo solo un rapido ed inesorabile declino verso la tomba. 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

Quando lo avevo raccontato a Linda, Vanessa e Francesca la loro reazione era stata il contrario della mia. 

Erano esplose in degli urletti isterici, su di giri per il fatto che avrei potuto trascorrere del tempo con il loro amore.

Vanessa aveva avuto il coraggio di dire che vantavo di tutte le fortune. 

Mi era scappato da ridere. 

Io e la fortuna eravamo come rette parallele: non ci saremmo mai incrociate. E quell'ennesima punizione ne era la dimostrazione. 

Quando poi, a ricreazione, il sorcio si era affacciato alla mia classe per cercarmi, loro erano rimaste imbambolate come delle sceme. 

Sembrava avessero visto un angelo scendere dal cielo. 

Il sorcio era venuto per avvertirmi che mi sarei dovuta presentare a casa sua un'ora prima per iniziare con le ripetizioni. Il tutto con un atteggiamento a dir poco sfavato che mi aveva umiliata ancora di più. 

Era mortificante dover elemosinare l'aiuto di qualcuno che non aveva la minima intenzione di concedertelo. 

E con quella magra consapevolezza ero giunta dinanzi al campanello di casa Sodini. 

Mentre salivo le scale, la mia disperazione era tale che avrei preferito le ripetizioni della Fantucci piuttosto che le sue. 

Per partorire un simile pensiero ero messa davvero male. 

Bussai alla porta e mi introdussi in casa. 

Per tutto l'ambiente risuonava una canzone rock contaminata dal rap. Era così alta che l'avevo udita fin da quando avevo messo piede nel condominio. 

Sodini spuntò dal corridoio con il cellulare in mano: il suo inseparabile amico.

Indossava dei morbidi pantaloni da ginnastica grigi e una maglietta nera a maniche corte. 

Sollevò lo sguardo su di me, ferma alla porta, e inclinò la testa come per studiarmi.

Intanto l'energico ritornello della canzone continuava a scandire il tempo, il ritmo rock riempiva la casa mentre la voce del rapper si frapponeva fra noi, colmando il silenzio. 

Ad un certo punto liberò uno sbuffo e si toccò i capelli sulla nuca. << Muoviamoci >> disse indicando la cucina con un cenno del capo.

Evitai di fargli presente quanto quella faccenda pesasse molto di più a me e mi diressi in cucina. 

Presi posto a capotavola ed estrassi, con un sospiro, il libro di matematica e il quaderno dallo zaino. 

Mi sentivo una bambina che aveva bisogno di aiuto per i compiti. 

Lui strascicò la sedia accanto alla mia e ci sprofondò con indolenza. Stese gli avambracci sul tavolo e congiunse le mani mentre osservava il libro che stavo sfogliando. 

Per me potevamo passare tutta l'ora senza rivolgerci parola. Bastava che scrivesse le cose su un foglio. 

Stavo per proporgli quella brillante idea, quando decise di far prendere aria al cervello. << Facciamo prima se mi dici cos'è che non hai capito >> annunciò secco.  

Quant'era simpatico, dolce come uno zuccherino. 

Arrestai la mia ricerca della pagina per alzare gli occhi su di lui. 

Le sue iridi azzurre mi stavano puntando con un'intensità che trovai fastidiosa. Era uno sguardo che aveva il puro scopo di mettermi a disagio, e ci stava riuscendo. 

Mi schiarii la voce ed abbassai lo sguardo sulla pagina. << Le funzioni continue >> dissi ricominciando a sfogliare.

Il sorcio mi sottrasse il libro da sotto il naso e, con pochi movimenti, lo aprì sulla teoria dell'argomento che gli avevo nominato. 

Me lo restituì e indicò con l'indice una formula che svettava in cima alla pagina. << Questa è la definizione di una funzione continua. Il limite destro e il limite sinistro per X che tende a C devono coincidere. E il valore di questi limiti deve essere uguale al valore assunto dalla funzione nel punto C >> spiegò sbrigativo.

Ero inebetita. 

Che aveva detto? 

Era stato come ascoltare uno straniero parlare velocemente nella sua lingua. Avevo afferrato solo qualche parola sparsa qua e là, il resto era avvolto nel mistero. 

<< Certo >> dissi, annuendo con poca convinzione. 

<< Significa che una funzione è continua quando non devi staccare la penna dal foglio per disegnarla >> tradusse, il tono svogliato. 

E non poteva dirlo subito? Tanta prosopopea per un concetto elementare come quello.

Proseguì con la sua rapida spiegazione per una decina di minuti, al termine dei quali mi scoppiava la testa per la quantità di nozioni impartite. 

Sentivo le guance e le orecchie calde come tizzoni, il cervello ridotto in pappa. 

<< Fai quest'esercizio >> mi ordinò indicando il primo dopo la teoria. 

Fissai il problema con la prontezza mentale di un'ameba.

Ero troppo stanca persino per leggere il testo, e la musica che non aveva smesso per un attimo di fracassarmi i timpani non aiutava.  

<< Mm... e come si fa? >> chiesi timidamente, piegando il capo di lato per guardarlo.

Mi trapassò con uno sguardo freddo, le braccia incrociate sul tavolo. << Te l'ho spiegato finora. >> 

<< No, tu mi hai spiegato la teoria >> precisai.

<< Senza cui non potresti risolverlo >> puntualizzò con tono di sfida. 

Che babbuino testardo. Cosa gli costava spiegarmi quell'esercizio? 

Cercai di controllare la vena che stava cominciando a pulsarmi sulla fronte. 

<< Basterà che tu me lo faccia vedere una volta, il prossimo lo farò senza chiederti niente >> proposi con un cenno di solenne affermazione.  

Se avesse rifiutato gli avrei veramente strappato i capelli.  

Sbuffò piano dal naso e afferrò il mio quaderno in un gesto stanco, lo aprì e attaccò a scrivere. Subito dopo tirò due linee per disegnare un grafico.

Esaminai, ancora una volta, come il suo polso si muovesse sicuro mentre il suo avambraccio si tendeva per ogni movimento della penna. 

Pensai che le mie amiche sarebbero state capaci di staccare quel foglio per incorniciarlo. 

Chiuse la penna e la lanciò in mezzo alla pagina, poi si lasciò cadere contro lo schienale della sedia e mi buttò il quaderno davanti. << Ora tocca a te >> affermò indicandomi col mento. 

Mi sorprese la velocità con cui aveva portato a termine l'esercizio. 

Guardai cos'aveva scritto cercando di cavarci qualcosa di utile, ma con scarsi risultati. Notai che possedeva una calligrafia pulita e ordinata, i suoi calcoli non erano pieni di scarabocchi come i miei.

Decisi di tentare con il problema sotto al suo, speranzosa che fosse quasi uguale e che così mi sarebbe bastato scopiazzare. 

Dopo pochi secondi ero ferma a contemplarlo. Avevo disegnato un grafico o, per meglio dire, solo le rette e ricopiato il testo di partenza. 

Mentre mordicchiavo la penna, lanciai uno sguardo a Sodini con la coda dell'occhio. 

Lui sollevò un sopracciglio in una muta provocazione. 

Non potevo chiedergli aiuto, avevo promesso che l'avrei risolto da sola. La mia dignità era già stata pesantemente calpestata. 

Solo che non sapevo da che parte cominciare. 

<< È facile >> mentii con un sorriso ancora più falso. 

Aprì la mano in un gesto plateale mentre un angolo della sua bocca si incurvava beffardo. << È tutto tuo. Prego. >> 

<< Già. È solo che la musica, sai, mi disturba un po' >> asserii con una smorfia, per prendere tempo. 

<< Credo proprio che dovrai sopportarla >> rispose sardonico. 

Inspirai a fondo e tirai un lungo sospiro. << E va bene. Allora... faccio l'esercizio >> dichiarai rigirandomi la penna tra le dita. << Da sola, perché tanto è facile >> aggiunsi annuendo. << Facilissimo. >> 

<< Infatti. >> 

<< Infatti > ripetei fissando il foglio. 

Forse per lui, io non sapevo neanche come si leggessero tutti quei simboli. 

Come facevo a disegnare un grafico se avevo a disposizione più lettere che numeri? Era impossibile. Forse avevo beccato un esercizio senza soluzione. Doveva essere così. 

<< Tommaso lo avrebbe già risolto >> disse con un tono odioso, di sottile scherno. 

Lo fulminai con un'occhiata. Non bastava l'umiliazione di essere lì a farmi dare ripetizioni da una capra, dovevo pure sorbirmi la beffa. 

<< Evidentemente non sei un bravo insegnante >> ribattei acida. 

Mi chiedevo perché la colpa dovesse sempre ricadere sull'alunno e mai sulla persona che impartiva lezioni. 

Quando, poi, quella persona era Sodini era scontato aspettarsi che non gli passasse neanche per l'anticamera del cervello il pensiero di mettersi in discussione.

Dopotutto lui era perfetto. 

Incrociò le braccia sul petto e issò un sopracciglio. << Qui l'unica cosa evidente è che, dopo mezz'ora, non hai capito niente. >>

Spalancai la bocca, punta nel vivo. 

Come osava, quel moscerino, parlarmi in quel modo? 

Boccheggiai per qualche istante mentre nella mente riuscivo solo a vedere immagini di me stessa che lo strozzavo. 

<< Sei tu che, dopo mezz'ora, non sei stato in grado di farti capire >> mi difesi stizzita. << Sei andato troppo veloce. >>

Mi osservò con l'aria di uno che si stava seriamente chiedendo se stessi scherzando. Poi gli spuntò un sorriso che non presagiva niente di buono e abbassò lo sguardo mentre si sporgeva in avanti. << Fossi in te, Nora. >> Pronunciò il mio nome come se fosse stata una presa in giro, gli occhi incastrati ai miei. << Mi iscriverei alle elementari, potresti aver bisogno di ripassare anche le tabelline. >> 

Fui pericolosamente tentata di sbattergli il libro in faccia. 

Mi era montato un nervoso che faticavo a domare. 

Alle elementari. Quello stupido mollusco mi aveva appena detto che sarei dovuta tornare a studiare le tabelline. 

Era persino peggio della Fantucci.

Dovetti contare almeno fino a venti prima di fare un pensiero che non prevedesse il mettergli le mani addosso. 

<< Fossi in te, Sodini >> cominciai a dire, marcando il suo cognome col suo stesso tono. << Eviterei certe battutine. Non ci metto nulla a farti precipitare la media >> dichiarai con un sorrisetto, riferendomi all'ammonimento della professoressa. 

Il poverino era così stupido da non capire che, se non miglioravo, i suoi voti sarebbero sprofondati insieme ai miei. 

Il demente, purtroppo, non perse la voglia di sorridere. << Senza dubbio. Non ti costerebbe neanche fatica >> osò dire. 

Mi stava sfidando? Ottimo.

Al primo compito avrei riconsegnato il foglio in bianco per prendere un bel due che gli avrebbe inficiato la media. In quel momento non m'importava nulla dei miei voti, mi crogiolavo nel pensiero di annientare i suoi. 

Chiusi il libro con un colpo secco, immaginando che lì in mezzo ci fosse la sua testa. 

<< Per oggi basta così >> affermai mentre sistemavo tutto nello zaino. 

<< Che media hai con la Fantucci? >> mi chiese all'improvviso, bello comodo sulla sedia. Aveva la schiena appoggiata allo schienale e le braccia mollemente stese in mezzo alle gambe. 

Lo studiai con diffidenza. << Perché? >> 

<< Per sapere >> disse soltanto, con una scrollata di spalle. Peccato che la vispa luce presente nelle sue iridi e il sorrisino che gli increspava le labbra non facessero pensare ad una domanda innocente. 

<< Non sei tenuto a saperlo >> sentenziai.

<< Non ci metto nulla a scoprirlo >> rispose sicuro.

Un mio sopracciglio scattò verso l'attaccatura dei capelli. << Ah sì? E sentiamo, come faresti? >> 

<< Credi che la Fantucci si farebbe scrupoli a rivelarmelo? >> domandò divertito. 

Probabilmente aveva ragione, ma non gli avrei dato la soddisfazione di ammetterlo. 

Sfoderai un sorriso. << Be', divertiti a scoprirlo. >> 

Chiusi la cerniera dello zaino con un nervosismo mal celato. 

Cosa gli importava conoscere la mia media disastrosa? Anzi, lo sapevo benissimo.

Avrebbe avuto qualcos'altro con cui farsi beffa di me, quello stupido sorcio. 

Si alzò dalla sedia e si fermò a guardarmi. << Senti, tra un quarto d'ora Tommaso e Irene escono da scuola >> disse sbloccando lo schermo del cellulare. << Vieni a prenderli con me e poi vi riporto qua >> decise lanciandomi una breve occhiata.

Annuii. Dopotutto non avevo altra scelta se non quella di accettare le sue condizioni. 

Mi diede le spalle e si incamminò per il corridoio.

Io rimasi seduta al tavolo, in attesa che lui tornasse. 

Il pensiero di dover trascorrere l'intero pomeriggio con la peste minore mi faceva venir voglia di spalancare la portafinestra della cucina e di lanciarmi di sotto.  

L'unica nota positiva sarebbe stata rivedere la piccola Irene. 

I miei occhi vagarono per la cucina, composta di mobili in legno dalle tonalità scure. Il pianale era pulito e in ordine, nel lavello non c'era neanche un piatto o una tazza usata per la colazione. 

Era tutto perfettamente riposto. 

Pensai che se Sodini aveva pranzato a casa, doveva essere stato lui a sistemare e ripulire tutto. 

A giudicare anche da come teneva la sua auto, probabilmente era un fautore dell'ordine, e quella, forse, era l'unica cosa in cui ci assomigliavamo. 

Il rumore dei suoi passi nel corridoio mi fece intuire che era giunto il momento di alzarsi. 

Lasciai lo zaino sulla sedia e riposi il cellulare nella tasca dei jeans, per poi recarmi alla porta d'ingresso. 

Sodini uscì dal salotto con due mazzi di chiavi in mano, quello della macchina lo fece ruotare attorno all'indice mentre avanzava verso di me con un borsone appeso alla spalla. 

Notai che aveva sostituito i pantaloni con un paio di pantaloncini da calcio bassi sui fianchi. 

Nel complesso, mi toccò ammettere, stava bene. Molto bene. 

Non mi riusciva difficile capire perché la maggior parte delle ragazze nella nostra scuola fosse stregata da lui. Aveva un bel fisico, tonico e muscoloso, e la maglietta che indossava non lasciava certo dubbi. 

Mi resi conto della sua effettiva prestanza fisica solo in quel momento, non mi era mai capitato di soffermarmi troppo a guardarlo.

I suoi occhi, invece, avevo cominciato a conoscerli piuttosto bene. Quell'azzurro magnetico era tanto fastidioso quanto la sua capacità di mettere in soggezione.

Quando mi fu abbastanza vicino, distolsi lo sguardo ed aprii la porta. 

Ci mancava solo che quel brutto piccione facesse battutine sul fatto che lo avessi guardato. 

Lo aspettai sul pianerottolo mentre chiudeva a chiave casa. Subito dopo, senza degnarmi della benché minima considerazione, si diresse all'ascensore e ne spalancò i cancelletti. 

Fui colta dall'indecisione: sarei dovuta scendere a piedi oppure no?  

Non ebbi molto tempo per crogiolarmi nel dubbio amletico, Sodini vide bene di non aspettarmi e di premere il pulsante del piano terra.

Ero a dir poco basita. 

Restai per qualche secondo immobile, a contemplare il vuoto che aveva lasciato l'ascensore. 

Non potevo credere che quel moscerino mi avesse mollata lì, senza neanche pormi il civile invito di condividere il passaggio.  

Di tipi maleducati era pieno il mondo, ma un simile cafone probabilmente faceva parte di una specie protetta. Se ne poteva trovare uno su un miliardo, e quella fortuna era toccata a me. 

Decisi di concedermi un profondo respiro al fine di recuperare la calma. 

Ancora qualche minuto e mi sarei tolta quello stupido essere primitivo dai piedi. 

Con la compagnia di quel piacevole pensiero, iniziai a scendere le scale.

Sugli ultimi gradini percepii lo sguardo del caprone addosso. Alzai gli occhi in uno sguardo tutt'altro che amichevole per trovarlo che mi aspettava appoggiato al portone. 

<< Se ci dovevi mettere tanto potevi prendere l'ascensore >> disse.

Cos'era, uno scherzo?

Ingoiai l'insulto che mi stava per scappare di bocca. 

Un mio sopracciglio scattò nei pressi del soffitto mentre strizzavo le labbra. << Te ne sei andato prima che potessi metterci piede. >>

Capii che si stata solo prendendo gioco di me quando vidi un angolo delle sue labbra incurvarsi. 

Si staccò dal portone e schioccò la lingua al palato mentre sollevava il mento. << Ops, che sbadato >> disse, lo sguardo irrisorio. 

Dovetti fare appello a tutte le mie forze per non prenderlo a pugni. 

Il fatto che si stesse vendicando della gomitata che gli avevo rifilato sabato sera scimmiottando le mie stesse parole, mi urtò non poco. 

Quel gigantesco pezzo di sterco trovava sempre il modo per rendermi pan per focaccia. Quando meno me lo aspettavo mi serviva la vendetta. 

Era irritante, e odioso. Mi faceva sentire continuamente in svantaggio.  

Mi morsi la lingua per trattenere anche tutti gli altri insulti che la mia mente stava partorendo a mitragliatrice. 

Lo seguii fuori dal condominio senza smettere per un attimo d'infilzargli la nuca con lo sguardo. 

Quando giungemmo alla sua cara macchina tirata a lucido pensai che ci sarebbe stato propio bene un bel rigo su tutta la fiancata. Speravo che qualcuno glielo facesse, gli avrei stretto la mano. 

Montai sul sedile del passeggero mentre il demente sistemava il borsone nel baule. 

A differenza della volta precedente, in cui avevo visto ben poco dato che Tommaso mi aveva acciecata, notai che al bocchettone centrale dell'aria condizionata era attaccato un piccolo profumatore. Accanto al cambio, in uno scomparto rotondo, erano stipate delle chiavette USB, dedussi per ascoltare la musica dato che una era già inserita nello stereo.  

Per il resto era tutto in ordine e pulito, il che mi confermò quanto tenesse a quella macchina.  

Sodini sprofondò al mio fianco e si passò una mano fra i capelli per ravvivarseli all'indietro, inserì la chiave nel riquadro di accensione e si voltò a guardarmi. 

<< Fossi in te, invece di fissarmi, allaccerei la cintura >> gettò fuori con una faccia da schiaffi mentre faceva scattare la sua, di cintura. 

Le guance mi presero subito colore, intanto che la mia bocca assumeva la forma di quella di un pesce in apnea.  

Come si permetteva? 

Ne avevo fin sopra i capelli delle sue insinuazioni e delle sue beffe. Era chiaro che cercasse la rissa.

Gli scoccai un'occhiata truce. << Non ti stavo fissando >> scandii tra i denti. << Forse la tua eccessiva autostima comincia a farti immaginare le cose. >>

Inarcò un sopracciglio, le iridi azzurre palesemente divertite. << O forse il tuo cervello e i tuoi occhi non vanno a braccetto. >> 

La mia mascella per poco non cadde a terra. 

Stava spudoratamente insinuando che lo fissavo senza rendermene conto. 

Povero, stupido, illuso. Non sapeva che, se ogni tanto, lo osservavo era per renderne conto alle mie amiche. 

<< Che faccia tosta >> sputai stizzita, strattonando la cintura per allacciarla.

Incrociai le braccia al petto e puntai lo sguardo dritto davanti a me mentre l'auto si muoveva nel traffico cittadino. 

Una cosa era certa: avrei dovuto prestare molta più attenzione nella mia missione di spionaggio o quello scemo mi avrebbe presto smascherata. 

Come minimo, Vanessa, Francesca e Linda avrebbero dovuto erigermi una statua d'oro massiccio. Ogni giorno rischiavo la reputazione per carpire uno straccio d'informazione sul caprone. 

Sodini rallentò di fronte a un semaforo prima di fermarsi del tutto. 

Con la coda dell'occhio vidi la sua mano scivolare sulla parte superiore del volante mentre puntellava l'altro gomito al finestrino e appoggiava il viso sul suo pugno chiuso. 

Nell'abitacolo risuonavano le note di una canzone pop che avevo intuito intitolarsi Beautiful People,  intanto che il sole ci investiva coi suoi raggi caldi.

Notai come un lato del suo viso ne venisse illuminato, tanto da rendere una sua iride ancora più azzurra e alcuni ciuffi di capelli di un biondo caldo. 

E poi scorsi un angolo della sua bocca piegarsi. << Lo stai rifacendo >> disse prima di voltarsi a guardarmi. La sua espressione era una chiara provocazione, come se mi stesse ancora sfidando a negare l'evidenza. 

Come faceva a beccarmi ogni dannata volta? Ero così scarsa? 

Cominciavo ad avere dei seri dubbi esistenziali. 

Battei le ciglia innocentemente, mascherando l'agitazione interiore. << Stavo guardando oltre la tua testa >> mentii scrollando le spalle. 

<< Fammi indovinare. Un altro ramo pericolante? >> Sollevò entrambe le sopracciglia con una faccia che sembrava chiedermi se stessi facendo sul serio. 

Gonfiai le guance per il crescente nervoso.

Non riuscivo ad accettare che quel cervello di gallina in brodo si facesse beffa di me. 

In un modo o nell'altro spettava sempre a lui l'ultima parola, e io, puntualmente, finivo con le spalle al muro. 

Il colpo di grazia me lo inferse quando distese le labbra in un sorriso. Uno di quegli odiosi sorrisi che, in una partita di scacchi, avrebbero preceduto le urtanti parole: "scacco matto".

Ingranò la marcia e scivolò nel traffico senza più rivolgermi la parola. 

Fu un bene, perché così ebbi tutto il tempo per macchinare una serie di vendette che purtroppo mi ritrovavo a scartare. L'unico motivo per cui ero costretta ad accantonarle era che l'epilogo di ciascuna prevedeva me dietro delle sbarre.  

La mia parte giudiziosa mi diceva che dovevano esistere altri modi per fargliela pagare. 

E li avrei trovati, a costo di spendere intere nottate a lavorarci su. 

Giungemmo davanti alla scuola, in mezzo ad una ressa di genitori, nonni e bambini, che ancora meditavo sul da farsi. 

Mi ripresi dall'oscurità mentale dei miei pensieri solo quando avvertii la vicinanza fisica di Sodini. Capii che si era leggermente piegato su di me quando un mio gomito sfiorò la sua maglietta.

<< Perché non saluti i tuoi prossimi compagni di classe? >> Il suo respiro s'imbatté contro i capelli che mi coprivano l'orecchio sinistro, facendomi il solletico. 

Ciò che non mi solleticarono l'udito, invece, furono le sue parole, pervase di scherno. 

Strinsi i denti alla vista di alcuni bambini delle elementari che ci camminavano davanti, mano nella mano ai parenti. 

Razza di stupido.

Senza pensarci due volte mandai il gomito all'indietro e lo colpii nell'addome, per poi scostarmi i capelli dalla spalla ed avanzare a passo deciso. 

Udire i suoi strozzati colpetti di tosse fu la musica più piacevole che avessi ascoltato da sabato sera. 

Un dolce suono che mi strappò un ampio sorriso. 

Mi voltai a guardarlo divertita, fino a scontrarmi con le sue iridi cerulee che parevano volermi folgorare. Sì, erano decisamente poco amichevoli. 

Mi strinsi nelle spalle e rivolsi i palmi al cielo. << Ops >> dissi gongolante. 

Quanto mi dispiaceva, ero proprio una sbadata. Almeno quanto lui che aveva premuto il tasto dell'ascensore senza rendersene conto. 

Eravamo pari, la palla al centro.

E non sarei certo stata tanto fessa da farmela soffiare da sotto il naso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell'autrice:

Ciao a tutte!

Prima di ogni altra cosa volevo scusarmi per l'immenso ritardo con cui è arrivato questo capitolo! 

In questi giorni ho avuto più da fare e mi sono scordata di aggiornare. 😭Chiedo umilmente perdono. *_*

Il prossimo arriverà lunedì come da programma! 

Intanto spero che questo vi abbia divertito e tenuto compagnia.

Un bacio grasso a tutte!! 

Grazie!!

 

Federica~

  
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