Anime & Manga > D'Artagnan
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Autore: zorrorosso    13/06/2020    0 recensioni
la mia rivisitazione personale delle avventure di D’Artagnan in capitoli liberamente ispirati alle avventure dell’anime e alle novelle (e un po’ di tutto).
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aramis, Athos, Duca di Buckingam, Porthos
Note: Missing Moments, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 16

 

Dindi (Thin Lizzy)

 

La notte coprì il molo di Southwark ed i bagni pubblici chiusero i battenti.

Le barche accesero le loro lanterne e la città proseguì il suo eterno brulicare alla luce di carboni ardenti e di fuochi sapientemente domati.

 

In quella parte della città, non era la guardia a fare da veglia alla ronda notturna, ma il corteo dei ragazzi ruggenti pronti a nuove esperienze e tafferugli. Le donne gridarono i loro soprannomi in quella strana lingua, implicando chiaramente le conseguenze peccaminose conseguenze a quelle grida. 

 

Le loro voci riecheggiavano sul soffitto della navata e, per un attimo, D’Artagnan chiuse gli occhi e si sentì di nuovo nelle sue aie in Guascogna: le mani immerse in un secchio di sementi polverose, mangime per le bestie, l’odore del pollame pervadere le narici nell’indifferenza dell’abitudine e quello stesso identico baccano prendere le orecchie, la testa e, se possibile, perfino gli occhi. 

 

Ecco: quella strana pronuncia suonava alle sue orecchie alla stessa maniera di un battibecco tra un branco di Galli d’India. Lasciò i suoni dissiparsi lentamente, andare e tornare come onde nella notte.

 

D’Artagnan continuò le sue lunghe preghiere in silenzio, in ginocchio, fino a che le palpebre si chiusero, il respiro si fece più lento sotto il peso del sonno e la stanchezza.

 

Constance si accostò e provò a dargli una leggera gomitata senza successo. Scosse una spalla, nel tentativo di svegliarlo, il ragazzo aprì gli occhi, colto di sorpresa e sbadigliò. Nel suoi sogni, incubi, erano comparsi altri Galli d’India e ragazzi ruggenti.

 

“Dovremmo trovare una barca disposta a riportarci indietro...”- disse lei.

 

D’Artagnan non rispose, ma qualche cosa nei suoi respiri dimostrò quanto non fosse dello stesso parere. Lei colse quel tono, si corresse poco dopo.

 

“...Oppure una stanza per la notte”- continuò, portando una mano davanti alla bocca, affetta dal suo stesso sbadiglio.

 

Alle parole indifferenti di Constance, il giovane si svegliò completamente.

 

“Cosa?”- chiese lui, nel suo miglior tentativo di interpretare quel discorso come un nobile cavaliere e non un giovane adolescente.

 

“Siete il mio accompagnatore. Non dovreste lasciarmi sola, dovremmo prendere una stanza”

 

Per quanto il ragazzo fosse inesperto in quel genere di cose, i suoni che provenivano dalla strada e da quelli che di giorno erano i bagni, non erano solo rumori dei Galli d’India. 

 

Per lo meno, potevano ancora considerarsi come i versi di Galli d’India intenti a fare qualche cosa di estremamente appassionante.

 

“Ma... Qui...”- balbettò lui.

 

La voce del ragazzo fu interrotta dal riecheggiare, dei rumori della strada: l’ennesimo richiamo delle donne e gli uomini di Southwark.

 

“Temete per caso della mia reputazione? Da quando vi preoccupate della mia reputazione?”- chiese Constance spazientita da quei lunghi silenzi e dai versi di quelle persone.

 

Probabilmente dal primo momento in cui l’aveva incontrata, pensò il ragazzo. Tuttavia non aveva fatto o detto nulla in precedenza per dimostrarlo apertamente.

 

“Cosa succederebbe se non trovassimo più la collana?”- chiese il giovane, nella sua immaginazione, cacciando i dindi dalle sue fantasie con un grosso sospiro.

 

“La regina verrebbe ripudiata, la Spagna potrebbe dichiarare guerra alla Francia...”- ripetè lei in una lenta retorica.

 

“Intendo, Voi, cosa succederebbe a voi, se questa collana non comparisse mai più?”- chiese il ragazzo.

 

Constance esitò. Aveva accettato quell’incarico con la certezza che sarebbe tornata a Corte con la collana: D’Artagnan avrebbe dovuto sapere qualche cosa; Duca avrebbe dovuto sapere per certo qualche cosa, ma adesso che il gioiello era completamente sparito, lei stessa avrebbe potuto essere accusata di quel crimine.

 

La parola data ritorta contro se stessa: avrebbe potuto la Regina fare una cosa simile contro di lei? E anche se la Regina l’avrebbe difesa, Richelieu avrebbe potuto insinuare lo stesso.

 

Non era la reputazione, in quel momento, ad occupare i pensieri di Constance, più della sua stessa vita: un capro espiatorio ad un crimine che aveva cercato di risolvere, non di commettere.

 

“Siete ancora sicura di voler ritornare in Francia senza la collana?”- chiese D’Artagnan.

 

Constance scosse la testa. 

Sarebbe dovuta ritornare a Parigi brandendo la collana o non ritornare affatto.

 

***

 

Dall’altra sponda del Tamigi, dentro la fortezza inespugnabile, che si ergeva dietro il Ponte, i tre moschettieri aspettavano con impazienza il momento per attaccare.

 

Seppure da quella finestra non potesse vedere molto, la porta per la città, ed il Molo erano diventati per Porthos un interessante passatempo per sollevarsi dalle preoccupazioni, confondere le guardie e fare rumore.

 

“Aramis! Guardate! Se piegate la testa si vede addirittura la chiesa di St.Mary e i Bagni di Southwark!”- disse, nel tentativo di di distrarlo. 

 

Il giovane lo ignorò anche questa volta: non aveva mangiato, non aveva dormito. Aveva passato tutto il suo tempo nell’ombra ad architettare quel piano così strategico, senza neppure la possibilità di metterlo in pratica.

 

“Voglio un colloquio con ufficiale, un interprete, un notaio e un avvocato...”- ringhiò a mezza voce, rivolto alle guardie, in diverse lingue, tra cui l’inglese.

 

“E chi dovrei annunciare... Monsieur?”- rise la guardia.

 

Aramis guardò i suoi compagni, le guardie distratte, e di nuovo loro quasi come per chiedere un permesso che i suoi amici, nella loro inconsapevolezza non avrebbero mai potuto dare.

 

Si aggrottó sull'ordigno, portando le dita sul mento con sospetto. Corse velocemente sugli sguardi apprensivi di Porthos, ma si soffermò su quelli altrettanto pensosi e meno concitati dell’amico.

 

Come se lo avesse notato e come se avesse capito cosa stesse succedendo nella sua testa, si voltò verso di lui.

 

“Non possiamo portare avanti questo piano senza un riscatto”- disse, semplicemente.

 

L’attenzione di Porthos passò da Aramis ad Athos. 

Ascoltò ed interpretò con attenzione.

 

“Se davvero volete mettere la prigione in fiamme, dovete farci prima uscire da qui: dobbiamo costringere le guardie ad aprire le grate, altrimenti rimarremo qui per sempre!”- disse lui.

 

Athos confermò le parole dell’amico.

 

“Senza qualcuno di potente attorno, ci lasceranno morire nel fumo delle nostre stesse fiamme”

 

Aramis li ascoltò in silenzio. 

 

Consumato dai suoi stessi pensieri, sopravvalso dalle sue stesse idee. Tuttavia in quel momento capì cosa avrebbe potuto fare!

 

Prese uno dei suoi libri, ne strappò la pagina iniziale e la consegnò alla guardia. 

 

Chevreuse amò Holland. E Holland amò lei.”- disse il giovane rivolto verso l’ufficiale, scandì le sue parole a chiare lettere, con il migliore accento che potesse pronunciare.

 

Alle parole, anche gli sguardi dei suoi compagni cambiarono.

Quel pezzo di carta era provvisto di una specie di timbro e rilievo che l’ufficiale non riconobbe, ma si allontanò comunque con il messaggio.

 

Sembrò un’azione spavalda e azzardata, guidata da un attimo in cui la ragione sembrava davvero aver lasciato la testa del loro amico ed aver donato all’ossessione della mancanza il potere di governare tutto il suo essere. 

 

Una frase ambiziosa da tutti i punti di vista e più disperata di quella dei peggiori amanti rifiutati.

 

Però, quello che ne risultò, dal gesto apparentemente folle sorprese tutti quanti, quando diverse ore dopo, qualcuno si presentò di fronte alle sbarre della loro cella con la stessa pagina in mano, mostrando loro lo stesso identico sigillo.

 

I tre uomini non si distesero alla vista del loro visitatore. 

 

I loro cuori non si sollevarono quando il suo volto, i suoi occhi coperti da un cappello dalla larga tesa, sorrise e chiese di aprire le grate, lasciare aperta quella porta per poter entrare lui stesso. 

 

“Il Salon di Valois, conosciuto adesso anche come il Salon delle Regine. Avete studiato e alloggiato in quelle stanze, Monsieur Barone D’Herblay. Ed è in quelle stanze, nei nostri rispettivi alloggi, che ci siamo conosciuti in un tempo ormai molto lontano. Un albergo in cui io e voi, Barone, amiamo alloggiare spesso...”

 

Aramis non cambiò d’espressione. 

Lo sguardo diretto sulla sua figura, le sopracciglia rimasero aggrottate e i denti stretti sotto le labbra contratte dai nervi.

 

“Le ragioni che motivano le nostre soste, sono alquanto differenti”- sbottò il giovane.

 

“Cultura?! Filosofia?! Chiamatela pure come vi pare!”- l’uomo rise, sventolando la pagina del suo stesso libro.

 

Nel sentirsi nuovamente preso in considerazione dall’uomo, Aramis indietreggiò verso i suoi compagni, ma il volto e lo sguardo sempre rivolto verso di lui.

 

L’uomo abbandonò la vista del giovane e si soffermò su quella dei suoi compagni.

 

“Sapete la ragione per la quale siete stati imprigionati?”

 

“No. La chiediamo noi a voi!”- rispose Porthos.

 

“Bene!”- rispose lui.

 

Anche gli altri due riconobbero l’accento, quell’uomo che li aveva graziati poco tempo prima: il Duca di Buckingham. 

 

Buckingham ritornò di nuovo verso Aramis con un tono spazientito. Come se la sua richiesta avesse disturbato un affare molto più importante, un appuntamento a cui non sarebbe potuto mancare, ma al quale non poteva assistere per essere stato chiamato al loro cospetto, spiegare cose che non aveva affatto intenzione di chiarire.

 

“René D’Herblay, Aramis voi siete già stato graziato una volta. Ho reso il favore che mi offriste un tempo e non vi devo altre spiegazioni su questa faccenda o il perché voi e i vostri compari siete stati rinchiusi al vostro arrivo a Londra. Sapevo che era solo questione di tempo: sono stato io stesso a firmare il vostro mandato! Vi avevo già avvisato: sareste dovuti morire a Beaugency. Per me, la vostra vita è irrilevante, se non addirittura un ostacolo”.

 

La sua voce monotona, non dimostrava alcun tipo di emozione.

 

“Nessuno si rivolge a me in questo modo!”- urlò Porthos, offeso da quelle parole ed avanzò di qualche passa.

 

“Infatti non mi sto rivolgendo a voi. Aramis, Athos: anche voi come questo qui, conoscete un segreto che non terrete mai per voi! Non avreste mai dovuto mettere piede in Inghilterra!”

 

Di quale segreto stava parlando? 

Il giovane rivide il suo passato scorrere di fronte agli occhi, la ragione del suo favore e di quella grazia, l’impressione di dover ora rendere conto al Salon e ai Moschettieri di tutti i favori resi, di tutto quello che stava succedendo ed il fatto stesso di essere stato imprigionato ingiustamente; deglutì dallo sconforto. Che cosa avrebbe potuto spiegare? Come si sarebbe potuto giustificare? Avrebbe forse dovuto rivelare ai suoi amici che...

 

Notò gli sguardi irati di Porthos rivolti verso il Duca, ma sentì la preoccupante responsabilità di dover rendere conto di quegli affari anche a loro, la fredda occhiata sulla nuca di chi si aspettava dettagliate spiegazioni in separata sede.

 

Però Athos gli prese la spalla e si fece avanti contro l’uomo, portandosi di fronte al giovane.

 

Un ricordo molto più vivido e meno caotico dei misteriosi affari di Aramis, prese il sopravvento nella sua mente.

 

Athos prese fiato, il suo sguardo fisso e minaccioso puntato proprio verso il ministro inglese che, nonostante il suo potere, tolse il copricapo lentamente e colse tutta la sua attenzione.

Un ricordo avanzò di fronte ai tre: non si erano mai visti prima di quella visita alla corte parigina, ma in un certo senso realizzarono che quella non era il loro primo confronto con il Duca.

 

L’uomo aveva un seguito: strumenti adeguati, diplomatici pronti a tutto, conoscenze in comune. La persona che li aveva traditi ed avvelenati era sua alleata. Era lui l’amico di cui sempre parlava. Era lei che, una volta tornati da Venezia, in quella taverna di Beaugency, aveva strappato quei progetti dalle loro deboli mani addormentate per consegnarli direttamente a Buckingham! 

 

Non esitò che un solo istante.

 

“Perché sappiamo che quei documenti sono da sempre appartenuti alla Francia?”- chiese Athos.

 

Aveva capito: il Duca sorrise soddisfatto da quella risposta, ma le sue nuove non portavano affatto gioia o sollievo. Il suo ghigno si fece subito serio, il suo sguardo colto da un vago senso di intelligenza, ma lo lasciò immediatamente non appena aprì bocca. 

 

“Fu Melzi a riportarli in Italia, quei documenti non appartenevano alla Francia!”- ribatté lui, quasi preso da un senso di ripicca, un orgoglio tradito o un errore pronunciato di proposito, con l’espressa volontà di farsi correggere. 

 

Troppo tardi, era caduto in quella trappola ed aveva ammesso tutto.

 

Aramis guardò Porthos, colto dal suo stesso stupore.

 

Buckingham sbuffò. Poco importava, sarebbero tutti e tre marciti in quelle mura.

 

“Di sicuro non appartenevano a voi. Non li abbiamo mai consegnati nelle vostre mani!”- aggiunse Porthos.

 

“Siete stato voi a rubarli per mano di Milady e ora donate il prodotto di quelle invenzioni a Luigi XIII come se fosse un regalo, quando invece non fu altro che un furto?”- chiese Athos.

 

Il Duca di Buckingham indossò di nuovo il copricapo, nascose il suo sguardo e tese un nuovo un falso sorriso.

 

“Parigi siete stati uno strumento utile, come la cicogna, ma qui a Londra siete a cena dalla volpe: non c'è nulla qui per voi!”- il Duca strattonò le sbarre della cella, portando l’attenzione su di se.

 

“In quanto a voi, Athos: voi sapete altrettanto, se non di più! Eravate voi al comando di quella missione, siete voi dei tre l’uomo di cui lei parlava, il nobile che ha ricevuto il permesso di entrare ad Amboise! Avreste dovuto essere il primo a morire! Voi portate il dono del dolore...”

 

Le parole dell'uomo, in un primo momento lo ferirono. 

 

Si ricordava di Amboise, certo, ma non era certo lui ad aver portato disperazione: loro erano stati traditi!

 

La tensione tra i due salì in una silenziosa lotta di sguardi e respiri, di ricordi e pensieri concitati.

 

“Athos! Siete un uomo morto!”- disse il Duca.

 

Athos abbassò il pugno stretto verso i fianchi e nascose l'altra mano dietro la schiena. Il momento stava arrivando e i tre erano pronti.

 

Si avvicinarono gli uni agli altri, verso il muro di pietra, gli sguardi e la loro attenzione rivolta verso il ministro sorridente.

 

All’apparenza rimasero per qualche istante, fermi su loro stessi. 

Il Duca si accostò alla grata. Gli sguardi cambiarono nel momento in cui si voltò e chiamò le guardie su di se, per farsi aprire.

 

Porthos incendiò la bottiglia e Athos la gettó dietro le loro spalle, verso la grata e le guardie, in una vampata di fumo e fiamme.

 

Al momento in cui le guardie aprirono, furono colte dalla stessa vampata esplosiva di fuoco e terrore. Il fumo coprì la vista e rapprese il fiato. Tutti cercarono di uscire da quella cella, senza curarsi più del destino dei suoi prigionieri.

 

La prima esplosione fu relativamente breve, ma necessaria.

Poco sapevano di quanto quelle le fiamme allungate e distese sulla superficie sarebbero salite poi verso l’alto, seguite da un fumo nero che rendeva tutto invisibile. 

 

Soltanto sotto il peso dell’ombra densa, si poteva ancora notare l’abbaglio bianco delle esplosioni successive, percepire la pressione dell’aria irrespirabile. Il rosso della vampata di fiamme fu presto accompagnato dal nero di un fumo acre, dall’ombra densa del catrame bruciato.

 

I vetri si spezzarono, alla forza del calore. L'odore del legno divorato dalle fiamme aveva preso gli occhi e i polmoni.

 

L’aria diventó veleno ed il calore di si fece insostenibile. Fumo e fiamme divamparono dalle finestre esplose.

 

La gente cominciò a fuggire dagli edifici e mettere in salvo il possibile.

 

Fuoco Greco.

 

Lingue di fuoco brandivano dalle finestre.

 

Fiammate ruggenti dalle quali cercavano di fuggire.

 

Una ventata calda si sollevò dalle carceri medievali, non troppo lontane. Pietra e pece facevano da fondamenta a quella fortezza inespugnabile, il tutto ricoperto da pesantissime travi, intrise d’olio.

 

Tutto cominció con una bottiglia di brandy e una camicia di seta intrisa d’olio. 

 

Fuoco sulla polvere da sparo.

 

Il catrame si sciolse, il legno divampó ed alimentò quel percorso ormai segnato. 

 

Fiamme avide divamparono sulla legna, crepitante e viva proprio come come quella di un camino d’inverno. Non era più l’inverno bianco era una notte nera e afosa, non era la calma, era una cappa di terrore che avanzava sulla pece e la divorava. Tutto bruciò in una fiammata talmente potente e veloce da superare lo stesso vento: stentò a capirne la provenienza. 

 

Il resto brució più lentamente, ma le fiamme erano talmente tanto distese, il fumo così impenetrabile, il baccano cosí assordante da non riuscirne a capire la provenienza.  

 

L’entrata esplose e crollò in un boato di fiamme, nuvole e scintille che brillavano intense e affascinanti su un’aria irrespirabile. Gente confusa cercava di raggiungere le sponde del fiume ed oltrepassare il ponte e la Porta della città per mettersi in salvo. 

 

Dindi, caotici e urlanti.

 

Nella confusione, tre ombre, tre figure, attraversarono il ponte e corsero nella direzione della chiesa di St.Mary e la porta della città con una velocità inaudita, si fecero largo tra la ressa e la superarono. Non era il corteo dell’insurrezione e neppure quello della giustizia: era un’onda liquida di gente spaventata.

 

Dalla porta della locanda, D’Artagnan notò la coltre di fumo e la gente, per poi venire fermato dai tre nobili scarmigliati e a fiato corto, che ben conosceva, parlargli finalmente in una lingua comprensibile.

 

“Voi due? In una stanza a Southwark?”- Porthos sorrise alla vista dei due giovani.

 

“Non ho mai visto lenzuola più bianche...”- disse Athos sotto voce.

 

“Non temete Constance, i vostri sono gli sguardi di una dama annoiata. La vostra reputazione non risulta in nessun modo compromessa!”- Aramis prese il braccio della ragazza ed in un attimo erano già al galoppo al di fuori delle porte della città.

 

“Presto! Per Dover! Adesso!”- gridarono i tre moschettieri.

  
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