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Autore: Lady I H V E Byron    14/06/2020    0 recensioni
(DescendantsXKingdom Hearts crossover)
Auradon è stata distrutta da creature oscure chiamate Heartless: i sopravvissuti decidono di divenire custodi dell'arma chiamata Keyblade per difendere ciò che è rimasto loro. Ma dovranno superare una prova...
(Un AU in cui gli eventi ed i personaggi di "Descendants" si incrociano con quelli di Kingdom Hearts. Un AU dove i personaggi di Descendants hanno vissuto nei mondi dei loro genitori fino ad essere condotti o abbandonati da essi su Auradon o nell'Isola degli Sperduti. Un AU dove Auradon non è un regno, ma un mondo. Un AU in cui, ad ogni capitolo, verrà raccontata la storia di ognuno dei personaggi principali di Descendants.)
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Organizzazione XIII, Riku, Sora, Terra, Yen Sid
Note: AU, Cross-over, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Note dell'autrice: secondo la raccolta di fiabe "Le Mille e una notte", il gran visir della favola "Aladino" aveva davvero un figlio che voleva far sposare con la figlia del sultano. Questo, tra le altre cose, ha ispirato questo background su Jay. E su Jafar mi sono ispirata a "Once Upon A Time in Wonderland".
 

Jay's Story


L’unica ambizione di Jafar era governare su Agrabah. E doveva divenire sultano, per questo.
Ma lui era un gran visir, e, per giunta, proveniva dalla strada, era l’umile figlio di una guaritrice.
Tuttavia, scorreva del sangue reale, in lui, ma questo, al precedente sultano, suo padre, non importava.
Lo aveva accolto nella sua corte, come coppiere, ma nessuno doveva sapere che fosse il suo figlio illegittimo.
Riusciva, comunque, a partecipare agli incontri con i diplomatici. Lì vide il suo fratellastro, il figlio legittimo del sultano, un bambino viziato, ma inetto. Negli incontri diplomatici non sapeva neppure rispondere alle domande su Agrabah. Rispondeva sempre Jafar ed in modo esaustivo, dimostrando un’arguzia notevole per un ragazzo cresciuto nella strada. Il sultano, per difendere i suoi interessi, diceva ai diplomatici di disporre di una servitù acculturata.
Il principe mostrò presto invidia per il coppiere: a volte, si introduceva di notte nelle sue stanze e lo picchiava.
Il giovane Jafar provò a protestare con il sultano suo padre, ma ormai questi non lo riconosceva come figlio, ma come servo.
Per questo, qualche anno dopo, Jafar lo aveva avvelenato, insieme al principe. Sperava che Agrabah sarebbe divenuta sua. Per vincoli di sangue, lo era di diritto.
Ma nessuno era a conoscenza del figlio bastardo del sultano, neppure i documenti reali.
Fu un parente del sultano, un cugino di primo grado, ad ottenere il diritto di governare su Agrabah.
Questo cugino aveva già conosciuto Jafar: anche lui aveva assistito a degli incontri diplomatici, in cui Jafar, spesso, aveva risposto per conto del principe. Ammirato da quell’arguzia, decise di nominarlo Gran Visir.
Sarebbe stato il consigliere personale del sultano, praticamente sarebbe stato lui a governare su Agrabah.
Ma non gli bastava: non voleva essere Gran Visir. Voleva diventare sultano.
Alla sua nomina, il nuovo sultano gli aveva affidato una concubina, una donna bella quanto servile.
Ella cercava in tutti i modi di sollevare il morale spesso a terra di Jafar.
Solo la notizia di essere incinta di suo figlio lo aveva un poco sollevato. Ma non per il pensiero di divenire padre, bensì per i piani che già aveva architettato per il nascituro.
Il sultano aveva una figlia, Jasmine.
Se avesse avuto un maschio, avrebbe convinto il sultano a farlo sposare con la principessa.
Il figlio sarebbe divenuto sultano. Ma se lui e la regina fossero morti, il governo sarebbe passato al parente più vicino, ovvero Jafar.
Questo era il suo piano.
Infatti, la concubina diede alla luce un maschio.
Jasmine era contenta di avere finalmente un compagno di giochi; infatti, lei ed il figlio di Jafar, Jay, stavano sempre assieme, giocavano sempre assieme.
Il Palazzo era tutto per loro: si divertivano sempre a nascondersi dietro le colonne, sfuggendo alle guardie che li rimproveravano di fare troppo casino.
Il piano di Jafar stava proseguendo: era lieto della vicinanza tra il figlio e la principessa. Una volta divenuti grandi non avrebbero esitato a sposarsi, secondo lui.
Ma Jay e Jasmine non riuscirono mai a vedersi come una coppia: piuttosto come fratello e sorella.
Erano ancora bambini, allora.
Ma un sogno da seguire insieme lo avevano: erano stufi delle regole del palazzo. Quando sarebbero diventati grandi, sarebbero scappati da quella prigione d’oro, per essere liberi.
Jasmine, essendo principessa, era più sorvegliata. Solo Jay, a volte, riusciva a scappare dalle mura del palazzo senza farsi vedere dalle guardie.
Era affascinato dalla vitalità della città: le persone, i banchi del mercato. Dava molte più opportunità del palazzo.
In una di queste fughe, notò un bambino particolare: camminava tutto acquattato e in punta di piedi verso un banco, rubando, senza farsi vedere, delle mele.
Ma c’erano delle guardie di pattuglia, e videro subito quel bambino. Lesti, si erano dati al suo inseguimento.
Il bambino aveva circa l’età di Jasmine, ma riusciva ugualmente a passare negli angoli più stretti, dove le guardie non lo avrebbero inseguito.
Jay era affascinato da quel bambino: era libero, senza regole. Non come lui e Jasmine, costretti in una gabbia dorata.
Era per questo che usciva dal palazzo ed entrava nel bazar, per vedere quel bambino e sperare di parlargli.
Ma non riusciva mai nell’impresa.
Tuttavia, la sera tornava nel Palazzo e raccontava a Jasmine per filo e per segno quello che vedeva ad Agrabah.
Le sue fughe, però, non potevano durare all’infinito: più volte era stato beccato dalle guardie reali in città.
Ma non gli fu più permesso di uscire da quando suo padre Jafar aveva acquistato un pappagallo, Jago, che si metteva a strillare ogni volta che Jay si avvicinava al muro.
E Jafar lo brontolava, per questo: ogni giorno, gli raccomandava i comportamenti da seguire nel Palazzo, quindi non giocare come fosse un selvaggio, non urlare, e, soprattutto, non abbandonare il Palazzo.
Gli stava praticamente insegnando come essere un sultano.
Ma Jay non sembrava interessato. Allora aveva quasi nove anni. E Jasmine undici.
Era ancora presto per parlare di matrimonio.
Ma Jafar non riusciva ad attendere la sua occasione per governare su Agrabah.
Doveva e voleva persino divenire più potente del sultano.
Quella notte, ricevette una visita da parte di un forestiero, vestito con un cappotto nero. Dalla voce, era anziano. Più di lui e del sultano.
Quell’uomo si era presentato come Xehanort. Sembrava sapere tutto di Jafar e dei suoi desideri.
Ed era disposto ad aiutarlo a realizzarli, ma tali desideri richiedevano una notevole quantità di Oscurità nel cuore. E Jafar, anche se non lo avrebbe mai ammesso, aveva ancora due luci che gli stavano impedendo di cedere all’Oscurità: la concubina ed il figlio.
Occorreva spegnerle, se ancora ambiva a governare Agrabah. Non aveva più bisogno del figlio.
Il giorno seguente quella visita, infatti, la concubina di Jafar era misteriosamente scomparsa. Volatilizzata. Come se non fosse mai esistita.
Nemmeno gli abbracci di Jasmine erano serviti per consolare il piccolo Jay.
Aveva perso la madre: Jasmine sapeva perfettamente cosa provava, avendo perso anche lei la madre, da piccola.
La concubina non era scomparsa: Jafar l’aveva assassinata. E poi aveva portato il corpo nel deserto, in attesa che la tempesta di sabbia la seppellisse.
Il prossimo sarebbe stato Jay.
A lui venne riservato qualcosa di ben peggiore della morte: Jafar lo aveva portato nelle segrete; Jay pensava per l’ennesima lezione.
Ma suo padre sembrava molto più freddo del solito: si fermò proprio in mezzo alla stanza.
-Avvicinati, Jay.-
Il bambino, con passo insicuro, prese posto accanto a lui.
-Tu sai qual è la cosa a cui tengo di più, non è vero?- domandò, quasi a bruciapelo, senza guardare il figlio negli occhi.
Jay annuì, deglutendo. Ormai la bocca era divenuta secca. Anche la vista di suo padre gli provocava timore.
-La tua carica.- disse, con un filo di voce.
-Esatto, figliolo.- prese a camminare, lentamente, dietro il figlio, che era come paralizzato, intento a fissare le mattonelle del pavimento –La mia carica di gran visir… è la cosa più importante della mia vita, che intendo conservare il più a lungo possibile.-
Si fermò di nuovo.
-Ma questo non mi basta. Sarò pure la persona più importante del regno, dopo il sultano, ma non mi basta. Io voglio il potere. Quello che non svanisce mai. E sai una cosa, figliolo? Ora so come ottenerlo!-
Jay si voltò di scatto verso Jafar, fingendosi entusiasta. O forse lo era davvero. Dopotutto, da bambini crediamo sempre che i propri genitori siano dèi, li amano, li venerano, credono che abbiano sempre ragione su ogni argomento.
Jay temeva suo padre, ma nello stesso tempo, non sapeva perché, lo venerava.
-Tuttavia…- quella singola parola e l’occhiata fredda di Jafar fecero svanire il sorriso di Jay –Ci sono ancora degli ostacoli, che mi stanno impedendo di ottenere quel potere.-
Il bambino era confuso.
-Tu.-
Conficcato tra due mattonelle, vi era una particolare pietra rossa, che si illuminò.
Da quel punto, si estese gradualmente un portale, sotto forma di sabbie mobili. Girava intorno a se stesso, a spirale.
Il bordo quasi sfiorò i piedi di Jay. Perse l’equilibrio, barcollando all’indietro. Si aggrappò ad una manica della tunica del padre, per non cadere.
-NO! PADRE! TI PREGO!- supplicò, quasi piangendo –NON MANDARMI VIA!-
-Devo, Jay.- ribatté, freddo, Jafar –Se tu rimani qui, sarò solo un patetico gran visir. Devo rinunciare a te, se voglio essere di più. Mi sono liberato di tua madre e il fatto che ti stia mandando in un altro mondo, anziché prendere la tua vita, è un chiaro segno che sono ancora debole e che, in un modo o nell’altro, tengo a te. Ma esiliarti in un altro mondo è come se fossi morto, per me. Mi basterà dimenticarti e il gioco è fatto. Io non sono stato fatto per essere tuo padre. Troppe responsabilità e, soprattutto, troppo AMORE. Non la prendere sul personale. Addio, Jay!-
Diede uno strattone al braccio e Jay, alla fine, cadde.
L’ultima cosa che vide, prima di essere inghiottito da quel portale, era il volto freddo di suo padre. E qualcosa illuminarsi nella sua mano: un bastone a forma di serpente.
Atterrò su qualcosa di duro. Per poco non si ruppe un braccio.
Sembrava una strada: era ruvida al tatto, ma almeno non lasciava tracce di sabbia sulle mani come le strade di Agrabah.
Ma l’ambiente intorno a lui sembrava davvero il mercato di Agrabah: banchi con delle tende come tetti, merci esposte sui banchi, gente che cercava di rubare.
Presto, anche Jay imparò a rubare da quei banchi.
I suoi abiti sfarzosi davano troppo nell’occhio. Ad Agrabah gli bastava indossare una veste per coprire i suoi abiti, quando scappava dal palazzo per andare in città. Ma lì non trovò niente.
Per questo aveva dovuto vendere alcuni dei suoi gioielli. Tranne un anello: apparteneva al padre Jafar, a sua volta appartenuto a sua madre, donatole dal precedente sultano.
Per il male che suo padre gli aveva fatto, sarebbe dovuta essere la prima cosa di cui liberarsi.
Ma non lo fece: quell’anello divenne per Jay un modo per ricordarsi del suo mondo di origine e, soprattutto, un oggetto collegato al sentimento di vendetta che provava per suo padre. Una volta compiuta, se ne sarebbe liberato.
Con quello che aveva ottenuto dalla vendita dei gioielli riuscì a procurarsi degli abiti, idonei per non dare nell’occhio nel posto che gli abitanti chiamavano “L’Isola degli Sperduti”, dove venivano esiliati tutti coloro che erano stati banditi dai propri mondi. Una prigione, insomma.
Con i soldi che gli erano rimasti riuscì a comprarsi da mangiare. Ma non durarono in eterno.
Ricordò i movimenti del bambino di Agrabah, per rubare le mele. Ed altri generi alimentari.
Presto entrò in competizione con un altro bambino, Harry: a lui riusciva facile rubare le cose grazie all’uncino che portava alla mano sinistra. I due divennero subito nemici.
Ma Jay non rimase a lungo da solo: vide un gruppo di adulti intorno ad una bambina dai capelli blu, e lui accorse a salvarla.
La bambina si presentò come Evie, ed era una principessa. Da quel giorno divennero inseparabili.
Al loro piccolo gruppo si unirono Carlos e poi Mal, bambini che avevano vissuto esperienze simili alle loro.
Jay si affezionò ai suoi amici dal primo momento: in loro, specialmente in Mal, riconobbe una parte di Jasmine. Erano come fratelli, per lui.
Il vizio dei furti non lo abbandonò: era lui a procurare i generi alimentari agli amici.
Lo stesso avrebbe fatto ad Auradon: lui, insieme ai tre amici, era stato scelto per un programma di integrazione proposto dal futuro re Benjamin.
Aveva imparato a rubare con efficienza, nell’Isola degli Sperduti, quasi al pari del bambino di Agrabah, un vizio che prestò dovette abbandonare: su proposta della Fata Smemorina, Jay era entrato nella squadra di scherma, dimostrando forza e valore.
Erano la rabbia e la vendetta contro il padre ad avergli acceso quella fiamma.
Doveva prepararsi per il giorno in cui lo avrebbe affrontato ed eliminato.
E quel desiderio accrebbe quando, insieme agli amici ed al gruppo di Uma, si era recato in un luogo chiamato il Castello dell’Oblio: secondo la Fata Smemorina, era un luogo in cui perdere era trovare e trovare era perdere. Ma sembrava che all’ultimo piano vi fosse una sfera in grado di riflettere qualsiasi cosa.
Jay si addentrò in quel castello, per scoprire il vero destino della madre.
La rabbia e l’odio che provava per il padre accrebbe sempre di più, una volta scoperta la verità: suo padre aveva ucciso sua madre e abbandonato lui per il potere e sottomettere Agrabah.
Tale rabbia era così bruciante che scoprì che non erano solo Mal e Uma a lanciare incantesimi: era entrato un intruso, nella stanza della sfera, e Jay sentì l’impulso di difendere i suoi amici.
Cedette alla rabbia, e questa gli fece scoprire il potere del fuoco che scorreva nelle sue vene. E non solo: affrontando quel ragazzo, Axel, si trasformò persino in un cobra gigante.
Il potere di suo padre scorreva persino nelle sue vene. Non fu felice di questa somiglianza, ma, nello stesso tempo, lo era: avrebbe avuto il potere adatto per eliminarlo.
Questi ultimi eventi erano avvenuti postumi al salto nell’Oscurità di Audrey.
Ma prima della distruzione di Auradon.
Jay fu tra i primi a cadere per colpa degli Heartless, per difendere i suoi amici. I suoi poteri non erano stati sufficienti, e non aveva nemmeno avuto il tempo di trasformarsi di nuovo in cobra. Come nemmeno Mal in drago.
Al suo risveglio, si ritrovò nella Città di Mezzo, con i suoi amici ed il gruppo di Uma.
Grazie alla Fata Smemorina, vennero informati sugli ultimi fatti, su Sora, sull’OrganizzazioneXIII.
Nella Città di Mezzo ricostruirono tutti una vita, grazie a lei. Ogni tanto veniva loro concesso di andare a Crepuscopoli, dove Jay, Lonnie, Uma e Ben parteciparono al Torneo Struggle, il cui vincitore fu Jay.
L’allenamento nella squadra di scherma di Auradon lo aveva formato bene.
Ma non era abbastanza. Sentiva che non era abbastanza per esaudire il suo desiderio di vendetta contro il padre.
 
Per questo anche lui è d’accordo col divenire Custode del Keyblade. Era rimasto affascinato dalla storia di questa misteriosa arma dalle lezioni della Fata Smemorina. Inoltre, era l’unica arma in grado di eliminare gli esseri che avevano distrutto Auradon, gli Heartless. Magari, anche quella sarebbe stata la chiave che lo avrebbe aiutato contro suo padre. Lui è ben cosciente dei pericoli cui andrà incontro nel Tuffo nel Cuore. Ma Jay non ha paura: niente lo avrebbe fermato dal suo intento.
Avrebbe vendicato la madre ed il suo esilio nell’Isola degli Sperduti…
 
   
 
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