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Autore: _MrsSunshine_    15/06/2020    2 recensioni
[Percabeth] [AU] [Alcuni comportamenti un po' OOC(?)]
E lei lì, per qualche strano motivo era stata travolta da una cotta secca e brutale nei confronti di quel ragazzo a cui non aveva mai fatto caso.
Avevano parlato e lei aveva scoperto che giocava a football e che nonostante quello fosse il migliore del suo corso di biologia e che per entrare in quella scuola aveva usato una borsa di studio guadagnata grazie a anni passati a studiare, aiutato solo dal buon proposito di non voler far spendere a sua madre soldi extra per la sua retta scolastica.
Genere: Angst, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Jason Grace, Leo Valdez, Percy Jackson, Piper McLean
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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PREMESSA
questa os è stata scritta in uno dei miei tanti momenti di noia, senza pretese di nessun genere. Non ero nemmeno sicura di pubblicarla, ma mi sono detta: "E' decente e c'è la Percabeth, quindi vai perché il mondo ha bisogno di questi due".
Spero che non sia così deludente, detto ciò vi lascio alla storia che stranamente, a differenza delle altre non c'ha messo un secolo ad uscire :)


- Da quanto ti interessa il football? – domandò Piper quando l’amica le propose di fare un salto alla partita di quel pomeriggio.
- Pff, da sempre – disse la bionda liquidandola con un gesto della mano, alzando gli occhi al cielo.
- Ma se l’anno scorso dicevi che l’unico sport degno di nota è l’atletica – Piper era una specie di tribunale, una parola sbagliata e lei avrebbe tirato fuori conversazioni di tre anni prima con tanto di screen da gruppi e chat private.
- Mi piace guardare mica praticarlo – cercò di dire Annabeth.
- Certo – rispose sarcastica Piper. – Posso portarmi anche Jason e Leo? – chiese come se stesse parlando dei suoi amati figlioletti.
- Ovvio, ci vediamo più tardi! – e Annabeth si defilò.
Se si sentiva patetica? Certo che sì, ma non ne poteva fare a meno.
Annabeth riteneva il football un gioco pieno di persone con tanti muscoli e pochissimo cervello.
Questo finché non aveva incontrato lui in biblioteca.
Non era stato uno degli incontri più poetici di sempre, infatti lui le aveva rovesciato addosso per sbaglio il caffè che la ragazza stava tenendo in mano, e dopo parecchie scuse le aveva offerto la sua felpa per farla cambiare e l’aveva aspettava fuori dal bagno con una tazza di cioccolato caldo blaterando che la macchinetta aveva finito il caffè. E lei lì, per qualche strano motivo era stata travolta da una cotta secca e brutale nei confronti di quel ragazzo a cui non aveva mai fatto caso.
Avevano parlato e lei aveva scoperto che giocava a football e che nonostante quello fosse il migliore del suo corso di biologia e che per entrare in quella scuola aveva usato una borsa di studio guadagnata grazie a anni passati a studiare, aiutato solo dal buon proposito di non voler far spendere a sua madre soldi extra per la sua retta scolastica.
Annabeth l’aveva trovato carino e tremendamente educato, caratteristiche che apprezzava nell’altro sesso.
Dopo quella volta non si erano più parlati tranne che per alcuni “Ciao” sussurrati per i corridoi quando capitava loro di incrociarsi dopo qualche corso in aule vicine.
Erano esattamente tre mesi che continuava ad andare alle partite portandosi sempre un amico diverso, per non risultare sospetta.
La prima volta era toccata a Reyna che aveva sbuffato tutto il tempo chiedendole quando sarebbe potuta andare a studiare, ricordandole ogni cinque minuti che lei quell’estate si sarebbe dovuta laureare.
La seconda volta si era trascinata appresso Hazel e Frank che avevano avuto la decenza di stare zitti, scambiandosi di tanto in tanto un paio di parole.
E ora le sue vittime erano Piper, Jason e Leo.
- A me non piace il football – si lamentò il biondo stringendosi nel proprio cappotto per proteggersi dall’aria fredda di gennaio, con un braccio poggiato sulle spalle di Piper.
Il vento stava rischiando di portarsi via Leo che si teneva aggrappato al braccio libero dell’amica.
- Vedrai che sarà divertente – cercò di tirarli su Annabeth, sorridendo con le guance arrossate dal freddo.
- Ma cosa cazzo dici? Fra poco comincerà a nevicare, probabilmente – disse Piper con la sua finezza da camionista.
- Tu adori la neve -.
- Sì, quando avevo dodici anni -.
Come Piper aveva predetto, poco prima che i giocatori entrassero in campo cominciò una bufera in piena regola e bastarono pochi minuti di fitta neve per interrompere il gioco.
Gli allenatori delle squadre convennero che lo stadio era troppo lontano dalla facoltà e che non era sicuro guidare con quelle condizioni, quindi convennero nel spingere tutti i ragazzi nella palestra accanto al campo da gioco, chiedendo a tutti di aspettare che la neve diminuisse.
- Almeno qua dentro è caldo – disse Piper sfregandosi le mani sulle braccia. La punta del suo naso era rossa e ancora batteva i denti.
Leo probabilmente stava per avere un infarto e Jason cercava di soffocare i propri brividi.
 
Percy si avvicinò all’allenatore che stava mandando maledizioni a personaggi storici e oggetti inanimati senza un apparente motivo camminando avanti e dietro in un piccolo spazio che un gruppetto di ragazzi aveva lasciato saggiamente libero.
- Coach, mi perdoni... – provò a dire catturando la sua attenzione solo quando l’ometto gli sbatté contro il petto.
- Cosa vuoi, Jackson? – ringhiò lui alzandosi sulle punte giusto per far arrivare la fronte all’altezza del suo naso.
- Io e Will stavamo guardando gli alberi qua fuori e crediamo che questo posto non sia molto sicuro, il vento e la neve sono abbastanza forti per farli cadere senza troppi problemi e rami potrebbero sfondare le finestre facendo entrare il gelo e rischiando di ferire i ragazzi, crediamo che il posto migliore siano gli spogliatoi nel sottostrada dell’edificio – spiegò in fretta Percy, sperando che Hedge non lo uccidesse con il semplice sussidio del suo fischietto.
- Ce ne sono troppi, Jackson, come faccio a far entrare duecento ragazzini in due miseri spogliatoi grossi come un francobollo? -.
- Si starebbe stretti, ma sarebbe certamente più sicuro, poi qua sotto ci sono anche due bagni, un corridoio e uno stanzino delle scope, spazio extra, alcuni poi possono rimanere qui al riparo delle arcate e sulle scale che portano di sotto, lontani dai vetri – disse ancora il ragazzo passandosi una mano tra i capelli resi fradici dalla neve che si era beccato tenendo aperta la porta per tutti.
- Possiamo provarci, Jackson ma sono tanti ed agitati, non sarà come fare una passeggiata nel parco, vai ad informare i tuoi compagni di squadra e fatti aiutare a sgombrare la palestra e non fare l’eroe – disse prima di correre via con quel suo passo che ricordava il trotterellare di una capra.
Percy stava sgomberando la zona ovest quando un urlo lo fece girare di scatto. Notò con orrore che le previsioni sue e di Will si rivelarono fondate e che due rami della misura di due spessi tubi avevano sfondato le grandi finestre dell’edificio, travolgendo un paio di ragazzi.
- Luke, Will, pensate voi ai ragazzi rimanenti – e ignorando bellamente i richiami dei compagni di squadra e il consiglio spassionato di Hedge, il moro corse dai feriti sgomitando tra la folla di ragazzini urlanti.
Il suo gesto disperato mobilitò anche Austin e Charles che decisero di dargli una mano, loro avrebbero spostato i pezzi di legno e lui avrebbe accompagnato i ragazzi al sicuro.
Furono veloci e nonostante il maltempo i tre riuscirono in appena cinque minuti a cacciare otto persone ferite non troppo gravemente.
Hedge cercava di calmare la gente sotto gli archi aiutato dai giocatori della squadra avversaria e dall’altro allenatore.
Percy sentiva il cuore martellargli contro la cassa toracica, non credeva che si sarebbe mai potuto trovare in una situazione simile. Aveva visto film e si era sentito in ansia per i protagonisti, ma non era paragonabile al nervosismo che sentiva in quel momento mentre cercava di non scivolare nelle pozzanghere, osservando se in mezzo ai ceppi ci fosse qualche altro ragazzo ferito.
- Chi altro c’è? – chiese Percy a voce alta mentre il suo viso veniva sferzato dalla neve.
- Ne sono rimasti tre! – urlò Austin per sovrastare le urla.
- Sta per caderne un altro, dobbiamo sbrigarci o verremo schiacciati anche noi! – disse a sua volta Charles buttandosi sul terreno fradicio per afferrare la mano di uno dei ragazzi aiutandolo a tirarsi in piedi.
Austin si prese quello di destra e Percy la ragazza dai tratti cherokee che conosceva come sorellastra di Drew Tanaka, capo della confraternita più in di tutto il college.
- Come ti senti? – chiese Percy prendendola in braccio come una bambina dopo aver strappato i rametti più piccoli che le tenevano ferme le gambe.
Lei lo fissò con sguardo assente causato probabilmente dalla grande quantità di sangue che aveva perso da una ferita riportata sotto l’orecchio.
- Annabeth. Manca Annabeth, trova Annabeth – continuava a farfugliare.
Gli poggiò il viso sulla spalla e probabilmente svenne in quanto sentì il suo corpo diventare più pesante. Solo allora Percy si accorse di alcuni ciuffi biondi che spuntavano da un ennesimo rovo di piccoli aghi di sempreverde.
Preso dal panico fermò Charles che stava correndo al riparo con un ragazzino smilzo appoggiato a mo’ di agnellino sulle spalle larghe da giocatore.
- Prendi anche lei, ce n’è un’altra -.
- Percy, non c’è tempo -.
- Fanculo Charles, prendi questa ragazza e stai zitto, giuro che arriverò subito! – urlò Percy muovendosi meccanicamente sulle proprie ginocchia. L’adrenalina che gli scorreva nel sangue non gli fece sentire nemmeno il peso della ragazza tra le proprie braccia.
Charles decise che se non si fosse deciso ad assecondare la sua testardaggine, probabilmente le vite in pericolo non sarebbero state solo due.
Prese la ragazza per la vita trascinandola via e Percy si inginocchiò vicino allo spesso ramo di pino.
- Ma cosa diavolo sta facendo? JACKSON, VIENI SUBITO VIA DI LI’ PRIMA CHE TI PRENDA A CALCI! – sentì la voce di Hedge costellata di preoccupazione, se si fosse voltato probabilmente avrebbe trovato l’ometto a saltellare per l’ansia, come faceva di solito quando qualcuno correva verso la porta avversaria cercando di segnare.
- Annabeth, riesci a sentirmi?! – Percy poggiò la guancia al pavimento osservando la ragazza dai capelli biondi semicosciente che giaceva inerme sotto il peso dell’albero.
- Sì... ti sento, ho tanto sonno – rispose lei in un mormorio che il ragazzo capì appena sopra il frastuono dei lampi e della neve ormai più simile a violente gocce di pioggia.
- Cerca di rimanere sveglia, ancora un paio di minuti, puoi farlo per me? – chiese Percy mentre provava a sollevare quello che più che un ramo sembrava un piccolo tronco. – Ti va di rispondere ad un paio di domande?- propose affannato poggiando la schiena contro il legno cercando di spingerlo via con la forza delle gambe nonostante i piedi scivolassero sul bagnato.
- Va bene, tienimi sveglia, ho paura che se dovessi chiudere gli occhi non li riaprirei più – gli confessò la ragazza con una voce sin troppo pacata per qualcuno rimasto intrappolato in quel modo.
Lui sarebbe sicuramente uscito di testa.
- Ti ha colpita in testa? – chiese.
- Non so se mi abbia colpito in altri punti – disse lei con un leggero sorriso.
- Prova a muovere le mani, ci riesci? – l’estate prima sua madre l’aveva costretto a prendere parte ad un corso di primo soccorso e in quel momento la ringraziò mentalmente.
- Sì, ma mi fa male tutto – gemette Annabeth.
- Raccontami di te – le propose Percy.
- Nah, sono noiosa -.
Il ragazzo finalmente riuscì a liberarla dal ramo.
- Non la penso così – le disse sedendosi a gambe incrociate, impegnato nello scansare il ramoscelli.
- La gamba... mi fa malissimo – disse Annabeth. L’adrenalina stava calando, inversamente al dolore che stava aumentando così come anche la lucidità. – Non hai tempo, tu vai meglio uno che entrambi- gli disse stringendo i denti.
- Non ti lascerò qua, ce la faremo entrambi - Percy buttò un occhio al polpaccio di Annabeth, i jeans erano strappati e una grossa ferita si faceva largo sulla pelle pallida della bionda.
- Cazzo... – guardò il ramo ancora pericolante sopra le loro teste che minacciava di cedere da un momento all’altro, in quanto il vento non accennava a voler dar tregua alla povera palestra ridotta ormai ad un ammasso di vetri, aghi di pino e pozzanghere d’acqua.
- Annabeth, ora ti farò male, tu stringi di denti – una parte del corpo della ragazza era ancora bloccata ma il tempo stava stringendo e Percy si trovò costretto a strapparla via da quell’intrigo ricevendo in risposta un urlo di dolore, probabilmente, visto il sonoro crack che era riuscito a sentire nonostante l’ululare del vento, le aveva rotto un braccio, ma quando la trascinò al centro della palestra guardando l’albero cedere, capì che quello era il male minore.
Probabilmente non l’avrebbe mai ammesso a voce alta, ma quella fu l’esperienza più traumatica della sua vita.
- Mi dispiace, Annabeth, scusami tanto – il viso della ragazza era bianco come quello di un morto.
Percy si tolse la felpa fradicia e le fermò il braccio fratturato contro il petto alla ben e meglio.
Le scansò i capelli sporchi di fango dalla fronte per far si che non infettassero le ferite e poi premette una mano contro la sua gambe per cercare di far rallentare il flusso di sangue che le stava sgorgando dalla ferita.
- Se dovessi morirti tra le braccia sappi soltanto che il football mi fa schifo, venivo solo per vedere te – Percy sorrise anche se sapeva bene che non era né il luogo né il momento adatto, per non parlare del contesto nel quale era stata pronunciata quella frase.
- Tu non morirai, starai bene – le promise lasciandola stesa a terra. – Ti strappo i jeans per farci un bendaggio provvisorio e fermar il sangue, okay? Non sono un medico, mi dispiace – disse prima di stracciare i pantaloni fino al ginocchio sinistro. Aveva le mani colme di sangue e dovette veramente impegnarsi per non svenire, cercando di auto convincere il suo cervello che quella era solo marmellata alla prugna.
- Erano i miei jeans preferiti – commentò lei semicosciente, portando il braccio buono sugli occhi, come se ci fosse troppa luce.
Percy si fece scappare un sorriso.
- Ti prometto che te li ricompro – finì di annodare il tutto e quando la vide abbastanza stabile la prese in braccio a mo’ di sposa correndo al riparo dagli altri.
La gente lo accolse con un grande applauso mentre poggiava la ragazza a terra.
Hedge l’assalì con coperte che aveva trovato nella stanza dove tenevano palloni e tappetini.
- Jackson, quale parte di “Non fare l’eroe” non ti è chiara? Tua madre non ti ha picchiato abbastanza da bambino! – gli arrivò una botta dietro al collo che lui quasi non sentì troppo impegnato a far sì che Annabeth non si addormentasse.
 
Annabeth si svegliò in un letto dalle coperte bianche, il braccio sinistro ingessato e con la stanza in cui l’avevano parcheggiata piena di fiori e peluche, regali probabilmente offerti da Piper, che sapeva bene quanto quelle cose le facessero schifo.
Quando si mise a sedere notò Percy che dormiva nella sedia lì accanto, aveva la faccia coperta di graffi e le braccia avvolte in bende candide, ma per il resto sembrava stare bene.
La bionda sentì una fitta alla schiena nel preciso momento in cui provò a voltarsi verso destra e il suo gemito di dolore fu abbastanza per svegliare il ragazzo.
- Sei sveglia, come ti senti? – chiese con un grosso sorriso poggiandole una mano sul ginocchio.
Annabeth si sforzò di non mostrare la propria espressione sofferente.
- Ho visto giorni migliori -.
-Sicuramente -.
- Senti – riprese la bionda dopo che tra i due fu calato quel silenzio imbarazzante. – riguardo a quello che ti ho detto quando tu mi hai salvato la vita... -.
- Beh... estremo, ma l’ho trovato romantico – la interruppe lui con le guance leggermente rosse e gli occhi che guizzavano un po’ ovunque imbarazzati.
Annabeth scoppiò a ridere.
- Ti va di provare ad uscire una volta? Magari senza alberi che ci cadano in testa. Ti devo un paio di jeans – propose Percy trovando il coraggio per guardarla in faccia. Era molto più carina con quella sfumatura rosea a colorarle il viso.
- Trovo che sia una bella idea – sorrise lei impacciata grattandosi la nuca.
 
   
 
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