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Autore: Urban BlackWolf    16/06/2020    4 recensioni
Come la vite, ogni essere umano ha un lato esposto al sole ed uno all’ombra. Un lato più caldo ed uno più freddo, che non sempre riescono a convivere, anzi, che spesso e volentieri cozzano l’uno contro l’altro creando dissonanza, una profonda lacerazione interiore che rende tutto confuso e complicato.
Come la vite, ogni essere umano porta frutto e lo dona agli altri, ma a seconda delle stagioni e delle cure ricevute, lo fa generosamente o meno.
Come la vite, ogni essere umano ha bisogno di sentirsi amato, spronato e protetto per dare il meglio di se, senza soffocamenti o costrizioni.
E come la vite che allunga i tralci verso la pianta accanto, anche gli esseri umani sono alla costante ricerca dell’anima affine alla quale potersi tendere ed intrecciare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Starlights, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Patto d’amore

 

Proprio mentre le parole se fossi in te cercherei di uscirne illesa prendevano a comporsi nella mente di Haruka, una retata delle forze dell’ordine incaricate nel verificare i libri contabili di una delle famiglie più potenti della Provincia, entravano nello spiazzo del Ciclo di Produzione dei Kiba. Sarebbero andati li, come alla masseria del vecchio Lucas e dai due notai che da anni si occupavano delle sue faccende. Un’azione progettata con cura, addirittura mesi addietro ed entrata nel vivo di un’azione fisica proprio in virtù dell’ultimo atto; ovvero la denuncia di Mamoru Kiba ai danni del padre.

“Con molta probabilità la Finanza è giù all’opera. - Disse stancamente l’uomo guardando la bionda ferma a qualche metro da lui. - E la cosa grottesca è che ci stanno con gli occhi addosso già dal Natale scorso.”

“Te l’hanno detto loro?”

“Chi altri? Da una parte questo mi scagiona, ma dall’altra mi fa sentire parte di uno schifo. Mio padre ha rovinato tutto.”

“Non hai detto che l’azienda ne sarebbe uscita illesa?”

“Spero. I libri contabili sono in ordine, ma ora come ora chi può dirlo? Mi sento un fantoccio, ma la denuncia andava fatta!”

“E così hai deciso che strada intraprendere.” S’intromise Giovanna intimamente soddisfatta.

In fin dei conti si stava parlando della moralità dell’uomo che presto avrebbe portato all’altare sua sorella e non avrebbe accettato tanto di buon grado una scelta diversa.

“Ti fa onore, ma questo getta nella merda anche la mia famiglia.” Proseguì Haruka continuando a fissarlo negli occhi.

“Lo so e mi dispiace. Sono sicuro che partito l’allarme, gli scagnozzi di mio padre stiano già facendo sparire la contabilità, diciamo occulta, riferita ai suoi traffici, ma l’acquisizione del tuo quarto è una cosa legale e prima o poi salterà fuori.”

“Certo. - Masticò lei iniziando a dondolare un sasso sotto la suola della scarpa. - E dovrò inventarmi qualcosa di plausibile che giustifichi la compravendita della mia proprietà.”

“Ma siamo proprio sicuri che Haruka verrà tirata dentro questa storia? Abbiamo avuto un controllo fiscale proprio tre mesi fa ed è risultato tutto in ordine come sempre.” Chiese Minako con il cuore a mille. Ci sarebbe mai stata nella sua vita una risacca di tranquillità?

“E’ matematico. Anzi, visto che la cessione del mio quarto è cosa fresca, è molto probabile che sarà una delle cose che salteranno fuori per prime.”

“Haruka, io un’idea ce l’avrei. - Disse Mamoru abbastanza convinto di stare per provocare un maremoto. - Potresti dire che la tua cessione è dipesa da un debito pregresso mai saldato.”

“Vecchio quanto?!”

“Dei vostri genitori.”

“Assolutamente NO! - E ci mancò un niente che a quella frase la bionda aggiungesse anche un sonoro vaffa. - Come ti permetti!? Per pararmi il culo dovrei arrivare ad infangare la memoria dei mie!?”

“Ragiona. Anche io li conoscevo e so che non si sarebbero mai indebitati con uno strozzino, ma su casa e cantina avete già un’ipoteca con la banca e alle forze dell’ordine non risulterebbe fantascienza se una coppia d’imprenditori stritolati dai debiti avesse fatto ricorso a vie traverse per avere la liquidità necessaria per portare avanti la loro attività.”

“Tanto più…” Giovanna si fece pensierosa mentre Haruka spostava il suo astio su di lei.

“Tanto più?!” Chiese conoscendo già la fine del concetto.

La maggiore la guardò mentre una scintilla di tristezza le solcava le iridi. “Tanto più che sono morti e nessuno potrebbe interrogarli per sapere la verità.”

“Tzs… Questo è veramente un colpo basso, Giò.”

“Si, lo so, ma Mamoru non ha torto. Cosa dirai quando ti chiederanno il perché della tua improvvisa cessione di un quarto dei terreni dell’azienda? Scusate signori, ma a causa di un brutto temporale ci siamo trovate talmente in difficoltà, che al rifiuto delle banche di concederci l’ennesimo prestito mi sono dovuta rinfilare la tuta da pilota e partecipare ad una corsa clandestina. Ed indovinate cosa ho dato in garanzia?

“Smettila.”

“Ma andiamo, è la verità. Non si arriva a vendere un terreno in fase produttiva se non si ha l’acqua al collo e per quanto m’inorridisca tirare in ballo i nostri genitori, credo possa essere un’idea vincente.”

Stranamente la bionda non partì in quarta, non sbraitò ne diede di matto, ma guardando Usagi e Minako affermò con sicurezza che questa volta la decisione sul come agire l’avrebbero presa tutte e quattro insieme, come la famiglia che erano.

Decisero perciò di rifletterci ognuna per proprio conto, di lasciare passare la festa, di chiudere la stagione e solo dopo, a mente lucida, di discuterne. E così fecero. Per qualche ora si separarono poi, più o meno quando dai Kiba si esplodevano i primi fuochi pirotecnici, il cancello della masseria Tenou si chiuse dietro le spalle dell’ultimo invitato e il silenzio tornò a regnare là dove solo poco prima c’erano stati balli e musica.

Quella notte nessuno si coricò, anzi, in virtù del fatto che ormai erano di famiglia, Mamoru e Yaten furono invitati a rimanere. Ma mentre per il primo non ci furono problemi, per il secondo non fu altrettanto facile. Trovarsi il fratello maggiore tanto vicino e sentir parlare dei guai che presto il vecchio Kiba avrebbe avuto, ebbe il potere di renderlo nervoso. Così, fermo come un gargoyles di un’antica cattedrale gotica, si appollaiò in un angolo del giardino d’inverno rimanendo in silenzio per tutta la discussione. Naturalmente Minako lo lasciò fare. Cosa simile fece Michiru, che partecipò, ma non attivamente.

Verso le due del mattino si ritrovarono tutti insieme, Usagi ai fornelli per preparare del caffè e gli altri nella stanza vetrata. Chi seduto come Giovanna, Mamoru e Minako, chi a rodersi l’anima camminando avanti ed indietro come Haruka.

“Siediti.” Le consigliò la maggiore.

“Anche NO!” Rispose l’altra tornando a massacrarsi le unghie delle mani.

“Allora… - Iniziò Kiba cercando di essere il più lucido possibile. - Ricapitolando, una volta chiamata a testimoniare, Haruka avrà due strade; o quella di ammettere di essere stata coinvolta in una corsa clandestina o quella d’imputare la cessione del suo quarto a saldo di un vecchio debito contratto anni addietro dai vostri genitori.”

“Non ci sono altre via di fuga?”

“No Mina e non credere che prima di denunciare mio padre non ci abbia pensato e ripensato.”

“Scusami Mamo, non volevo alludere a nulla.”

“No, scusa tu. Scusatemi tutte. Non mi fa piacere sapermi il figlio di uno strozzino.”

“Non è colpa tua.” Intervenne Haruka che si sentiva in difetto, perché se Mamoru non aveva alcuna responsabilità per la cattiva condotta del padre, lei visto i casini inanellati, non poteva dirsi altrettanto candida.

“Facciamo pure il caso che si usi la scusa dell’estinzione di un debito ad usura…, non può certo bastare soltanto la nostra parola. - Giovanna rincarò la dose domandando al giovane Kiba forse una delle cose più ovvie, ma essenziali. - Mi spiego meglio; anche se cosa illegale, entrambe le parti non dovrebbero avere uno scritto che stipuli il prestito?”

“E’ vero e la cosa potrebbe essere facilmente risolta. In genere per queste cose si hanno sempre due ricevute; una per chi lo elargisce ed una per chi lo riceve. Questo avviene sia che ci si riferisca ad un istituto di credito, che al mondo dell’usura. Adesso, sicuramente la Finanza rastrellerà a tappeto ogni incartamento posseduto da mio padre e perciò sono sicuro che le ricevute dei prestiti che ha fatto siano state già distrutte. Ergo…, di ricevuta per dimostrare questo prestito ne basterebbe solo una, ovvero la vostra.”

“Copia che potremmo aver trovato in casa.”

“Esattamente. Ci basterebbe solo inventarci due righe e firmarle a nome Kiba-Tenou e l’inganno prenderebbe contorni perfetti. E la cosa che mi darebbe gran goduria sarebbe quella di vedere mio padre con le mani legate.”

Haruka intervenne riuscendo finalmente a fermarsi. “E tu sapresti imitare la sua calligrafia?”

“Quella no, ma la firma… - Stirando le labbra sardonico, la fissò quasi con sfida, perché nelle aziende più grandi capitava spesso che un delegato, in genere un famigliare, avesse la procura per imitare la firma del titolare. - Non dirmi che non hai mai firmato dei documenti per i tuoi?!”

“No!”

Così mentre quei due prendevano a guardarsi in cagnesco, Giovanna iniziò a farsi due conti mentali per convenire poi che il modo per evitare la scrittura olografa fosse racchiusa in una vecchia macchina da scrivere. “In soffitta abbiamo una Olivetti. Dobbiamo solo decidere il periodo del prestito… Haru quanto vogliamo fare?”

“Solo una quindicina d’anni fa ci capitò di navigare in cattive acque come ora. Andavamo ancora al liceo quando ci fu una gelata primaverile che mandò al diavolo tutto il raccolto. - Ricordò la bionda guardando prima la sorella e poi Mamoru. - Anche voi accusaste il colpo.”

“Ma come al solito le mille risorse di mio padre evitarono il peggio.”

“D’accordo. Si scrive un testo con una vecchia macchina da scrivere e poi lo si firma.” Ricapitolò la maggiore mentre Minako alzava il braccio come a scuola.

“E la carta? Non dovrebbe essere datata anche quella?”

“Va be, non si tratta mica di un caso d’omicidio. Non andranno certo ad analizzare la filigrana del foglio.” Sbottò la bionda sempre più acida.

“Tranquilla Mina, qui non si butta mai niente. Vedrai che da qualche parte lo troveremo un vecchio A4.”

“Manca solo la firma di nostro padre e qui alzo le mani, perché non è stata mai mia abitudine prenderlo per il culo firmando al suo posto.” Stilettò Haruka ai danni del moro e annusando l’odore della zuffa, Giovanna bloccò tutto prima che potesse innescarsi la solita rissa tra clan.

“Ok, abbiamo capito, ma in realtà neanche io saprei imitarla.”

“E se fosse della mamma? Andrebbe bene lo stesso?” Con un vassoio bene apparecchiato di tazzine, biscotti e brocca fumante, Usagi fece capolino dalla porta come un coniglietto dal cilindro di un mago.

Titubante entrò posando il tutto sul ripiano del tavolinetto posto tra i divani e la poltrona.

“Perché fai questa domanda? Sapresti falsificare la firma di mamma?” Chiese Giovanna e nel vedere i codini della più giovane fare su e giù affermativamente si maledisse per averglielo chiesto.

“Non voglio neanche sapere il perché tu la sappia riprodurre.”

“Ecco appunto, meglio l’ignoranza.” Haruka si sporse afferrando una manciata di biscotti.

Aveva lo stomaco talmente in bocca che se non avesse masticato qualcosa avrebbe finito per rimettere.

Serrando le labbra in una smorfia la maggiore andò oltre.” I nostri genitori erano soci al cinquanta percento, perciò non dovrebbe esserci nessun problema, giusto Mamo?”

“Si, andrà bene anche la firma di Alba.”

“Perfetto! Allora si vota!” Disse la bionda alle sorelle prima che Michiru chiedesse di parlare.

“Posso permettermi di fare una domanda?”

All’unisono si voltarono tutti verso di lei che scusandosi per l’intromissione attese e ad un cenno di Haruka continuò. “Lo so che non sono affari miei, ma se fossi in voi penserei anche alle conseguenze. Mi spiego; e se la finanza vi chiedesse il perché pagare proprio ora un debito tanto lontano nel tempo?”

“Intimidazione?” Rigettò Haruka.

“Ed in genere funziona così, ma non dimenticarti che pur riferendoci ad una bieca opera di strozzinaggio, senza prove a vostro carico un tipo scaltro e con pezze d’appoggio enormi come il signor Lucas, potrebbe addirittura essere capace di contro accusarvi per diffamazione. - Poi guardando Mamoru cercò di addolcire la frase con l’aiuto di un mestissimo sorriso. - Scusami. In fin dei conti è di vostro padre che stiamo parlando.”

“No, figurati, ma hai ragione. C’è da rifletterci con attenzione.”

Con un gesto del braccio la bionda trangugiò un’altra manciata di biscotti. “Ci mancherebbe anche questa! Mi sono sempre battuta per far si che non ci prestasse neanche una macchina agricola, che arrivare ad un paradosso simile sarebbe il colmo!”

Ma tutti ammisero che quell’uomo avesse una bella batteria d’avvocati.

“E allora?! Lui i prestiti ad usura li fa davvero e perciò per una volta CHISSENEFREGA della correttezza! Ho visto con i miei occhi come tratta la gente che non paga!” Obbiettò ricordando la sera nella quale Kiba si era rivelato essere il famigerato Giano.

Ma un qualcosa nella frase della ragazza solleticò la fantasia di Mamoru che iniziando a sfregarsi le mani propose una rettifica del piano. “Qui non si tratta di correttezza, ma di una vera e propria partita a scacchi e per mettere sotto scacco la regina potreste dire che vi siete convinte a saldare il vostro debito spinte dalla paura dopo aver sentito voci di pestaggi a danno di alcuni membri della Cooperativa.”

“Secondo te potrebbe bastare?” Domandò Haruka drizzando le orecchie.

“Come hai appena detto, hai effettivamente assistito ad un pestaggio, no? Il sapere di avere una pregressa pendenza con il possibile mandante di una violenta coercizione potrebbe avervi spinte a pagare pur non avendo ancora subito precise pressioni.”

Un discorso lineare e molto semplice; quattro figlie si ritrovano senza genitori e con la scoperta di una grossa somma da restituire. Illudendosi di poterla estinguere attraverso la buona riuscita di alcune stagioni, si scontrano però con la realtà di raccolti non più produttivi come un tempo. Infine, un pestaggio a danno di un viticoltore della zona innesta voci locali che spingono le ragazze alla restituzione della cifra per mezzo di una normalissima compravendita terriera.

“A me sembra un buon piano, io ci sto.” Asserì Minako improvvisamente infervorata. Mettere all’angolo il vecchio Kiba le dava entusiasmo.

“Non mi piace, perché Haruka potrebbe comunque essere accusata di complicità e comportamento omertoso.” Disse Giovanna.

“Risolvibile con un buon avvocato. Andiamo avanti Gio’. Cosa voti?” Incalzò la bionda esasperata da tanti giri di parole.

“Se la metti così. Anche per me va bene. - Si pronunciò guardando poi Usagi. - Tocca a te. Cosa ne pensi?”

“Anche io sono sicura che si dovrà prendere un bravo avvocato e come a tutte voi non mi piace far passare i nostri genitori come due poveri sprovveduti costretti a mettersi in mano ad uno strozzino. Ma le banche non ti aiutano mai quando servono, perciò ci sto anch’io.”

“Ottimo! Allora è deciso; quando la finanza mi manderà a chiamare, metteremo in scena questa tragicommedia famigliare.” Concluse Haruka guardando per un attimo Michiru sperando con tutta se stessa di avere ancora qualche momento di pace per poter pensare solo a quello che stavano provando l'una per l'altra.

 

 

La preghiera della bionda non venne ascoltata, perché non passò che mezza giornata prima che una telefonata del notaio di famiglia non l’avvertisse di un mandato di comparizione per chiarire la sua posizione in merito alla cessione di parte dei terreni Tenou al signor Lucas Kiba. Con la scrittura privata falsificata in tempi record stretta in mano e la speranza che quell’inganno potesse in qualche modo tenerla fuori da tutto il fango che ora dopo ora stava arrivando a pioggia sui suoi dirimpettai, verso il tardo pomeriggio del giorno successivo Haruka si avviò in città.

Con gli occhi stanchi a causa della mancanza di sonno ed il cuore pesante per via dell’ennesima balla che avrebbe dovuto mettere in scena, si fermò al pub di Max per gustarsi una bella birra prima di andare. Trovò il locale stranamente pieno per l’ora e salutando con la mano l’amico intento a servire due clienti, si scelse un posticino accanto ad una delle finestre che davano sul parcheggio. Scartabellando la cartellina che aveva preparato, ammine quanto potessero essere bravi Usagi e Mamoru nel falsificare la firma dei rispettivi genitori.

Stai a vedere che quei due sono proprio fatti l’una per l’altro? Si disse mentre un bicchiere sgocciolante di condensa con dentro la sua chiara preferita le veniva servita dal proprietario in persona.

“Questa la offro io, per farmi perdonare di non essere riuscito a passare ieri sera.”

Chiudendo immediatamente la cartellina lei gli sorrise alzando un poco le spalle. “Ma figurati. Il lavoro è lavoro.”

“Allora com’è andata?”

“La solita gente. Il solito casino. Non ti sei perso niente, Max.”

Corrugando le sopracciglia lui la squadrò notando l’umore scuro e il completo del medesimo colore. “Dove te ne stai andando in giacca?”

“Ho un appuntamento.” Glissò facendogli un occhiolino.

“Vestita così? Dove, in chiesa, per un funerale?”

“Si chiama eleganza. Prendi nota.”

Allora lui iniziò ha scrivere sul block notes che usava per le ordinazioni ed una volta strappato il foglietto glielo lasciò accanto alla birra. “Presa.” E se ne tornò dietro al bancone.

Sbirciando la parola che l’uomo le aveva scritto, ridacchiò prendendo un grosso sorso gelato e tornando a guardare gli incartamenti si estraniò per un po’, fino a quando una voce fin troppo famigliare non le ferì le orecchie ricordandole che il passato è più fastidioso se si pensa di esserselo lasciati alle spalle.

“Speravo proprio di vederti.”

Richiudendo nuovamente la cartellina Haruka mandò uno sfondone al cielo e uno alla sete che l’aveva fatta fermare al pub dell’amico. Alzando gli occhi vide la giovane donna fiondarsi agilmente sulla seduta opposta alla sua.

“E pur ritornano. - Se ne uscì la bionda scuotendo la testa. - Ti credevo a Portland.”

“Mio padre mi ha chiesto di fare delle cose e ho dovuto rinviare la partenza. Ma tranquilla…, sentiti in diritto di salutarmi a dovere.”

“Non ci penso proprio, Bravery. Anzi, scusami, ma devo proprio lasciarti.” Cercando di tagliar corto fece per andarsene quando la mora le arpionò rattamente un braccio.

“Aspetta. Riconosco che non mi sarebbe piaciuto tornarmene negli States senza averti rivista un’ultima volta, perciò non scappartene così.”

Scappare? Stirando le labbra Haruka cercò di non cadere nella provocazione, ma comunque tornò a sedersi. Lo fece d’istinto, senza nessun motivo. Non aveva voglia di vederla, ne di ascoltare bieche scuse che le avrebbero strappato altri minuti di vita, ma non voleva certo apparire agli occhi di Bravery come se fosse stata lei ad aver fatto qualcosa di male. Non questa volta almeno.

“E’ da quel giorno che non ci vediamo ed in tutta onestà credevo mi avresti chiamata.”

Stupita Haruka alzò le sopracciglia chiare facendo una smorfia. “E perché, scusa?”

“Bè, se non ricordo male il nostro ultimo incontro non è stato poi tanto freddo.”

“E tu pensavi ad un bis?”

“Perché no?!”

In realtà Haruka provava ancora vergogna per quella stupidaggine. Ritrovarsi Michiru davanti agli occhi, vederla cambiare completamente espressione colta da un lampo di consapevolezza, scorgere il sorrisetto trionfante della mora, sapere di aver fatto del sesso sporco, senza amore, ne attrazione, ne desiderio, contro il mattonato della rimessa, ancora le bruciava e adesso che aveva assaporato almeno un’infinitesimale parte della violinista, avrebbe cercato di cancellare con tutta se stessa quell’esperienza con Bravery.

“Senti, non mi va di essere acida, perché lo sa Dio e io meglio di lui quanto ce la siamo spassate, ma vediamo di darci un taglio. Il nostro tempo è finito due anni fa e quello che c’è stato il mese scorso è stata solo un’infelice parentesi.”

L’altra non si scompose. “Valeva comunque la pena provarci.” Ammise candidamente afferrando il bicchiere.

“Posso?”

“Fai pure. Come ho detto stavo andando via.” E non le sfuggì l’atto dell’altra di girare la parte dove aveva appena appoggiato le labbra per posarci le sue.

Uscendo dalla seduta Haruka la salutò con un lieve movimento del mento. “Immagino che con il casino che sta succedendo da tuo zio non ti si vedrà in giro per un bel pezzo.”

“Immagini bene.”

“Ottimo, allora addio.”

“Haruka… - Già lontana di qualche passo la bionda si voltò vedendo una smorfia marcatamente divertita segnare la bocca di Bravery - E’ troppo per te.”

Ovviamente si riferiva a Michiru e alle voci che l’erano arrivate dagli stagionali a servizio nella masseria secondo i quali la bella straniera non fosse più così immune al fascino della seconda delle sorelle Tenou.

Ricambiando il sorriso Haruka capì e non se la prese. “Credi non lo sappia?! Stammi bene Kou” Ed alzando una mano la salutò ridendosela.

Molto probabilmente non si sarebbero più riviste. Per lo spirito metropolitano di Bravery quelle belle terre non avevano più la stessa attrattiva di quando era una ragazzina e ora, dopo quell’addio, non la legava più niente al verde delle sue vigne.

Con uno stranissimo senso di pace Haruka risalì in macchina tornando a percorrere la strada che l’avrebbe portata in città e arrivando al parcheggio della sede della Finanza meno di mezz’ora più tardi. Con lo stomaco in bocca e le mani stranamente sudate, uscì dall’abitacolo annusando odore di pioggia. Densi nuvoloni si stavano ammassando sulle vette più alte delle montagne vicine e non sarebbero passate due ore prima di un repentino cambio di clima. Stringendosi nella giacca chiuse lo sportello intuendo da un uomo in divisa fermo davanti ad una grande porta a vetri, l’edificio dove avrebbe dovuto dirigersi. Chiedendo al militare dove andare, fece risuonare la suola delle sue scarpe nell’ingresso ed inforcate le scale, arrivò di gran carriera fino al terzo piano.

L’attendevano per le diciannove e visto il colossale anticipo con il quale era arrivata, si sedette in una piccola sala d’aspetto. Cercando di darsi un tono accavallò le gambe atteggiandosi a frequentatrice del luogo. Conosceva alcuni ispettori che con cadenza semestrale venivano a fare i controlli di routine in amministrazione, ma non era mai stata convocata. E questo le dava ansia. Non aveva voluto accanto nessuna delle sue sorelle, ne tanto meno Michiru e comunque anche se avesse voluto non avrebbe potuto chiederglielo, perché l’altra era uscita dalla masseria ancor prima di lei.

E’ già poco il tempo che ancora abbiamo prima che parta e ci si doveva mettere anche questo colloquio, si disse ricordando le raccomandazioni che telefonicamente le aveva detto il suo Notaio.

“Mi raccomando Haruka, risponda con calma e nel farlo si prenda tutto il tempo necessario. Non ha fatto nulla di male, perciò non si preoccupi.”

La faceva facile quel poveruomo tutto casa e lavoro che da vent’anni seguiva le sorti dell’azienda della sua famiglia. Haruka non poteva certo dirgli che di punto in bianco, senza nessun tipo d’avvisaglia o motivazione, aveva ceduto la sua parte di vigna per gareggiare in una corsa indetta da un tizio che nel corso delle ultime ore stava venendo indagato per concussione, riciclaggio e Dio sa cos’altro.

E se sapesse che ho in mano un documento falso del quale non me ne frega un tubo perché troppo impegnata a pensare al bel corpo di un’altra donna, si licenzierebbe seduta stante. Sistemandosi meglio sulla sediola di plastica verde si concentrò su Michiru.

Speriamo di finire presto così da poter tornare a casa. Ho una voglia matta di vederla.

“Signora Tenou.” Un viso noto le sorrise da dietro l’angolo di un corridoio invitandola ad avvicinarsi.

“Buonasera.” Rispose lei riconoscendo l’ispettore.

“Ammetto che con la storia impeccabile che da anni la sua azienda gode con il fisco, non mi sarei mai immaginato di vederla qui da noi. Lei è una degli imprenditori più onesti che conosca.”

Era un tipo schietto, con il quale lei ed i suoi genitori non avevano mai avuto nulla da ridire, ed Haruka poteva capire come per l’uomo potesse essere spiacevole il ritrovarsi una Tenou davanti.

“Ma prego, si accomodi in ufficio, dobbiamo chiarire una cosa.”

Stringendo la cartellina sotto al braccio lo seguì, ma appena svoltato l’angolo da dov’era apparso le sembrò di avvertire nell’aria asettica un sottilissimo profumo di mare. Un odore che conosceva già. Un odore molto particolare.

Michiru? Pensò guardandosi un attimo intorno e non vedendo assolutamente nessuno si diede dell’idiota seguendo l’ispettore all’interno della stanza.

 

 

“Bene signora Kaiou, la sua posizione in merito all’acquisto dei terreni del signor Kiba è abbastanza chiara, anche se ammetto che non mi era mai capitato per le mani un baratto.” Strofinandosi il mento, la responsabile dell’ufficio guardò il faldone che aveva davanti sorridendole affabile.

“Ma le tasse sono state versate, giusto?”

“Si e ribadisco che da questo punto di vista è tutto perfettamente in regola. Il contratto stipulato tra lei ed il signor Kiba per i terreni ad uso vinicolo in località Bel Vedere, è stato depositato così come quello per la cessione di un violino Stradivari stimato in … - Lesse la cifra emettendo una sorta di poco femminile fischio. - Ma davvero?”

“Davvero.” Disse Michiru divertita. Quella donna in uniforme le ricordava un poco Haruka.

Stesso fare mascolino, stessa consapevolezza nei propri mezzi, stessa grinta e sicurezza.

“Mah… E lei dopo aver comprato quel terreno lo ha reso sotto forma di donazione anonima alla signora… Tenou Haruka.”

“Corretto.”

Togliendosi gli occhiali dal naso l’ispettore si sporse un po’ in avanti abbandonando gli avambracci sul piano della scrivania, proprio a cavallo del faldone. “Abbiate pazienza signora Kaiou, ma in virtù di quello che sappiamo sui traffici del signor Kiba è stato doveroso contattarla.”

“E io non ho nulla da obbiettare, ma come personaggio pubblico la pregherei di avere nei miei confronti una certa discrezionalità. Quando il signor Kiba verrà sbattuto in prima pagina vorrei evitare di ritrovarmici anch’io.”

“Questo posso garantirglielo senza problemi. Vede, la sua compravendita è stata solo l’ultimo degli affari di un individuo che stiamo seguendo già da diverso tempo. Ammetto che essendo un uomo scaltro, sono ancora molte le cose di lui che non sappiamo, ma la vostra compravendita è uno dei pochi affari cristallini che Kiba abbia fatto di recente. A suo carico ci sono tanti di quegli anni di malefatte che i giornalisti ci sguazzeranno per mesi. - Buttando in dietro la testa per liberare la fronte dalla lunga frangia castana proseguì quasi divertita. - Perciò se fossi in lei non mi preoccuperei per la sua privacy.”

“E per la signora Tenou? Posso anche contare sul fatto che non verrà mai a conoscenza dell'identità del donatore anonimo?”

“E’ anonimo, giusto?”

“Giusto.”

“Però…, fortunata questa sua… amica.” Disse rimarcando l’ultima parola con uno strano timbro voluttuoso nella voce tanto che Michiru ebbe come l’impressione che conoscesse la bionda, anzi dal sorriso leggermente malizioso che apparve subito dopo aver richiuso il faldone, che lei ed Haruka si fossero addirittura frequentate.

Michi piantala di pensare a queste volgarità e concentrati, si ordinò mentre iniziava ad immaginarsi scenari notturni all’ombra di luci fioche da bar. Le braccia intrecciate, le labbra unite, gli ansimi sempre più marcati.

Piantala ho detto!

“Va bene. Per me può bastare così. La ringrazio molto per averci dedicato il suo tempo.”

“Grazie a lei.” Rispose alzandosi per porgendole la mano.

Uscendo da dietro la scrivania la responsabile andò alla porta aprendola e lasciandola passare la salutò un’ultima volta prima di richiudere l'anta.

Michiru uscì dall’edificio conscia del fatto che anche Haruka, pur se un’ora più tardi, fosse stata chiamata. Era ancora presto ed approfittando dell’ovvio calo di tensione dettato dalla fine di quel colloquio, passò in una pasticceria che aveva visto lungo la strada, acquistò un dolce per cena e percorrendo la scarpinata che la separava dalla sua Mercedes, parcheggiata debitamente lontano dalla piazza principale, tornò alla masseria proprio prima che la pioggia la colpisse.

Entrando a casa trovò Giovanna indaffarata come al solito e scambiando uno sguardo d’intesa le mostro la torta appena comprata.

“Buona sera.”

“Tutto bene Michi?”

“Si.”

“L’hai incontrata?” Chiese la più grande riferendosi alla sorella.

“No. “

“Glielo dirai prima o poi?”

“Lo so che ti avevo promesso che le avrei parlato dopo la fine della vendemmia, ma non voglio rovinare le mie ultime ore qui. Mi capisci?” Consegnandole il dolce Michiru le disse che non avrebbe cenato e che sarebbe andata a dormire una volta finito di preparare il borsone con le poche cose che aveva acquistato in quei mesi di vita parallela.

“Pensavo volessi startene un po’ in famiglia.”

L’altra negò con dispiacere, perché anche se quell’affermazione valeva più dell’oro, proprio non se la sentiva. “Non mi sono mai piaciuti gli addii.”

“Neanche a me, ma non è un addio, Michiru.”

La violinista glissò dolcemente. “Ti dispiace se lascio nell’armadio i vestiti da lavoro. Non credo che a Vienna mi serviranno.”

“E’ la tua stanza, fai quello che credi.”

“Grazie.” Ma già con la mano sulla maniglia della sua camera, Kaiou si voltò per chiederle se la bionda avesse mai avuto rapporti con una donna in uniforme.

“Oddio... è a Minako che dovresti chiederlo non a me. Sono stata via tre anni, ricordi? Ma perché?”

Perché mi sono scoperta un tipo geloso, ecco perché, pensò prima di dire un falsissimo nulla e scomparire dietro l’anta.

Meno di un’ora dopo, a crepuscolo ormai passato e sotto un bel temporale, anche Haruka fece ritorno. Lampi di burrasca annunciarono il suo ben poco trionfale ritorno a casa con un eccomi gridato a gran voce per farsi sentire dal chiacchiericcio proveniente dalla cucina.

Togliendosi la giacca la lanciò sul tavolo del soggiorno iniziandosi a sbottonare la camicia ai polsi.

Preparati ad essere linciata Haruka, si schernì facendo capolino dalla porta sapendo anche troppo lucidamente di aver fatto per l’ennesima volta di testa sua.

“Ben tornata!” Esplose Usagi sempre indaffarata.

Le fecero eco una Minako spaparanzata su una delle sedie e Giovanna, intenta a sparecchiare gli scampoli della cena.

“Allora?” Incalzò la maggiore dimenticando i piatti impilati nel lavandino.

Allora un caz… “Tutto bene.” Ed in pratica crollò sulla seduta come se avesse fatto i cento metri in apnea.

“Bè, raccontaci, dai.”

C’era poco da raccontare, anzi, in realtà c’era un mondo che avrebbe dovuto sputar fuori dalla bocca, ma si limitò ad alzare le spalle iniziando a giocherellare con un pezzo di pane. E fu chiaro a tutte che Haruka aveva compiuto l’ennesimo delittuoso casino.

“Che hai combinato?” Se ne uscì Giovanna a gamba tesa.

“E’ inutile che ci giri in torno. - Buttando la cartellina sulla tovaglia continuò. - Non c’è l’ho fatta!”

“A fare?”

“A far passare i nostri genitori come due poveri cretini costretti a rivolgersi ad un usuraio perché sobbarcati dai debiti. Scusate ragazze, lo so che avevamo votato ed eravamo tutte d’accordo, ma per me era una carognata troppo grande.”

“Haruka…” Esplose l’altra sbattendo sconsolata le mani lungo i fianchi.

“Lo so Giovanna, lo so! Sono la solita testa quadra che dice una cosa e poi ne fa un’altra, ma non me la sono sentita di tirarli in mezzo. Dopo tutto sono stata io a perdere i terreni e mia doveva essere la responsabilità di rimediare.”

“E quindi?” Chiese Minako sgranandole contro l’azzurro degli occhi.

“Quindi ho detto la verità, cioè che a causa di debiti pregressi, dei nuovi danni causati dal temporale e dal rifiuto delle banche di zona nel concederci l’ennesimo prestito, non ho trovato di meglio da fare che partecipare ad una corsa clandestina indetta dal signor Lucas Kiba e che non vincendo, sono stata costretta a cedergli il mio quarto.”

“O madre… E loro?”

“Sono stati abbastanza comprensivi. Mi ero portata dietro tutte le notifiche di rifiuto degli istituti di credito e i conti dei danni di quello stramaledetto temporale. Non che questo mi abbia scagionata, ma almeno mi ha giustificata e quando mi hanno chiesto del perché una volta venuta a conoscenza dell’attività poco lecita di Kiba non l’abbia denunciato, io gli ho detto la verità, ovvero che ho avuto paura per me e la mia famiglia. Che poi è sia la verità, che parte del piano che avevamo già pensato di dire.”

Usagi abbandonò il piano di cottura cercando di capire. “E ora?”

“Ora sarà il caso che nostra sorella si cerchi un legale con le palle.” Sbuffò Giovanna inforcando la mano nella tasca posteriore del blu jeans.

“Non la fare tragica, ti ho detto che sono stati comprensivi.” Si difese vedendola estrarre una banconota pesante ripiegata in due.

“Però…, che palle, Haru. Mai una volta che tu mi dia una soddisfazione! Questa alzata di testa mi è costata un patrimonio.” Disse sbattendo energicamente il denaro sul palmo teso di Minako che ridendo lo nascose nel reggiseno.

“Venite qui tesorini… Mammina ha bisogno di un paio di scarpe nuove!” Giubilò con la voce in falsetto.

A bocca aperta la bionda guardò la scena alla Narcos immediatamente folgorata. “Ma che ci avevate scommesso sopra?!”

“Ovvio, ma sei così prevedibile.” Ghignò Minako più che soddisfatta.

“E stupida io che ci ho anche rimesso!” Borbottò Giovanna tornando a sparecchiare la tavola.

“Ma dico…, si fa così? - E sentendo le mani di Usagi poggiarsi alle sue spalle la guardò cercando un briciolo di comprensione. - Tu non hai scommesso su di me, vero piccoletta?”

“No, Haru.”

“Visto balorde?! Imparate dalla gioventù!”

“Certo, soprattutto quando è stata proprio la gioventù ad avere l’idea.” Ammise Mina.

Una faccia buffa e Usagi ammise la sua colpa. “Scusa Haru.”

“Ma…, fottetevi tutte e tre.”

“Dai, non te la prendere. In fin dei conti il piano non piaceva neanche a noi, quindi va bene così. Ma che sia l’ultima volta che decidi per tutte, intesi?! Dovrai testimoniare contro il vecchio Kiba?” Chiese la maggiore.

“Sicuramente. Quando inizierà il processo a danno del bastardo comparirò come parte lesa nei capi d’accusa a suo carico. E con un bravo avvocato forse mi risparmierò un’accusa per favoreggiamento e saranno più blandi con la multa per aver partecipato ad una corsa clandestina.”

”Speriamo. Chiederemo a Kaiou se conosce qualche legale in gamba. Per oggi basta così. Hai fame? Ti abbiamo lasciato la cena in caldo.”

“No Giovanna, sono stanca. A proposito di Michiru, è rientrata? Vorrei parlarle un attimo.”

“Si, è in camera sua. Non ha cenato neanche lei. Sta preparando il bagaglio.”

 

 

L’aveva sentita rientrare e non aveva fatto altro che sedersi compostamente sul letto aspettandola fissando l’anta e più i minuti trascorrevano e più il cuore di Michiru accelerava, sperando, pregando che prima di andare a dormire, come accadeva ormai ogni sera da qualche settimana, Haruka facesse un salto da lei per darle la buona notte. Sospirando si sentì una stupida ragazzina. L’indomani avrebbe dovuto lasciare quella casa, quella famiglia e non era preparata, non si stava concentrando a dovere per reprimere i sentimenti che albergavano in lei. Sarebbe passato tanto tempo prima di un suo ritorno, tempo perso dietro a cose per lei ormai completamente avulse dalla nuova donna che sentiva di essere diventata. Certo avrebbe riavuto la sua musica, ma di contro anche il ritmo delle esibizioni, i flash, le interviste e i rotocalchi a cui avrebbe dovuto spiegare il perché della sua sparizione. Tutte cose delle quali non sentiva proprio la necessità.

Coraggio…, perché non bussi? Un tormento lamentoso che cessò solamente quando quei tre tocchi benedetti e stranamente lievi, fecero finalmente vibrare la sua porta.

“Michi… Posso entrare?”

“Certo Haruka.” Disse alzandosi.

La bionda aprì ritrovandosela in piedi accanto al letto matrimoniale, spalle alla portafinestra dalle tende in mussola bianca illuminate dai lampi, mani nelle mani ed un leggerissimo sorriso a segnarle l'increspatura delle labbra. “Ti disturbo?”

“No, entra. Spero sia andato tutto bene.”

“In realtà si, ma non come avevamo preventivato. Mi servirà comunque un legale.” E mentre si richiudeva l’anta alle spalle cercò di spiegarle a grandi linee quello che era successo nel pomeriggio e come avevano fatto le altre prima di lei, anche Michiru fu contenta della sua scelta.

“Proprio vero che le donne sono strane. Credevo mi avreste massacrata urlandomi ed inveendomi contro e invece. Mah, chi vi capisce è bravo.”

“Ha parlato il carciofo.” La sfotté la violinista mentre prendendo un grosso respiro, Haruka si beava dell’odore di mare nel quale era ancora avvolta la stanza.

“Mi piace questo profumo. Lo sai che è la seconda volta che oggi ho la fortuna di sentirlo? Ed è strano perché una volta mi dicesti che è un’essenza abbastanza rara. Coste…, turche?”

“Ricordi bene. - Ammise non riuscendo però a capire il senso di quella regressione. - E’ un’essenza difficile da trovare.”

L’altra allora si avvicinò arrivando a posarle le mani sui fianchi. “Tanto introvabile da poter essere colta nel corridoio di un ufficio pubblico di una città come tante?”

“Non capisco…”

“Si che capisci. Dov’è che sei stata oggi pomeriggio? - Soffiò fissandola. - La finiamo con questa commedia?”

"Haruka io… - Ma poi vedendola tanto determinata cedette invitandola a sedersi sul letto accanto a lei. - Anch’io sono stata convocata, ma ho chiesto di essere ascoltata un’ora prima di te.”

“Ecco spiegato l’odore del tuo profumo.”

“Se ci avessi pensato...”

“Ma non lo hai fatto. Ora passiamo alla cosa più importante; cosa c’entri tu con Lucas Kiba?”

Michiru la guardò corrugando la fronte. “Non lo immagini?”

“Forse, ma gradirei che fossi tu a dirmelo.”

Così dopo un boccone d’aria Michiru ammise tutto; l’incontro con il vecchio Kiba, il mostrargli il suo violino, la compravendita ed infine, in forma di assoluta e definitiva donazione, la cessione al suo biondo capo dei terreni del Bel Vedere.

“Sono io il donatore misterioso e spero…, oddio Haruka, spero tu capisca che questa mia intromissione sia dipesa soltanto dall’affetto e dalla stima che nutro per la tua famiglia!”

Haruka la stupì, perché la sua reazione fu del tutto diversa da come si sarebbe immaginata. Semplicemente s’incurvò sulla schiena iniziando a scuotere piano la testa. “Avevo pensato anche a questo scenario, ma poi mi sono data della stupida, perché è da folli spendere tutto quel denaro per delle persone sconosciute.”

“Non siete persone sconosciute! Siete quello che ora ho di più simile ad una famiglia!”

Scattando il collo, l’altra si fece estremamente seria. “Non scherzare su queste cose. Qui stiamo parlando di soldi veri, Michiru.”

“Credi non lo sappia! O pensi stia giocando a comprarmi il vostro affetto? Guarda che se avessi avuto la bravura di muovermi con maggior accortezza non lo saresti mai venuta a sapere, Tenou.”

“E questo mi ferisce ancora di più! - Poi improvvisamente attratta dall’ennesimo tuono, la bionda sospirò rumorosamente. - Il clima del pianeta sta cambiando Michi, hai visto anche tu come in un’attività come questa si sia sotto botta delle bizze del tempo. E’ sempre più difficile per noi imprenditori vinicoli mantenere una produzione costante e passeranno anni prima che la First delight ci garantisca un incremento di produzione. In queste condizioni non possiamo far altro che galleggiare, figuriamoci mettere da parte dei soldi per poter saldare l’ennesimo debito.”

“Debito?! - Scandì l’altra con rabbia. - Ma allora non ci siamo proprio capite Haruka.”

“No, sei tu a non voler capire. Pensi davvero che accetterò una cosa del genere?!”

“Alla luce di quello che abbiamo capito l’una dell’altra, si.”

“Kaiou…”

“Alla luce di quello che abbiamo capito l’una dell’altra, SI.” E faceva dannatamente sul serio tanto che la bionda non si permise di sorridere.

Magari se fossero state una coppia forse avrebbe accettato un aiuto tanto generoso, ma anche in quel caso si sarebbe sentita la parte fragile delle due. Cosa troppo difficile da ingoiare per una come lei.

“Michiru ormai sai come sono fatta. Per me è impossibile soprassedere ad una cosa del genere.”

“E allora mi giocherò l’unica carta che potrebbe farti capire la mia posizione, ma bada Tenou… è una carta pesante gettata sul tavolo da una donna che quanto a orgoglio non ti è inferiore.”

“Che vuoi dire?”

Piantando lo sguardo al comò davanti a se, Michiru si morse le labbra incredula di stare per dire una cosa tanto avvilente. “Ricordi quella sera, quando letteralmente ripescata del laghetto artificiale, ti feci credere che il mio stare per annegare fosse stato causato dalla reazione tra il caldo afoso e il freddo dell’acqua?”

“Si, capita. Dicesti che dopo la rottura della macchina volevi solo farti un veloce bagno.”

“Ed in effetti uscita dall’auto ed intravisto il lago... Ma poi, dopo essermi immersa i polpacci… - Sempre tenendo gli occhi lontani da quelli dell’altra, Michiru snocciolò con lucidità gli istanti prima della sua immersione. - Il fango viscido che mi avvolgeva interamente i piedi e l’immediato senso di benessere provocato da quella frescura, un paio di passi e parte della gonna a galleggiarmi tutta intorno, i grilli e il rumore lontano dei motori a ronzarmi nelle orecchie. Ricordo di aver guardato lo scuro davanti a me stupendomi di non averne paura.”

Toccandosi la fronte iniziò a sentirsi nuda, ma continuò. “Non so per quanto abbia galleggiato, credo solo pochi secondi, ma da che stavo pensando solo a rinfrescarmi nella beatitudine di quel momento, iniziai ad essere surclassata dalle domande. Una miriade di domande. Qual’era lo scopo di tutto il mio correre, esibizione dopo esibizione, incontro dopo incontro, sorriso dopo sorriso, se poi avevo perso me stessa? Dove avevo sbagliato con Seiya per spingerlo a tradirmi? Perché i miei genitori biologici mi avevano abbandonata? Perché avevo bisogno del pubblico per sentirmi completa? Dove finiva il mondo e dove iniziavo io? Un vero e proprio bombardamento sonico interiore che credo mi abbia spezzata dentro e improvvisamente, forse per proteggermi, ho smesso di farmi domande alle quali non avrei mai saputo rispondere e ho mollato. Per un solo secondo, uno solo, ho mollato e ho iniziato ad andare giù. E la cosa che ricordo con maggior sconcerto è che più sentivo il corpo affondare avvolto nell’acqua e meno m’importava. Non sono mai stata un tipo che si arrende, eppure in quel lago ho cercato scientemente o meno, di abbandonare niente di meno che la vita e se non fosse stato per te Haruka…”

Respirando più pesantemente tornò a guardarla affermando senza mezzi termini di essersi vergognata allora come in quel momento. “Tu mi hai salvata e non solo quella notte, perché se sto iniziando a dare delle risposte a quelle domande è solo grazie a te. Aiutarti è stato solo l’atto di una donna riconoscente.”

Così, ormai priva di ogni tipo di difesa, Michiru si consegnò all’altra lasciandosi accarezzare lievemente una guancia.

“Avrei salvato chiunque …”

“Portandotela a casa e permettendole di vivere sotto il tuo tetto? Non facendo mai domande e concedendole spazi su spazi?”

“Bè, non proprio, soprattutto perché a questa persona ho concesso addirittura d’entrarmi nel cuore.”

“Haru…” Rispose a quell’infinita quanto improvvisa dolcezza.

“Avevi gli occhi così tristi…”

“E lo ero.”

“Dimmi una cosa, se non avessi speso tutto quel denaro per tirarmi fuori dalla buca che mi ero scavata, saresti andata via?”

Quella bionda aveva il potere di metterla sempre in difficoltà e Michiru rispose sinceramente di no.

“Già dalla seconda settimana di vita qui, mi era venuta l’idea di vendere il mio violino per riscattare i contratti con la Filarmonica e la U.A.F.. Penali altissime, che però una volta saldate non mi avrebbero impedito di rifarmi una vita altrove.”

“Poi ho partecipato alla corsa e ho mandato tutto il tuo piano alle ortiche.”

“In effetti hai fatto una cosa a dir poco… azzardata, soprattutto perché pericolosa, ma ormai non importa. Con la vendita della mia metà della villa a Seiya e la Mercedes ad un compratore che vedrò la prossima settimana, ho comunque potuto strappare un anno su due. L’altro…, be, lavorerò e darò il massimo come sempre.”

“E poi tornerai?”

“E poi tornerò. - Avvicinando il viso a quello di Haruka bisbigliò soffice. - Non posso più starti lontana.”

“Bada che il denaro te lo restituirò lo stesso, dovessi metterci vent’anni.”

“Non ho fretta. Vuol dire che aspetterò e nel frattempo…” Lasciò in sospeso iniziando a baciarla.

“Michi… sarebbe così bello.”

“Non mi credi? Vuoi una prova?” Annaspò continuando ad assaporarla sempre con maggior passione.

“No, non credo mi serva…” Ma l’essere un po’ rigida nei movimenti sembrò dire tutto il contrario e allora fermandosi per posarle gli avambracci sulle spalle, Kaiou ebbe un’idea.

“Vuol dire che stipuleremo un contratto.”

“Scusami?”

“Si, un contratto o un patto, se ti piace di più.”

Allungandosi fino al cassetto del comodino lo aprì prendendo carta e penna. Nel seguirla con lo sguardo la bionda le chiese se facesse sul serio.

“Assolutamente. Allora… - Ed iniziò a scrivere. - Io Michiru Kaiou dichiaro alla qui presente Haruka Tenou che farò ritorno alla masseria di proprietà della famiglia Tenou fra un anno esatto a partire da domani, dodici del corrente mese, con l’intenzione di rimanerci…, per sempre?” Chiese con aria sbarazzina.

“Oddio… per sempre è un sacco di tempo…” Rispose l’altra fintamente perplessa. Il cuore le stava esplodendo dalla gioia.

“Haruka!”

“Va bene. Va bene. Per sempre.”

Guardandola di soppiatto Michiru scrisse e firmò passandole poi carta e penna. “E questa cosa non è tanto per fare.”

“E’ stranina forte però, ma… va bene. - Continuò a scherzarci su. - Ora?”

“Ora dovrebbe essere vidimato con… qualcosa.”

“Dovrei avere delle marche da bollo nello studio…” Spostando il viso verso la porta stava per alzarsi quando bloccando quel delirio, Michiru la voltò intimandole di stare zitta. “ Baciami scema.”

Ed Haruka capì cosa intendesse l’altra con la parola qualcosa e si lasciò cadere sul materasso portando la violinista giù con se. Si sarebbero lasciate presto, è vero, ma per ora avevano ancora tutta una notte per appartenersi.

 

   
 
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