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Autore: Layla    17/06/2020    0 recensioni
Questa fiction inizia alla fine dell'ultimo capitolo pubblicato del manga.
Cosa è successo a Nana? Come mai se ne è andata?
Come ha raggiunto Londra.
E Hachi? Hachi cerca di vivere la sua vita senza di lei, imprigionata nella sua vita di casalinga con due figlie, ma innamorata di un altro uomo. Il suo scopo è trovare Nana.
Quando troverà Nana troverà il coraggio di cambiare la sua vita?
Shin, da parte sua, troverà finalmente l'amore in qualcuno di inaspettato...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nana Komatsui, Nana Osaki, Nobuo Terashima, Reira Serizawa
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo sedicesimo

 

Credo che le donne della nostra famiglia siano condannate a
innamorarsi degli uomini sbagliati, Nana era stata l’unica eccezione
con Ren. Il loro era un amore da favola, il mio interessamento a Shin
invece non sembrava altrettanto idilliaco. Lui mi aveva chiesto soldi
per la sua compagnia. Dovevo dargli un’altra possibilità, nel caso si fosse
scusato, o lasciarlo perdere? Era una domanda inutile, dato che conoscevo
già la risposta.
-Misato Uehara

 

Era il mio secondo giorno di stage e mi sentivo a disagio a dover tornare a lavorare con Shin dopo quello che era successo la sera prima.
Strinsi i denti e mi dissi che dovevo andare avanti, così dopo le lezioni mattutine mi recai alla Shikai Corporation, Misato mi aspettava sorridendo.
“Oggi saremo sul set di un film!”
Sembrava eccitata.
“Ti occupi tu della carriera di Okazaki-san?”
“Oh, sì. Sono io che mi occupo della carriera di Shin ed è eccitante, ogni parte ottenuta e ogni photoshoot sono una grande soddisfazione.”
Salimmo su una macchina nera e andammo agli studi di produzione, entrammo e trovai Shin nel suo camerino, arrossii immediatamente e Misato lo notò perché mi lanciò un’occhiata interrogativa.
“Mai, puoi lasciarmi qualche minuto con Misato? Ho bisogno di parlare con lei.”
“Sì, ok. Non farla scappare, Shin.”
Lui sbuffò, la bionda se ne andò.
“Cosa vuoi?”
Ero piuttosto sulla difensiva e anche un po’ spaventata, il cuore mi batteva a ritmi impossibili.
“Parlare di ieri sera. Mi dispiace di aver detto quello che ho detto, era inappropriato. Il fatto è che io mi prostituivo e ogni bella donna era una possibile fonte di guadagno.”
Alzai un sopracciglio, io non ero ricca.
“Sei davvero carina e mi è uscita questa frase in automatico, non volevo offenderti o rovinare tutto.
Tu mi stai simpatica, ti va se ricominciamo tutto da capo?”
Valutai la situazione, lui sembrava sinceramente pentito e io ero attratta da lui, che senso aveva fare la preziosa? Certo, mi avrebbe dato l’immagine della tosta, ma io non volevo vivere di maschere, volevo solo essere me stessa.
“Sì.”
Allungai una mano verso di lui.
“Ciao, io sono Misato Uehara. Sono la stagista che ti è stata assegnata dalla Shikai Corporation e sono anche la sorellastra di Nana.”
Lui me la strinse, aveva mani grandi, leggermente ruvide e la stretta salda che mi piaceva.
“Io sono Shinichi Okazaki, ex bassista dei Blast e aspirante qualcosa. Felice di conoscerti.”
Sorrisi.
“Piacere mio.”
Lui tornò nel suo camerino, io andai sul set e mi misi subito al lavoro,  servendo tazze di caffè e facendo i mille altri piccoli compiti che  mi erano stati assegnati, sempre con lo sguardo di Misato puntato addosso.
Moriva dalla voglia di sapere cosa ci fossimo detti io e Shin, ma i tempi della produzione non ci lasciavano un momento per chiacchierare.
Finalmente arrivò la fine del mio turno e salutai tutti, sentii dei passi dietro di me, Misato mi aveva seguito fino all’ingresso.
“È successo qualcosa tra te e Shin?”
“Ieri sera è uscito a bere con me e non si è comportato bene, ma adesso abbiamo chiarito.”
Misato sospirò.
“Misato, non devi affezionarti troppo a lui.”
“Perché? È proibito dal contratto?”
“Finirai per farti male.”
Io sorrisi.
“Non glielo permetterò, non sono poi così sprovveduta. Piuttosto, non è a che a te piace?”
Lei rise.
“No, siamo solo amici.”
Se ne andò e arrivò Shin.
“Hai sentito tutto, vero?”
Lui annuì, ma me lo aspettavo, era impossibile nascondere questa conversazione.
“Posso essere un bravo ragazzo e te lo dimostrerò, posso venire a prenderti dopo il lavoro?
Giuro che non dirò cazzate questa volta.”
“Beh, se le dicessi sarebbe l’ultima volta. Va bene, comunque.
Sai dove lavoro e a che ora smetto, ci si vede.”
Lo salutai sventolando la mano, mi diressi verso la stazione della metro più vicina e quando fui sul convoglio, mangiai il mio bento visto che non avevo tempo di farlo dopo.
La mia cucina sembra migliorata, mi dissi, visto che questo l’ho preparato io e non preso alle solite macchinette. Arrivai alla mia fermata, scesi e tornai in superficie, qui la città era caotica, le persone si muovevano in fiumi che non si sfioravano mai. Pensai che fosse una cosa triste, ma era la vita che era così e forse non era una cattiva cosa.
Mi immisi nel flusso e arrivai davanti al negozio dove lavoravo, un’altra serata stancante mi attendeva e io non ero pronta. Sbadigliai ed entrai facendo tintinnare la campanella sopra la porta.
Un ragazzo dai capelli neri un po’ lunghi e gli occhiali mi salutò con un sorriso.
“Ciao, Misato. Pronta?”
“Si è mai pronti, Akira?”
Lui rise, io entrai nel privé, mi misi la maglia del negozio e mi guardai allo specchio.
Una ragazza dai capelli rossi semaforo mi rimandò uno sguardo stanco, nemmeno il correttore nascondeva le occhiaie ormai. Per un attimo il mio riflesso si confuse con quello di Nana, abbiamo gli stessi occhi e lineamenti molto simili, i miei sono forse meno affilati dei suoi, ma non troppo. Assomigliamo entrambe a mamma che somiglia a nonna o così dice lei.
Appoggiai una mano sullo specchio e mi chiesi per l’ennesima volta dove fosse finita, forse era scappata all’estero, alla fine aveva ricordi della sua vita sparsi per tutto il Giappone. Lo scintillio del mio piercing al naso e il leggero bussare di Akira mi riportarono alla realtà, uscii sorridendo.
“Scusa, mi sono guardata allo specchio e ho dovuto fare un esorcismo. Sembro un cazzo di vampiro.”
Lui rise ed entrò, io andai al bancone e indossai il mio sorriso di plastica che usavo per i clienti del negozio, anche se a volte erano pessimi, maleducati o ubriachi bisognava essere gentili con loro: era la prima regola.
D’altronde doveva esserci una ragione se esisteva il detto: “Il cliente ha sempre ragione”.
Quella sera lavorai un po’ svogliata, il mio sguardo correva troppo spesso all’orologio del negozio, una parte di me era impaziente di rivedere Shin, l’altra ne era terrorizzata a morte. Ripensavo continuamente a tutte le cose folli che le donne della mia famiglia avevano fatto per amore e mi chiedevo cosa avrei potuto fare io, ma forse lui non mi avrebbe chiesto niente del genere. Su di lui correvano svariati pettegolezzi – che si prostituisse, che fosse stato l’amante di Reira dei Trapnest – e non capivo cosa  vedesse in me di così particolare. Che fosse la normalità?
Che in me vedesse una ragazza con cui vivere un amore adolescenziale senza tutto quell’alone di torbido mistero che circondava la sua vita?
Poteva essere una buona ipotesi, in fondo io non ero nulla di speciale, tolti i capelli e il piercing ero uguale a mille altre ragazze. In ogni caso i clienti non si accorsero che non ero del tutto in me, a loro bastava che portassi i dvd richiesti e accettassi quelli che restituivano. Non era poi così difficile farlo, anche se la mia testa era altrove.
Finalmente arrivò l’orario di chiusura, misi l’incasso al solito posto, pulii il pavimento, chiusi il negozio e infine abbassai la pesante serranda. Sbrigata anche quella faccenda percorsi la poca distanza che mi separava dalla casa del proprietario e gli consegnai le chiavi.
Al mio ritorno Shin era lì, fumava indolente una sigaretta, per darmi un tono e non far vedere quanto fossi agitata me ne accesi una anche io.
“Ciao.”
Dissi piano.
“Ehi! Finita la giornata?”
“Sì, è finita anche oggi.”
Mugugnai mentre sbadigliavo.
Ero consapevole del suo corpo e del mio, della nostra vicinanza e mi sembrava di essere ridicola in ogni mia azione, troppo poco sexy per lui e cose del genere.
“Hai fame?”
“Eh?”
Mi ero distratta un attimo di troppo.
“Ti ho chiesto se hai fame.”
C’era una nota divertita nella sua voce.
“Oh, sì. Ho fame.”
Risposi con un bel sorriso per non dare a vedere quanti fossi imbarazzata.
“Ok, ti va di tornare al Jackson Burger o preferisci un altro posto?”
“C’è un chiosco non troppo lontano dal mio appartamento, preferirei andare lì.”
Lui annuì sorridendo.
“Ok, ti piace il cibo di quel posto?”
“Anche, in realtà ci vado perché è vicino a casa. Quando rimango senza niente nel frigo mangio lì, è conveniente.”
“Capisco."
Mi passa un braccio attorno alle spalle facendomi arrossire.
“Allora, andiamo. È anche meno rischioso per una ragazza che camminare per la città di notte, è pieno di brutti ceffi.”
Io annuii.
“Sì, hai ragione.”
“Ti dà fastidio?”
Si riferiva la suo braccio.
“No, non mi dà fastidio. È solo che non sono abituata.”
“Non hai mai avuto un ragazzo?”
“No.”
E come avrei potuto? Per non so quanto tempo avevo creduto di essere innamorata di mio fratello, ma lui non poteva saperlo. Il mio disagio aumentò.
“Ho detto qualcosa di sbagliato?”
“No.”
“Eri innamorata di qualcuno?”
“Sì.”
Abbassai gli occhi.
“Non ti sei mai fatta avanti perché eri timida?”
Scossi la testa.
“No, era la persona sbagliata.”
“Non esistono persone giuste o sbagliate, solo occasioni che non si colgono.”
“Se avessi colto quell’occasione me ne sarei pentita”
Lui mi guardò curioso.
“No? Non era un’occasione da cogliere?”
“Ti stai chiedendo perché?”
“Sì.”
Sospirai.
“La verità è che i miei compagni non mi hanno mai accettata o fatta sentire particolarmente benvenuta, la mia unica amica era Chicage. Così senza punti di riferimento e in sua costante compagnia ho finito per innamorarmi dell’unica persona che si mostrava gentile con me, solo che non era quella giusta. Se mi fossi lasciata andare avrei rovinato molte vite. Probabilmente pensi che io sia una ragazzina patetica e codarda, ma fidati, sarebbe stato solo un gran casino
“Non penso sia patetico.”
La sua affermazione mi sorprese non poco, la gente normale sarebbe scappata pensando che fossi una specie di suorina melodarammatica, ma lui no. Lui era rimasto e mi fissava con i suoi penetranti occhi scuri, era come se mi stesse scavando nell’anima alla ricerca di chi fosse quella persona.
“So cosa vuol dire essere senza amore e un giorno mi racconterai tutto, se vorrai.”
La sua affermazione mi sorprese, non sapevo cosa dirgli, un “mi dispiace” mi sembrava stupido e banale.
“Non devi dire nulla. Forza, andiamo.”
Sorridendo lievemente mi condusse all’ingresso della metro, mentre scendevamo le scale mi accorsi per la prima volta di quanta gente equivoca e sospetta ci fosse. Era per colpa del braccio di Shin che mi faceva sentire sicura che vedevo le minacce?
Non ne avevo idea e decisi di non pensarci ulteriormente o non sarei più riuscita a percorrere quella strada in tranquillità nei giorni seguenti.
Prendemmo la linea che portava verso casa mia, nessuno dei due disse nulla, Shin continuava a tenermi stretta a sé con aria stanca. Era come se all’improvviso il peso della giornata gli fosse franato addosso.
Arrivammo alla mia fermata e scendemmo, il chiosco era a metà strada tra casa mia e la metro ed era piuttosto piccolo. Anche a quell’ora era animato, ma il chiacchiericcio della gente mi fece sentire meglio, più sicura.
“Tutto bene?”
Mi decisi infine a chiederglielo, Shin sorrise di nuovo.
“Sono solo stanco, non pensavo fare il modello fosse così faticoso.
Un sacco di casting, servizi fotografici e rotture di palle simili, fare l’attore mi piace di più, ma finisco per ottenere sempre gli stessi ruoli di solito. O sono uno straniero o un mezzo giapponese o sono il ribelle che si redime alla fine della storia. Forse dovrei tingermi i capelli del mio colore naturale.”
“Qual è?”
“Castano, un castano abbastanza chiaro.”
“Ma tu non vuoi.”
Non rispose alla mia affermazione solo perché il proprietario del chiosco arrivò per prendere le ordinazioni. Prendemmo entrambi del ramen e degli spiedini di pollo, io ordinai un the, lui la birra, il proprietario lo scrutò da capo a piedi, ma alla fine non disse niente.
“Perché hai affermato quella cosa sui miei capelli?”
“Se avessi voluto veramente tornare al tuo colore naturale l’avresti già fatto o non ci penseresti così tanto, forse il tuo colore ti ricorda qualcosa che vuoi dimenticare.”
Dissi piano dopo una lunga pausa, non volevo fare la figura dell’impicciona, ma nemmeno evitare di rispondere a una domanda legittima.
“Probabilmente hai ragione, ma non mi sembra il caso di parlare delle nostre famiglie adesso.
Voglio dire, sono incasinate entrambe e farlo a pancia vuota sarebbe deprimente, non trovi?”
Ripensai a tutti problemi che avevo avuto con la mia prima di trovare un precari equilibrio che ci permettesse di sopravvivere senza ferirci e annuii.
Oltre a noi c’erano un gruppo di universitari che faceva baldoria per aver superato brillantemente un progetto – lo urlavano a gran voce – e quattro impiegati con il viso arrossato dal sakè che festeggiavano la promozione a un livello più alto. Il chiosco era allegro, insomma, e non valeva certo la pena di abbassare l’umore, perciò sorrisi.
“Sì, hai ragione.
Sono tutti allegri qui e noi possiamo essere due ragazzini nottambuli.”
Lui annuì a sua volta.
Arrivarono i nostri ramen, avevano proprio l’aria appetitosa che mi ricordavo.
“Buon appetito!”
Esclamai leggera, Shin mi fece eco ed iniziammo a mangiare.
Sì, era proprio buono e l’atmosfera positiva lo faceva sembrare persino migliore,
Di che cosa potevo lamentarmi?
Stavo mangiando del buon cibo in compagnia di un bel ragazzo che sembrava interessato a me.
Se escludevo chi fossimo lo scenario era roseo e promettente come quello di un manga romantico, ma non potevo, un tarlo ostinato si era insinuato in me. Da quando avevo scoperto che Nana era mia sorella, avevo iniziato a paragonarmi a lei e a mamma in termini di bellezza e perdevo sempre. Tutto quello che vedevo era una banale ragazza dagli occhi e dai capelli castani che, tra l’altro, non stavamo mai a posto.
Mi intristii all’improvviso, come se mi avessero buttato addosso un secchio di acqua gelida, lui era perfetto: lineamenti fini e leggermente stranieri, grandi e penetrati occhi scuri, capelli azzurri spettinati ad arte.
“Che succede? Il tuo ramen non è buono?”
Aveva anche delle buone doti di osservazione se si era accorto che avevo smesso di mangiare nonostante fossi affamata.
“Il mio ramen va benissimo, è ottimo.”
“Cosa c’è che non va?”
“Perché dovrebbe esserci qualcosa che non va?”
Cercai di dribblare sorridendo.
“Sei una pessima bugiarda, Misato.”
Io arrossii.
“Il fatto è che non capisco perché tu voglia uscire con me, non sono niente di speciale, sono la classica ragazza della porta accanto se togli il colore dei capelli e i vestiti che poi porto perché ammiro mia sorella.
È perché somiglio a Nana?”
“Senti, è innegabile che tu somigli a Nana, me ne sono accorto fin dal meet and greet, ma non è per questo.
Nana non mi ha mai attratto sessualmente.”
“E allora perché?”
“Perché sei bella, spiritosa, di buon carattere e non mi tratti in modo diverso perché sono famoso.
Tu pensi che la normalità sia noiosa o simbolo di banalità, ma io ho visto abbastanza cose folli e anormali da averne abbastanza. Voglio un’amica all’incirca della mia età e lo stesso vale per una ragazza.
Sono stanco di donne mature e di persone eccessivamente problematiche.
Nelle donne che mi sono scopato cercavo mia madre, ma ho scoperto che lo facevo in modo sbagliato, che non era affetto quello, che l’affetto che ricevo da Hachi è quello giusto. Penso a lei come a una madre, anche se abbiamo solo cinque anni di differenza. E la complicata storia tra Takumi e Reira mi ha insegnato a non infilarmi in rapporti in cui sono la seconda scelta.”
“Ma io…”
“Tu avevi una cotta per tuo qualcuno di intoccabile, ma ti è passata, no?”
Mi sorrise e spinse leggermente l’indice sulla mia fronte, facendomi sorridere a mia volta, con un solo gesto aveva alzato il velo di paranoia che minacciava di soffocarmi. Forse potevamo avere un futuro se solo ci avessimo creduto.
“Sì, mi è passata. È solo che è tutto strano.”
Lui rise, per lui la nostra situazione doveva essere la cosa più vicina alla normalità che avesse mai sperimentato in vita sua.
Arrivarono anche gli spiedini di pollo e li mangiammo in silenzio, ma era uno di quei silenzi confortevoli che si creano tra persone che si conoscono.
“Sai, credo sia strano perché non hai avuto amici maschi o un ragazzo, ma non è poi così strano.”
“Sei il mio datore di lavoro.”
Lui rise di gusto.
“No, non sono io il tuo datore di lavoro. È la Shikai Corporation, io sono solo un collega.”
“Giusto.”
“Ti va di provare un po’ di birra?”
“La prossima volta, adesso devo andare a studiare. Domano ho una verifica di matematica e non posso prendere un voto basso.”
Lui alzò un sopracciglio.
“Secchiona?”
Io scossi la testa.
“Punto a vincere una borsa di studio, ecco perché devo prendere voti alti.”
Sbadigliai sonoramente.
“È stancante, ma è il prezzo della mia libertà e io lo pago volentieri.”
“Ti capisco.”
Ordinammo dolce e caffè e dopo aver chiacchierato ancora per qualche minuto ce ne andammo.
Mi accesi una sigaretta e lui fece lo stesso.
“Dove abiti? Ti accompagno.”
“Ma non devi disturbarti! Te l’ho detto che è qui vicino.”
Dissi un po’ a disagio.
“Non lascio andare una ragazza da sola nella grande città, dai, ti accompagno.”
Non avevo vissuto in paesini, sia Osaka che Okayama erano abbastanza grandi, ma non erano nulla se paragonati a Tokyo.
“Ok, hai vinto.”
Ci incamminammo verso il mio appartamento.
“Qual è il tuo membro preferito dei Blast?”
“Nana.”
Lui sorrise.
“Se ti chiedessi un appuntamento usciresti con me?”
“Ti direi che prima vorrei frequentarti un altro po’ come amico e poi farei le mie valutazioni. So benissimo di essere una provincialotta nella grande città , con pochissima esperienza per di più. Una preda facile.”
“Non ti ricordavo così nel meet and greet.”
“Beh, quella era un’occasione speciale. Ho imparato a mie spese che devo proteggere me stessa, visto che nessun altro può farlo. Devo essere il mio eroe.”
“Spero che un giorno accetterai un po’ di auto.”
“Un po’ di mutuo soccorso non sarebbe una cattiva idea.”
Sorrisi, lui mi sorrise di rimando.
“Mi hai tolto le parole di bocca, proviamo a sopravvivere insieme a questo manicomio.”
“Ci sto.”
Lui mi tese una mano e mi fece l’occhiolino, io la strinsi e suggellammo il patto.
Avevamo entrambi bisogno di qualcuno e tra noi c’era una buona chimica, poteva funzionare, potevamo anche diventare più che amici e non mi sarebbe dispiaciuto. Per la prima vota percepii che andare a Tokyo non era solo una fuga, ma poteva anche essere un’occasione per avere nuove esperienze.
Adesso camminavamo in silenzio, di nuovo non era imbarazzato o altro, era solo silenzio.
Arrivammo davanti al condominio dove abitavo, Shin lo squadrò un attimo.
“Pieno di studenti, impiegati e poche famiglie, giusto?”
“Più o meno. La tizia sotto di me ha famiglia e mi sta triturando le ovaie da quando sono qui per via dei miei orari e mi limito a muovermi il più delicatamente possibile. Se dovessi ascoltare della musica credo scatenerebbe una guerra.”
“I vicini rompiscatole ci sono ovunque.
Beh, buonanotte.”
Mi diede un bacio sulla fronte e mi lasciò lì, io ero come congelata.
Il punto in cui mi aveva baciato era caldo e sembrava che tutti i nervi del mio corpo fossero convenuti in quel punto per descrivermi le sensazioni.
Era stato meglio di qualsiasi contatto che avessi avuto con ogni essere umano della mia vita, persino Takahiro, il che mi diede la conferma definitiva che quella bolla di sentimenti che provavo era scoppiata.
Adesso era davvero solo mio fratello.
Entrai nel condominio e salii le scale a piedi fino ad arrivare al mio appartamento.
Aprii la porta e mi lasciai cadere sul letto con un sospiro come ogni sera, questa volta era un sospiro soddisfatto, però.
Ero felice per la prima volta da tanto tempo ed era bellissimo.
Era come starsene immersi nell’acqua termale calda con la neve tutt’attorno.
Avrei voluto che durasse per sempre, ma era più realistico sperare che ci sarebbero stati in futuro altri momenti del genere.
Mi feci la doccia e mi misi a studiare e poi a letto.
Sorridevo ancora e per la prima volta mi sembrava che il sorriso fosse l’espressione giusta per la mia faccia.
Risi all’idea, ma non smisi di sorridere.
Adesso avevo un motivo serio per farlo.

   
 
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