Capitolo sedicesimo
Credo che le donne della nostra
famiglia siano condannate
a
innamorarsi degli uomini
sbagliati, Nana era stata
l’unica eccezione
con Ren. Il loro era un
amore da favola, il mio
interessamento a Shin
invece non sembrava
altrettanto idilliaco. Lui mi aveva
chiesto soldi
per la sua compagnia.
Dovevo dargli un’altra possibilità,
nel caso si fosse
scusato, o lasciarlo
perdere? Era una domanda inutile,
dato che conoscevo
già la
risposta.
-Misato Uehara
Era il mio secondo giorno di stage
e mi sentivo a disagio
a dover tornare a lavorare con Shin dopo quello che era successo la
sera prima.
Strinsi i denti e mi dissi che dovevo andare avanti, così
dopo le lezioni mattutine mi recai alla Shikai Corporation, Misato mi
aspettava
sorridendo.
“Oggi saremo sul set di un film!”
Sembrava eccitata.
“Ti occupi tu della carriera di Okazaki-san?”
“Oh, sì. Sono io che mi occupo della carriera di
Shin ed è eccitante, ogni
parte ottenuta e ogni photoshoot sono una grande
soddisfazione.”
Salimmo su una macchina nera e andammo agli studi di
produzione, entrammo e trovai Shin nel suo camerino, arrossii
immediatamente e
Misato lo notò perché mi lanciò
un’occhiata interrogativa.
“Mai, puoi lasciarmi qualche minuto con Misato? Ho
bisogno di parlare con lei.”
“Sì, ok. Non farla scappare, Shin.”
Lui sbuffò, la bionda se ne andò.
“Cosa vuoi?”
Ero piuttosto sulla difensiva e anche un po’ spaventata, il
cuore mi batteva a
ritmi impossibili.
“Parlare di ieri sera. Mi dispiace di aver detto quello
che ho detto, era inappropriato. Il fatto è che io mi
prostituivo e ogni bella
donna era una possibile fonte di guadagno.”
Alzai un sopracciglio, io non ero ricca.
“Sei davvero carina e mi è uscita questa frase in
automatico, non volevo offenderti o rovinare tutto.
Tu mi stai simpatica, ti va se ricominciamo tutto da
capo?”
Valutai la situazione, lui sembrava sinceramente pentito
e io ero attratta da lui, che senso aveva fare la preziosa? Certo, mi
avrebbe
dato l’immagine della tosta, ma io non volevo vivere di
maschere, volevo solo
essere me stessa.
“Sì.”
Allungai una mano verso di lui.
“Ciao, io sono Misato Uehara. Sono la stagista che ti
è
stata assegnata dalla Shikai Corporation e sono anche la sorellastra di
Nana.”
Lui me la strinse, aveva mani grandi, leggermente ruvide e la stretta
salda che
mi piaceva.
“Io sono Shinichi Okazaki, ex bassista dei Blast e
aspirante qualcosa. Felice di conoscerti.”
Sorrisi.
“Piacere mio.”
Lui tornò nel suo camerino, io andai sul set e mi misi
subito al lavoro, servendo
tazze di caffè e facendo i mille
altri piccoli compiti che mi
erano stati
assegnati, sempre con lo sguardo di Misato puntato addosso.
Moriva dalla voglia di sapere cosa ci fossimo detti io e
Shin, ma i tempi della produzione non ci lasciavano un momento per
chiacchierare.
Finalmente arrivò la fine del mio turno e salutai tutti,
sentii dei passi dietro di me, Misato mi aveva seguito fino
all’ingresso.
“È successo qualcosa tra te e Shin?”
“Ieri sera è uscito a bere con me e non si
è
comportato bene, ma adesso abbiamo chiarito.”
Misato sospirò.
“Misato, non devi affezionarti troppo a lui.”
“Perché? È proibito dal
contratto?”
“Finirai per farti male.”
Io sorrisi.
“Non glielo permetterò, non sono poi
così sprovveduta.
Piuttosto, non è a che a te piace?”
Lei rise.
“No, siamo solo amici.”
Se ne andò e arrivò Shin.
“Hai sentito tutto, vero?”
Lui annuì, ma me lo aspettavo, era impossibile nascondere
questa
conversazione.
“Posso essere un bravo ragazzo e te lo dimostrerò,
posso
venire a prenderti dopo il lavoro?
Giuro che non dirò cazzate questa volta.”
“Beh, se le dicessi sarebbe l’ultima volta. Va
bene,
comunque.
Sai dove lavoro e a che ora smetto, ci si vede.”
Lo salutai sventolando la mano, mi diressi verso la stazione della
metro più
vicina e quando fui sul convoglio, mangiai il mio bento visto che non
avevo tempo
di farlo dopo.
La mia cucina sembra migliorata, mi dissi, visto che
questo l’ho preparato io e non preso alle solite macchinette.
Arrivai alla mia
fermata, scesi e tornai in superficie, qui la città era
caotica, le persone si
muovevano in fiumi che non si sfioravano mai. Pensai che fosse una cosa
triste, ma era la
vita che era così e forse non era una cattiva cosa.
Mi immisi nel flusso e arrivai davanti al negozio dove
lavoravo, un’altra serata stancante mi attendeva e io non ero
pronta. Sbadigliai
ed entrai facendo tintinnare la campanella sopra la porta.
Un ragazzo dai capelli neri un po’ lunghi e gli occhiali
mi salutò con un sorriso.
“Ciao, Misato. Pronta?”
“Si è mai pronti, Akira?”
Lui rise, io entrai nel privé, mi misi la maglia del
negozio e mi guardai allo specchio.
Una ragazza dai capelli rossi semaforo mi rimandò uno
sguardo stanco, nemmeno il correttore nascondeva le occhiaie ormai. Per
un
attimo il mio riflesso si confuse con quello di Nana, abbiamo gli
stessi occhi
e lineamenti molto simili, i miei sono forse meno affilati dei suoi, ma
non
troppo. Assomigliamo entrambe a mamma che somiglia a nonna o
così dice lei.
Appoggiai una mano sullo specchio e mi chiesi per
l’ennesima volta dove fosse finita, forse era scappata
all’estero, alla fine
aveva ricordi della sua vita sparsi per tutto il Giappone. Lo
scintillio del
mio piercing al naso e il leggero bussare di Akira mi riportarono alla
realtà,
uscii sorridendo.
“Scusa, mi sono guardata allo specchio e ho dovuto fare
un esorcismo. Sembro un cazzo di vampiro.”
Lui rise ed entrò, io andai al bancone e indossai il mio
sorriso di plastica che usavo per i clienti del negozio, anche se a
volte erano
pessimi, maleducati o ubriachi bisognava essere gentili con loro: era
la prima
regola.
D’altronde doveva esserci una ragione se esisteva il
detto: “Il cliente ha sempre ragione”.
Quella sera lavorai un po’ svogliata, il mio sguardo
correva troppo spesso all’orologio del negozio, una parte di
me era impaziente
di rivedere Shin, l’altra ne era terrorizzata a morte.
Ripensavo continuamente
a tutte le cose folli che le donne della mia famiglia avevano fatto per
amore e
mi chiedevo cosa avrei potuto fare io, ma forse lui non mi avrebbe
chiesto
niente del genere. Su di lui correvano svariati pettegolezzi
– che si
prostituisse, che fosse stato l’amante di Reira dei Trapnest
– e non capivo
cosa vedesse in me
di così particolare.
Che fosse la normalità?
Che in me vedesse una ragazza con cui vivere un amore
adolescenziale senza tutto quell’alone di torbido mistero che
circondava la sua
vita?
Poteva essere una buona ipotesi, in fondo io non ero
nulla di speciale, tolti i capelli e il piercing ero uguale a mille
altre
ragazze. In ogni caso i clienti non si accorsero che non ero del tutto
in me, a
loro bastava che portassi i dvd richiesti e accettassi quelli che
restituivano.
Non era poi così difficile farlo, anche se la mia testa era
altrove.
Finalmente arrivò l’orario di chiusura, misi
l’incasso al
solito posto, pulii il pavimento, chiusi il negozio e infine abbassai
la
pesante serranda. Sbrigata anche quella faccenda percorsi la poca
distanza che
mi separava dalla casa del proprietario e gli consegnai le chiavi.
Al mio ritorno Shin era lì, fumava indolente una
sigaretta, per darmi un tono e non far vedere quanto fossi agitata me
ne accesi
una anche io.
“Ciao.”
Dissi piano.
“Ehi! Finita la giornata?”
“Sì, è finita anche oggi.”
Mugugnai mentre sbadigliavo.
Ero consapevole del suo corpo e del mio, della nostra
vicinanza e mi sembrava di essere ridicola in ogni mia azione, troppo
poco sexy
per lui e cose del genere.
“Hai fame?”
“Eh?”
Mi ero distratta un attimo di troppo.
“Ti ho chiesto se hai fame.”
C’era una nota divertita nella sua voce.
“Oh, sì. Ho fame.”
Risposi con un bel sorriso per non dare a vedere quanti fossi
imbarazzata.
“Ok, ti va di tornare al Jackson Burger o preferisci un
altro posto?”
“C’è un chiosco non troppo lontano dal
mio appartamento, preferirei andare lì.”
Lui annuì sorridendo.
“Ok, ti piace il cibo di quel posto?”
“Anche, in realtà ci vado perché
è vicino a casa. Quando rimango senza niente
nel frigo mangio lì, è conveniente.”
“Capisco."
Mi passa un braccio attorno alle spalle facendomi
arrossire.
“Allora, andiamo. È anche meno rischioso per una
ragazza
che camminare per la città di notte, è pieno di
brutti ceffi.”
Io annuii.
“Sì, hai ragione.”
“Ti dà fastidio?”
Si riferiva la suo braccio.
“No, non mi dà fastidio. È solo che non
sono abituata.”
“Non hai mai avuto un ragazzo?”
“No.”
E come avrei potuto? Per non so quanto tempo avevo creduto di essere
innamorata
di mio fratello, ma lui non poteva saperlo. Il mio disagio
aumentò.
“Ho detto qualcosa di sbagliato?”
“No.”
“Eri innamorata di qualcuno?”
“Sì.”
Abbassai gli occhi.
“Non ti sei mai fatta avanti perché eri
timida?”
Scossi la testa.
“No, era la persona sbagliata.”
“Non esistono persone giuste o sbagliate, solo occasioni
che non si colgono.”
“Se avessi colto quell’occasione me ne sarei
pentita”
Lui mi guardò curioso.
“No? Non era un’occasione da cogliere?”
“Ti stai chiedendo perché?”
“Sì.”
Sospirai.
“La verità è che i miei compagni non mi
hanno mai
accettata o fatta sentire particolarmente benvenuta, la mia unica amica
era Chicage.
Così senza punti di riferimento e in sua costante compagnia
ho finito per
innamorarmi dell’unica persona che si mostrava gentile con
me, solo che non era
quella giusta. Se mi fossi lasciata andare avrei rovinato molte vite.
Probabilmente pensi che io sia una ragazzina patetica e codarda, ma
fidati,
sarebbe stato solo un gran casino
“Non penso sia patetico.”
La sua affermazione mi sorprese non poco, la gente normale sarebbe
scappata
pensando che fossi una specie di suorina melodarammatica, ma lui no.
Lui era
rimasto e mi fissava con i suoi penetranti occhi scuri, era come se mi
stesse
scavando nell’anima alla ricerca di chi fosse quella persona.
“So cosa vuol dire essere senza amore e un giorno mi
racconterai tutto, se vorrai.”
La sua affermazione mi sorprese, non sapevo cosa dirgli,
un “mi dispiace” mi sembrava stupido e banale.
“Non devi dire nulla. Forza, andiamo.”
Sorridendo lievemente mi condusse all’ingresso della
metro, mentre scendevamo le scale mi accorsi per la prima volta di
quanta gente
equivoca e sospetta ci fosse. Era per colpa del braccio di Shin che mi
faceva
sentire sicura che vedevo le minacce?
Non ne avevo idea e decisi di non pensarci ulteriormente
o non sarei più riuscita a percorrere quella strada in
tranquillità nei giorni
seguenti.
Prendemmo la linea che portava verso casa mia, nessuno
dei due disse nulla, Shin continuava a tenermi stretta a sé
con aria stanca.
Era come se all’improvviso il peso della giornata gli fosse
franato addosso.
Arrivammo alla mia fermata e scendemmo, il chiosco era a
metà strada tra casa mia e la metro ed era piuttosto
piccolo. Anche a quell’ora
era animato, ma il chiacchiericcio della gente mi fece sentire meglio,
più
sicura.
“Tutto bene?”
Mi decisi infine a chiederglielo, Shin sorrise di nuovo.
“Sono solo stanco, non pensavo fare il modello fosse
così
faticoso.
Un sacco di casting, servizi fotografici e rotture di
palle simili, fare l’attore mi piace di più, ma
finisco per ottenere sempre gli
stessi ruoli di solito. O sono uno straniero o un mezzo giapponese o
sono il
ribelle che si redime alla fine della storia. Forse dovrei tingermi i
capelli
del mio colore naturale.”
“Qual è?”
“Castano, un castano abbastanza chiaro.”
“Ma tu non vuoi.”
Non rispose alla mia affermazione solo perché il
proprietario del chiosco arrivò per prendere le ordinazioni.
Prendemmo entrambi
del ramen e degli spiedini di pollo, io ordinai un the, lui la birra,
il
proprietario lo scrutò da capo a piedi, ma alla fine non
disse niente.
“Perché hai affermato quella cosa sui miei
capelli?”
“Se avessi voluto veramente tornare al tuo colore
naturale l’avresti già fatto o non ci penseresti
così tanto, forse il tuo
colore ti ricorda qualcosa che vuoi dimenticare.”
Dissi piano dopo una lunga pausa, non volevo fare la figura
dell’impicciona, ma
nemmeno evitare di rispondere a una domanda legittima.
“Probabilmente hai ragione, ma non mi sembra il caso di
parlare delle nostre famiglie adesso.
Voglio dire, sono incasinate entrambe e farlo a pancia
vuota sarebbe deprimente, non trovi?”
Ripensai a tutti problemi che avevo avuto con la mia
prima di trovare un precari equilibrio che ci permettesse di
sopravvivere senza
ferirci e annuii.
Oltre a noi c’erano un gruppo di universitari che faceva
baldoria per aver superato brillantemente un progetto – lo
urlavano a gran voce
– e quattro impiegati con il viso arrossato dal
sakè che festeggiavano la
promozione a un livello più alto. Il chiosco era allegro,
insomma, e non valeva
certo la pena di abbassare l’umore, perciò sorrisi.
“Sì, hai ragione.
Sono tutti allegri qui e noi possiamo essere due
ragazzini nottambuli.”
Lui annuì a sua volta.
Arrivarono i nostri ramen, avevano proprio l’aria
appetitosa che mi ricordavo.
“Buon appetito!”
Esclamai leggera, Shin mi fece eco ed iniziammo a
mangiare.
Sì, era proprio buono e l’atmosfera positiva lo
faceva
sembrare persino migliore,
Di che cosa potevo lamentarmi?
Stavo mangiando del buon cibo in compagnia di un bel
ragazzo che sembrava interessato a me.
Se escludevo chi fossimo lo scenario era roseo e
promettente come quello di un manga romantico, ma non potevo, un tarlo
ostinato
si era insinuato in me. Da quando avevo scoperto che Nana era mia
sorella,
avevo iniziato a paragonarmi a lei e a mamma in termini di bellezza e
perdevo
sempre. Tutto quello che vedevo era una banale ragazza dagli occhi e
dai
capelli castani che, tra l’altro, non stavamo mai a posto.
Mi intristii all’improvviso, come se mi avessero buttato
addosso un secchio di acqua gelida, lui era perfetto: lineamenti fini e
leggermente stranieri, grandi e penetrati occhi scuri, capelli azzurri
spettinati ad arte.
“Che succede? Il tuo ramen non è buono?”
Aveva anche delle buone doti di osservazione se si era
accorto che avevo smesso di mangiare nonostante fossi affamata.
“Il mio ramen va benissimo, è ottimo.”
“Cosa c’è che non va?”
“Perché dovrebbe esserci qualcosa che non
va?”
Cercai di dribblare sorridendo.
“Sei una pessima bugiarda, Misato.”
Io arrossii.
“Il fatto è che non capisco perché tu
voglia uscire con
me, non sono niente di speciale, sono la classica ragazza della porta
accanto
se togli il colore dei capelli e i vestiti che poi porto
perché ammiro mia
sorella.
È perché somiglio a Nana?”
“Senti, è innegabile che tu somigli a Nana, me ne
sono
accorto fin dal meet and greet, ma non è per questo.
Nana non mi ha mai attratto sessualmente.”
“E allora perché?”
“Perché sei bella, spiritosa, di buon carattere e
non mi
tratti in modo diverso perché sono famoso.
Tu pensi che la normalità sia noiosa o simbolo di
banalità, ma io ho visto abbastanza cose folli e anormali da
averne abbastanza.
Voglio un’amica all’incirca della mia
età e lo stesso vale per una ragazza.
Sono stanco di donne mature e di persone eccessivamente
problematiche.
Nelle donne che mi sono scopato cercavo mia madre, ma ho
scoperto che lo facevo in modo sbagliato, che non era affetto quello,
che
l’affetto che ricevo da Hachi è quello giusto.
Penso a lei come a una madre,
anche se abbiamo solo cinque anni di differenza. E la complicata storia
tra
Takumi e Reira mi ha insegnato a non infilarmi in rapporti in cui sono
la
seconda scelta.”
“Ma io…”
“Tu avevi una cotta per tuo qualcuno di intoccabile, ma ti
è passata, no?”
Mi sorrise e spinse leggermente l’indice sulla mia fronte,
facendomi sorridere
a mia volta, con un solo gesto aveva alzato il velo di paranoia che
minacciava
di soffocarmi. Forse potevamo avere un futuro se solo ci avessimo
creduto.
“Sì, mi è passata. È solo
che è tutto strano.”
Lui rise, per lui la nostra situazione doveva essere la cosa
più vicina alla
normalità che avesse mai sperimentato in vita sua.
Arrivarono anche gli spiedini di pollo e li mangiammo in
silenzio, ma era uno di quei silenzi confortevoli che si creano tra
persone che
si conoscono.
“Sai, credo sia strano perché non hai avuto amici
maschi
o un ragazzo, ma non è poi così strano.”
“Sei il mio datore di lavoro.”
Lui rise di gusto.
“No, non sono io il tuo datore di lavoro. È la
Shikai
Corporation, io sono solo un collega.”
“Giusto.”
“Ti va di provare un po’ di birra?”
“La prossima volta, adesso devo andare a studiare. Domano ho
una verifica di
matematica e non posso prendere un voto basso.”
Lui alzò un sopracciglio.
“Secchiona?”
Io scossi la testa.
“Punto a vincere una borsa di studio, ecco perché
devo
prendere voti alti.”
Sbadigliai sonoramente.
“È stancante, ma è il prezzo della mia
libertà e io lo
pago volentieri.”
“Ti capisco.”
Ordinammo dolce e caffè e dopo aver chiacchierato ancora
per qualche minuto ce ne andammo.
Mi accesi una sigaretta e lui fece lo stesso.
“Dove abiti? Ti accompagno.”
“Ma non devi disturbarti! Te l’ho detto che
è qui vicino.”
Dissi un po’ a disagio.
“Non lascio andare una ragazza da sola nella grande
città, dai, ti accompagno.”
Non avevo vissuto in paesini, sia Osaka che Okayama erano abbastanza
grandi, ma
non erano nulla se paragonati a Tokyo.
“Ok, hai vinto.”
Ci incamminammo verso il mio appartamento.
“Qual è il tuo membro preferito dei
Blast?”
“Nana.”
Lui sorrise.
“Se ti chiedessi un appuntamento usciresti con me?”
“Ti direi che prima vorrei frequentarti un altro
po’ come amico e poi farei le
mie valutazioni. So benissimo di essere una provincialotta nella grande
città ,
con pochissima esperienza per di più. Una preda
facile.”
“Non ti ricordavo così nel meet and
greet.”
“Beh, quella era un’occasione speciale. Ho imparato
a mie spese che devo
proteggere me stessa, visto che nessun altro può farlo. Devo
essere il mio
eroe.”
“Spero che un giorno accetterai un po’ di
auto.”
“Un po’ di mutuo soccorso non sarebbe una cattiva
idea.”
Sorrisi, lui mi sorrise di rimando.
“Mi hai tolto le parole di bocca, proviamo a sopravvivere
insieme a questo manicomio.”
“Ci sto.”
Lui mi tese una mano e mi fece l’occhiolino, io la strinsi e
suggellammo il
patto.
Avevamo entrambi bisogno di qualcuno e tra noi c’era una
buona chimica, poteva funzionare, potevamo anche diventare
più che amici e non
mi sarebbe dispiaciuto. Per la prima vota percepii che andare a Tokyo
non era
solo una fuga, ma poteva anche essere un’occasione per avere
nuove esperienze.
Adesso camminavamo in silenzio, di nuovo non era
imbarazzato o altro, era solo silenzio.
Arrivammo davanti al condominio dove abitavo, Shin lo
squadrò un attimo.
“Pieno di studenti, impiegati e poche famiglie,
giusto?”
“Più o meno. La tizia sotto di me ha famiglia e mi
sta
triturando le ovaie da quando sono qui per via dei miei orari e mi
limito a
muovermi il più delicatamente possibile. Se dovessi
ascoltare della musica
credo scatenerebbe una guerra.”
“I vicini rompiscatole ci sono ovunque.
Beh, buonanotte.”
Mi diede un bacio sulla fronte e mi lasciò lì, io
ero
come congelata.
Il punto in cui mi aveva baciato era caldo e sembrava che
tutti i nervi del mio corpo fossero convenuti in quel punto per
descrivermi le
sensazioni.
Era stato meglio di qualsiasi contatto che avessi avuto
con ogni essere umano della mia vita, persino Takahiro, il che mi diede
la
conferma definitiva che quella bolla di sentimenti che provavo era
scoppiata.
Adesso era davvero solo mio fratello.
Entrai nel condominio e salii le scale a piedi fino ad
arrivare al mio appartamento.
Aprii la porta e mi lasciai cadere sul letto con un
sospiro come ogni sera, questa volta era un sospiro soddisfatto,
però.
Ero felice per la prima volta da tanto tempo ed era
bellissimo.
Era come starsene immersi nell’acqua termale calda con la
neve tutt’attorno.
Avrei voluto che durasse per sempre, ma era più
realistico sperare che ci sarebbero stati in futuro altri momenti del
genere.
Mi feci la doccia e mi misi a studiare e poi a letto.
Sorridevo ancora e per la prima volta mi sembrava che il
sorriso fosse l’espressione giusta per la mia faccia.
Risi all’idea, ma non smisi di sorridere.
Adesso avevo un motivo serio per farlo.