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Autore: AthenaKira83    20/06/2020    4 recensioni
Quando Magnus Bane, ex agente speciale della Marina militare statunitense, accetta di fare un favore al padre, di certo non si aspetta di dover fare da babysitter a uno scontroso, irritante, ma dannatamente attraente, agente di viaggi che non ha alcuna intenzione di rendergli facile il compito che gli è stato affidato.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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"Ti va una cioccolata calda?" chiese Magnus, dirigendosi ai fornelli con un sorriso che la sapeva lunga, ben conscio, infatti, di quale sarebbe stata la risposta dell'altro, senza che neanche si disturbasse ad aprire bocca.
Alec annuì comunque, sorridendo di rimando e appoggiando una grossa ciotola piena di pop-corn sul tavolino davanti al divano.
Era passata più di una settimana da quando erano arrivati lì e, se si escludeva il fatto che la sua vita era minacciata da ben tre psicopatici, non se la stava passando affatto male.
Quando la sua guardia del corpo era riuscita a convincerlo a villeggiare in quel posto, mollando la sua agenzia di viaggi nelle mani fidate di sua sorella Isabelle, non avrebbe mai creduto che potesse essere una buona idea, ma adesso, mentre si metteva comodo sul divano e allungava le lunghe gambe sul pouf davanti a lui, doveva ammettere che era molto meglio di quanto si aspettasse. Riusciva a dormire più di sei ore ogni notte, aveva ripreso a mangiare con appetito e faceva lunghe passeggiate che lo calmavano e rilassavano.
Si stava divertendo, insomma. Con Magnus. Incredibile, ma vero.
Era sempre il solito idiota rompiscatole, sia chiaro, ma la sua guardia del corpo iniziava comunque a piacergli pericolosamente ogni giorno di più.
In quei giorni, infatti, aveva scoperto molte più cose sull'ex Marine di quante ne avesse apprese da quando era piombato nella sua vita. Cose che gli stavano facendo cambiare velocemente e inesorabilmente idea su di lui.
Aveva imparato curiosità e vezzi che fin'ora aveva ignorato, troppo preso ad odiarlo e a interessarsi del proprio lavoro e della situazione in cui si trovava piuttosto che spulciare nella vita dell'altro o a chiedergli qualcosa di più sul suo conto.
Non avrebbe mai pensato di dirlo, ma, per l'angelo, oltre ad essere fisicamente bellissimo, Magnus era una persona intellettualmente stimolante e coinvolgente!
Alec si era accorto che pendeva dalle sue labbra ogni qual volta l'uomo gli raccontava un pezzettino della sua vita, narrando qualche avventura vissuta quando ancora era nella Marina Militare. Il moro trovava lodevole il fatto che fosse sempre riuscito ad uscire da ogni situazione pericolosa con ingegno e astuzia e ammirava tantissimo il suo coraggio.
Magnus si stava rivelando anche una persona con una pazienza infinita. Sbuffava e borbottava quando non era d'accordo con qualche sua idea, ma alla fine assecondava ogni suo capriccio e lo accontentava sempre, anche quando la situazione era assurda o rischiosa, come recuperare dalle acque agitate del ruscello il cappellino da baseball che gli aveva regalato suo padre per il suo decimo compleanno. Alec aveva provato a dissuaderlo quando aveva visto i vortici d'acqua impetuosi, a dirgli che, pazienza, ormai era andato, nonostante ci tenesse tantissimo a quel dono, ma Magnus gli aveva sorriso con spavalderia e, senza battere ciglio, si era tuffato in acqua per salvare il cappellino prima che sparisse tra i flutti.
Alec aveva scoperto che la sua guardia del corpo era un finto permaloso e che si divertiva a mettere il broncio quando in realtà non si sentiva minimamente toccato dalle parole che venivano pronunciate con l'intento di offenderlo. Il moro aveva già intuito questa sua caratteristica quando, in più di un'occasione, l'aveva apostrofato in malo modo e lui aveva sempre risposto con un sorriso indulgente a ogni insulto, ma dopo qualche battibecco, accaduto in quei giorni, aveva finalmente capito che l'uomo raramente si offendeva per qualcosa, a meno che non fosse detta con palese cattiveria.
Magnus era creativo. Questa non era una novità, sapeva già che era una persona estrosa e fantasiosa, ma Alec non avrebbe mai pensato che la sua guardia del corpo avrebbe preso a cuore l'impegno di inventarsi ogni giorno qualcosa per distrarlo e tirargli su il morale, facendolo ridere fino ad avere i crampi alla pancia e le lacrime agli occhi. Era un buffone, ma un buffone dolce e generoso.
L'ex Marine era innamorato dello shopping, aveva talmente tanti vestiti e gioielli da poter mettere su una propria boutique personale (nel suo appartamento, per l'angelo, aveva un'intera stanza dedicata al suo guardaroba!) ed era un vero e proprio patito della filatelia. In una cassetta di sicurezza che aveva in banca, infatti, possedeva una collezione di francobolli che valeva come minimo cinquanta mila dollari e che era il suo orgoglio.
Gli piaceva l'arte, in tutte le sue forme, e adorava partecipare alle sfilate di moda o alle mostre di autori eccentrici e ancora poco conosciuti, divertendosi a fare il critico in compagnia di Ragnor.
Alec aveva anche scoperto che aveva addirittura provato a imparare a suonare il charago, uno strumento musicale sudamericano simile alla chitarra, per fare colpo su un suo ex, ma i risultati erano stati così disastrosi che, dopo essere stato scaricato da tale Imasu, Magnus aveva lasciato perdere, buttandosi sugli scacchi e sul poker, in cui era praticamente imbattibile.
Quando Will gliene aveva parlato, Alec aveva pensato che, ok, era bravo, ma onestamente non avrebbe mai immaginato che lo fosse ad un livello tale che avrebbe potuto tranquillamente diventare un giocatore professionista. Da quando erano arrivati alla casetta di legno, il moro aveva sperimentato, sulla propria pelle e in più di un'occasione, quel particolare talento della sua guardia del corpo e, dopo essere stato battuto la prima volta, Alec ne aveva fatto una questione di orgoglio e aveva sfidato l'altro ancora e ancora e ancora, finendo sempre col perdere miseramente. Per sua fortuna le puntate al gioco consistevano in patatine e noccioline, anziché soldi veri, o si sarebbe trovato presto sul lastrico. Senza contare che doveva ringraziare il suo istinto per avergli suggerito di evitare di giocare a strip poker, quando Magnus gliel'aveva proposto con falsa nonchalance, o avrebbe di sicuro perso tutti i suoi vestiti e avrebbe dovuto girare nudo per casa!
Alec ghignò, scuotendo affettuosamente la testa, quando ripensò al broncio adorabile che Magnus aveva messo su quando lui si era rifiutato di provare almeno una volta, una sola, quella modalità di gioco. L'ex Marine gli aveva tenuto il muso per ben un'ora, prima di tornare a parlargli con la sua consueta, inesauribile, loquacità!
Alec ridacchiò tra sé e sé e osservò Magnus arrivare in salotto con un enorme sorriso e due tazze piene di cioccolata calda.
"Ecco qua, mio dolce ciuffetto di panna montata."
"Grazie." lo ringraziò Alec, roteando gli occhi e sbuffando rassegnato.
Ci aveva rinunciato. Già. Ormai aveva abbandonato ogni tentativo di dissuadere l'altro ad affibbiargli nomignoli idioti, perché era un po' come lottare contro i mulini a vento. Aveva addirittura pensato di ripagarlo con la stessa moneta, smettendo di chiamarlo Magnus e interpellandolo solo e unicamente con soprannomi sciocchi, ma al primo "cioccolatino", pronunciato con altezzosità, era poi immediatamente arrossito come un pomodoro maturo e aveva battuto in ritirata, lasciando perdere e chiudendosi in camera per l'imbarazzo, con grande dispiacere di Magnus che si era illuminato come un albero di Natale per quel nomignolo del tutto inaspettato.
Scosse la testa e riportò l'attenzione sulla sua guardia del corpo, che stava frugando tra i numerosi DVD che Ragnor e Raphael avevano impilato in uno scaffale di fianco al televisore, mentre muoveva ritmicamente il sedere, andando a tempo con una canzone che stava mormorando sottovoce.
"Allora, cosa vuoi guardare questa sera, tesoro?" chiese, passando attentamente in rassegna i vari titoli con la punta dell'indice.
"E' indifferente." mormorò Alec, con gli occhi incollati sul sedere dell'altro, mentre Presidente Miao gli si acciambellava in braccio in cerca di coccole.
Quella era un'altra cosa che aveva scoperto in quei giorni di convivenza ancora più forzata del solito. Ci aveva provato, eh, questo andava detto, aveva tentato di resistere con tutte le sue forze, ma non riusciva più a fermare il proprio sguardo e sempre più spesso si ritrovava a guardare Magnus di sottecchi, studiando le linee armoniose e scolpite del suo corpo e il suo sorriso irriverente e dolce al tempo stesso, che era sempre pronto a fare capolino su quelle labbra carnose e tutte da baciare.
Non sapeva se fosse perché oramai vivevano praticamente in simbiosi ventiquattro ore su ventiquattro o se l'astinenza patita in tutti quegli anni iniziava a farsi sentire pesantemente, ma stava diventando un problema continuare a ignorare quella voglia smaniosa di saltargli addosso.
"Guardiamo una storia d'amore? O un altro thriller come ieri sera? Un film horror?" cominciò a elencare Magnus, ignorando lo stato d'animo dell'altro. "O un classico tipo Casablanca? Oppure... Ohhh! Ok, fermo là! Ho trovato!" esclamò, trionfante, alzando la custodia di un DVD.
"Che cos'é?"
"La storia fantastica di Rob Reiner."
"Mai sentito nominare." rispose Alec, scrollando le spalle e accarezzando Presidente che rincorreva la sua mano con il muso.
Magnus lo guardò a bocca aperta. "Stai scherzando, vero?" domandò, stupefatto. "Hola. Mi nombre es Iñigo Montoya. Tu hai ucciso mi padre, preparate a morirrrr!" recitò, con aperta teatralità, mimando il gesto di una spada che colpiva il petto di un ipotetico rivale.
Alec e Presidente Miao alzarono contemporaneamente un sopracciglio e lo fissarono come se fosse improvvisamente impazzito.
"Ohhhh, ma dai! Westley e Bottondoro? Lei che, all'inizio del film, è tutta altezzosa e stronza e gli ordina di fare qualunque cosa le passi per la mente, mentre lui è un puccioso cioccolatino di Lindor che le risponde sempre e solo Ai tuoi ordini..., quando in realtà vuole dirle Ti amo?" insistè Magnus, portandosi le mani al petto, con un sospiro e un'aria sognante. "Niente?" chiese ancora, inarcando un sopracciglio.
Alec scosse lentamente la testa, guardandolo come se fosse un alieno.
"Ma dove hai vissuto fin'ora?" si imbronciò Magnus, roteando gli occhi. "E' un film bellissimo! Ci sono lotte, duelli, torture, vendette, giganti, mostri, inseguimenti, evasioni, grandi amori, miracoli!" citò a memoria, con un sorriso estatico.
"Ce n'è di roba!" mormorò Alec, ironico, facendo sorridere l'altro perché aveva ripetuto, senza saperlo, una battuta del film.
"Puoi ben dirlo!" asserì la guardia del corpo, spegnendo la luce e andando a sedersi accanto a lui.
"Perché hai spento la luce?" chiese Alec, aggrottando la fronte e muovendosi a disagio sul cuscino del divano.
Magnus lo guardò con un luccichìo malizioso negli occhi. "Perché, mio dolce marshmallow, visto che è sabato sera, fingiamo di essere seduti nell'ultima fila di un cinema. Sai questo cosa significa, no?" mormorò, posando un braccio sullo schienale del divano e arricciando ripetutamente e sfacciatamente le labbra.
Alec lo guardò con gli occhioni spalancati, sentendo distintamente le guance scaldarsi. Per darsi un tono, si ficcò una generosa dose di pop-corn in bocca e, quando sentì le dita dell'altro sfiorargli casualmente (o forse no?) la pelle del collo, ringraziò mentalmente che la stanza fosse completamente al buio, ad eccezione della fioca luce che arrivava dal televisore, e che celasse così il suo viso in piena combustione.
"Idiota." borbottò, a mezza voce, inghiottendo faticosamente i pop-corn.
Magnus ridacchiò, arruffandogli i capelli, e gli intimò poi gentilmente di fare silenzio posando un indice sulla sua bocca. Alec sentì le labbra andargli a fuoco.
Dopo circa un'ora e mezza abbondante, in cui il moro aveva tentato in tutti i modo di non rilassarsi più del dovuto sullo schienale del divano, onde evitare che le dita dell'altro lo toccassero più marcatamente, la sua guardia del corpo si girò verso di lui con occhi scintillanti.
"Allora? Ti è piaciuto?"
"Non male." rispose Alec, con un sorriso storto.
"Oh, andiamo, pasticcino! E' molto più di non male!" lo rimbeccò Magnus, punzecchiandolo con l'indice su un fianco, prima di alzarsi e riaccendere la luce.
Alec gli rivolse un sorriso storto, scuotendo piano la testa e poggiando delicatamente un addormentato Presidente Miao su un cuscino, alzandosi poi a sua volta per portare la ciotola dei pop-corn e le tazze sporche di cioccolata, ormai vuote, nel tinello.
Il suo cellulare iniziò a suonare e Magnus lo acchiappò, gridando, allegro, "E' Jace! Rispondo io!", mentre si spostava in camera per iniziare a prepararsi per la notte.
"Ehi!" protestò Alec, allargando le braccia per l'esasperazione e correndogli velocemente dietro. "Chi ti ha dato il permesso di prendere il mio..." iniziò a brontolare, bloccandosi poi di colpo e irrigidendosi nell'istante esatto in cui vide l'espressione della sua guardia del corpo diventare sempre più cupa e seria man mano che la conversazione telefonica proseguiva.
Il cuore prese a battergli furiosamente nel petto e, anche senza sentire cosa stava dicendo suo fratello, avvertiva che qualcosa non andava.
Magnus stava rispondendo a monosillabi, guardandolo con uno sguardo serio e preoccupato, e, quando riattaccò, Alec non perse tempo.
"La mia famiglia sta bene?" chiese, con voce angosciata, arpionandogli un braccio.
Magnus annuì, piano, prendendolo poi dolcemente per un gomito per condurlo verso il letto e farlo sedere sul materasso. "Il tuo appartamento è stato vandalizzato." spiegò, diretto e conciso.
"Co-cosa?" balbettò il moro, sgranando gli occhi.
"Qualcuno è entrato in casa tua e l'ha distrutta. Ha anche appiccato un incendio nella tua camera, ma per fortuna sono riusciti a spegnerlo prima che potesse divampare per tutto l'appartamento e diventare quindi ingestibile." lo informò Magnus, prendendogli una mano tra le sue e intrecciando le loro dita. "L'appartamento ha riportato danni notevoli e la tua camera da letto è completamente bruciata." sussurrò, dispiaciuto. "Jace mi ha comunicato..."continuò, ma Alec non lo ascoltava più.
Distrutta. La sua casa era stata distrutta. Il suo appartamento che non era spazioso né particolarmente bello, che aveva crepe sui muri e che in inverno aveva le tubature che si ghiacciavano, creandogli non pochi problemi con l'acqua calda, ma che, nonostante tutto, Alec comunque amava, era stato devastato. Per dieci anni era stato il suo nido, la sua tana, il suo rifugio, mentre ora era un cumulo di macerie e distruzione.
Chiuse gli occhi e, con l'immaginazione, andò da una stanza all'altra, riportando alla memoria i suoi oggetti e i suoi mobili. Vide i quadri che adornavano i muri, le foto sparse per il salotto, gli scaffali pieni di libri, il divano sgangherato che aveva comprato con il suo primo stipendio, il piccolo tavolo della cucina, la macchinetta del caffè rossa fiammante di Magnus che brillava sfacciatamente accanto agli altri elettrodomestici di un colore neutro e che sembrava gridare "Guarda quanto sono bella!".
Percorse il corridoio e arrivò fino alla sua camera, arsa dal fuoco: immaginò il mobilio distrutto, le pareti annerite, il pavimento rovinato. Il petto gli si strinse in modo insopportabile quando, voltando ipoteticamente il viso dove una volta c'era la sua cassettiera, non vide più niente. Tutto era stato ridotto in cenere. Anche il soldatino di Max.
Spalancò gli occhi e iniziò ad annaspare.
"..."
L'ossigeno si rifiutò di arrivare ai polmoni.
"...ec..."
Iniziò a soffocare.
"...ec..."
Dei suoni ovattati giunsero fino a lui, ma Alec non riuscì ad afferrarli.
"ALEXANDER!" gridò forte Magnus, scuotendolo con preoccupazione e riportandolo alla realtà.
Alec spalancò gli occhi e iniziò ad ansimare, a corto di fiato, come se fosse riemerso da una lunga apnea.
"Ok, respira, tesoro." mormorò Magnus, piano, stringendogli le spalle. "Inspira. Espira. Inspira. Espira. Così. Bravo, Fiorellino. Stai andando benone." lo incitò dolcemente.
Alec seguì le istruzioni, guardandolo come un automa e tornando gradualmente a respirare.
"Non c'è più." mormorò Alec, affranto, chiudendo nuovamente gli occhi, ma continuando a inspirare e a espirare come gli aveva detto di fare Magnus.
"Mi dispiace, tesoro." sussurrò Magnus, poggiandogli gentilmente una mano sulla guancia e accarezzandola con il pollice. "Ma non devi preoccuparti! Lo risistemeremo e ritornerà come prima. Anzi no! Il tuo appartamento diventerà ancora più bello!" dichiarò, con un sorriso dolce e rassicurante.
Alec scosse la testa, disperato. "Non capisci. Il soldatino..."
"Il soldatino?" chiese Magnus, aggrottando la fronte.
Alec annuì. "Non c'è più."
"Quale soldatino, tesoro?" chiese Magnus, perplesso, continuando ad accarezzargli la guancia.
"Il soldatino. Sulla cassettiera." mormorò Alec, angosciato, sentendo che stava nuovamente per mancargli il respiro.
Magnus aggrottò la fronte, confuso, poi ricordò che c'era un piccolo soldatino di legno sopra al mobile nella stanza del moro, un giocattolo che aveva un'aria consunta e che sembrava aver visto giorni migliori. L'uomo non aveva mai posto domande a riguardo e la prima volta che l'aveva notato l'aveva catalogato come un ricordo d'infanzia di cui l'altro non voleva disfarsi, tutto lì.
"E' importante per te quel soldatino?" domandò in tono gentile Magnus, tentando di capire.
Alec annuì, il labbro inferiore che tremava. "Era di Max." rispose, con un filo di voce, prima di scoppiare in un pianto isterico.

Era di Max.
Magnus versò una generosa dose di Bourbon in un bicchiere e ritornò in camera da letto: Alec era disteso sul letto, rannicchiato su se stesso in posizione fetale e in stato catatonico. Magnus pensò che forse avrebbe fatto bene anche a lui un goccetto, se voleva aiutare l'altro ad uscirne.
Il moro aveva smesso di piangere, ma qualche lacrima sfuggiva ancora dai suoi occhi e rotolava giù, fino a inzuppare il cuscino, e fissava un punto fisso davanti a sé.
Magnus si sedette nuovamente accanto a lui e gli prese la mano, avvolgendo le sue dita attorno al bicchiere. Alec scosse la testa e provò a respingerlo, ma l'ex Marine non demorse.
"Bevi. Ti farà bene." asserì, deciso.
"Odio il Bourbon." mormorò Alec, con una smorfia.
Magnus accennò un sorriso, scompigliandogli i capelli. "Sì, lo so. Ma bevi lo stesso."
Alec obbedì, alzandosi appena e mandando giù il liquido ambrato a piccoli sorsi. Sentì immediatamente un calore intenso propagarsi per tutto il corpo e si aggrappò a quello per ristabilire l'equilibrio perduto.
"Ora sto bene. Grazie." disse il moro, posando il bicchiere sul comodino.
Magnus piegò la testa osservandolo per un lungo momento. "Parlami di Max." mormorò, in tono dolce, scostandogli un ciuffo di capelli dalla fronte, anche se già sapeva che il fratellino di Alec, Maxwell Joseph Lightwood, era morto assassinato dieci anni prima per mano di uno sconosciuto.
Non aveva mai collegato il soldatino di legno a quel bambino che oramai non c'era più, ma ora capiva perfettamente la disperazione del moro. Nelle varie missioni che avevano caratterizzato il suo ex lavoro, infatti, aveva visto morire colleghi che considerava come fratelli e comprendeva quindi molto bene il dolore immenso che derivava dal perdere un membro della propria famiglia o anche solo un oggetto a lui collegato.
"Non posso." dichiarò Alec, scuotendo la testa e stringendo le labbra in una lunga linea sottile.
Un singhiozzo gli sfuggì dalle labbra, mentre si asciugava, con la manica della maglia, le lacrime sporadiche che continuavano a bagnargli le guance.
Magnus sentì il cuore stringersi e si coricò di fianco a lui, tirandoselo addosso e stringendolo forte in un abbraccio spaccaossa. "Sai, credo che ti sentiresti meglio se ne parlassi." disse, accarezzandogli lentamente la schiena.
Sentì la testa di Alec muoversi a destra e a sinistra sopra il suo petto, in segno di diniego.
"Perché non mi racconti del soldatino?" provò allora Magnus, gentile, immergendo le dita nei capelli del moro e baciandogli la fronte.
Alec tirò su con il naso, sentendo che le lacrime minacciavano di travolgerlo nuovamente. Tutto il suo corpo era teso e intorpidito dal dolore. "Era di Max." ripetè in un sussurro. "Ma ormai è bruciato. Non c'è più. L'ho perso per sempre."
Magnus aveva come la sensazione che, più che del giocattolo, il moro si riferisse al fratellino. "Parlami di Max." insisté, cercando le dita dell'altro e intrecciandole saldamente alle proprie.
Alec trattenne il respiro, mordendosi con forza il labbro inferiore e sentendo il corpo tendersi come una corda di violino. "E' stata colpa mia." dichiarò, con voce spenta e incolore.
"Raccontami." sussurrò piano Magnus.
"Non posso. Andrò in pezzi." gli confidò Alec, con voce rotta, alzando il volto verso l'altro.
Magnus lo guardò a sua volta, stringendolo ancora più forte a sé. "Ti terrò insieme io." promise, serio.
Alec sapeva che l'ex Marine parlava sul serio. Era un'altra cosa che aveva imparato in quei giorni nella casetta sperduta nei boschi: Magnus Bane manteneva sempre le sue promesse.
Tornò a posare la testa sul petto della sua guardia del corpo, fece un paio di respiri profondi e guardò fisso davanti a sé. Aveva seppellito così profondamente quel ricordo che riportalo di nuovo a galla gli costava un dolore tremendo, ma la mano di Magnus, stretta alla sua, e il braccio dell'uomo, avviluppato alla sua vita, in qualche modo lo tranquillizzavano e gli davano la forza di scavare nella memoria per riportare alla luce quell'episodio.
"Comincia dal soldatino." gli suggerì Magnus, accarezzandogli lentamente il dorso della mano con il pollice.
Gli occhi di Alec diventarono vaghi, remoti, e la sua mente tornò indietro di oltre quindici anni. "Il soldatino era di Jace." cominciò, a bassa voce. "E' stato adottato quando aveva dieci anni ed è arrivato a casa Lightwood con quel soldatino. Se lo portava sempre dietro, non se ne separava mai. Ci faceva addirittura il bagno insieme!" rammentò, divertito. "Non ricordo quando è successo, ma un giorno il soldatino era nelle mani di Jace e quello dopo ce l'aveva Max. Jace gliel'aveva regalato. Non so il motivo. Forse perché lui era troppo cresciuto per continuare a giocarci o forse perché nostro fratello gli chiedeva continuamente se poteva prestarglielo. Fatto sta che da quel giorno il soldatino è diventato un giocattolo di Max. Stravedeva per Jace, sai?" affermò, con un sorriso triste. "Io ero il fratello noioso e rompiscatole, quello che tentava di farlo ubbidire agli ordini dei nostri genitori, quello che lo sgridava quando combinava qualche marachella, quello che lo faceva piangere. Isabelle, invece, era la sorella simpatica e riusciva sempre a farlo ridere, coccolandolo anche quando faceva i capricci. Era davvero brava con lui. Mentre Jace... beh, Jace era l'idolo indiscusso di Max! In qualsiasi pasticcio Jace si cacciasse, Max gli sgambettava dietro per imitarlo, perché Jace era fantastico, forte e coraggioso e quando gli regalò quel soldatino divenne definitivamente il suo eroe." continuò, stiracchiando le labbra al ricordo. "Max amava alla follia quel giocattolo e anche lui, proprio come Jace, se lo portava sempre dietro. Dove c'era lui, c'era anche il soldatino e, anche quel giorno, erano insieme..."
Alec inspirò bruscamente, stringendo spasmodicamente la mano stretta in quella di Magnus, come se quel ricordo fosse talmente insopportabile da avere bisogno della forza dell'ex Marine per continuare il racconto.
Magnus sentì il cuore stringersi. In quel momento, avrebbe tanto voluto avere dei poteri magici e cancellare, con uno schiocco di dita, tutto quel dolore che il moro si portava appresso, ma sapeva che, purtroppo, l'unica cosa che poteva fare era tenergli la mano e confortarlo quando avrebbe finito la storia.
"E poi? Cosa è successo, Alec?" sussurrò l'uomo, rafforzando la presa sull'altro.
"Eravamo stati invitati a un ricevimento." riprese il moro, le dita inermi in quelle dell'ex Marine. "Cioè... mio padre era stato invitato. Io, mia madre e i miei fratelli fummo costretti ad accompagnarlo perché voleva pavoneggiarsi e mostrare a tutti gli invitati quanto fosse bella la sua famiglia e quanto dovessero invidiarci. Nonostante tutto, però, la serata era stata davvero piacevole, sai? Il padrone di casa aveva una splendida villa sul lago Seneca e io non mi sono neanche annoiato, come accadeva ogni volta che mio padre mi costringeva a presenziare a un ricevimento." la voce di Alec si spezzò un attimo, poi tornò a parlare in tono angosciato. "A fine serata, mentre tornavamo a casa, mio padre sbagliò strada. Si  confuse ad un incrocio, svoltò nella direzione sbagliata... non so cosa sia successo. So solo che, ad un certo punto, stavamo percorrendo una stradina deserta e lui ha frenato bruscamente, imprecando con forza e facendoci sbalzare violentemente tutti in avanti. Ricordo la voce agitata di mia madre, che si era voltata verso mio padre per chiedergli cosa diavolo stesse facendo. Ricordo Jace e Izzy che, spaventati, ma curiosi, si sporgevano verso i sedili anteriori per vedere cosa stava succedendo, mentre io stringevo forte a me Max, che stava dormendo appoggiato sul mio fianco, per evitare che venisse sballottato più del dovuto. E' stata questione di secondi, forse anche meno, poi iniziò l'inferno. Una detonazione ruppe il silenzio e tutto cominciò a precipitare."
Alec sembrava non avere più aria nei polmoni e Magnus non poté fare altro che continuare a stringerlo nel tentativo di consolarlo, anche se sapeva che nulla avrebbe potuto alleviare il dolore che stava per arrivare.
"Non... non avevo capito. Non avevo idea che quel rumore fosse uno sparo, neanche quando qualcosa mi passò, sibilando, a pochi centimetri dalla testa. Poi quella detonazione si ripeté ancora e ancora e ancora e ancora. Non so quanto durò. Minuti, forse secondi. Non lo so. So solo che gli spari sembravano non finire mai."
Alec ricordava che suo padre aveva gridato disperatamente "Giù!", mentre il rumore sordo delle pallottole sovrastava il suo comando, e che il tempo aveva iniziato a scorrere a rallentatore. Quando finalmente la pioggia di proiettili smise di martoriare l'auto, il silenzio che seguì tutto quel frastuono fu glaciale.
Alec ricordava il pianto disperato di sua madre, di Izzy e anche di Jace, mentre suo padre era accasciato sul volante, immobile, forse morto. Ricordava il flebile lamento provenire al suo fianco, lui che si voltava verso quella direzione e che fissava, inorridito, la camicia bianca di Max colorarsi velocemente di rosso scuro. Ricordava che aveva gridato, disperato, il nome di suo fratello, mentre il peso del suo corpicino, ormai inerme, gli gravava addosso. Ricordava di aver tentato di fermare il sangue, tamponando tutti i fori che riusciva a vedere, ma inutilmente. Ricordava la quantità mostruosa di sangue che aveva continuato a sgorgare senza sosta dal corpo del bambino, inzuppandogli le mani senza che lui potesse farci nulla. Ricordava le grida disperate e sempre più forti di sua madre e dei suoi fratelli che gli trapanavano il cervello. Ricordava lui che cullava Max, tra le braccia, continuando a ripetere incessantemente "Non morire. Per favore, non morire.", mentre il soldatino scivolava via dalle dita immobili del bambino, cadendo sul tappetino dell'auto crivellata di colpi. Ricordava che fu solo in quel momento che capì di averlo perso, perché Max adorava il soldatino di legno e non se ne sarebbe mai separato, mai.
Il moro alzò lo sguardo verso Magnus con gli occhi pieni di orrore. Le lacrime scendevano copiose e la voce oramai era ridotta a un sussurro. "Non l'ho protetto. Se gli avessi fatto da scudo con il mio corpo, se avessi capito che stavano sparando, se..."
"Oh, tesoro." mormorò Magnus, con gli occhi lucidi, stringendolo forte a sé. "Non è stata colpa tua."
"Sì, invece." asserì Alec. "Non l'ho protetto."
"Alec, tesoro, non sei stato tu a sparare, ma quello sconosciuto. E' lui il responsabile della morte di Max non tu." affermò Magnus, con decisione e sicurezza.
"Sono il fratello maggiore! Era mio dovere proteggerlo." ribadì Alec, con voce spenta.
"Tesoro, sono sicuro che hai sempre fatto del tuo meglio per svolgere questo compito alla perfezione, ma, in questo caso, non potevi fare niente di più di quello che hai fatto." sostenne Magnus, con convinzione, baciandogli la fronte. "Questa cosa non sarebbe dovuta succedere, ma purtroppo è accaduta e tu non potevi prevederlo."
"Dopo la sua morte, ho continuato a vederlo e a sentirlo." confidò Alec, in un sussurro. "La mia famiglia, soprattutto mia madre, dopo anni passati a vegetare, ha cominciato a dirmi che dovevo riprendere in mano la mia vita, che dovevo andare avanti. E io ci provavo, ci provavo davvero, ma non ci riuscivo." continuò, asciugandosi gli occhi con la manica della maglia. "Non riuscivo a perdonarmi di non averlo protetto. Vedevo Max correre per casa, lo sentivo ridere e giocare. Ogni mattina, però, quando mi alzavo e andavo nella sua stanza, lui non c'era più."
Alec ricominciò a piangere silenziosamente e Magnus lo lasciò sfogare. Gli venivano in mente tante frasi banali e di circostanza che avrebbe potuto dirgli, frasi piene di futili parole di conforto, ma sapeva che in quel momento non sarebbero servite a niente. Tutto quello che poteva fare era stringere forte il moro e lasciare che piangesse tutte le sue lacrime.
Presidente Miao balzò sul letto, annusando curioso l'aria attorno a loro, prima di accoccolarsi anche lui sul torace di Magnus.
Alec si asciugò gli occhi e accennò un sorriso, quando vide il felino osservarlo quasi preoccupato. "Sai che avevamo anche noi un gatto?" ricordò in tono affettuoso, grattando il micio dietro un orecchio.
"Davvero?" chiese Magnus, sorpreso, scostandogli i capelli sudati dal viso e baciandogli a lungo la fronte.
Alec annuì. "Un persiano grigio di nome Church."
Magnus iniziò ad accarezzargli la schiena e ascoltò, in silenzio, il moro, mentre gli raccontava, divertito, di quel grosso gatto snob e altezzoso che odiava tutti e che soffiava a chiunque provasse a toccarlo o a prenderlo in braccio. La voce del ragazzo si fece sempre più flebile mano a mano che procedeva con i ricordi di quel gatto ciccione, fino a spegnersi del tutto nel bel mezzo di un episodio piuttosto movimentato.
Magnus sorrise appena, chiuse gli occhi e appoggiò il mento sulla testa di Alec, addormentandosi anche lui.
   
 
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