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Autore: Minako_    21/06/2020    8 recensioni
Sonoko, fra il frastornato e il dubbioso, la guardò mentre lanciava occhiate nervose alla porta, per poi veder far capolino sul suo viso un rossore incontrollabile. La biondina si girò e vide Shinichi sulla porta, entrare a testa bassa e dirigersi senza guardarla al suo posto. Esausta, alzò gli occhi al cielo, prendendo posto anch’essa.

Io non li capirò mai.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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WITHOUT WORDS.
scuse.


Doveva immaginarselo, dopotutto.
Gli era parso strano fin dal principio, come Ran gli avesse perdonato l’intera faccenda.
E alla fine, in quel loro primo, serio litigio dopo il suo ritorno, probabilmente tutto era riaffiorato senza poterlo realmente contenere ulteriormente.
Come poteva giudicarla? Non poteva assolutamente.
Però faceva male. Molto, anche.
Sentirle dire quelle cose, vederla così.
Da una parte Shinichi si ritrovò a sperare che non lo ritenesse davvero solo capace di deluderla, considerato specialmente cosa era successo ultimamente fra di loro, e che lo avesse detto solo ed esclusivamente perché in quel momento era fuori di sé. Le era parsa così preoccupata per i suoi genitori e delusa al suo comportamento di quel  martedì mattina, che forse non era più stata capace di controllarsi.
In fin dei conti aveva sopportato così tanto negli ultimi mesi… e certamente quella sua malsana idea sul divorzio dei suoi doveva essere stata la batosta finale che l’aveva fatta crollare definitivamente.
Shinichi deglutì, mantenendo il suo sguardo fisso sul libro davanti a lui.
Tuttavia, in un angolo del suo cervello, l’idea di non essere abbastanza per lei lo stava facendo impazzire.
Stava provando davvero a darle un po’ di spazio, come gli aveva espressamente chiesto mercoledì, e così si era ritrovato a ignorarla quasi totalmente da quell’ultimo litigio. E ormai, essendo venerdì, sperò con tutto se stesso che arrivasse in fretta domenica e finalmente i suoi riuscissero a dirle come stavano le cose. Forse, solo dopo sarebbe stato in grado di farla ragionare un po’. Anche se, ripensò amaramente, a quanto pareva Conan non era davvero solo acqua passata, sebbene così tante volte lei lo avesse rimarcato.
Era stato lo sfogo del momento, o lo pensava davvero?
Batté freneticamente un piede a terra, ben consapevole di averla a soli pochi banca di distanza.
Era già successo negli anni che battibeccassero e non si rivolgessero la parola per qualche giorno, ma solitamente dopo al massimo due lui si avvicinava a lei con una qualche scusa stupida e cercava di calmare le acque. Specialmente perché, nonostante lo nascondesse molto bene, lei era la vera testarda dei due. Tuttavia ormai i giorni erano tre, e io suo sesto senso gli diceva che non sarebbero finita presto, ragion per cui stava davvero facendo una fatica immane per mantenersi indifferente e tranquillo.
Dall’esterno forse poteva sembrare disinteressato, ma dentro avvertiva sempre e comunque un peso alla base dello stomaco che gli aveva impedito perfino di mangiare ai pasti in quei ultimi giorni.
Spesso il suo cervello riesumava vecchie frasi, lontani momenti vissuti insieme, e ad ognuno di loro era come se qualcuno gli tirasse un pugno così forte da fargli mancare il fiato.
Spesso si era ritrovato a pensare a qualcosa e di istinto si era girato verso di lei solo per poterglielo raccontare, ma poi immediatamente si era bloccato, conscio di come stavano le cose. Il fatto era che era così abituato ad averla come parte integrante della sua vita che averla al suo fianco ma ignorarla era davvero assurdo. Perfino quando era Conan lei era sempre lì, e per la prima volta si rese conto di come dovesse essere stato per Ran non averlo al suo fianco.
Si portò una mano alla testa, sorreggendola. In quel momento, di tralice, notò come un suo compagno di classe lo stesse guardando sulle spine e, seccato, si girò un po’ di più per non guardarlo.
Ovviamente la notizia di come si stessero ignorando e di come forse avessero litigato si era sparsa a macchia d’olio, e ora tutti non facevano che parlottare alle loro spalle e fissarli tutto il tempo alla ricerca di qualche indizio.
Shinichi fece una smorfia.
Perfino Sonoko non era riuscita a placare l’umore di Ran che, come le rivelò il pomeriggio prima, le aveva solo detto di star tranquilla e che stava bene.
Le aveva mentito così spudoratamente, forse perché non aveva davvero voglia di spiegarle l’intera, gigantesca faccenda. Come le avrebbe spiegato di quel litigio di mercoledì, e di come aveva rinfacciato a Shinichi di Conan?
Quest’ultimo si paralizzò, e il senso di colpa si accentuò di fronte all’ennesima realtà.
Ecco ancora cosa era stata costretta a fare, per lui. A mentire, perfino alle persone che aveva intorno.
Genitori, amici… solo per coprirlo.
Era stata gettata dentro l’FBI, la CIA, e chissà quante altre squadre speciali mentre lui era fuori gioco.
Come non fosse esplosa prima, non riuscì davvero a spiegarselo, dopotutto.
« Kudo-san, sei fra noi? ».
Shinichi sussultò sulla sedia, e spaesato guardo l’insegnante a poca distanza da lui. Lo stava fissando spazientito, mentre picchiettava nervosamente le dita sul suo libro di algebra.
« Mi scusi », borbottò Shinichi, rendendosi conto di non aver ascoltato nemmeno una parola fino a quel momento. Cercò di concentrarsi solo per non essere ripreso nuovamente, mentre a poca distanza da lui non si accorgeva di come Ran gli stava fissando preoccupata la schiena curva.
Erano tre giorni. Tre giorni dalla prima discussione in realtà, ma non si parlavano come si deve dal lunedì prima. Quindi quattro lunghi, infiniti, giorni.
Ran si morse un labbro, abbassando affranta il viso.
L’aveva fatta grossa, eccome. Shinichi non le rivolgeva parola da quel mercoledì mattina, e non faceva nemmeno il tragitto di casa con lei, nonostante vivessero nella stessa direzione. Ogni giorno a fine lezione la superava senza nemmeno guardarla, e spariva ancora un po’ zoppicando fuori dalla porta. Doveva ancora fargli male la botta di quel lunedì, pensò preoccupata, ma davvero non si osò chiedere. Aveva sperato più di una volta, non appena lo vedeva apparire all’ingresso dell’aula, che lui si voltasse e la salutasse, per poi iniziare e chiacchierare come se niente fosse. Tuttavia non era ancora successo e, ormai attanagliata dai sensi di colpa, aveva evitato anche lei di avvicinarsi per prima, troppo spaventata dal suo comportamento freddo.
C’era rimasto male, glielo si leggeva in faccia. E non aveva davvero il coraggio di affrontarlo e magari litigare nuovamente o, peggio ancora, sentirsi rifiutata. No, finchè non avesse visto da parte sua una qualche segnale, sarebbe rimasta da parte. Forse, in quel momento, aveva bisogno lui dei suoi spazi.
Tuttavia quell’ignorarsi a vicenda le faceva male. Da morire.
Le pareva di essere tornata a mesi prima, quando Shinichi non c’era. Da un giorno all’altro si era ritrovata nuovamente persa in mille dubbi e preoccupazioni, e anche solo raccontargli la sua giornata le mancava tantissimo. Avrebbe tanto voluto raccontargli dei suoi allenamenti con i bambini, o sfogarsi un po’ per la questione dei suoi genitori. E invece, niente.
Gli mancava così tanto. Eppure, se ci pensava ancora bene, si sentiva un po’ ancora delusa da lui e da come si era rivolto a lei quel martedì.
Scosse la testa energicamente, cercando di non pensarci ulteriormente. Dopotutto aveva anche un’altra questione a cui pensare: i suoi genitori.
Mancava ormai poco a quella domenica, e l’idea di quel pranzo ormai le mozzava il respiro. In quegli ultimi giorni aveva evitato accuratamente suo padre, solo per non incrociare il suo sguardo e leggerci dentro quella orrenda verità.
Ancora pensierosa quasi non sentì nemmeno la campanella, ma avvertì all’improvviso un brivido percorrerle la schiena senza apparente motivo. Un po’ confusa si guardò intorno, solo per intercettare due occhi blu fissarla, prima di cambiare rapidamente direzione. Vide così Shinichi sussultare, fino a poco prima intento a guardarla con espressione indecifrabile, e ora invece nuovamente seduto composto a guardare diritto davanti a lui. Incapace di fare alcunché, aspettò pazientemente il cambio d’ora e l’entrata in aula del nuovo insegnante, cercando perfino di non voltarsi verso Sonoko.
Quando aveva indagato sul perché avessero litigato, non aveva avuto davvero voglia di spiegarle l’intera storia. La solo idea di pronunciarla nuovamente ad alta voce le faceva salire la nausea, e comunque non poteva certo menzionare Conan con lei. Per cui l’aveva rassicurata con un sorriso maldestro, e lei non aveva più provato a chiedere. Tuttavia non avevano parlato poi molto in quei giorni, come se lei avesse paura di dire qualcosa di sbagliato.
Sospirò, e infine entrò in classe il professore di letteratura giapponese. Lo vide prendere posizione alla cattedra, e si impose di ascoltare almeno lui.
In tutta la mattinata, non aveva davvero capito alcunché delle lezioni precedenti.

Quando infine suonò l’ultima campanella, sospirò. Finalmente quella settimana era finita, e perlomeno non avrebbe più dovuto sopportare quella tremenda situazione imbarazzante con Shinichi.
Ciò nonostante, quando vide Sonoko iniziare abbastanza svogliatamente a sistemare i banchi e le sedie intorno a lei, raggelò sul posto.
Accidenti.
Era il loro turno di sistemare la classe, il venerdì. Si ricordava bene quando avevano instituito i giri delle varie pulizie del piano, e invece del corridoio o un’altra sala, quel giorno toccava a lei la classe.
A lei, Sonoko, Nakamichi e…
Chiuse gli occhi, maledicendosi. Era ovvio come l’ultimo componente di quel gruppetto non fosse altri che Shinichi, che in quel momento si era avvicinato alla cattedra con passo svogliato, e ora stava iniziando a pulire la lavagna dandole le spalle.  
Sì senti improvvisamente nervosa, e di scatto si alzò in piedi un po’ rossa in viso. Guardò Sonoko, solo per affiancarla velocemente e aiutarla ben distante da dove stava pulendo Shinichi.
« Che noia », sospirò affranto Nakamichi, impilando una su l’altra le sedie in un angolo.
« Ogni venerdì la stessa storia ».
Nessuno rispose, per il semplice fatto che gli altri tre presenti erano fin troppo tesi per questioni che sapevano solo loro. Si limitarono a fare un cenno del capo, e continuare in silenzio il loro compito. Solo dopo relativamente poco videro Shinichi sospirare, e dirigersi dondolandosi un po’ verso l’uscita.
« Vado a prendere le scope », disse distrattamente, e al suono della sua voce Ran sentì lo stomaco fare un balzo all’indietro.
Lo vide sparire oltre la porta, per poi tornare a pulire svogliatamente il banco davanti a lei.
« Non vi parlate ancora ».
Non era una domanda, e lo sapeva bene. Lanciò un’occhiata fugace a Sonoko, che le si era affiancata e le aveva mormorato quella frase all’orecchio, cercando di non farsi sentire da Nakamichi a poca distanza.
Ran negò con un cenno del capo, abbozzando un sorriso triste. Vide Sonoko mordersi un labbro, e dondolarsi sui piedi con un’espressione strana.
« … perché no? », chiese infine.
« Sonoko », sospirò Ran. « E’… complicato ».
L’amica non parve molto soddisfatta di quella risposta stentata, ma ben conscia di quanto fosse delicata la questione si zittì. Provò a farsi per una volta i fatti suoi, mentre il tarlo del dubbio si insinuava voracemente nella sua testa: c’era dell’altro? Sul serio non si parlavano ancora per quel battibecco avvenuto il martedì prima?
Le sembrò davvero strano, ma nuovamente preferì non intervenire nuovamente. Quando Ran avrebbe avuto voglia, lei sarebbe stata lì ad ascoltarla. Ma evidentemente era ancora troppo scossa per poterne parlare, ragion per cui era meglio lasciar perdere.
« Ma per caso vi siete lasciati? ».
Se avesse potuto, Sonoko avrebbe volentieri fatto volare dalla finestra Nakamichi e la sua proverbiale delicatezza. Sicuramente era il dilemma più in voga del momento in classe, per non dire nell’intero istituto. Ma nell’esatto momento in cui lo disse ad alta voce, a Sonoko si gelò il sangue.
Ebbe perfino paura di voltarsi in direzione di Ran, e quando infine lo fece, la vide immobile. A bocca aperta fissò Nakamichi, che ora si stava forse realmente rendendo conto di cosa avesse appena chiesto. Scese un silenzio così teso che Sonoko iniziò a chiedersi se Ran avrebbe mai dato risposta a quella domanda, finché, con ulteriore orrore, non vide tornare Shinichi con due scope in mano.
Subito dopo aver varcato la soglia, e aver avvertito una strana atmosfera, Shinichi diresse il suo sguardo verso il gruppetto a poca distanza di lui, e notò come tutti all’infuori di Ran che aveva la testa china, lo stessero fissando.
Non riuscendo a capire cosa accadesse, si sentì ben presto in imbarazzo sotto il loro sguardo insistente, così che con uno sbuffo tornò verso la cattedra.
« Se continuate così, non finiremo mai », borbottò scocciato, posando malamente una scopa lì a fianco. Iniziò così a spazzare in silenzio, chiedendosi quale fosse il nuovo problema. Aveva solo voglia di scappare di lì e allontanarsi da Ran la quale, continuando ad ignorarlo, non faceva che accrescere i suoi sensi di colpa.
Con sollievo sentì infine gli altri muoversi, e ricominciare a sistemare alle sua spalle.
Impiegarono relativamente poco, e appena quaranta minuti dopo, e nessun parola pronunciata, tutta la classe era perfettamente sistemata.
Con un sospiro, Shinichi si avvicinò al suo banco e prese la cartella, notando di tralice come Ran facesse lo stesso ma molto più velocemente di lui. Fu così che, mormorando un saluto generale, si diresse velocemente fuori dalla classe.
Abbastanza nervoso, Shinichi sistemò un ultimo libro rimasto sotto il banco, finché non vide Nakamichi fissarlo nuovamente con insistenza.
« Ho forse qualcosa in faccia? », sbottò seccato. « Continuate tutti a fissarmi ».
Sapeva bene che non era assolutamente quello il motivo, ma sperò che dicendo così lui si rendesse conto del suo malumore e lo lasciasse stare.
Mera illusione.
« … va tutto bene Kudo? », chiese titubante Nakamichi, avvicinandosi a lui. Ormai anche Sonoko era uscita, rincorrendo quasi la sua amica, ed erano rimasti solo loro due. La sua voce, in quell’aula, ormai praticamente rimbombava.
« Benissimo », mentì Shinichi, facendo per uscire.
« A me non sembra… ».
Il detective si bloccò, voltandosi infine verso Nakamichi, che ora si mordeva un labbro, indeciso sul da farsi. Non riuscendo a trattenersi ulteriormente, Shinichi si lasciò andare ad uno sbuffo spazientito.
« E’ solo uno stupido litigio, Nakamichi », esclamò esasperato. « Smettetela tutti di farne un affare di stato. Sì, vi sento, ogni volta che mormorate alle mie spalle », aggiunse quando vide il ragazzo arrossire con espressione colpevole.
« Ok, scusami », disse gesticolando. « Solo che anche prima quando ho chiesto alla Mori lei non mi ha risposto, e allora io… ecco… pensavo ch- ».
« Cosa hai chiesto a Ran? ».
Shinichi deglutì, stringendo saldamente la cartella nelle sue mani. Iniziò a sudare freddo, mentre notava lo sguardo grave di Nakamichi mentre tentennava davanti a lui.
« Beh », iniziò indeciso se dire la verità o meno. Davanti a lui Shinichi lo ascoltava con occhi sgranati, e per un attimo si chiese se era il caso di continuare. Ma quando notò l’impaziente nella smorfia di Shinichi mentre faceva un passo minaccioso verso di lui, gesticolò nervoso.
« Le ho solo chiesto se vi foste lasciati », disse tutto d’un fiato, arretrando.
Tuttavia Shinichi si immobilizzò, e lo fissò completamente smarrito. Preoccupato, Nakamichi lo vide impallidire sotto il suo sguardo, e ci volle realmente un po’ perché riuscisse a ribattere.
« … e lei non ti ha risposto? », disse con voce flebile.
Sentendosi quasi male per lui, Nakamichi negò sommessamente con un cenno della testa.
Lo vide deglutire, pallido all’inverosimile, per poi girarsi e camminare verso la porta senza aggiungere altro.
Era stata zitta.
Non aveva negato.
Shinichi si sentì davvero preso dal panico. Era davvero così furiosa con lui, quindi? L’idea che fosse realmente convinta di ciò che gli avesse detto, e che ora avesse perfino dei dubbi su loro due, lo lasciò senza fiato. 
Si sentì così perso che per un attimo non capì nemmeno contro cosa, o chi, avesse appena sbattuto appena fuori dalla classe. Un po’ spaesato, quando sentì un corpo premere contro il suo, alzò lo sguardo cercando un po’ di lucidità in quel momento così appannato.
« S-scusa ».
Avvertendo un brivido, si rese conto di aver appena sbattuto contro Ran, la quale ora si era ritratta e si fissava i piedi in evidente imbarazzo. Stralunato, Shinichi notò le sue guance imporporarsi, mentre faceva in tutti i modi per non guardarlo.
Le ho solo chiesto se vi foste lasciati.
E non aveva risposto.
Serrò la mascella, e conscio di non riuscire a non nascondere il suo sincero fastidio e la sua cocente delusione, la superò di fretta non rivolgendole parola. Non avrebbe potuto, in ogni caso. Gli mancava perfino la voce, e sentiva tutto il suo corpo dolergli mentre passo dopo passo la lasciava indietro. Perfino in un momento del genere, ogni fibra del suo corpo gli indicava di tornare indietro, abbracciarla e premere il suo corpo contro il suo. Come se non fosse abbastanza, di lei le mancava davvero tutto.
Perfino quello.
Il toccarla per sbaglio, o semplicemente sfiorarla mentre camminavano tranquillamente verso casa; la sua gestualità mentre chiacchierava con lui, e senza nemmeno accorgersene lo strattonava affettuosamente per un braccio. Per non parlare dei moti di affetto veri e propri: il prenderlo per mano quando tornavano a casa, lontani da tutto e tutti, e perfino quei baci timidi che gli regalava sulla guancia quando guardavano un film.
Tutto in quel momento gli pareva così lontano e distante che gli fece davvero male quando nella sua testa gli tornarono in mente tutti i momenti condivisi in quei mesi insieme. Era stato tutto così dannatamente bello, che quasi non sembravano neanche ricordi suoi, ma di qualcun altro.
Infine, come botta finale, gli tornò in mente bel altro.
Shinichi.
La sua voce che sospirava il suo nome lo fece avvampare, mentre finalmente si lasciava alle spalle il Liceo.
Si ritrovò a pensare che se solo avesse saputo di quella maledetta e orribile settimana, la domenica prima non avrebbe mai lasciato il letto, dove era rimasto con lei per tutta la notte. E, se fosse stato furbo, l’avrebbe tenuta a sé ancora un po’. Scuotendo la testa come per cancellare l’immagine di loro due avvinghiati in camera sua, uscì dal cancello così velocemente che sforzò fin troppo la coscia, che iniziò a pungere. Ma davvero non aveva intenzione di fermarsi, volendo solo lasciarla indietro, e insieme a lei tutti quei ricordi dolorosi.
Quando diavolo arriva domenica?!

 

***


Ran si guardò allo specchio, intenta ad aggiustarsi la camicetta appena finita di abbottonare. Era rimasta per più di mezz’ora davanti all’armadio alla ricerca del look giusto per quel pranzo, come se stupidamente da quest’ultimo avesse dovuto dipendere l’esito della giornata. Alla fine, dandosi mentalmente della sciocca, aveva afferrato quella camicetta a righe celesti, e una gonna di jeans nera che si sistemò in vita. Quando ebbe finito, si riguardò allo specchio per un’ultima volta.
Era arrivato quel momento, dopotutto.
Le pareva passata un’eternità da quando suo padre, particolarmente nervoso e scuro in volto, le aveva borbottato che dovevano parlarne. Dondolandosi sui piedi si guardò l’orologio al posto, che segnava minacciosamente le undici e mezza. Cercando di prendere coraggio, uscì finalmente dal bagno, raggiungendo suo padre che stava leggendo distrattamente il giornale seduto sul divano. Lo vide decisamente irrequieto, mentre la guardava arrivare e abbozzava un sorriso storto.
« Tutto ok? », chiese, e Ran avvertì una strana tensione scendere fra loro.
« Sì », replicò lei, facendo leva su tutta la sua forza di volontà per apparire tranquilla.
Il giorno prima era stata chiusa in camera sua praticamente tutto il tempo, solo per cercare di mettere realmente a fuoco l’intera faccenda. Dopo un’accurata analisi e parecchi ragionamenti discordanti, era arrivata alla conclusione che non avrebbe potuto davvero fare niente per sistemare le cose. E, forse, avrebbe dovuto semplicemente accettare tutto, e accettare che fosse davvero finita, fra loro. Al solo pensiero che i suoi genitori prendessero strade diverse, il suo stomaco si chiudeva così prepotentemente da lasciarla senza fiato, ma nuovamente si impose di non farsi prendere dal panico. Guardò immobile suo padre mentre alzava un sopraciglio, e le rivolgeva una strana smorfia. Pareva non avergli creduto davvero, e si chiese se la delusione fosse stata così palese in quei ultimi giorni. Eppure, pensò, aveva cercato in tutti i modi di celarla accuratamente, lasciandosi andare a sfoghi di pianti silenziosi solo una volta trovatasi in camera sua, lontana da tutto e tutti.
Mai come in quella settimana, oltre a mancargli Shinichi, le era mancato fra quelle quattro mura soprattutto Conan.
All’ennesimo pianto solitario del giorno prima, quasi aveva avuto la speranza di veder apparire sulla soglia di camera sua il suo fratellino, come spesso e volentieri accadeva quando era giù per qualche motivo.
Tuttavia, nessuno era apparso magicamente per consolarla. Aveva pensato tanto ancora a lui, e nuovamente era giunta alla conclusione di aver esagerato con Shinichi. Non avrebbe mai dovuto rinfacciargli di Conan, specialmente dopo averlo convinto con così tanta fatica che lo aveva davvero perdonato. Ed era così, solo… la rabbia l’aveva davvero fatta parlare a sproposito. Si ricordò con amarezza di come avesse voluto davvero ferirlo per ripicca quella mattina, e con suo estremo rimpianto c’era riuscita, eccome.
Stupida.
Aveva annotato mentalmente di sistemare le cose con lui non appena avrebbe affrontato i suoi genitori. Non poteva davvero sostenere entrambe le cose contemporaneamente, perciò aveva optato per lasciar passare almeno la domenica per poi prepararsi a chiedere scusa al suo ragazzo appena il momento sarebbe stato adatto.
Sebbene fra i suoi non fosse andata come voleva, così non voleva accadesse per loro due.
« Ma come sei carina ».
A riscuoterla dai suoi pensieri fu la voce dolce di sua madre, che solo in quel momento si accorse di aver di fronte, con espressione entusiasta e un vivace sorriso sulle labbra.
« Mamma », esclamò, e notò come suo padre avesse aperto la porta e ora entrambi i suoi genitori la aspettassero sulla soglia. Annuì al cenno del capo di suo padre, capendo che doveva davvero andare.
Era pronta.

« Non hai mangiato molto », commentò Eri con disappunto. Guardò di tralice la figlia, che per tutto il pranzo aveva a malapena spiluccato dal suo piatto. Per non parlare del fatto che avesse sì e no risposto a malapena a qualsivoglia discorso, preferendo tacere e lasciarsi andare ad occhiate nervosa e frequenti.
Eri Kisaki incrociò così lo sguardo di suo marito, che prontamente rispose arricciando il naso.
« Non ho molta fame », Ran provò a sorridere a sua madre, e cercò di mangiare almeno un po’ del suo pesce per evitare l’ennesimo rimbecco sulla sua eccessiva magrezza. Cadde così il silenzio al tavolo, e quando di tralice vide i suoi genitori lanciarsi un’occhiata eloquente, sentì lo stomaco contrarsi. Terrorizzata vide sua madre annuire a suo padre con espressione seria, e capì che doveva star per iniziare il loro fantomatico discorso.
Mandò giù il suo pesce e, non appena vide sua madre rivolgersi verso di lei aprendo la bocca di colpo, trattenne il fiato.
« Ran, tesoro », iniziò Eri con voce apparentemente dolce. « Tuo padre ti ha anticipato di come volessimo parlarti », continuò con gli occhi che le brillavano.
Ran posò le bacchette, annuendo piano. Non si osò guardare suo padre, per il semplice fatto che non voleva davvero vedere la tristezza sul suo viso. Era cosciente di quanto in realtà suo padre tenesse ancora a sua madre, e qualcosa le diceva che la decisione di quella definitiva separazione non fosse realmente sua.
« Me lo ha accennato », disse piano, incrociando il suo sguardo.
Eri si prese una pausa, guardando sua figlia attentamente. Si sentiva un po’ in imbarazzo, ma comunque provò a rimanere lucida e non lasciarsi andare ai sentimenti euforici che la stavano travolgendo.
« Dobbiamo dirti un cosa, Ran », disse infine, prendendo coraggio.
« Io e tuo padre vedi… le cose sono cambiate ultimamente », aggiunse cercando sostegno con lo sguardo da Kogoro, che al suono di quelle parole arrossì vistosamente.
« Lo immaginavo ».
Entrambi trasalirono, mentre la ragazza seduta fra di loro li guardava con gli occhi un po’ lucidi, e le mani che ormai stavano torturando il suo tovagliolo.
« … tu lo avevi n-notato? », balbettò Eri, e per poco non le si appannarono gli occhiali.
« Beh, no in realtà », si corresse Ran. « Però da come mi ha parlato papà, ho capito… », guardò suo padre alla sua destra, mentre quest’ultimo le rivolgeva un’espressione confusa.
« Mi dispiace tanto », la voce di Eri uscì così soffocata che questo non fece che aggravare il nodo in gola a Ran che, non riuscendo più a guardarli, abbassò il viso cercando davvero di non scoppiare in lacrime.
« Non è che non volessimo dirtelo », finalmente suo padre prese parola, schiarendosi la voce con fare nervoso.
« Però prima volevamo esserne certi, capisci? », lo interruppe Eri, sulle spine.
Ran, incapace di prendere parola, annuì flebilmente. Si portò una mano alla bocca, e senza poterci realmente far nulla, sentì un singhiozzo scapparle dalle labbra. Chiuse repentinamente gli occhi, e subito si sentì così stupida e immatura, che non osò guardare i suoi genitori. Certo doveva essere difficile anche per oro dirle una cosa del genere, e in quel momento le sue lacrime non avrebbero aiutato nessuno. Ma davvero non potè farci niente, e si ritrovò così a sentire in bocca il familiare sapore salato delle proprie lacrime far capolino lungo le guance. Il silenzio era diventato così teso che decise, con quel poco coraggio rimasto, di prendere finalmente parola.
« Scusate, non volevo davvero piangere », disse con voce tremante, continuando a non guardarli. « Se siete felici così, per me va bene… cioè, no, però lo accetto ».
Sospirò, cercando di darsi una calmata. Afferrò maldestra il tovagliolo, e se lo passò malamente sul viso per asciugarsi quelle dannate lacrime. Quando, dopo un attimo, ebbe nuovamente una visuale decente, guardò finalmente in viso i suoi genitori.
Rimase un attimo stordita quando incrociò i loro sguardi, e constatò come fossero… stralunati.
E… confusi?
« Ran », pronunciò lentamente Eri, afferrandole una mano titubante. « Io non credo di capire. Non sei… contenta? ».
« Contenta? », ripeté Ran totalmente sconvolta.
« Pensavamo di renderti felice », suo padre la scosse per un braccio, abbastanza in crisi.
« Felice? Come potevate pensare una cosa del genere?! », esclamò Ran scandalizzata, continuando a girare la testa da una parte all’altra del tavolo solo per ricevere in cambio due espressioni totalmente sgomente.
« Come potrei essere felice sapendo che divorzierete?! ».
Eri e Kogoro strabuzzarono così tanto gli occhi, che Ran ebbe il timore di vederli uscire fuori dalle orbite. Ben presto, tuttavia, la loro sorpresa creò dei sorrisi tiepidi sui loro volti, mentre iniziavano a fissarsi fra di loro. Dopo un tempo che le parve infinito, e loro che continuavano a guardarsi con espressione allusiva, Eri decise di prendere parola.
« Ran », ripeté, stavolta con tono deciso. Tornò a fissare sua figlia, che nel frattempo era rimasta congelata sulla sedia. « Devi aver frainteso ».
« F-frainteso? », ripeté balbettando, mordendosi un labbro.
Non può essere vero.
« Io e tuo padre non vogliamo divorziare », le spiegò accarezzandole la mano che fino a quel momento aveva tenuta nelle sue.
« In realtà, vorremmo… sì, insomma… vorremo tornare a vivere insieme ».
Eri si colorò deliziosamente di rosa, e così con lei ugualmente Kogoro. Evitarono di guardarsi ulteriormente, solo per non avvampare ancora di più. Dal canto suo, Ran rimase almeno due minuti in silenzio, mentre quell’ultima frase le rimbombava nella testa. Pensò di star sognando, e di aver perfino capito male. Ma quando, dopo un po’, sua madre riprese parola, capì presto che tutto fosse assurdamente reale.
« Da qual giorno contro quell’Organizzazione… beh, diciamo che abbiamo davvero rischiato tanto. Ma forse ci ha aiutato a capire quanto tempo stessimo sprecando. E lentamente abbiamo provato a farla funzionare, cercando di mettere da parte le incomprensioni e le differenze. Non è stato facile », sottolineò con un sospiro Eri. « Ma alla fine eccoci qui ».
« Non te lo abbiamo detto prima perché volevamo esserne certi », aggiunse a disagio Kogoro, grattandosi la nuca con fare nervoso.
« Non volevamo farti stare male, se non fossimo riusciti e trovare i giusti compromessi ».
« Ma tu, l’altro giorno », contestò flebilmente Ran, rivolgendosi a suo padre. « Quando mi hai detto che volevate parlarmi mi eri sembrato così… così… ».
« Ero nervoso », ammise Kogoro sulle spine. « Lo sai che non sono tipo da queste cose », borbottò infine distogliendo lo sguardo, le gote arrossate.
Ran rimase a bocca aperta, cercando di rielaborare velocemente tutte quelle informazioni appena apprese. Provò a calmare il suo tumulto interiore, provando a ripetersi l’unica frase davvero importante in quella settimana così orrenda.
Vorremo tornare a vivere insieme.
L’aveva desiderato da così tanto tempo, per così tanti anni, che non le parve davvero vero. E la felicità che ne conseguì fu così travolgente, così forte, che alla fine un profondo sorriso le si dipinse in viso.
« Quindi tornerai a casa? », domandò realizzando davvero la notizia.
« Sì », annuì Eri, con gli occhi leggermente lucidi.
Ran si sentì per la prima volta da una settimana a quella parte davvero leggera, e anche il solo respirare divenne così facile da farle prendere due profonde bocconate d’aria. Ancora completamente in quel turbinio di emozioni, guardò entrambi i suoi genitori con rinnovata felicità, mentre questi ultimi sorridevano praticamente bordeaux in viso.
« Dovete dirmi come è andata », saltò sulla sedia Ran. « Davvero, non mi sono accorta di niente ».
« Tu piuttosto », la voce di Kogoro si fece all’improvviso seria, mentre si voltava verso suo figlia e la guardava con la fronte aggrottata.
« Era per questo che eri così strana, questa settimana? », domandò confuso. « Perché pensavi davvero che stessimo per divorziare? ».
« Non pensavo che te ne fossi accorto », Ran abbassò il viso, mortificata. « Ho provato a far finta di niente, ma forse non mi sono impegnata abbastanza », ammise colpevole.
« Sono tuo padre », replicò offeso Kogoro. « Io mi accorgo quando qualcosa non va. Solo non pensavo certo questo. Pensavo che quell’idiota di detective ti avesse fatta arrabbiare, e aveste litigato », alzò gli occhi al cielo, irritato anche solo di nominarlo.
All’improvviso, il pensiero di Shinichi si fece largo in Ran come un fulmine a ciel sereno. Fu così che le morì repentinamente il sorriso sulle labbra, e nella sua testa si fece largo un dubbio prepotente.
Credo che tu ti stia sbagliando.
Quel tono, quel sorriso, quell’espressione di chi sa sempre tutto, in anticipo rispetto a tutti.
Il viso di Shinichi iniziò a volteggiarle in testa, e i suoi genitori nemmeno se ne accorsero, presi com’erano dal parlare di qualcosa che nemmeno stava ascoltando.
Shinichi.

Finirono il pranzo con un dolce che faticò a mandare giù, nonostante il peso enorme che si era appena tolta dallo stomaco. Perché ora, ad attanagliarla, era ben altro.
Magari vogliono solo parlarti di altro.
Aveva sperato con tutto il cuore di alzarsi in fretta da quel ristorante, solo per potersi rintanare in camera sua con una qualche scusa banale, e ragionare su cosa avesse realmente combinato. Così, per tutto il tragitto verso casa, e la pioggia che cominciava a fare rumore sopra il suo ombrello a fiori, si era persa nei pensieri più vari, mentre i suoi genitori ancora e ancora chiacchieravano di qualcosa a lei ignoto. Annuiva di tanto in tanto, avvalorando talvolta la sua attenzione con una risata alquanto falsa. Di cose stesse ridendo, non ne aveva la minima idea.
Parli come se non facessi altro che deluderti.
Le salì la nausea al solo ricordo della sua voce grave, mentre le poneva quella frase così orribile. E lei aveva perfino osato rispondergli avvalorando questa sua affermazione!
Si sentì improvvisamente male.
Tutto tornò così velocemente al suo posto, che le girò la testa.
Lui lo sapeva. Certo che lo sapeva.
Per quello aveva provato a dissuaderla, per quello era stato così distaccato. Tutte le sue domande stavano avendo passo dopo passo una risposta, e ad ognuna di esse avvertiva il senso di colpa comprimerle un po’ di più il petto.
« Ran? ».
A riportarla alla realtà fu la voce di suo padre, e solo in quel momento si accorse di essere in cima alle scale di casa sua. Kogoro stava ancora tenendo una mano sopra la maniglia, come ad incitarla ad entrare. Tuttavia, Ran rimase immobile sul posto, in mano ancora l’ombrello fradicio che stava bagnando il pianerottolo.
« Tesoro, cosa c’è? », Eri sbucò appena oltre la spalla di Kogoro, guardandola preoccupata.
« Io… devo andare ».
Eri e Kogoro alzarono un sopraciglio, mentre si scambiavano un’occhiata preoccupata.
« E’ che io… ecco », non sapeva davvero cosa dire, così sputò la prima bugia che le venisse in mente. « A-avevo promesso a Sonoko di andare da lei, oggi. Possiamo parlare nei prossimi giorni? », domandò per nulla convincente.
« Ma sì, certo », rispose Eri, afferrando appena in tempo il braccio di Kogoro e stringendoglielo come a volergli far capire di stare zitto. L’uomo, infatti, non pareva molto contento della decisione di Ran ma, a quella stretta allusiva, si zittì.
Guardò in direzione di Ran solo per vederla lanciargli un sorriso triste, e sparire velocemente giù per le scale con l’ombrello che ad ogni scalino emetteva un suono sordo. Un po’ riluttante chiuse la porta, e si girò lentamente verso sua moglie.
« Lo sapevo », sentenziò cupo. « Deve aver litigato con quel ragazzino ».
« E’ tutta la settimana che piange di nascosto in camera », aggiunse, stringendo i pugni.
« Forse era perché aveva frainteso tutto », obiettò Eri, provando a calmare suo marito. Ma quando si trattava di Ran e Shinichi, qualcosa nel suo cervello davvero non funzionava correttamente.
« Forse », disse lui con una smorfia. « Ma forse c’entra. Ormai so quando sta male per lui », concluse amaramente.
Era vero. L’aveva vista piangere talmente tante volte, che ormai non aveva più segreti per lui. E, sebbene come investigatore non avesse più tutto il successo di una volta, pensò amaramente che quella di Sonoko era stata davvero la bugia più mal riuscita di sua figlia.
Lei stava correndo da lui.

 

***


Ran non si ricordava davvero l’ultima volta che aveva corso così velocemente. Più di una volta le mancò il fiato, per non parlare degli innumerevoli momenti in cui rischiò di scivolare sul terreno bagnato dall’incessante pioggia che ormai stava scendendo su Tokyo. Tuttavia non se ne curò molto, continuando a stringere fra le mani quel suo ombrello quasi sgualcito, così come non si interessò se ormai quest’ultimo la riparasse ben poco. Forse i capelli erano ormai un po’ bagnati, e avvertiva anche la camicetta un po’ troppo appiccicata sulla schiena. Ma quello era davvero l’ultimo dei suoi pensieri, mentre imboccava finalmente la via di casa di Shinichi e, dopo poco, si posizionava di fronte al cancello della sua imponente villa.
Sentiva il cuore batterle così forte nel petto, che pensò davvero di non potersi trattenere ulteriormente.
Doveva chiedergli scusa, farsi perdonare, tornare da lui. Non le importava nemmeno se avrebbe fatto il distaccato come quegli ultimi giorni a scuola, né si lasciò intimidire da un possibile rifiuto. Tutto ciò che voleva era sistemare le cose, abbracciarlo e sentire i suoi capelli formicolarle la fronte mentre ridevano insieme di qualcosa di irrimediabilmente stupido.
Senza esitare ulteriormente schiacciò il campanello almeno tre volte di fila, non riuscendo davvero a contenere la sua impazienza. Ormai l’acqua scendeva così forte da annebbiare la sua visuale, e perfino la voce al citofono le parve lontana. Sotto lo scroscio rumoroso dell’acqua non sentì nemmeno cosa le disse attraverso l’apparecchio, e nervosamente si avvicinò ulteriormente solo per potersi far sentire.
« Shinichi! », esclamò con voce grave, sentendosi a malapena sotto quella pioggia incessante. « Aprimi, per favore ».
Al suo fianco vide il cancello aprirsi di scatto, e senza indugiare ulteriormente vi entrò. Lo chiuse distrattamente e, quando si voltò per dirigersi verso l’entrata, vide una figura sulla soglia di casa. Sebbene la pioggia e la nebbia intorno a lei non le rendesse chiara la visuale, capì di essere ormai a poca distanza da lui. E, prima che potesse ragionare o pensare alle parole giuste da dire, chiuse gli occhi e strinse l’ombrello fra le sue mani.
« Sono stata una stupida! », esclamò urlando sopra la pioggia, e sperò vivamente che lui l’avesse sentita. Mantenne gli occhi chiusi solo per paura di intravedere la sua espressione e, non osò davvero pensarci troppo, un suo eventuale rifiuto. Tuttavia ciò che accadde la lasciò davvero scombussolata, per il semplice fatto che quando lui la afferrò per le spalle, un campanello d’allarme le rimbombò nella testa. Quella non era la sua presa, né le sue mani. Un po’ confusa aprì gli occhi, e solo in quel momento si rese conto di chi le avesse afferrato le spalle con espressione preoccupata.
« Ran, stai tremando! Entra, per favore ».
Ran non osò pronunciare ulteriore parola, mentre si lasciava trascinare per un braccio da quell’uomo di fronte a lei. Sentì immediatamente le guance imporporarsi e quando, infine, si ritrovò nel caldo e confortevole ingresso di casa Kudo, non ebbe il coraggio davvero guardare chi avesse di fronte.
Posò in imbarazzo l’ombrello a terra con mani tremanti, per poi continuare a mantenere lo sguardo ancorato al suolo.
« Chi era? », sentì la voce familiare di una donna appena oltre la soglia, e subito dopo vide far capolino quest’ultima appena dietro l’angolo.
« Ran! », esclamò Yukiko, guardandola sorpresa. « Tesoro ma sei bagnata », si avvicinò a lei, tastandole la schiena.
« Non è niente », mormorò arrossendo, non riuscendo ancora a guardare l’uomo alle sue spalle.
« Vieni, devi toglierti questa camicetta », sentenziò Yukiko, cingendole le spalle con un braccio.
Yusaku Kudo, appena dietro di loro, guardò la scena rimanendo immobile sull’uscio di casa. Aspettò che quest’ultime sparissero dalla sua vista, prima di seguirle con un sospiro.
Sono stata una stupida!
Decise nell’immediato di far finta da lì in avanti di non averla sentita urlare disperatamente sotto la pioggia, semplicemente perché non era davvero sua intenzione farla sentire a disagio. Decisamente, l’acquazzone non era stata dalla sua parte, e in fondo lui e suo figlio erano davvero molto simili.
Sorrise amaramente fra sé.
Perciò davvero stavolta tu non avevi combinato niente, Shinichi.

 

***


E’ ovvio che stiamo insieme!
Sul volto di Ran si formò automaticamente un sorriso profondo, mentre un leggero calore le colorava le guance di rosa. Chiuse gli occhi, scuotendo energicamente la testa, mentre continuava a tenere saldamente in mano il suo telefono. Era sdraiata a pancia in su sul suo letto, mentre trasognata rileggeva per l’ennesima volta quelle cinque parole. Ormai era passata una settimana dalla gita, ma spesso tornava a quel messaggio solo per ricordarsi come non si fosse assolutamente sognata tutto, ma effettivamente fosse successo ogni singolo momento che l’aveva resa così immensamente felice. Soddisfatta sospirò meravigliata, riguardandolo un’ultima volta. Tuttavia, quando sentì bussare alla porta accuratamente chiusa, sobbalzò e di istinto si portò il telefono dietro la schiena. Visibilmente rossa in viso si mise seduta sul letto, e cercò di apparire tranquilla.
« Avanti », disse sulle spine.
« Ran-neechan? ».
Quando sentì la voce del suo fratellino, si rilassò un poco. Il pensiero che suo padre scoprisse di lei e Shinichi la rendeva piuttosto nervosa, e davvero non voleva fargli capire assolutamente nulla. Quando il viso di Conan fece capolino in camera, gli sorrise dolcemente.
« Sì Conan-kun? ».
« Mi chiedevo dove fossi », disse lui sorridendo. « Di sotto e in cucina non c’eri », spiegò a mo di scuse.
« Sì, scusami », rispose Ran alzandosi in piedi. « Dovevo fare dei compiti per domani. Ti va se facciamo merenda insieme? ».
Conan annuì energicamente, cercando di nascondere la sua crescente curiosità. Non gli era davvero sfuggito il rossore sulle sue gote, men che meno il sorriso sognante che aveva stampata in viso. Continuando a far finta di niente, la guardò ancora mentre, canticchiando, usciva dalla sua camera sorpassandolo. La vide dirigersi in cucina, e contento notò come fosse davvero di buon umore in quei giorni.
Dopotutto, lo era anche lui.
Il ricordo della gita era ancora così fresco a nitido da lasciarlo spesso trasognante, seppur anche un po’ preoccupato. A mettere un po’ in ombra quel momento così bello, spesso era il ricordo di suo padre che gli rivelava il nome del capo dell’Organizzazione.
Karasuma.
Un brivido gli attraversò la schiena, mentre si mordeva un labbro nuovamente preoccupato.
Sta per iniziare il momento cruciale, Shinichi.
Aveva ragione suo padre. Sentiva davvero di essere finalmente ad un passo dall’epilogo di quell’assurda vicenda. E sebbene sul momento l’eccitazione l’aveva reso euforico, al solo pensiero ora avvertiva la paura avvolgerlo.
Conan Edogawa scosse vigorosamente la testa, cercando di rimuovere le preoccupazioni e le ansie accumulate. E, proprio in quel momento, vide abbandonato sul letto il telefono di Ran.
Si maledisse quando lo intravide, e immediatamente la curiosità lo travolse.
No. Non puoi.
Sentì le mani prudergli, mentre i suoi piedi si muovevano silenziosamente da soli verso il letto.
Non puoi davvero leggerle i messaggi.
Ancora un passo, e fu di fronte a quel telefono che lui stesso le aveva regalato un vita prima.
Però lei… era rossa in viso prima. Perché lo era?
Il tarlo del dubbio si insinuò nella sua testa, lasciandolo basito.
Forse… gli ha scritto qualcuno? Di scuola?
Come un automa, allungò la mano e acchiappò il telefonino, stringendolo nella sua piccola mano. Rimase immobile, per poi lasciarlo cadere velocemente sul letto, arretrando.
Sei orribile se le leggi i messaggi. Si può sapere cos’hai che non va?
Rimase ancora lì, in piedi e con il broncio, continuando a ripetersi di andare via prima che Ran tornasse indietro e si accorgesse di cosa stava facendo.
« Conan-kun? ».
Trasalì, non appena la sentì dietro la spalle. Rapidamente si voltò verso di lei, notando immediatamente la sua espressione confusa mentre teneva in mano due coppette di gelato al cioccolato.
« Cosa fai? », domandò lei un po’ dubbiosa, studiandolo in viso.
« I-io », balbettò Conan, cercando nel suo cervello una scusa abbastanza plausibile.
« E’ che ho visto che ti era caduto il telefono per terra, così te lo ho rimesso sul letto ».
Ran alzò un sopraciglio, accorgendosi solo in quel momento di non avere effettivamente con sé il cellulare. Si chiese quando le fosse scivolato, non avendo davvero sentito il rumore, ma pensò che forse era ancora troppo sovrappensiero per potersene accorgere. Alzando le spalle diede per buona la scusa di Conan, e come se niente fosse gli porse la coppetta.
« Tieni, prima che si sciolga », sorrise dolcemente, mettendosi poi seduta sul letto.
« Vieni qui con me? », domandò poi guardandolo ancora in piedi, e con una strana espressione sollevata sul viso.
Infine Conan annuì, raggiungendola e sedendosi al suo fianco. In silenzio cominciò a mangiare il suo gelato, continuando a lanciare occhiate curiose al telefono ancora a poca distanza da Ran. Come se fosse fatto apposta, in quel preciso momento quest’ultima trasalì come colta da un improvviso pensiero, mentre posava velocemente la sua coppetta sulle gambe e lo scuoteva per una spalla.
« Conan-kun, mi stavo quasi dimenticando », disse acchiappando il telefono alla sua sinistra. « Guarda la foto che abbiamo fatto con Keiko Kurachi! Me l’ha mandata Sonoko oggi ».
Conan, per nulla curioso considerando che l’aveva conosciuta anche lui e risolto addirittura un caso con l’attrice coinvolta, si sporse cercando comunque di mostrare sorpresa. Ran aprì il telefono, porgendosi anch’essa verso di lui, in modo da fargli vedere. Tuttavia, nel preciso momento in cui accese il cellulare, avvampò.
Quest’ultimo, infatti, le restituì l’esatta schermata che aveva lasciato in sospeso appena pochi minuti prima, e che nella fretta si era scordata di togliere.
Rimase un attimo imbambolata, mentre davanti a loro due il messaggio di Shinichi illuminava lo schermo e faceva sgranare gli occhi al bambino alla sua destra.
Scema.
Ran aprì la bocca, notando come Conan stesse ormai leggendo.
E’ ovvio che stiamo insieme.
« S-scusa! », esclamò facendo sobbalzare, mentre con foga schiacciava il tasto per tornare indietro. Con mano un po’ incerta e il viso accaldato, provò ad entrare nella galleria delle foto e, sempre un po’ nervosa cercò la foto, sperando di poter distrarre Conan con quest’ultima. L’idea che avesse letto il messaggio di Shinichi la imbarazzò così tanto che non osò nemmeno guardarlo in faccia, preferendo continuare incessantemente a cliccare sul telefono nella sua spasmodica ricerca.
« E-eccola! », fece una risatina nervosa, girando il telefono verso di lui.
Conan, dal canto suo, nemmeno la guardò davvero la foto che le stava porgendo in quel momento. Sorrise leggermente, cercando di contenere l’esplosione di euforia che stava avendo luogo in quel momento nella sua pancia.
Rispose qualcosa circa la foto, e continuando a far finta di niente la ascoltò mentre lei gli rispondeva a continuava raccontandogli aneddoti sul caso avvenuto in gita.
Aveva fatto bene a non leggerle il telefono, dopotutto. E cercò di appuntarsi nella testa che, da lì in avanti, non avrebbe davvero più dovuto dubitare del suo buon umore, o del suo rossore sulle guance. Perché, molto probabilmente, era solo ed esclusivamente collegato a lui.

   
 
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