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Autore: xCheshireCats    21/06/2020    5 recensioni
Quando sono con lei mi sente meglio: un po’ meno triste, un po’ meno solo. Più felice.
[Adrien!Centric] [partecipa al contest #MiraculousLockdown]
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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On My Own

Sometimes I wonder
where I’ve been, who I am
do I fit in?
Make belivin’ is hard alone
out here, on my own

[Nikka Costa, On My Own]

 

Provo un senso di smarrimento ogni volta che metto piede nella mia camera da letto: è un totale spreco di spazio, per me, che non apprezzo la solitudine.
A essere onesto è un sentimento che mi sta stretto, non mi è mai piaciuto e mai comprenderò come alcune persone possano decantarne certi aspetti.
In tutta la mia vita non ho mai apprezzato la possibilità, da qualunque punto di vista la si guardi, di rimanere solo, soprattutto in uno spazio così grande: mi sento piccolo, come un topolino relegato in una gabbia gigantesca e piena di giocattoli. La verità è che le uniche cose a farmi compagnia sono le mie insicurezze e angosce.
Ho troppi pensieri per la testa.
Dov’è mia madre? Perché non è qui ad abbracciarmi?
Perché mio padre mi ignora? 

Vorrei davvero meno spazio, immagino non sentirei la sensazione di assoluto isolamento che la mia camera da letto mi provoca. In alternativa, vorrei riempire lo spazio con la compagnia dei miei amici.
Ma avrebbe senso? Loro conoscono Adrien Agreste, quello del marchio di fabbrica, che sottostà alla tabella di marcia di Nathalie; quello docile, che non si arrabbia mai quando suo padre non si presenta per pranzo o per cena; quello che non fa mai battutacce orribili a cui nessuno riderebbe.
Non sono davvero io, quello, ma è anche vero che quando ti dicono per così tanto tempo di essere diverso dagli altri, allora finisci per crederci. Ti isoli da solo, perché ciò che realmente sei non si confà alla tua immagine.
Fare affidamento al mio vero io, come quando indosso le vesti di Chat Noir, non sarebbe quindi la soluzione. Rovinerei l’immagine che mio padre ha plasmato per me nel corso degli anni; rovinerei il marchio Agreste.
Ecco, lo sto facendo ancora: non riesco a smettere di rimuginare quando sono da solo.
Mi sto consumando prematuramente con le belve che ho in testa: si calmano solo durante le lezioni o mentre combatto il crimine in tuta nera.
Sono stanco e stufo della solitudine che mi grava sulle spalle.
Mi butto sul letto e non trattengo le lacrime, e proprio quando penso di aver bisogno di un abbraccio, Plagg mi si siede sulla testa.
Devo ammettere, tra un singhiozzo e l’altro, che per quanto Plagg non sia in grado di riempire il vuoto che ho dentro, qualche volta la situazione è in grado di alleggerirla.
Non è di molte parole in questi casi, è un tipetto sanguigno e impulsivo che, quando riesce, evita di inoltrarsi in argomenti che non sono la sua specialità, come ad esempio quello del sostegno e del conforto.
Per quanto Plagg certe volte sia incapace di dimostrare il suo affetto, gliene do merito: il fatto che si sia avvicinato, seppur sempre ingozzandosi di Camembert, mi dà il calore necessario per asciugarmi le lacrime e girarmi verso di lui con un sorriso dolceamaro.
“Ti va se mi trasformo un po’, Plagg?”
Plagg ingoia un altro bel pezzo di formaggio e non contesta il fatto di dover essere risucchiato dall’anello, ma mette le cose in chiaro: “basta che per quando torniamo mi fai trovare uno di quei panini ripieni di formaggio della pasticceria di Marinette.”
“Vecchio volpone”, lo apostrofo, prima di procedere con la trasformazione.
Ho bisogno di aria fresca. Sotto Natale le strade di Parigi sono sempre piene di persone, un via vai incredibile di borse e pacchetti regalo da fare ai propri cari. Non mi è concesso tale privilegio, ma sono instancabili l’attesa e l’aspettativa che ho per il regalo che Marinette sicuramente mi farà.
Lei è così… Speciale. È sempre buona e gentile, forse un po’ impacciata, ma fa parte del suo essere. Quando sono con lei mi sente meglio: un po’ meno triste, un po’ meno solo. Più felice.
Mi metto comodo sul tetto di un palazzo e inizio a canticchiare. “Little Kitty on a roof, all alone without his lady…”, il cielo è sgombro di nuvole e il Sole è alto nel cielo. “...sitting with the moon, while his mind is going crazy...
E a proposito di lady e di persone che mi fanno sentire meglio, Ladybug atterra sullo stesso tetto su cui mi trovo io e mi si siede accanto.
“Buonasera, Milady.”
“Buonasera, Gattino.”
Non ha prezzo sentire la sua voce. Non ha prezzo vederla all’opera in prima persona. Non ha prezzo poterci collaborare. Mi capita, a volte, di chiedermi cos’abbia fatto di così speciale da meritare la presenza di Ladybug nella mia vita. Poi lei appoggia la testa sulla mia spalla, rilassata e fiduciosa come non mai. Inclino la testa sulla sua, i capelli neri a solleticarmi il viso, il dolce profumo di biscotti a stuzzicarmi le narici.
Oggi è un triste anniversario e lei se n'è ricordata, come sempre.
È un dolore fisico quello che provo quando ripenso a mia madre che non c'è più: è come se il mio stomaco si fosse trasformato in un puntaspilli e fosse il centro nevralgico di ogni singolo muscolo o tendine del corpo.
“Tua mamma sarebbe fiera di te.”
Deve aver notato la mia inquietudine, perché allontana la mano che mi sono portato allo stomaco e mi sorride con amore indicibile. Fa male il pensiero che Ladybug porti lo stesso sorriso meraviglioso di mia madre.
“Grazie. Lo credo anch’io”, sussurro piano, mentre mi immergo con piacere in quei suoi occhi così blu da sembrare due profondissime pozze d’acqua.
Poi lei con tenerezza mi accoglie tra le sue braccia calde e confortevoli, e l’unica cosa che mi sento di fare ora è crogiolarmi nel suo meraviglioso abbraccio. Anche con Ladybug mi sento meno solo, meno triste e sì, decisamente più felice.
“Oggi Chloè ne ha combinata un’altra delle sue” scherza Ladybug, come a voler sdrammatizzare una dolorosa realtà. “Ha preso di mira la povera Nadja Chamack, in diretta televisiva.”
“Ah, sì?” le chiedo. Non che sia realmente interessato a sapere come sia andata, considerando che ho seguito la diretta in prima persona. In realtà, mentre Ladybug mi spiega tutti i minimi dettagli sul come sia riuscita a non far Akumizzare Nadja, ripenso alla mia amica Chloè.
Anche lei, come me, ne ha passate tante, così tante che vorrei tanto prendere per le spalle Ladybug e chiederle: amica mia, ti sei mai domandata come ci si sente a vivere una vita di solitudine? sei mai stata lasciata indietro dagli altri, nonostante ti sforzassi di mantenere il passo?
Ammetto che Chloè sia tutto fuorché una ragazzina innocente, ma se è arrivata a tirare fuori gli artigli di fronte agli altri, è perché altri prima di lei hanno deciso di distruggere tutto ciò che aveva di più importante, a partire dalla famiglia.
Sotto quel comportamento da ragazzina viziata c’è solo un cucciolo riottoso e insofferente che ha bisogno di attenzioni.
“Comunque l’ho riaccompagnata a casa” aggiunge lei, con quel sorriso genuino da far perdere la testa. “E abbiamo parlato un po’.”
“Le hai dato una seconda possibilità?” le chiedo, piacevolmente sorpreso.
Ladybug dà un pizzico alla campanella d’oro che porto al collo, con fare giocoso e astuto che, con tutta onestà, mi fa impazzire.
“Sì. Sebbene si conosca la sua identità, non detiene il Miraculous dell’ape. A meno che Papillon non decida di tenere in ostaggio tutti i portatori ogni volta che sguinzaglia un’Akuma, dubito possa prevedere a chi consegnerò i Miraculous.”
“A patto che…?” la incoraggio a continuare. Sono sicuro che per Ladybug non sia stato facile decidere di dare una seconda possibilità a Chloè, nonostante quest’ultima abbia provato a impossessarsi di tutti i Miraculous.
“A patto che si comporti bene e che non si aspetti il Miraculous ogni volta che c’è un’Akuma.”
Sorrido mestamente. “Lo sai che Chloè non cambierà mai, vero?”
“Certo, che lo so. Non mi aspetto che cambi, ma mi aspetto che migliori.”
Sono esterrefatto, lo ammetto, ma neanche più di tanto. Ladybug è sempre stata in grado di sorprendermi, dunque come premio le lascio un bacio tra i capelli. “Sono fiero di te, Insettina”, mormoro in un largo sorriso. Ha quel profumo dolce di biscotti che mi manda in estasi come poche cose. “Ti andrebbe, non so… Di accompagnarmi nella pasticceria che c’è qua dietro? Ho promesso a Plagg un panino col formaggio.”
Lei si irrigidisce un po’ tra le mie braccia. “Intendi quella dei Dupain-Cheng?”
“Sì. È un problema, per te?”
In cuor mio spero davvero di no, ma Ladybug rifugge lo sguardo altrove: sulla folla di passanti o, chissà, sulle luci natalizie che abbelliscono Parigi. 
“Non posso venire alla pasticceria, e tu non dovresti andarci, almeno non come Chat Noir. Non dovremmo neanche farci vedere insieme come stiamo facendo ora”, mi rimprovera. Poi, addolcendo i lineamenti del viso e ammorbidendo la voce, aggiunge: “è un’eccezione che io sia qui. Mi sembrava giusto starti vicino.”
Mi impegno a sorriderle, ma non nascondo che il mio cuore abbia fatto crack
Questo è il lato oscuro dell’essere un supereroe: i segreti del tuo alterego prendono diversa forma e diverso peso. Ho la libertà di potermi trasformare e girare libero per Parigi, ma alcune volte il senso del dovere mi allontana più che mai dall’unica persona che amo. Avrei voluto condividere con Ladybug qualcosa di più che un semplice “ben fatto” a fine missione. Avrei voluto portarla a mangiare un gelato o, che so, raccontarle qualcosa di mio. Invece, l’unica verità che mi sono lasciato sfuggire qualche anno fa, è che ho perso mia madre.
Una delle più tristi, insomma. Ricordo bene la curva del sorriso di Ladybug scendere verso il basso, quando mi sono sfogato con lei. Era una giornata no e pioveva, il classico scenario da film drammatico.
“Va bene”, le dico. “Non importa, Ladybug. Sarà per un’altra volta.”
Sono sincero: al mondo non c’è regalo più bello delle sue attenzioni e cure nei miei confronti.
Mi alzo, le lascio un bacio a fior di labbra sul dorso della mano e me ne vado con un balzo.
Mi nascondo dietro un cespuglio e rilascio la trasformazione.
“Allora?! Il mio pane?!” non tarda a protestare Plagg.
“Tranquillo. Ora andiamo” lo rassicuro. “Ladybug mi ha intimato che non è professionale da parte mia entrare in una panetteria nelle vesti di Chat Noir.”
“E ha ragione”, puntualizza lui.
Passiamo il resto del tragitto in silenzio: Plagg immerso in qualche suo sogno ad occhi aperti col Camembert, io nel ricordo atroce del giorno in cui mia madre è scomparsa.
A volte mi chiedo se sia normale che, a distanza di tutti questi anni, il ricordo che ho di lei sia così nitido nella mia mente, così tanto che certe volte mi sembra di riviverlo, con i suoi baci leggeri e i suoi gesti affettuosi.
Per fortuna c’è Nathalie. Sarà anche l’assistente di mio padre, ma è grazie ai suoi timidi e contenuti sorrisi che mi sento ancora parte integrante della famiglia. E che dire delle sue concessioni clandestine nei miei confronti, per garantirmi la libertà che merito? Lei, almeno, sa che non sono un uccellino da tenere in gabbia: mi copre se ho bisogno di una pausa con i miei amici.
Tutto questo pensare mi ha portato a destinazione: entro nella pasticceria Dupain-Cheng, ma ci rimango un po’ male per l’assenza di Marinette dal negozio. Non mi ero reso conto di avere un bisogno essenziale di vederla.
Non riesco a trattenermi, dunque aspetto il mio turno con impazienza e quando finalmente tocca a me, chiedo a Madame Cheng: “Marinette non è in casa?”
Lei mi sorride con tenerezza, prima di rispondere. “Sei Adrien Agreste, vero? Sì, Marinette è in casa, puoi andare a trovarla”, mi assicura. Poi aggiunge, senza aspettare una mia risposta, come se per lei fosse scontato che sarei salito: “tesoro, non andare a mani vuote, tieni, prendi quello che vuoi”. Da dietro il bancone, con le pinze in mano, prepara un vassoietto da riempire.
Osservo la vetrina ricca di prodotti da forno davvero deliziosi.“Vediamo…” sussurro indeciso. Prima di tutto indico i panini al formaggio per Plagg. “Due, per favore”, poi controllo il lato dolci e chiedo: “c’è qualcosa tra questi che potrebbe piacere a Marinette?”
Madame Cheng sorride e con naturalezza aggiunge nel vassoietto una decina di Macaron dai gusti misti.
“Oh, lascia stare" mi dice perentoria, quando tiro fuori il portafoglio e mi avvicino alla cassa. “Vai su e basta, sono sicura che le farà piacere questa visita. E corri, prima che ti localizzi Tom!”
Le sorrido con riconoscenza prima di dirigermi verso la tromba di scale. Madame Cheng e Tom Dupain sono davvero due persone deliziose, me l’hanno dimostrato quando, nei panni di Chat Noir, mi hanno invitato a un brunch da loro. Mi hanno trattato con i guanti d’oro, come fossi stato un loro figlio. Non avrei mai immaginato che la famiglia di Marinette fosse tanto accogliente. Ho davvero fatto bene a sgattaiolare fuori di casa. Do un panino al formaggio a Plagg, intimandogli di non fare disastri, prima di avvicinarmi alla botola chiusa che porta in camera di Marinette. Batto un paio di colpi sul legno e mi annuncio: "Marinette, sono Adrien!"
Dal soffitto percepisco dei passi veloci, come se Marinette stesse pestando i piedi per tutta la camera in maniera concitata. Ma che combina?!
"Ehm, Marinette?!", la sollecito, quando sento sbattere qualcosa.
Lei poi spalanca la botola con un sorriso smagliante, le guanciotte rosse e il suo solito modo di fare… Impacciato. "Aaaadrieeeen, qual buon vento!"
"Buongiorno Marinette, spero di non averti disturbata. Stavi facendo qualcosa di importante?", le chiedo preoccupato.
"Oh, no no, figurati Adrien…" mi assicura, mentre procedo a superare la botola e sedermi sulla Chaise Longue. "Non mi aspettavo questa visita. Co-come mai sei qui?"
"Avevo voglia di uno spuntino" le dico, porgendole il vassoietto pieno di tutte le delizie che Madame Cheng mi ha affidato. "E anche di vederti", ammetto.
La sua reazione, però, mi lascia alquanto perplesso: non dice una parola, ma continua a fissare il vassoietto in questione, in particolare i panini al formaggio che le ho portato, e poi me, poi di nuovo i panini al formaggio e poi di nuovo me. "C'è qualcosa che non va?" le chiedo preoccupato. Avrò fatto qualcosa di sbagliato? Sembra annaspare sotto il mio sguardo, come fosse un pesciolino fuori dall'acqua. Sta diventando tutta rossa in viso.
"I-io… I-o… sì, bene… tutto. Cioè, tutto bene!"
A me non sembra vada tutto bene, e quando sto per chiederle ancora se c'è qualcosa che non va, lei aggiunge: "sono felice tu sia venuto a trovarmi!"
Le sorrido con piacere, prima di prendere un Macaron al frutto della passione e assaggiarlo: è davvero buonissimo, il mio preferito. Dovrei proprio fare un abbonamento alla pasticceria Dupain-Cheng, peccato solo che mio padre tenga alla mia dieta molto più di quanto interessi a me.
Anche Marinette si siede sulla Chaise Longue e inizia a mangiucchiare con calma. Mi sembra sempre un po' nervosa in mia presenza, e non riesco davvero a capire come mai. La guardo di sottecchi e scopro che anche lei fa lo stesso con me. Ridacchiamo imbarazzati.
"Allora, come…" inizia lei, con una punta di disagio nella voce. "Come va con Kagami?"
"Ci siamo lasciati" le dico. Faccio una breve pausa, prima di continuare: fa un po' male parlarne, dopo due anni e mezzo di relazione. "Non ero innamorato di lei, e lei lo ha capito. Ci abbiamo provato e non è andata bene”. Mi stringo nelle spalle: almeno siamo ancora amici.
Prendo un panino al formaggio e gli do un morso generoso, come a ingoiare tutta la frustrazione in merito. È davvero buonissimo.
"Mi dispiace."
"No, non devi. Non hai colpe."
"Vorrei tanto poterlo pensare anche io…" sussurra lei. È un miracolo che sia riuscito a sentirla, ma nonostante ciò, non riesco a capire a cosa si riferisca. "Che intendi, Marinette?"
Lei si gira verso di me e mi sorride. "Dicevo, ti andrebbe di giocare a Ultimate Mecha Strike III?"
Decido di lasciar cadere il discorso e le sorrido. “Con piacere, Marinette!”
Il pomeriggio vola via con i joystick in mano e un sacco di risate. Marinette è una persona eccezionale, sa davvero come farmi stare bene. Ero onesto quando pensavo a lei come a una seconda Ladybug in vesti civili: oggi mi ha davvero salvato la giornata.
“Devo proprio andare, ora”, le dico. “Mio padre non sa che sono fuori casa.”
“Sei scappato?” mi chiede curiosa, con un sorrisetto sghembo. “E come hai fatto?”
Questa curiosità sfrontata da parte di Marinette al momento è qualcosa che non comprendo e che mi lascia spiazzato.
È come se mi mancasse un pezzo essenziale del puzzle che la compone, una verità importante. Lei, invece, mi sembra conosca fin troppo di me, e il suo attuale sguardo mi mette a disagio.
“Be’, come avrei dovuto fare?” le chiedo, ma sto sudando freddo. Cerco di essere più serio che mai mentre aggiungo: “è chiaro che ho preso delle lenzuola, le ho legate tra di loro e poi mi sono calato dalla finestra come una vera principessa”, le faccio anche l’occhiolino per convincerla. “Come quella volta che siamo andati io e te al cinema, ricordi?”
Lei sogghigna all’idea che le ho messo in testa. “Va bene, ti credo”, si avvicina alla botola e la apre. “Ti accompagno alla porta, vieni.”
La seguo in silenzio, passando per il retro del negozio per non farci vedere da Tom, questa volta al bancone.
“Salutami i tuoi” le sussurro, prima di lasciarle un bacio sulla guancia. Le sue guanciotte tonde diventano rosse come pomodori maturi. Credo proprio di averla fatta imbarazzare con il mio gesto. Marinette è davvero bellissima nel fiore dei suoi diciassette anni, e se non fosse per Ladybug credo proprio che mi sarei innamorato di lei. “Buona serata Super-Marinette.”
“Suona bera- Buona setag-” si tira una manata sulla fronte, poi come fosse un’unica parola monotòno mi urla: “buonaSerataAncheATeAdrien!
Che buffa. L’adoro. Alzo la mano e le porgo il mio ultimo saluto con un sorriso, prima di girarmi e andare via.
Plagg esce subito fuori dalla mia camicia. “Era proprio buono quel panino, Adrien!”
“Concordo.”
La sera è calata sulla città, così come la luna piena ha preso il posto del Sole.
Parigi è meravigliosa, ma non è per questo che ora il mio cuore è pieno di gioia. Se sono in grado di riconoscere tutti questi colori, è solo grazie a chi mi è vicino. Distolgo lo sguardo dalla luna, dal suo bianco e nero, e mi guardo attorno con trasporto: tutto è vivace come un quadro coloratissimo.
Mi nascondo in un angolo appartato e mi trasformo, poi attraverso la città e rientro in camera mia dalla finestra.
Mi guardo attorno, pensando a mia mamma che non c’è più. Rilascio la trasformazione e sorrido. La pallina del tavolo da biliardino è ferma al centro del campo da mesi; la collezione di DVD e videogiochi è ricoperta da un leggerissimo strato di polvere; gli attrezzi di arrampicata indoor sono ancora chiusi nelle buste di un armadio.
La verità, è che per quanto possa sembrarlo, io non sono solo.




 

Note autrice:
Questa fanfic l’ho scritta un po’ di pancia, lo ammetto.
COMUNQUE, prima che a qualcuno vengano dubbi, il pane al formaggio ESISTE.
Fonte: sono panettiera (?)
Forse dopo il contest scriverò un secondo capitolo, but I dunno. Non siate timidi e fatemi sapere cosa ne pensate!

P.S: si ringrazia Chiara per la betata (Kia_1981 su efp, è bravissima, andate a trovarla).
 
   
 
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