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Autore: Ai_1978    22/06/2020    5 recensioni
[SPIN-OFF di "THE EYE OF THE TIGER]
Un OC nasce per riempire un buco, ma quando l'autore decide (dopo anni) di riempire quel buco da solo (giustamente) ecco comparire un pezzo del puzzle che non avevi considerato.
Quel pezzo ha un nome: Maki Akamine.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kojiro Hyuga/Mark, Maki, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il mito delle Metà'
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I personaggi di Kojiro Hyuga e Maki Akamine non sono una mia creazione ma appartengono al genio e alla maestria di Sensei Yoichi Takahashi.
 
Sakura Ozora appartiene a Sakura chan
 
Minami Ozora, invece, è mia in tutto e per tutto.
 
Tutto quello che ho scritto è stato fatto senza alcun scopo di lucro, ma per puro divertimento
 
*******
 
IL LUNGO ADDIO
 
Kojiro sedeva sull’autobus diretto ad Okinawa.
Le parole pronunciate da Gamo gli bruciavano ancora dentro: «Devi imparare a favorire le azioni dei tuoi compagni e permettere  loro di segnare, prima di tirare in porta tu stesso.»
Sul momento non aveva capito quel suggerimento dell’allenatore. Lui aveva un unico scopo nella vita: diventare il miglior attaccante del mondo.
Che importanza poteva avere imparare a piazzare dei buoni assist? Lui bastava e avanzava per fare goal.
Successivamente, però, aveva avuto quella discussione con Matsuyama, in cui il ragazzo l’aveva spronato a fare del suo meglio a lasciare il campo per allenarsi il più possibile e portare il Giappone alla vittoria. Era stato decisamente convincente: gli aveva addirittura rifilato un pugno!
Sorrise mentre si accarezzava la mandibola nel punto in cui Hikaru l’aveva colpito: la tempra del ragazzo dell’Hokkaido era proverbiale.
Quindi Kojiro aveva preso una decisione: aveva lasciato la Nazionale nelle ottime mani di Matsuyama e aveva telefonato a Kira-san.
Il suo vecchio Mister lo attendeva ad Okinawa per un allenamento speciale ed intensivo.
La parte più difficile di tutte era stata parlarne con Nami. La sua ragazza non aveva preso benissimo il fatto che lui si allontanasse  per andare ad allenarsi.
 
Qualche giorno prima…
«Tu stai scherzando!» sbottò Nacchan tirandosi a sedere nel letto.
Avevano appena fatto l’amore, si stavano coccolando e Hyuga aveva pensato che fosse il momento adatto per parlare a Minami della sua trasferta ad Okinawa.
«No, non scherzo. Vado un mese ad allenarmi con Kira-san.» ribadì il ragazzo risoluto.
Lei lo guardò con rabbia: «Ma Ko-chan! Così mi sputtani le vacanze primaverili! Tra tre settimane ricomincia la scuola… Tu hai finito, ma io no! Speravo di poter passare un po’ di tempo con te, solo noi due…»
«Nami… per favore, non cominciare. Io devo allenarmi. Lo devo fare per la squadra e per me stesso.»
«Per te stesso? E a me? Non ci pensi?... Calcio, calcio e sempre calcio. Neanche fosse la cosa più importante del mondo!» si lamentò Nami.
Kojiro abbassò lo sguardo: «È la mia vita…»
Lei lo fissò furibonda: «Vorrei farne parte anche io di questa tua vita, se non è chiedere troppo…»
Il calciatore osservò il corpo nudo della fidanzata, indugiando sulle curve delicate del suo petto e sulle lunghe gambe snelle. Poi con una mano le accarezzò il viso imbronciato e sussurrò: «Tu ne fai già parte, Nacchan. Non dubitarlo mai…»
La ragazza inclinò il capo, lasciandosi accarezzare il volto. La piega triste delle sue labbra si tramutò in un sorriso. Con tono più rilassato disse: «Va bene, Amore. Vai pure… ma verrò a trovarti. Non sperare che ti lasci là tutto solo.»
Lui annuì: «Certo che verrai. Lasciami ambientare una settimana e poi potrai raggiungermi.»
Minami gli si avvicinò e si appoggiò al suo petto: «Ci sto. Però adesso fammi fare il pieno…»
«Il pieno?» chiese Kojiro divertito.
«Sì… di te. Fai in modo che io non senta troppo la tua mancanza nei prossimi giorni» gli mormorò lei, baciandogli il collo.
Hyuga fu inebriato da quel tocco: Minami aveva il potere di fargli perdere la ragione ed il contatto con la realtà. La afferrò per le spalle e la ribaltò sotto il peso del proprio corpo: lei voleva il pieno, e lui di benzina ne aveva da vendere.
 
Hyuga scese alla fermata dell’autobus con il borsone in spalla. Si guardò intorno: faceva piuttosto caldo, nonostante fosse soltanto marzo. Il paesaggio era costituito da una lunga spiaggia sabbiosa e qualche palma qua e là.
A pochi metri di distanza un uomo di mezza età, appoggiato alla balaustra del lungo mare, lo stava osservando.
Kojiro lo riconobbe immediatamente e accelerò il passo per raggiungerlo.
Quando gli fu di fronte si inchinò rispettosamente e disse con voce commossa: «È un piacere vederla, Kira-san.»
L’altro esplose in una risata sguaiata. Lo avvicinò e gli appoggiò una mano sulla spalla: «Cosa sono tutti questi salamelecchi, ragazzo mio? Ti sei rammollito a frequentare quella lussuosa scuola privata?»
Hyuga sorrise impercettibilmente: il suo mentore era sempre lo stesso. L’affetto incondizionato che provava per quell’uomo lo accompagnava da anni, da quando da bambino, lui gli aveva insegnato a giocare a calcio.
Nonostante non fosse più il suo allenatore dall’epoca del Meiwa, Kojiro non aveva mai smesso di affidarsi a Kozo Kira ogni qualvolta aveva una difficoltà a livello sportivo. E ad essere sinceri aveva imparato ad affidarsi a lui anche per questioni di carattere più personale.
Quando lui e Kira-san si vedevano non facevano grandi discorsi: molto spesso i loro incontri erano scanditi da lunghi momenti silenziosi in cui entrambi sedevano fissando il mare. E bevendo. Lui coca e Kira sakè. Eppure, dopo ogni ritrovo, lui si sentiva meglio.
«Allora, Kojiro» disse il suo ex Mister: «Sei stanco per il viaggio?»
«No, direi di no.» rispose il ragazzo,
L’uomo annuì: «Bene, allora cominciamo subito. Vieni in spiaggia con me»
Senza farselo ripetere due volte, Kojiro lo seguì.
 
Palle mediche!
Kira-san gli aveva imposto di allenarsi tirando calci a pesantissime palle mediche.
“Per rinforzare i muscoli” aveva detto.
Insomma: non era già potente a sufficienza il suo tiro? Evidentemente no…
Aveva cercato un posto appartato dove poter tirar calci in tutta tranquillità e aveva trovato un campetto da baseball isolato.
Gli era sembrato il luogo ideale: sembrava completamente abbandonato e non lo utilizzava mai nessuno.
Si stava allenando da circa un’ora: indossava pantaloni neri della tuta, una T-shirt chiara e aveva legato i capelli con un elastico affinché non gli dessero fastidio. Stavano diventando un po’ troppo lunghi, forse era arrivato il momento di tagliarli. Lui avrebbe voluto farlo da tempo, ma Nami si era opposta: «Mi piacciono così, lasciali crescere ancora un po’…».
E così dicendo gli aveva passato le mani tra i capelli in un modo talmente sensuale che lui aveva pensato che forse valeva la pena darle retta.
Però erano scomodi e facevano caldo.
Si fermò un momento e si avvicinò a bordo campo per bere un sorso dalla bottiglia di coca che si era portato per rinfrescarsi.
Riappoggiò a terra la bibita e fece per prendere la rincorsa per sferrare un nuovo potente calcio al pallone, quando arrivò un urlo alle sue spalle.
«Fermati subito! Cosa stai facendo?»
Era una voce femminile.
Si voltò per guardare chi avesse parlato e vide una ragazza un po’ più giovane di lui in tenuta sportiva costituita da corti pantaloncini sgambati e una canotta chiara, un cappellino in testa e un guantone da baseball. Non era altissima, ma ben fatta con dei corti capelli castani , due begli occhi nocciola e un viso decisamente grazioso.
Lo fissava con aria di rimprovero.
Lui rimase interdetto: «Stai parlando con me?»
«Sì, con te. Non c’è nessun altro qui intorno, mi sembra.» rispose lei. Poi continuò: «Non puoi giocare a calcio qui: questo è un campo da baseball, nel caso non te ne fossi accorto. E io devo allenarmi.»
Kojiro fece un sorrisetto ironico: «Sei una giocatrice di soft-ball?»
La ragazza annuì e poi vide la bottiglia di coca a terra: «È tua questa roba?»
«Sì. Perché?»
Con un gesto fulmineo lei capovolse la bottiglia e ne disperse tutto il contenuto a terra.
La vista di Kojiro si annebbiò: quella era la sua coca preferita! Come osava quella ragazzina?
La sconosciuta si sentì anche in dovere di rimbrottarlo: « Uno sportivo non dovrebbe bere bibite gassate, ma unicamente acqua o al limite bevande isotoniche.»
Ma chi era quella? E soprattutto: gli faceva la morale?
La ragazza continuò: «Adesso, per punizione, mi aiuti con gli allenamenti.» disse scherzosa porgendogli il guantone.
«Eh?» chiese il calciatore sconvolto.
«Hai capito benissimo: ti alleni con me.» poi fece un inchino: «Comunque piacere: io sono Akamine Maki.»
«Hyuga Kojiro» si presentò a sua volta lui con un cenno del capo.
«Hai uno strano accento: non sei di queste parti.» osservò Maki.
«Sono di Tokyo.» replicò Hyuga.
Lei sorrise, guardandolo: «Buffo: sei talmente abbronzato che credevo tu fossi di Okinawa.»
A lui scappò da ridere: «Sono abbronzato perché sono un gran figo.» ironizzò.
La Akamine lo squadrò con sufficienza: «Seeee… dai “gran figo”, mettiti là che facciamo due tiri. Io lancio e tu fai il catcher, ok?»
Kojiro non seppe spiegarsi il perché, ma ubbidì.
Quella ragazza gli faceva un gran tenerezza e si sentiva stranamente protettivo nei suoi confronti.
Lui era uno che con le simpatie andava “a pelle”, e Maki gli piacque… da subito.
 
La ragazza tirava la palla da baseball verso di lui in un modo molto particolare, conferendogli un effetto interessate.
Mentre la afferrava e gliela rilanciava, pensò che sarebbe stato fantastico se lui fosse riuscito ad applicare quella tecnica anche ai suoi calci.
La Akamine afferrò la pallina e si protese verso di lui per tirare nuovamente. Kojiro osservò con attenzione i movimenti del corpo di lei, come bilanciava il bacino e come posizionava le gambe. Improvvisamente ebbe un’illuminazione.
Lasciò il guantone a terra e corse verso Maki. La afferrò per le spalle ed esclamò esultante:« Tu sei un genio!»
La ragazza rimase stranita: «C-come?»
Hyuga era vicinissimo a lei e la fissava con un’intensità tale che per un attimo lei vacillò. Era talmente bello e selvaggio che il suo cuore si mise a scalpitare nel petto, come impazzito.
Il calciatore parlò di nuovo: «Guardandoti ho capito una cosa importantissima! Grazie mille, Akamine. Ora perdonami, ma devo andare. Ho una cosa urgente da fare.»
La lasciò, prese la palla medica e con un cenno della mano la salutò. Quindi, palla al piede, Kojiro corse via.
Maki rimase paralizzata a guardarlo andarsene: ma chi era quel ragazzo?
L’aveva conosciuto da poco ma in cuor suo sperò ardentemente di rivederlo presto.
 
I giorni successivi Kojiro non si fece vedere in paese. Trascorreva le giornate nel bosco ad allenarsi.
Continuava ad utilizzare pesantissimi palloni speciali e i suoi tiri erano talmente potenti che spesso doveva sostituire la sfera, poiché questa si lacerava.
Un pomeriggio come tanti, mentre scagliava vigorose pallonate contro un albero, fu interrotto da una familiare voce allegra: «Ci si rivede, Hyuga-kun.»
Maki, la giocatrice di soft-ball conosciuta qualche giorno prima, lo stava osservando dal bordo della radura.
«Oh, ciao. Come mai qui?» chiese lui fermandosi un momento e asciugandosi il sudore dal viso con una salvietta.
«In paese gira voce che nel bosco si aggiri un pazzo che tira pallonate contro pini secolari. Così sono venuta a controllare di persona se fosse vero.» rispose scherzosamente lei.
Hyuga sorrise, poi si fece di nuovo serio: «Quando mi alleno, non voglio distrazioni e tendo ad isolarmi. Sto cercando di ideare un nuovo tiro.»
«Sul serio?» chiese lei curiosa.
«Sì, sto cercando di imitare il modo in cui tu lanci la pallina da baseball… ma proprio non riesco.» ammise lui.
Maki lo contemplò ammirata: nei giorni precedenti aveva scoperto che quel bel ragazzo era un calciatore famoso e si sentì parecchio lusingata di essere fonte di ispirazione per un tiro del grande Kojiro Hyuga.
Estraendo una pallina da tasca, propose: «Se vuoi  te lo faccio rivedere.»
«Lo faresti?» domandò l’attaccante con gratitudine.
«Certo.» rispose Maki radiosa.
Quindi, assumendo la posizione di lancio, tirò la palla da baseball verso gli alberi. La pallina colpì violentemente un tronco e rimbalzò all’indietro ai piedi di Kojiro.
Hyuga la raccolse pensieroso, quindi disse: «Ora credo di aver capito: il segreto sta nella posizione del bacino. Grazie mille… Maki.»
Lei sussultò: l’aveva chiamata per nome? Arrossendo violentemente, rispose: «Di nulla, ci mancherebbe.»
Poi prese coraggio: «Posso chiederti un favore anche io, adesso?»
«Spara.» acconsentì Kojiro.
«Domani pomeriggio gioco la finale del torneo interscolastico al campo comunale. Verrai a vedermi e fare il tifo per me? Me lo devi.» disse lei fissando il terreno.
Hyuga le appoggiò una mano sulla spalla. A quel tocco Maki sussultò leggermente e alzò lo sguardo incontrando i profondi occhi neri di lui.
La Tigre, con voce stranamente gentile, le disse: «Certo che verrò. Hai ragione: te lo devo!»
«Promesso?» sussurrò lei speranzosa.
«Promesso.» confermò lui.
 
Minami scese alla fermata dell’autobus dove una settimana prima era arrivato Kojiro.
Cadeva una pioggia battente e qualche lampo attraversava il cielo plumbeo.
Mamma mia che tempaccio!
Ma Okinawa non doveva essere un posto dove pioveva pochissimo? Beh, meglio così. Se diluviava in quel modo, Kojiro non avrebbe potuto allenarsi e avrebbe avuto un sacco di tempo da dedicarle. Moriva dalla voglia di vederlo, abbracciarlo, baciarlo…
Voleva toccarlo, fare l’amore con lui, sentire sotto le labbra il gusto meravigliosamente salato della sua pelle scura.
Gli era mancato da morire.
Si avviò lungo la strada, seguendo le indicazioni che il suo ragazzo gli aveva dato per raggiungere l’albergo dove alloggiava.
L’acqua cadeva scrosciante. Lei trascinava il trolley e l’ombrello non era assolutamente sufficiente per ripararla. Si stava inzuppando a dovere. Se almeno non avesse fatto la misteriosa e avesse avvertito Hyuga del suo arrivo, magari lui sarebbe venuto a prenderla e avrebbe portato la sua valigia.
Sorrise. No, aveva fatto bene a tacere.
La sorpresa sarebbe stata impagabile.
Continuando a camminare Minami si perse nel dolce pensiero del corpo di Kojiro che la riscaldava…
 
Ce l’aveva fatta!
Finalmente era riuscito a mettere a punto il nuovo tiro ad effetto.
Nella radura nel bosco, Hyuga, bagnato fradicio e ansimante, abbracciò il pallone e si lasciò andare nell’erba e nel fango.
Un lampo, seguito dal rumore assordante di un tuono, squarciò il cielo.
Ma che ore erano?
Oh cazzo, che deficiente!
La finale del torneo di soft-ball! Se ne era completamente dimenticato!
Aveva promesso a Maki che sarebbe andato a fare il tifo per lei e lui onorava sempre le promesse.
Abbandonando il pallone si mise a correre in direzione del paese: forse poteva ancora farcela.
Quando arrivò al campo da baseball lo trovò deserto. Porca puttana, l’incontro era già finito.
Se l’era perso.
Poi, al centro del campo, scorse un’esile figura immobile: ma quella era…
«Maki!» urlò andandole incontro.
La ragazza sollevò mestamente il viso: stava piangendo.
Kojiro sentì una profonda commozione.
Lei con un filo di voce disse: «Non sei venuto… non sei stato di parola.»
Lui si sentì una merda: «Scu-scusa… ho perso la cognizione del tempo e…»
Maki lo fissò con i grandi occhi colmi di lacrime. La pioggia aveva inzuppato completamente i suoi capelli e i suoi vestiti. La ragazza scoppiò a piangere: «Ho perso, Hyuga-kun! Ho perso… Mi sono allenata ogni giorno per questo incontro ma non è stato sufficiente: siamo state sconfitte!»
Così dicendo si appoggiò al petto di lui, singhiozzando.
Kojiro, istintivamente, la abbracciò, accarezzandole il capo. Con voce bassissima le disse: «Piangi, Maki. Fallo finché vuoi e sfogati. Ti servirà per essere più forte la prossima volta.»
Silenziosamente si strinsero, mentre la pioggia accarezzava i loro corpi immobili e abbracciati.
 
Minami imprecando, cercava di evitare le pozzanghere. Adesso si era anche alzato un vento infernale.
Improvvisamente, una folata più forte delle altre, le ribaltò l’ombrello rompendo tre stecche e rendendolo inservibile.
«Ma vaffanculo!» sibilò la ragazza, buttando l’ombrello distrutto in un cestino della spazzatura.
In quel momento, sulla destra notò un campo sportivo.
Finalmente un punto di riferimento: Kojiro aveva detto che il suo albergo si trovava esattamente dietro il campo da baseball. Forse per abbreviare la strada, invece che aggiralo, poteva attraversarlo. Si sarebbe infangata, ma tanto ormai era già ridotta da buttare via, pensò sarcasticamente.
Attraversò la strada e cercò l’entrata. Vide un cancello aperto nella recinzione e correndo lo imboccò.
Sentiva l’erba bagnata e il terreno scivoloso sotto le scarpe. Le importava poco: l’unico suo desiderio era raggiungere il fidanzato.
Mentre pensava a quanto si sarebbe stupito di vederla comparire alzò lo sguardo.
Due figure, un ragazzo e una ragazza, si stavano abbracciando a pochi passi da lei.
Ci mise qualche secondo a realizzare, poi si paralizzò. I suoi muscoli smisero di rispondere agli impulsi del cervello.
Il suo mondo, improvvisamente, si fece buio come la pece.
L’anima le si lacerò in mille pezzi, e una fitta dolorosa le attraversò il petto scendendo fino allo stomaco.
Fu invasa da un senso di nausea violento.
Kojiro, il SUO KOJIRO, stava abbracciando una ragazza sotto la pioggia.
Un’altra donna.
Non poteva crederci: quello doveva essere un incubo.
 
Hyuga sollevò il viso dai capelli di Maki improvvisamente, spinto da una strana forza interiore. Di fronte a lui c’era qualcuno.
Il suo cuore si fermò.
Davanti a lui, a meno di due metri, stava Minami.
In piedi, pallida come un cencio. I lunghissimi capelli neri completamente bagnati dalla pioggia e gli occhi verdi sbarrati e vacui.
«Oh cazzo.» imprecò.
Lasciò la Akamine, che lo guardò senza capire, e la allontanò.
Con due passi rapidi si avvicinò alla Ozora che taceva, impietrita.
«Nami!» urlò.
Tese un braccio per abbracciarla e lei non si mosse. Lui la attirò a sé: era passiva, molle come una bambola di pezza.
La strinse forte e le chiese: «Cosa fai qui?»
Lei non rispose all’abbraccio. Teneva le braccia abbandonate lungo i fianchi ed era scossa da fremiti violenti.
Dopo qualche secondo Nacchan trovò la forza di parlare, con voce lugubre: «Lasciami andare immediatamente.»
Kojiro trasalì: cosa era quel tono? Di malavoglia la svincolò dall’abbraccio. Il volto della ragazza era terreo e le labbra livide.
Minami proseguì atona: «Chi è lei?»
Hyuga cercò di spiegarle: «Ma nessuno… solo un’amica che aveva bisogno di conforto.»
Lei, ignorando completamente la sua risposta, pose un’altra domanda: «Te la sei scopata?»
A quel punto la Tigre sbottò: «Ma che cazzo stai dicendo? La conosco appena.»
Un ghigno inquietante apparve sul volto della Ozora: «Conoscevi appena anche me quando mi hai sbattuto sul divano di casa mia, Hyuga. Non hai fatto molti complimenti.»
L’obiezione era sensata: ma le due situazioni non erano paragonabili.
Nami non poteva pensare che lui l’avesse … tradita! Non aveva senso. Tuttavia la diplomazia non era mai stata il suo forte, quindi la frase che uscì dalle labbra del ragazzo fu piuttosto brusca: «Non dire stronzate, Nacchan.»
La ragazza non resistette oltre: la rabbia prevalse.
Sollevò lentamente una mano e con ira assestò un sonoro schiaffo sulla guancia di Kojiro, sibilando: «Sei un lurido stronzo!»
L’attaccante voltò il viso a causa dell’impatto dello schiaffo.
Fu invaso dalla furia cieca. Prese con violenza Minami per le spalle e le diede uno scossone: «Piantala di fare la bambina! Ascoltami una buona volta.»
«Lasciami.» mormorò lei con voce rotta dal pianto.
Lui non le diede retta.
«La-lasciami, Kojiro. M-mi stai facendo male.» singhiozzò nuovamente Nami.
Hyuga, sconvolto, mollò la presa e rimase immobile mentre lei era scossa dalle lacrime.
Il cuore del ragazzo incominciò a sanguinare. Non poteva proprio vederla in quelle condizioni! Non sopportava di vederla stare male.
Cercò di confortarla, ma lei si ritrasse.
«Perché la stavi abbracciando?» gli chiese infine.
«Te l’ho già detto! Per confortarla. Ha appena perso la finale di campionato ed era triste…» spiegò l’attaccante.
«Non ti credo.» fu l’asciutta risposta di Nacchan.
La Tigre perse definitivamente la pazienza: «Cosa? Tu non mi credi? Ma ti rendi conto di quanto sei ridicola?» lei lo fissò con dolore, ma ormai la rabbia di Kojiro era incontenibile: «Ed io cosa dovrei dire? Da quando ti conosco non fai altro che abbracciare indiscriminatamente cani e porci! Per una volta che lo faccio io, mi fai una menata del genere?»
Minami sgranò gli occhi incredula. Senza pensarci troppo urlò in faccia al ragazzo: «Io abbraccio cani e porci? Mi stai forse dando della… della… PUTTANA?!?»
La gravità delle parole di lei era intollerabile. Anche Hyuga si sentì in dovere di alzare la voce: «NO! NON LO PENSEREI MAI! Non essere scema… ma comunque è meglio che tu sappia che IL MIO MONDO NON GIRA INTORNO A TE, PRINCIPESSINA DEL CAZZO!»
La ragazza fu investita da quelle parole dure come da un ciclone. Spalancò la bocca e indietreggiò di qualche passo, incredula.
Una morsa di gelo le attanagliò il cuore.
Senza pensarci disse poche velenose parole: «Io, col tuo mondo, non voglio averci più niente a che fare. Hai capito? – prese fiato –è finita, Kojiro. È FINITA PER SEMPRE.»
Voltò sui tacchi, recuperò la valigia e scappò via.
Hyuga impietrito e furibondo non mosse un dito per fermarla.
Il dolore per la perdita gli annebbiava la mente e nemmeno si rese conto che aveva smesso di piovere ed un timido sole si affacciava dietro le nuvole, ferendogli gli occhi inumiditi da lacrime di rabbia.
 
Nami varcò la soglia di casa Ozora a Nankatsu che ormai era ora di cena. Mollò la valigia nell’entrata e si accasciò sul pavimento spossata, nascondendo il viso tra le mani.
Natsuko, udendola entrare si affacciò sull’ingresso. La vide lì seduta, bagnata e scarmigliata.
Si spaventò molto. La raggiunse e si chinò al suo fianco: «Nacchan! Tesoro! Cosa fai qui?»
La ragazza sollevò lentamente lo sguardo. Il volto era rigato dalle lacrime e gli occhi erano gonfi e arrossati. Doveva aver pianto per ore. La zia era sempre più spaventata: «Oh dei, bambina mia! Cosa hai? Stai male?»
Minami abbracciò la zia stretta e disse di un fiato: «Ci siamo lasciati!»
Natsuko la strinse forte: ecco cosa era successo! Sua nipote aveva litigato col fidanzato, quel bel ragazzo di Tokyo che aveva conosciuto alla Toho Gakuen: Kojiro Hyuga.
Le accarezzò dolcemente i capelli inumiditi dalla pioggia, mormorando: «Stai tranquilla, piccola mia. Alla tua età i bisticci sono cose che succedono tra fidanzati. Vedrai che farete pace molto presto.»
Nami cominciò a piangere ancora più forte. Quindi, si calmò un momento e disse, con voce cupa: «Non questa volta zia… non questa volta.»
La Signora Ozora sospirò e le diede un bacio sulla nuca, continuando a cullarla, come fosse stata una bimba.
 
Minami giaceva nella vasca da bagno con il viso abbandonato sulle braccia appoggiate al bordo. Un bel bagno caldo era proprio quello che ci voleva. Non aveva forza di fare niente, si sentiva svuotata.
L’immagine di Kojiro che abbracciava l’altra ragazza sotto la pioggia era stampata a fuoco nel suo cervello e non voleva sapere di andarsene, per quanti sforzi facesse.
La cosa più strana era che aveva quasi scordato il litigio e ciò che lei e Hyuga si erano detti in preda alla rabbia: ricordava vagamente che lui l’aveva chiamata “Principessina del cazzo” dopo che lei gli aveva rifilato una sberla.
Poi ricordava di essersene andata, lasciandolo solo e perdendo, nello stesso momento, l’anima.
Anzi no: l’anima l’aveva persa prima.
Esattamente nel momento in cui l’aveva visto avvinghiato ad un'altra. L’abbraccio non era stato particolarmente sensuale o languido… sembrava davvero un gesto d’amicizia. Ma c’era un dettaglio molto importante che non andava trascurato: Kojiro Hyuga non abbracciava per amicizia. La Tigre non era Minami Ozora, sempre prodiga di attenzioni e contatto fisico verso coloro cui voleva bene. Hyuga abbracciava unicamente chi riteneva speciale.
Fino a quel momento l’unica persona che aveva potuto godere di quel trattamento di favore, al di fuori dei famigliari, era lei.
Finora.
FINORA.
Ma evidentemente qualcosa era cambiato. Se Kojiro aveva fatto entrare qualcun altro nella sua ristretta cerchia di affetti e se qualcun altro era una ragazza, voleva dire che qualcosa non aveva funzionato.
Significava che lei non era più sufficiente e lui aveva sentito il bisogno di cercare “altro”.
Una nuova ondata di nausea la travolse.
Copiose lacrime amare ricominciarono a traboccarle dagli occhi.
Dove aveva sbagliato?
Perché?
 
Arrivò in camera sua e si buttò sul letto ancora in accappatoio e con i lunghi capelli avvolti in un asciugamano. Fissava immobile il soffitto, mentre le lacrime continuavano a rigarle il viso.
Cosa ne sarebbe stato di lei?
Non riusciva nemmeno ad immaginare di poter stare senza Kojiro, senza i suoi baci, le sue carezze.
Quella notte avrebbe dovuto passarla con lui, facendo l’amore: l’aveva desiderato tanto!
Incominciò a piangere ancora di più: non ci sarebbero più state notti di passione. Si erano lasciati.
Hyuga non l’avrebbe più stretta a sé in quel modo tanto brusco e tanto dolce allo stesso tempo.
Si voltò su un fianco e vide, dall’altro lato della stanza, il letto di Sakura.
Un letto vuoto.
Sacchan!
Dove era sua cugina? Lontana, in Francia, a vivere la propria vita.
Avrebbe dato l’anima per poterle essere accanto in quel momento, per sfogarsi e farsi consolare da lei.
O da Tsubasa.
Nemmeno lui era presente. Anzi era ancor più lontano, in Brasile.
Quanto le sarebbe piaciuto  stare coi due cugini … Tsu-chan l’avrebbe sicuramente abbracciata, coccolandola, mentre Sacchan le avrebbe accarezzato il capo sussurrandole parole di conforto.
Invece la sorte era stata crudele… anzi loro erano stati crudeli: l’avevano lasciata sola!
Guardò l’orologio: erano quasi le dieci di sera. Fece un rapido calcolo mentale: In Francia avrebbero dovuto essere circa le due del pomeriggio. Forse Sacchan era già tornata da scuola e avrebbe potuto risponderle al telefono.
Nami non perse tempo: afferrò la cornetta dell’apparecchio sul comodino e compose il numero.
Passarono pochi secondi prima che la voce gentile di Madame Deville rispondesse: «Hallo?»
Minami, cercando di mantenere la voce ferma, chiese di Sakura utilizzando la frase che le aveva insegnato la cugina e che ormai aveva imparato a memoria.
Con enorme sollievo della ragazza, Florence Deville, le chiese di attendere.
Dopo un minuto la voce allegra di Sacchan giunse dall’altra parte del filo: «Nacchan! Come mai mi chiami anche oggi? È inusuale: ci siamo sentite ieri…»
Sentire l’amata cugina la fece crollare definitivamente. Sommessamente incominciò a singhiozzare, senza riuscire ad articolare parola.
Sakura percepì da prima un lungo silenzio, quindi un pianto sottile e disperato. Incredula chiese: «Nacchan? Tutto bene? Ma stai piangendo?»
Dall’altro capo del telefono nessuna risposta, se non quei singhiozzi angosciati. Un brivido freddo percorse la spina dorsale della sorella di Tsubasa: «Nami, per piacere! Dì qualcosa! Cosa sta succedendo?»
Nulla… Minami continuava soltanto a piangere.
«Nacchan…» implorò Sakura preoccupata: «Per tutti gli Dei, parlami… te ne prego.»
Finalmente la cugina ruppe il silenzio. Con voce flebile ed incredibilmente triste mormorò: «Ci siamo lasciati…»
Quella semplice rivelazione fu per Sacchan un fulmine a ciel sereno. Incredula domandò: «Cosa? Tu e Hyuga-kun vi siete… Ma come è successo?»
«S- sta… sta con un’altra.» dichiarò Minami.
Improvvisamente per Sakura tutto smise di aver senso: ma cosa blaterava Nacchan? Kojiro Hyuga aveva un’altra? Ma era assurdo!!
Se mai lei aveva visto un ragazzo innamorato di sua cugina, quello era Hyuga!
Con incredulità crescente, Sacchan si lasciò andare sulla sedia accanto al telefono, mentre ascoltava a bocca spalancata l’incredibile racconto di come Nami avesse sorpreso la Tigre abbracciare un’altra ragazza sotto la pioggia.

 
###FINE###
   
 
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