Nelle
stanze del Gran
Sacerdote al Grande
tempio, Saga non riusciva a dormire. Era ormai notte fonda e i suoi
occhi
rimanevano a fissare l’oscurità senza riuscire a
concedersi il tanto desiderato
riposo. Si alzò a sedere, rabbrividendo, ma non per il
freddo: sentiva una
morsa allo stomaco, un peso di cui avrebbe voluto liberarsi un volta
per tutte,
di cui però non riusciva a disfarsi in nessun modo. Saga si
rendeva conto che
non avrebbe potuto continuare così ancora a lungo. Sapeva
anche che prima o poi
avrebbe dovuto affrontare quella voce che, nella sua testa, continuava
a
ricordargli come l’enorme macigno che portava ogni giorno
sulle spalle fosse in
realtà un piccolo prezzo da pagare in cambio di quel potere
che tanto aveva
desiderato, ricercato e infine ottenuto. Erano settimane che non
dormiva e ogni
volta che chiudeva gli occhi faceva sempre lo stesso sogno: vedeva
sé stesso
nelle vesti di Gran Sacerdote, con le mani macchiate del sangue di
tutti gli
innocenti che aveva ucciso nella sua ascesa al potere e ,di fronte a
lui, lo
specchio con il suo odiato riflesso che, ridendo, gli assicurava che
presto sarebbe
diventato il padrone del mondo intero.
Saga
scosse la testa, cercando di scacciare le immagini che tanto lo
inquietavano. Ormai
rassegnato a passare l’ennesima notte insonne, si
alzò dal letto e si rivestì, decidendo
di uscire a prendere una boccata d’aria. Tutto il Santuario
era immerso nel
silenzio, gli unici rumori che interrompevano la quiete erano quello
dei suoi
passi che, lentamente, attraversavano i corridoi e lo strusciare della
lunga
veste sul pavimento di marmo. Le notti calde di Grecia erano un vero e
proprio
supplizio per Saga, che si ritrovava a vagare senza meta per il
Santuario più
spesso di quanto avrebbe voluto. Era così stanco, ma allo
stesso tempo così
spaventato da quegli incubi che l’unica soluzione che aveva
trovato per
sfuggirgli era, appunto, non concedersi al sonno. Se lo avesse fatto,
quelle
terrificanti immagini di morte sarebbero tornate e lui ci sarebbe
annegato dentro,
senza più speranza di risalire in superficie. Sarebbe stato
perduto, preda
della sua parte più oscura e malvagia, che
l’avrebbe usato come burattino per
raggiungere i suoi perfidi scopi, come già era successo in
passato. Saga non
voleva che accadesse, non di nuovo, non come quella volta …
Senza
che se ne rendesse conto, i suoi passi lo avevano condotto alla sala
del trono.
Saga cercò di attraversare il grande salone più
in fretta possibile, non voleva
rimanere lì dentro più del necessario. Non
sopportava la vista del trono
dorato, dei preziosi tendaggi e di quello specchio alla parete dove
vedeva
sempre il suo riflesso, il riflesso che tanto odiava, il mostro a cui
cercava
inutilmente di sfuggire. Ma come sfuggire a sé stessi?
Avrebbe dato qualunque
cosa per saperlo.
“Pensi
davvero di poterti liberare di me?”. Saga
si fermò, come pietrificato.
Si girò lentamente verso lo specchio: il suo volto lo
fissava oltre il vetro,
con gli occhi iniettati di sangue e un ghigno malevolo sulle labbra.
Fece un
passo indietro, tremando di fronte a quella vista. “Che cosa
vuoi? Vattene!” la
sua voce si incrinò, nonostante cercasse di non mostrare il
terrore che il suo
riflesso nello specchio gli provocava. Era pur sempre un Cavaliere, non
si
sarebbe piegato così facilmente! “Saga, ormai dovresti sapere che io non posso
andarmene. Io sono te, ricordi?” gli
rispose l’altro, ridendo.
“Non
è vero, io non sono come te!”.
“Sì
invece, io sono te e tu sei me! Guardati allo specchio, Saga. Che cosa
vedi?”.
“Và
via! Sei solo un’allucinazione, un altro dei miei
incubi!”.
“Io
sono reale, sono vivo dentro di te. La tua anima è mia!”.
“Vattene
…”.
“Saga,
ascoltami, insieme potremo fare grandi cose. Sei a un passo da
raggiungere il
tuo scopo, potrai dominare il mondo! Tutti si inchineranno di fronte a
te,
tutti dovranno obbedirti. Se farai come ti dico il tuo sogno si
avvererà!”.
“Non
ti permetterò di manipolarmi ancora, questo è il
tuo sogno, non il mio!”.
“Ah
no? Allora dimmi, o nobile Saga, perché avresti ucciso il
vecchio Shion? Perché
avresti tentato di eliminare anche la bambina? Ammettilo, desideri il
potere
tanto quanto me. ”.
“No!”.
“Perché
avresti ucciso …”
“SMETTILA!”.
Gridando,
Saga colpì lo specchio con tutta la sua forza, mandandolo in
frantumi. Sentì le
schegge di vetro piantarsi nelle nocche, ma non gli importava.
Finalmente il
suo riflesso e la perfida voce nella sua testa se n’erano
andati. Nel salone tornò
a regnare il silenzio. Saga cercò di riprendere a respirare
normalmente, mentre
il cuore gli batteva all’impazzata. La mano con cui aveva
colpito lo specchio sanguinava.
Perché quell’essere
continuava
tormentarlo? Non aveva forse sopportato abbastanza a causa sua?
Perché nessuno
lo svegliava da quell’incubo?
“Saga”.
Il
Gran Sacerdote trasalì. Qualcuno lo stava chiamando, ma era
certo di essere
solo nella sala del trono. Forse se l’era solo immaginato, la
mancanza di sonno
iniziava a pesare, dopotutto.
“Saga”.
Ancora
quella voce! Questa volta era sicuro di averla sentita. Si
voltò, ma non vide
nessuno. Certo che era davvero strano, per un momento aveva pensato che
fosse …
“Saga”.
“Dove
sei? Fatti vedere!”. L’ordine rimbombò
nella sala vuota. Rimase in attesa.
L’aveva
riconosciuto: non avrebbe mai dimenticato come quella voce, dolce ma
allo
stesso tempo decisa, risuonasse nell’arena ai piedi della
scalinata che
conduceva alle Dodici Case. Gli tornò alla mente la sua
risata contagiosa,
capace di risollevargli il morale anche nelle giornate grigie, in netto
contrasto con il modo in cui il suo tono diventava più grave
nelle rare
occasioni in cui l’aveva visto abbattuto. In quei momenti,
Saga cercava di fare
del suo meglio per rincuorarlo, ma sfortunatamente non era mai stato
bravo in
quel genere di cose. Semplicemente, gli si sedeva accanto e lui
appoggiava la
testa sulla sua spalla, sospirando e dicendo: “Saga,
come farei senza di te?”. Ricordava le parole
d’amore
sussurrate al suo orecchio nelle calde sere d’agosto, quando
entrambi si sdraiavano
sul prato ad ammirare il cielo farsi color cremisi al tramonto per poi
riempirsi di stelle, promettendo che non si sarebbero mai separati, che
ci sarebbero
stati sempre l’uno per l’altro. Ricordava
l’incredulità nella sua voce quando
l’aveva smascherato in quella fatidica notte.
No,
non poteva essere lui.
Lo
cercò con lo sguardo, sperando in cuor suo che non fosse
veramente lì, che
quella voce fosse stata soltanto frutto della sua immaginazione. Non ce
la
faceva ad affrontarlo, non ancora.
Infine
lo vide. Era esattamente di fronte a lui, sarebbero bastati pochi passi
per
superare la distanza che li separava, ma nessuno dei due osò
farlo. Saga pareva
incantato, non riusciva a distogliere lo sguardo. Non era affatto
cambiato
dall’ultima volta che l’aveva visto, era bello come
un angelo. Attorno a lui si
spandeva una lieve luce dorata che sembrava abbracciare tutta la sala,
una luce
calda e rassicurante da cui si sentiva inesorabilmente attratto, ma non
ebbe il
coraggio di avvicinarsi ad essa. Il Gran Sacerdote deglutì a
vuoto, sentiva la
gola secca. Avrebbe voluto dire qualcosa, qualunque cosa, ma nessuna
parola gli
sarebbe bastata. Nel suo cuore si agitava una tempesta, un misto di
incredulità, paura e il desiderio di corrergli incontro,
abbracciarlo e
dimenticare tutto quello che era successo fino ad allora per
ricominciare da
capo.
Avrebbe
tanto voluto dirgli tutto quello che stava provando, ma
l’unico suono che fu
capace di emettere fu un debole e roco: “Aiolos”
che gli raschiò la gola arida
come il deserto.
Il
giovane davanti a lui fece un cenno con il capo. “Saga, quanto tempo è passato”.
Mosse un passo in avanti, ma Saga
indietreggiò, finendo con le spalle contro lo specchio
rotto. Tremava. “Non ti
avvicinare!”, gridò “Sei
un’altra delle mie allucinazioni, niente di tutto
questo è reale! Ti ha mandato lui, non è vero?
Vattene!”.
Vedendo
che l’altro non reagiva, ripeté: “Non mi
hai sentito? Và via!”.
Aiolos
sospirò, ma non aggiunse altro. Lentamente, come per non
spaventarlo
ulteriormente, si avvicinò a Saga, che continuava a tremare.
Quando fu a pochi
centimetri da lui, lo guardò negli occhi.
Sussurrò: “Come puoi
dirmi questo, mio caro Saga? Non mi riconosci forse? Ho
giurato di rimanerti sempre accanto, non ti lascerò,
né ora né mai.”.
Saga
non ebbe il tempo di replicare. Aiolos lo strinse a sé in un
forte abbraccio,
affondando le dita nella lunga chioma dell’ex Cavaliere di
Gemini che, colto di
sorpresa, percepì il cuore mancare un battito. Sentiva il
profumo dei suoi
capelli, un misto di erba fresca e salsedine, il tocco delle sue dita
sulla
nuca e, soprattutto, il calore del corpo di Aiolos stretto al suo.
Com’era
possibile che un’allucinazione sembrasse così
reale? Come poteva emanare tanto
calore?
Le
gambe non lo ressero più. Cadde in ginocchio tra i frammenti
rotti dello
specchio, trascinando con sé anche Aiolos. Le schegge di
vetro gli si
conficcarono nelle ginocchia, ma lui nemmeno se ne accorse. Allacciando
le
braccia al collo dell’amato, per la prima volta dopo anni,
Saga lasciò che le
lacrime scorressero libere sulle sue guance. Non aveva più
bisogno di
trattenerle. Si lasciò andare a un lungo pianto liberatorio,
stretto nel solido
abbraccio di Aiolos, che gli accarezzava i capelli senza dir nulla,
lasciandolo
libero di sfogarsi. Singhiozzando, Saga mormorò:
“Mi dispiace, mi dispiace …
perdonami Aiolos, ti prego.”.
“Saga, non
c’è niente da perdonare.”.
“Invece sì, io … io ho ucciso te, ho
assassinato Shion, ho tradito il Grande
Tempio, ho cercato di far del male anche alla bambina, ad Atena
… Aiolos, io sono
un mostro, non merito di continuare a vivere!”.
Aiolos
lo prese per le spalle e si separò da lui. Gli occhi di
Saga, lucidi di
lacrime, incontrarono le iridi verdi del Sagittario. “Ascoltami bene Saga, non sei un mostro,
né un assassino e neppure un
traditore.”, scandì Aiolos lentamente.
“Ma io …”. “Tutto
quello che è successo non è stato per colpa tua,
non eri in te.
Io ti conosco e il mio Saga non farebbe mai nulla del genere. Smettila
di
colpevolizzarti, non dire che non meriti di vivere!”.
Detto questo, Aiolos
lo attirò a sé in un nuovo abbraccio, ancora
più stretto del precedente, quasi
non volesse più lasciarlo andare.
Rimasero
così per lungo tempo, immersi in un silenzio irreale, a
tratti pesante, ma che
nessuno dei due era intenzionato a rompere. Infine, fu Saga a parlare
per
primo: “Ho paura, Aiolos. Ho paura di addormentarmi
perché lui mi tormenta nei
miei sogni, ho paura di svegliarmi e non riconoscere più me
stesso nello
specchio. Non voglio che ciò che è già
successo accada ancora, non voglio che
altro sangue innocente venga versato a causa mia
…”. Scoppiò nuovamente in
lacrime, nascondendo il viso nell’incavo del collo di Aiolos,
che non disse
nulla, limitandosi a stringerlo più forte, sapendo che
questo era tutto ciò di
cui Saga aveva bisogno in quel momento. Dal canto suo, Gemini gliene fu
immensamente grato.
Una
volta che il pianto cessò, Saga si sentì
svuotato, come se le lacrime avessero
diluito e portato con sé il suo senso di colpa e le tutte le
sue paure. Non
ricordava quando
fosse stata l’ultima
volta in cui si era sentito così bene. Aiolos prese
delicatamente il viso
dell’amato tra le mani in modo da fargli sollevare la testa. Gli occhi color del mare
del Gran Sacerdote
incontrarono quelli smeraldini di Aiolos, che, per la prima volta
quella notte,
sorrise. I suoi baci, leggeri come ali di farfalla, si posarono sugli
zigomi,
sulle guance e infine sulle labbra di Saga, cancellando ogni traccia
delle
lacrime dal suo volto.
Gemini
tornò a chiedersi come il tocco di quelle dita e di quelle
labbra potesse
essere così caldo. Non era forse un sogno o un altro degli
scherzi della sua
mente? E se invece fosse stato reale …? Si rese conto che la
questione ormai
non gli importava più. Allucinazione o no, Aiolos era
lì con lui. Perciò si
lasciò andare, rispondendo ai baci dell’amato,
accarezzandogli il viso a sua
volta, constatando che no, quella pelle liscia e tiepida sotto il suo
tocco non
poteva essere solo frutto della sua immaginazione. La luce dorata
attorno a
loro lo circondò completamente, sommergendolo come fanno le
onde del mare e lasciando
nel suo cuore una piacevole sensazione di pace interiore che non
provava da
tempo immemore.
Com’era
possibile che Aiolos gli facesse sempre quest’effetto?
Un
ultimo bacio, posato sulla sua fronte, e Saga si sentì
improvvisamente esausto,
come se il suo corpo avesse perduto tutta l’energia. Chiuse
gli occhi e appoggiò
il capo sulla spalla di Aiolos, che , sorridendo, lo aiutò a
rimettersi in
piedi. “Andiamo, ti riporto nelle
tue
stanze.”.
Come
in un sogno, Saga si lasciò guidare per mano attraverso i
bui corridoi
dell’ultimo Tempio. Aveva la mente completamente annebbiata,
Aiolos avrebbe
potuto portarlo anche ai confini della Terra e lui l’avrebbe
seguito, docile
come un cagnolino. Arrivati nei suoi appartamenti privati, permise
all’altro di
aiutarlo a togliere la lunga tunica. Nello stato in cui si trovava, non
era
sicuro che ce l’avrebbe fatta da solo. In silenzio, Aiolos lo
fece distendere
sul letto, per poi sdraiarsi accanto a lui.
Saga
ne approfittò per rifugiarsi nuovamente tra le sue braccia,
in cerca di
conforto e di calore, come faceva quando, tanti anni prima,
s’infilava nel letto del
Sagittario in piena notte a causa di un incubo o di un temporale che lo
angosciavano tanto da togliergli il sonno. Aiolos lo accoglieva sempre
a
braccia aperte e lo stringeva a sé fino a che non si
addormentava. Saga sospirò
e, come allora, appoggiò la testa sul petto del compagno, ma
il respiro gli si
mozzò in gola quando, sotto il suo orecchio,
sentì solo silenzio. Il suo cuore
non batteva.
“Aiolos
…”.
“Non pensarci
ora, Saga, pensa solo a dormire.”.
La
risposta non era quello che Saga avrebbe voluto sentirsi dire, ma il
tono della
sua voce bastò a tranquillizzarlo. Chiuse gli occhi e,
cullato dall’abbraccio
di Aiolos, si lasciò scivolare nel sonno. L’ultima
cosa di cui si accorse prima
di abbandonarsi completamente alla stanchezza furono un dolce bacio a
fior di
labbra e un lieve sussurro: “Ti amo.”.
Era
già mattino inoltrato quando Saga si svegliò. Il
sole filtrava attraverso le
imposte, illuminando la stanza con la sua luce calda e dorata. La prima
cosa di
cui si rese conto fu che, finalmente, aveva potuto concedersi una notte
di
riposo senza incubi dopo settimane di insonnia. Si sentiva rigenerato,
anche se
ancora un po’ assonnato e disorientato. Appena si decise a
sollevare le
palpebre, si accorse che il materasso al suo fianco era freddo e vuoto.
Ebbe un
tuffo al cuore.
Si
alzò di scatto, imprecando e dandosi mentalmente dello
stupido. Aiolos non era
mai stato lì, era stata tutta un’allucinazione e
lui ci era cascato come un
idiota. Aiolos era morto e non sarebbe mai potuto tornare indietro.
Eppure gli
era sembrato tutto così reale … .
Sospirò, affranto. Avrebbe dovuto andare a
farsi medicare la mano, invece di rimuginare su cose che non erano
nemmeno
accadute al di fuori della sua testa, di questo era certo: ricordava
benissimo
di aver distrutto uno specchio nella sala del trono e, in
verità, la ferita gli
doleva ancora un poco. Inoltre avrebbe dovuto inventarsi una scusa
plausibile
per la mano ferita e per il fatto che lo specchio fosse andato in
frantumi, ma
a quello avrebbe pensato più tardi.
Scostò
le lenzuola e si alzò, spalancando le imposte:
un’altra giornata al Santuario
era cominciata.
~~~~~~
Questa era la mia prima fanfic in questo fandom, spero che vi sia piaciuta!
Io sono veramente innamorata di questo pairing, Saga è il mio Gold Saint preferito e insieme ad Aiolos è semplicemente perfetto, anche se ogni volta che provo a scrivere una fanfiction su di loro viene fuori la mia vena malvagia e inevitabilmente scrivo qualcosa di triste/deprimente. Perchè un po' di angst non fa mai male, no?
Se volete/se avete tempo lasciate pure una recensione. Alla prossima!