Double, double, thorns and
trouble (groin burn, and cauldron bubble)
– terzo capitolo –
“Lei è un parente?”
“Sono il marito.”
Il medico solleva gli occhi dalla
cartella clinica, fa quello sguardo. Finché fanno quello sguardo, Dean sa
che è tutto okay. Sta funzionando. Lo squadra dal basso verso l’alto per alcuni
secondi, poi torna a scrivere.
“Com’è successo?”
“Ah,” il maggiore dei Winchester soffia tra i denti, si gratta la nuca, finge
un imbarazzo che non c’è. “Beh, sa—“ si schiarisce la voce, “io e mio marito ci
siamo incontrati sette anni fa qui a Yuma, eravamo entrambi a un concerto dei
Deep Purple, e abbiamo sempre detto che saremmo dovuti tornare prima o poi e
così...una volta qui, uhm...ci siamo addentrati nel deserto, dalle parti di
Foothills, proprio come i vecchi tempi, e...sì, mentre cercavamo un po’ di
intimità, ci siamo fatti prendere dalla foga...Sam non ha fatto caso a dei
cactus a terra, e così...”
Il medico continua a scrivere,
sottomesso a un’etica che gli impedisce di esternare qualsiasi emozione. Due
paramedici dal volto cinereo e le labbra serrate tentano di capire come
trasferire Sam dalla barella al lettino da esame soffocando la risposta
fisiologica dei loro corpi all’orrore che si è appena aperto dinnanzi ai loro
occhi e alla quale nessun corso avrebbe mai potuto prepararli, ed è una scena
talmente surreale che a Dean scapperebbe quasi da sorridere se solo non
sentisse gli ultimi tre quarti d’ora direttamente nelle vene. È un formicolio
insistente, talmente potente che fatica a ignorarlo davvero. Se cedesse
all’impulso di grattarsi, probabilmente non riuscirebbe più a fermarsi.
Contratta in una fitta, la gamba destra
di suo fratello urta contro la staffa in cui i due paramedici stanno cercando
di accomodarla, e il fin troppo comune suono delle spine che cozzano tra loro
giunge alle orecchie di Dean in compagnia dal fantasma delle urla laceranti di
poco prima. Il battito cardiaco aumenta, l’orrenda sensazione che ha addosso
espande la sua egemonia sul suo corpo, poco importa se tutto ciò che Sam fa è
un flebile gemito, la sua mente ha già trasformato tutto in qualcos’altro.
Serra le dita livide sul palmo, deglutisce.
“Non si muova” lo ammoniscono, mentre
sistemano di nuovo il lenzuolo di carta celeste sulle cosce “Cerchi di
rilassarsi”.
Le gambe di Sam sono troppo lunghe per quei lettini da donne; penzolano
al di là del paravento e Dean può vederle tremare. Deglutisce, storce il naso.
Non riesce a credere che la lidocaina possa aver perso così in fretta la sua battaglia
contro il sistema nervoso in rivolta di Sam, ma per lo meno questa
preoccupazione gli offre qualcosa con cui distrarsi.
“Signor Campbell—“ Il medico mette via
la sua cartella clinica, raggiunge Sam dietro al paravento prima ancora che i
paramedici possano finire di settare il monitoraggio; “ci darà un bel daffare
oggi”. Il tocco polemico nel suo tono lo rende agli occhi di Dean ancora più
sgradevole di prima.
“Ha delle allergie? Patologie cliniche
pregresse? Fa uso di sostanze stupefacenti?”
Dean sente i bisbigli rauchi di Sam, risposte che riesce a prevedere nella loro
totalità. Il tono di voce del dottore si addolcisce, tira un sospiro “Desidera
suo marito con lei?” – la risposta di Sam, ingarbuglia qualcosa nel suo petto.
Dopotutto, la fede che gli ha infilato all’anulare gonfio durante la corsa in
ospedale (passandosela preventivamente sulla lingua per facilitarne
l’inserimento, ma è un dettaglio) luccica in maniera convincente, sotto
le luci della scialitica. Adesso tocca a lui fare la sua parte.
Quando si sporge al di la’ del
paravento, Sam lo fissa con uno sguardo morbido, quasi compassionevole, forse
anche per colpa della cannula nasale. L’anestetico, per sua grande sorpresa,
regge ancora, a giudicare dal fatto che il dottore riesca a visitarlo mentre
Sam sembra più interessato a volgere il capo verso di lui piuttosto, o forse è
un modo per prendere le distanze da ciò che sta avvenendo tra le sue gambe, e
la cosa sarebbe più che credibile.
“Ehi” bisbiglia; ha una mezzo sorriso stampato sul volto, una lucentezza
anomala negli occhi. È certo che anche il sedativo che gli hanno collegato in
vena abbia già cominciato a fare effetto.
“Ehi.” Nel tono di Dean, un tocco di incertezza che non avrebbe voluto far
pervenire. Poggia le mani sulle spalle nude, un po’ troppo calde per i suoi
gusti.
“Che disastro...” commenta il medico
senza sollevare la testa. Sposta la lampada, raddrizza le staffe in modo da
avere un’apertura maggiore “non ho mai visto niente di simile in tutta la mia
vita.”
E per quanto deprecabile sia stato nei toni, Dean sente sotto sotto di dovergli
dare ragione. Incrocia lo sguardo di Sam, tira giù gli angoli della bocca, fa
spallucce mentre con una mano porta via la patina di sudore e sabbia che si è
accumulata sulla fronte pallida di suo fratello.
“Cosa ha preso prima di venire qui? Perché non è umanamente possibile che sia
così tranquillo senza aver preso nulla.”
L’antifona giunge forte e chiara, Dean ingrugnisce il volto. “Ehi, ehi, ehi –“,
parte aggressivo “-io e mio fratello non siamo dei tossici, okay? Sono
un dentista, avevo in macchina delle fiale di lidocaina e ne ho usata una per
permettergli di arrivare qui in ospedale tutto d’un pezzo!” Si accorge subito
anche del lapsus ma non fa in tempo a correggersi.
“Fratello?” Il dottore ripiega un angolo del lenzuolo, scoprendo una porzione
più alta (e più tumefatta) dell’inguine. C’è una certa soddisfazione nel modo
in cui fa schioccare la lingua al termine della domanda.
Dean arrossisce. Risponde prima che il cervello possa elaborare una scusa
migliore “Forza dell’abitudine. Ci siamo finti fratelli a lungo.
Vivevamo nel Mississippi, sa com’è.”
Il medico scuote la testa come se la balla di Dean lo divertisse soltanto.
Torna a concentrarsi sul suo lavoro, ordina qualcosa a un’infermiera appena
arrivata che sta ancora calzando i guanti, fa qualche altro commento, ma Dean a
quel punto non lo ascolta più; ribolle in qualcosa che fatica ad elaborare.
Forse sta esagerando; forse è solo stanco, ma si sente addosso più spine di
quante ne abbia Sam lì sotto, e forse sono così evidenti da spingere Sam a
intervenire con uno dei suoi soliti ‘Va tutto bene, Dean’ e con la sua
mano tremante, – la stessa mano che ha al dito il saturimetro (e la fede)
– che si solleva e vaga incerta verso il suo collo, ne piega piano il viso su
di sé e bacia lievissimamente le sue labbra prima che Dean si renda conto che
sì, in effetti, lo aveva avvicinato un po’ troppo per volergli soltanto
rivelare qualcosa in un orecchio.
Il resto dell’intervento procede in assoluto,
caustico silenzio. Solo il crepitio degli strumenti chirurgici, un viavai di
infermieri che portano garze e strumenti, il bip del monitor cardio-respiratorio. Mentre di tanto in tanto fa
scorrere le dita tra i capelli insabbiati di Sam, Dean deve ammetterlo: quella
della coppia è una delle coperture che gli riescono meglio.
Ci sono volute quasi tre ore e mezza e
una snervante, minuziosa opera di estrazione, prima che Sam venisse, con grande
sollievo di tutti, dichiarato libero da ogni spina. Per quanto fastidioso nei
modi, quella testa pelata del dottore si rivela più resiliente e soprattutto,
più testarda di quanto Dean avesse inizialmente pronosticato. Ha apprezzato,
infatti, le brevi pause concesse a Sam per bere, togliere di tanto in tanto le
gambe dalle staffe e riprendere fiato. È stato letteralmente ad un passo
dall’adorarlo quando, infischiandosene dello stoicismo del cazzo di suo
fratell...err...marito, di suo marito, ha rinnovato l’anestetico ogni
qualvolta ce ne sia stato bisogno, nonostante Sam, pallido e poco convincente,
millantasse il contrario. Sì, deve ammetterlo: è stato un inatteso quanto
reciproco spezzare segretamente lance: Il dottore spezzava le lance di Sam (le
spine, ma considerata la grandezza di alcune, cambia veramente poco), lui
spezzava le lance in suo favore.
L’urologa, giunta da un ospedale vicino,
è a sua volta ulteriormente gentile. Elabora l’orrore che si appresta a
visitare con una smorfia del viso, ma si risparmia tutti i commenti al
riguardo, il che è certamente un enorme punto a favore, pensa Dean. Già il
suono della parola ‘urologo’ richiama alla mente immagini vivide di incubi e
torture indicibili, e di certo, né lui, né Sam hanno bisogno di ulteriori
traumi.
“Mi avverta se dovesse sentire troppo dolore,” avvisa la dottoressa, prima di
poggiare la sonda dell’ecografo tra i testicoli di Sam, che annuisce, stringe
gli occhi, serra le dita contro le maniglie laterali del lettino e Dean freme
dalla voglia di prendere parola al posto suo e avvisare che sì, gli sta facendo
male, dato che l’anestetico è con molte probabilità svanito di nuovo e avrebbe
bisogno una nuova dose che non chiederà mai. Ma non lo fa.
I suoi impulsi vengono messi a tacere dagli occhi di Sam. Questi, dal profondo
del suo dramma, si stagliano penetranti verso di lui, giocano sporco e tutto
ciò che Dean riesce a fare, è restare a fissarli come un ebete e poi, senza
alcuna ragione, piegare le labbra in un sorriso stanco. Perché diamine, ha già
visto quello sguardo nel Sam bambino con il braccio rotto che portò in ospedale
sul manubrio di una bicicletta rubata e che per tutto il tempo in cui lo
ingessarono non smise un solo secondo di guardarlo con quegli stessi, identici
occhi, stringendo la mano integra alla sua. Ci mette davvero un millesimo di
secondo quella memoria a riportarlo lì, a quei momenti, esattamente dove Dean
sente di dover stare. E staccandola dalla maniglia del letto, riporta la mano
di Sam nella la sua, perché proprio come allora, è esattamente dove deve
stare.
“Le faccio male?” domanda la dottoressa, forse notando un certo irrigidimento.
“È tutto okay-”
La bocca di Dean non si professa parola. Guarda le dita di Sam intrecciate alle
sue, si domanda quand’è che sono diventate così grandi.
Il medico procede per altri cinque minuti, prima di allontanare il sensore,
ripulire Sam dal gel e spegnere il monitor. Si consulta con il dottor Testapelata,
guardano insieme le stampe dell’ecografia, discutono di alcuni punti sotto il
lenzuolo che Dean non può vedere.
“Signor Campbell,” Dean scruta il volto della dottoressa, cerca di anticipare
mentalmente ciò che sta per dire, “adesso le faremo una medicazione e la
porteremo in corsia. Cominceremo con un ciclo di antibiotici ad ampio spettro
in attesa dei risultati delle analisi e faremo qualche altro esame in serata.”
“In serata? Mi sta dicendo che non può
tornare a casa adesso?”
“Io non avrei tutta questa fretta,
figliolo.”
Testapelata e Naso-a-pappagallo
(i termini per insultare anche l’urologa gli sorgono spontanei, adesso)
storcono la bocca, snocciolano una serie di paroloni su esami, antibiotici,
terapie – tutte prive di alcuna concretezza per la sua mente, e Dean ne ha
davvero abbastanza. Rotea gli occhi, sospira, geme più di quanto faccia Sam
quando un infermiere maldestro gli buca in malo modo una vena del braccio per
un prelievo.
L’urologa si congeda dopo aver lasciato delle direttive e firmato alcune carte,
a Sam viene finalmente permesso di assumere una posizione più dignitosa e
nonostante stia lavorando mentalmente al piano di fuga (perché di certo non ci
metteranno molto a scoprire la cosa delle assicurazioni sanitarie), Dean
si concede quel tocco di sollievo che, sul momento, non gli fa neanche
percepire i passi del dottore verso di sé come qualcosa di allarmante.
“Signor Campbell...” Il medico pronuncia il suo (falso) cognome con
un’autorevolezza che lo riporta in fretta alla realtà. Ha un tono diverso del
solito, le mani dietro la schiena; sta alludendo qualcosa. “Mi diceva che al
momento dell’incidente, lei e suo marito stavate condividendo un momento...di
intimità, è corretto?”
Dean deglutisce, porta i suoi occhi altrove; incontra quelli di Sam giusto in
tempo per realizzare che non è il momento di rifugiarsi in quello sguardo che
lo fissa come se tutto dipendesse adesso da lui; li sposta su quelli
dell’infermiere al fianco di suo fratello e...no, no. Il poveretto è talmente
sbigottito che quasi non si accorge di aver abbandonato la medicazione che sta
eseguendo sul pene di Sam. Fottuti omofobi dell’Arizona.
Si ricompone in fretta. “È corretto.” La lingua schiocca contro il palato.
“Bene.” Il dottore fa un cenno col viso. Evidentemente, è la risposta che si
aspettava. Gira le suole, raggiunge un carrello oltre al paravento. “Meglio
dare un’occhiata anche a lei, allora. Mi segua.”
Dean non è certo di aver sentito bene; un fischio assordante si è insinuato
nelle sue orecchie e ciò che arriva al di la di esso giunge come ricoperto da
uno strato di ovatta.
“Come dice, prego?” Ha la bocca
impastata con qualcosa di amaro, probabilmente rimasugli di bile saliti in gola
e ricacciati giù. Ci fa caso solo adesso.
Dall’alto del suo dispotismo, il dottore non sembra avere intenzione di
ripetersi. Raggiunge un lettino da esame posto in un angolo contro al muro, ne
batte con il palmo la superficie in eco pelle blu.
“Si spogli, prego.” comanda intransigente, prima di sistemare la lampada
scialitica puntandola verso il letto.
Dean sorride, e non saprebbe spiegare neanche a se stesso perché lo stia
facendo. China la testa, guarda la punta delle sue scarpe ancora imbrattate di
sangue, solleva il dito indice. “No, no, deve esserci un equivoco, io sto
benissimo,” blatera, come un perfetto idiota.
Ma il dottore, irremovibile, ha continuato a fare i preparativi della sua
visita: si è disinfettato le mani, ha indossato un nuovo paio di guanti, steso
un nuovo telo igienico sul lettino che lo aspetta. E in quell’impazienza, Dean
non può davvero evitarlo: non può davvero evitare di guardare Sam – ancora una
volta, e per l’ennesima volta, in questa giornata di merda – alla
ricerca di risposte a quesiti a cui non sa rispondere. E ancora una volta e per
l’ennesima volta, l’aiuto ricevuto si rivela totalmente inconsistente se
non, come in questo caso, dannoso.
“Il dottore ha ragione, Dean—“ esorta Sam, rauco e spiazzante: storpia il volto
in strane smorfie, raggrinzamenti che la mente di Dean traduce come ‘Diamine,
non far saltare in aria tutto adesso, Dean!’
E davvero, davvero Dean a quel punto non elabora nulla di quanto gli
stia accadendo. È troppo stanco e provato per reagire come reagirebbe Dean
Winchester (quello vero. Quello che non ha passato mezza giornata immerso in un
incubo fatto di spine, sangue e genitali ridotti in groviera). Mentre nella sua
testa scorrono le prime due-tre cosette che avrebbe da dire a Sam quando
saranno usciti da lì, a malapena si accorge di essersi lasciato trascinare come
un magnete dalla voce dittatoriale di Testapelata e di avere preso tra
le mani la cintura dei suoi pantaloni.
Appoggia le natiche nude sul bordo del lettino come volesse garantirsi la
possibilità di fuggire in qualsiasi istante. Lascia che il dottore regoli da sé
l’apertura delle sue gambe, trasalisce quando questo poggia le mani sulle sue
cosce.
“Si rilassi,” gli viene ordinato, ma ‘rilassarsi’ è un concetto che gli è
estraneo; un vocabolo che è stato estirpato dalla sua testa nel momento in cui
si è ritrovato le mutande alle ginocchia e Dean Jr. esposto alla faccia
occhialuta di un fottuto, ambiguo medico di mezza età.
Il dottore muove il braccio della lampada d’ingrandimento, ne regola lo zoom -
“È il prezzo da pagare per essere andati a fare certe cose in un luogo
pubblico” miagola con una certa, infame soddisfazione mentre lo tasta dove Dean
non avrebbe mai immaginato di lasciarsi tastare da nessuno. Rigido come
una statua di marmo, Dean fissa un punto dinnanzi a sé cercando di alienarsi
dalla realtà – il suo petto si gonfia e sgonfia a ritmo irregolare, il mondo
intorno sfarfalla.
“Qui siamo a posto,” dichiara dopo una
manciata di minuti, e Dean sfiata, rilassa le spalle che la tensione aveva
contratto sino al collo. “Vediamo l’altro lato.”
Capisce cosa intende solo quando Sam, che sino ad allora sembrava aver fatto
del suo meglio per non guardare in sua direzione, conferma ogni suo timore
mediante una muta, sconvolta occhiata che fa capolino da un angolo del
paravento. Cazzo.
“L’altro lato?” Sbatte le palpebre più volte, il mondo intorno a sé non si
ricompone.
Il dottore chiude gli occhi, sospira con la tipica stanchezza di chi sta
lottando per mantenere intatta la propria reputazione - “Non mi faccia scendere
nei dettagli, sappiamo entrambi come funzionano le relazioni di questo
genere. Lo sa lei e suo marito e lo so io e il mio. Adesso scenda
dal letto, si volti e poggi i gomiti sul bordo.”
Manovrato da un’entità invisibile chiamata forse voglia-di-farla-finita-al-più-presto
(o forse voglia-di-morire-in-quell’esatto-istante), dopo una serie di
secondi in cui ha visto scorrere dinnanzi ai suoi occhi tutta la sua vita,
oltre ogni ragionevole aspettativa, lo fa. Dean esegue ligio un ordine che,
probabilmente, tornerà a bussare alla sua mente ogni qualvolta passerà in
rassegna tutti i rancori e rimpianti più importanti della sua vita.
Curva la schiena sul lettino, la testa bassa di chi vuole autoescludersi da una
realtà corporea a cui sente di non appartenere più: sul muro di fronte a sé,
vede stagliarsi l’ombra pingue del dottore, prima di sentirne le dita
inguantate sulle sue natiche e tra le sue natiche. Chiude gli occhi,
serra la mascella, manda a fanculo i vari ‘si rilassi’, ‘faccia un
respiro profondo’, ‘adesso sentirà
un po’ di pressione’ mentre sente la propria dignità bruciare sulla punta
delle proprie orecchie.
Nel momento in cui il medico smette di
tormentare il suo orifizio e il suo orgoglio, scartando via i guanti e
annunciando che non ha spine ma un lieve principio di emorroidi, tra la
quantità imbarazzante di improperi macinati dalla sua mente, uno si erge con
prepotenza tutto il suo splendore:
“Fottute streghe.”
- Betata
a tempo record da Kendra26.
Grazie mille!
- Capitolo un po’ più leggerino del
precedente, dai. Un pochino. Ma
apprezzate la volontà! Solitamente scrivo drammoni, lol.
- Piccole note: Campbell è il cognome da nubile di Mary Winchester nonché il
cognome di due prestigiatori americani (citati nell’episodio 7x07 – the Mentalist)
che si fingevano fratelli per camuffare la propria omosessualità. La coppia è
realmente esistita (Allen Campbell
and Charles Shrouds, Lily Dale, NY)
- Il prossimo capitolo non sono certa di riuscire a pubblicarlo entro martedì
prossimo, potrebbe ritardare un po’ causa trasloco.
- Prompt nato da una sfida sul mio gruppo Hurt/Comfort
Italia; in questo capitolo mi
riallaccio al prompt ricevuto successivamente da un altro utente, sempre
all’interno della stessa sfida: "A
sta male, B non riesce a curarlo ed è
costretto a portarlo in ospedale" :3
ho cercato di fare in modo che avesse continuità con quello precedente.
- Grazie per aver letto! Non è una lettura facile, me ne rendo conto. ^^”