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Autore: Abby_da_Edoras    25/06/2020    4 recensioni
Questa storia nasce da un sogno che ho fatto e sinceramente non avrei mai creduto di tornare a scrivere in questo fandom, eppure... mai dire mai! Questa ff è il sequel della mia storia "Shadows and lights" (ma non è indispensabile averla letta): sono passati più di due anni dalla conquista di Napoli da parte del Re Carlo e dalle atroci esperienze del Principe Alfonso. Nel frattempo il Re è tornato in Francia, lasciando il Generale a guidare il Regno di Napoli in sua vece, ma all'inizio di questa storia il Generale è morto. Il Papa Borgia, allora, non perde l'occasione per ampliare i suoi domini e manda il figlio Juan come "protettore" del Principe Alfonso, perché sia lui a governare Napoli. Il rapporto tra Juan e Alfonso, però, evolverà in maniera inaspettata...
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a registi, autori e produttori della serie TV The Borgias.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alfonso II di Napoli, Altri, Juan Borgia
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Salvation'
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Capitolo sesto: The River

 

I heard that evil comes disguised
Like a city of angels
I'm walking towards the light

Baptized in the river
I've seen a vision of my life
And I wanna be delivered
In the city was a sinner
I've done a lot of things wrong
But I swear I'm a believer
Like the prodigal son
I was out on my own
Now I'm trying to find my way back home
Baptized in the river
I'm delivered
I'm delivered

(“The River”- Good Charlotte  feat. M. Shadows and Synyster Gates

 

La nobiltà del Regno di Napoli ci mise poco più di una settimana per raccogliere tutte le informazioni possibili su Juan Borgia e, ovviamente, esse tendevano a metterlo nella luce peggiore. Così il Conte Sanseverino, il Principe di Melfi Caracciolo, il Marchese Gesualdo e il Duca Caldora chiesero di essere ricevuti dal Principe Alfonso e, nel pomeriggio di qualche giorno dopo, vennero accolti nella Sala del Trono.

I quattro nobili storsero già la bocca nel vedere che Alfonso sedeva sul trono che era stato di suo padre, e questo poteva anche andare visto che, almeno ufficialmente, quello era il suo posto, ma sullo scranno alla sua destra stava proprio quel maledetto Borgia. Era inaccettabile che il figlio bastardo di un Papa corrotto e depravato sedesse sullo scranno del legittimo erede del Regno di Napoli! Per fortuna, pensarono i Baroni con soddisfazione, grazie a quello che loro avevano da dire, ben presto Alfonso avrebbe cacciato via il Borgia rimandandolo da dove era venuto e quella riprovevole ostentazione avrebbe avuto fine.

“Buon pomeriggio, miei signori” li salutò con cortesia il Principe. “Sono molto curioso di conoscere i motivi che vi hanno spinto a richiedere con tanta insistenza questo incontro.”

“Vostra Maestà, il motivo è molto semplice” esordì il Duca Sanseverino. “Da giorni ormai siamo molto preoccupati per il fatto che il qui presente Juan Borgia, Gonfaloniere e Capitano Generale dell’esercito papale, abbia raggiunto una posizione di eccessiva influenza presso la vostra corte. Non è ammissibile che il Regno di Napoli debba prostrarsi ai piedi del Papa Borgia, di cui il figlio è chiaramente un tramite.”

Alfonso era solito dare il meglio di sé quando aveva l’occasione di parlare davanti a persone di rango: allora sapeva sfoggiare una bella parlantina e anche un modo di fare sicuro e determinato, da vero sovrano. Questa era una caratteristica che lo aveva aiutato molto nel periodo in cui era ostaggio del Re di Francia. Pertanto il giovane sfoderò uno sguardo penetrante e replicò in tono deciso alle insinuazioni dei quattro nobili (con grande sorpresa di Juan, che decisamente non si aspettava un Alfonso tanto risoluto).

“L’onorevole Duca di Gandia Juan Borgia, Gonfaloniere e Capitano Generale dell’esercito papale, non è affatto qui per conquistare il mio Regno, bensì per proteggerlo da future nuove minacce da parte di invasori stranieri. Sappiamo bene, purtroppo, cosa significherebbe un altro assalto da parte dei Francesi, il cui Re è tuttora convinto di avere diritto a questa corona. E’ dunque un grande vantaggio, per il Regno di Napoli, che Re Carlo sia al corrente del fatto che siamo protetti dall’esercito papale che, a sua volta, è alleato alle forze militari del Marchesato di Mantova, dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo e della Repubblica di Venezia.”

“Vostra Maestà, siete ancora molto giovane e inesperto delle reali alleanze politiche” intervenne in tono suadente il Marchese Gesualdo. “E’ proprio per questo che noi vi abbiamo chiesto di riceverci. Non potete assolutamente fidarvi del Papa Borgia e della sua presunta protezione e tanto meno di quest’uomo! La nobiltà del Regno ha il dovere di proteggere il suo sovrano, perciò abbiamo mandato i nostri uomini più fidati a Roma, per ottenere informazioni su Juan Borgia.”

“Informazioni di cui voi dovete assolutamente essere messo al corrente, per il vostro bene e per quello del Regno” riprese Sanseverino.

Oh, certo, volete proteggermi. Magari come mi avete protetto quando Re Carlo ha invaso il Regno, costringendomi a scappare a piedi, come un vagabondo? Il vostro aiuto mi è stato veramente prezioso quando il sovrano francese mi ha fatto torturare nelle segrete, pensò Alfonso, con un lampo di odio negli occhi. Tuttavia scelse di dissimulare la propria rabbia e di rispondere con l’ironia.

“Gli uomini fidati di cui parlate sono quelli che io definirei spie?” domandò in tono soave.

“Chiamateli come vi pare, Vostra Maestà, ma ci auguriamo che le informazioni che abbiamo ottenuto tramite loro servano ad aprirvi gli occhi” ribatté il Duca Caldora. “Questi uomini, leali servitori del Regno di Napoli, hanno parlato con molti testimoni, tutte persone che hanno avuto modo di conoscere bene il Duca di Gandia e anche di combattere al suo fianco… se così si può dire.”

A queste parole un comprensibile nervosismo iniziò a turbare Juan, che si agitò sul suo scranno. Maledizione, se quella gente aveva davvero parlato con qualcuno che aveva partecipato all’assedio di Forlì le cose si sarebbero messe male per lui…

“Immagino che il valoroso Capitano Generale dell’esercito papale non vi abbia raccontato ciò che è accaduto durante l’assedio di Forlì” disse il Principe di Melfi Caracciolo, con un sorriso compiaciuto. “I pochi sopravvissuti a quel massacro hanno riferito che Juan Borgia è scappato, da codardo qual è, non appena si è visto a mal partito. Ha abbandonato i suoi soldati alla carneficina compiuta dalle truppe di Ludovico il Moro, giunto in appoggio alla cugina Caterina Sforza. E voi riponete la vostra fiducia in un simile vigliacco? Non pensate che farebbe lo stesso qualora le forze di Re Carlo dovessero tentare una nuova sortita? Del resto, già una volta Juan Borgia è stato pesantemente sconfitto dall’esercito francese…”

Juan era sempre più a disagio, ma Alfonso non si lasciò smontare.

“Avete detto che i soldati di Ludovico il Moro hanno compiuto un massacro contro l’esercito papale. Ritenete che la colpa della sconfitta debba ricadere sul Gonfaloniere Borgia? E’ stato per un suo errore se i suoi uomini sono stati attaccati?”

“No, non ci è stato riferito questo. In realtà l’esercito di Ludovico Sforza era molto più numeroso e ben armato delle truppe papali e le ha attaccate alle spalle, tuttavia Juan Borgia è fuggito senza nemmeno provare ad affrontare il nemico e…” cercò di replicare Caracciolo

“E dunque cosa mai avrebbe potuto fare Juan Borgia contro un esercito più numeroso e meglio armato che, oltretutto, ha attaccato a tradimento le truppe papali? Pensate che avrebbe dovuto combattere una battaglia persa in partenza? Voi, Principe Caracciolo, cosa avreste fatto? E voi, Duca Sanseverino? Non è forse vero che, quando la battaglia è persa, i comandanti cercano di mettersi in salvo? E’ la stessa cosa che ha fatto Re Carlo quando è stato sconfitto dalla Lega Santa” obiettò Alfonso con un sorrisetto. “E, come ho detto prima, so bene che non sarà la presenza del Gonfaloniere Borgia a incutere terrore ai Francesi, quanto l’idea che il suo esercito, assieme alle forze della Lega Santa, si schiererà per proteggere il Regno di Napoli da qualsiasi invasore.”

Juan non sapeva bene se essere soddisfatto perché Alfonso lo aveva difeso o se sentirsi vagamente preso per i fondelli, così com’era accaduto durante il famoso pranzo di tre anni e mezzo prima… Tuttavia l’importante era che il Principe avesse chiuso la bocca a quei Baroni invidiosi e malevoli.

“Se questo è ciò che pensate, Vostra Maestà… ma non avete udito ancora la parte peggiore” riprese Sanseverino. “Juan Borgia non è soltanto un vigliacco, è anche un uomo depravato, corrotto e pervertito. Frequenta abitualmente locande, bordelli e fumerie di oppio, lasciandosi andare alle peggiori dissolutezze. E’ un assassino, un uomo senza scrupoli che, durante l’assedio di Forlì, non ha esitato a torturare un ragazzo di quindici anni di fronte a sua madre!”

Ma questi sanno proprio tutto? Che siano maledette le spie dei Baroni di Napoli!

Adesso Juan cominciava veramente a sudare freddo. Ecco, quella era proprio la cosa che Alfonso non avrebbe dovuto sapere mai e poi mai…

Il Principe impallidì e strinse le labbra a quelle parole, le mani strinsero convulsamente i braccioli del trono e i nobili si scambiarono un’occhiata soddisfatta: era la reazione che volevano ottenere, i giorni del Borgia a Napoli stavano per finire.

“Quello che vi racconterò adesso, Vostra Maestà, mi è stato riferito da un uomo fidatissimo che ha parlato personalmente con un comandante spagnolo che ha combattuto nell’assedio di Forlì, un testimone diretto, dunque, e sicuramente non di parte, poiché era amico del Duca di Gandia prima che tutto questo avvenisse” intervenne il Principe di Melfi Caracciolo. “Juan Borgia ha fatto catturare dai suoi soldati il quindicenne figlio di Caterina Sforza e lo ha sottoposto ad abusi e sevizie nella sua tenda, picchiandolo, brutalizzandolo e… beh, nemmeno il comandante spagnolo poteva immaginare a quali depravazioni il Borgia si sia spinto con quel povero innocente. Dopo di che lo ha trascinato sanguinante sotto gli spalti del castello degli Sforza, malmenandolo, legandolo a una corda e sottoponendolo a un orrendo supplizio sotto gli occhi di sua madre. Non contento, gli ha addirittura tagliato un dito e alla fine ha ordinato che il ragazzo venisse impiccato. Il poveretto si è salvato solo grazie all’intervento del valoroso spagnolo, che lo ha liberato. Ecco, Vostra Maestà, questa è la persona che avete accolto a corte, la persona alla quale accordate fiducia e amicizia. Cosa ne pensate adesso?”

E’ falso, quelle spie non hanno parlato con Don Hernando de Caballos, queste calunnie non possono venire da lui, pensò Juan, sconvolto. Don Hernando non approvava la tortura del giovane Sforza, è vero, ma non avrebbe mai messo in giro simili calunnie. Abusi, depravazioni, percosse? Non c’è stato niente di tutto questo, è vero che ho fatto torturare il ragazzo alla corda per costringere Caterina a cedere, che gli ho tagliato un dito per ritorsione dopo che gli arcieri Sforza mi avevano ferito alla gamba e che avrei fatto uccidere il prigioniero, ma tutto il resto sono fantasie malate di qualcuno che vuole mettermi in cattiva luce. E non può essere Don Hernando, no… la spia deve aver parlato con qualcun altro, con Cesare, probabilmente!

“Vorrei ricordarvi, Vostra Maestà, che il ragazzo che il Borgia ha abusato, seviziato e torturato ha solo quindici anni, quanti ne avevate voi quando il Re francese vi ha trattato nello stesso modo atroce” sottolineò Sanseverino. “Volete veramente che sia un uomo del genere ad occuparsi della vostra protezione?”

I Baroni di Napoli non nascondevano sorrisi trionfanti, mentre Juan si agitava sullo scranno, sempre più teso e tormentato.

Alfonso si sentiva sprofondare in un abisso di disperazione, rabbia e angoscia. Il vuoto che lo aveva quasi inghiottito alla morte del Generale sembrava tornare a reclamare la sua anima. Il dolore che lo straziava era devastante.

Tuttavia i terribili anni come ostaggio di Re Carlo gli avevano insegnato a mascherare le emozioni, a ostentare una forza che non aveva e a trarre energia dalla paura, per dare la risposta giusta, quella che lo avrebbe salvato ancora una volta dall’orrore.

Sui alzò dal trono, pallidissimo ma fiero. Non rivolse nemmeno un’occhiata di sfuggita a Juan, i suoi occhi si puntarono su Caracciolo e gli altri nobili, che ormai credevano di aver vinto la loro battaglia. Un silenzio glaciale incombeva sulla sala.

“Miei signori, ho ascoltato con molta attenzione tutto ciò che mi avete riferito e questa è la mia risposta” disse Alfonso, cercando di mantenere ferma la voce. “Se quello che avete raccontato è vero, allora Juan Borgia è assolutamente la persona che mi serve per tenere al sicuro il mio Regno.”

I Baroni restarono sbigottiti.

“Vostra Maestà, ma… avete compreso bene quello che vi abbiamo detto? Juan Borgia è un uomo pericoloso, un assassino, un depravato che non si fa scrupoli a…” iniziò a protestare Caracciolo.

“Appunto. E’ proprio la persona di cui ho bisogno” lo interruppe Alfonso, gelido. “Avete parlato del Re francese e di quello che mi ha fatto, ma dov’eravate voi quando ho avuto bisogno di un rifugio? Mi avete forse aiutato a sfuggire alle grinfie di Re Carlo? No di certo, avevate da pensare alle vostre terre e ai vostri possedimenti. E ciò che riferite del Gonfaloniere Borgia non è poi molto diverso da quello che si diceva in giro di mio padre, il temuto Re Ferrante, ai tempi in cui bastava il suo nome per atterrire avversari e possibili invasori. Sono veramente molto lieto che, finalmente, nel Regno ci sia di nuovo qualcuno che non si fa scrupoli, qualcuno talmente spietato e crudele da non esitare a prendere voi, le vostre mogli e i vostri figli e di farli passare per le segrete di mio padre.”

I nobili indietreggiarono, improvvisamente spaventati. In quel momento Alfonso sembrava davvero il degno figlio del terribile Re Ferrante. Alcune guardie del castello entrarono nella Sala del Trono e afferrarono i Baroni per le braccia.

“Le mie guardie vi scorteranno fuori e voi potrete tornare alle vostre terre sani e salvi, per questa volta. Ma guai a voi se oserete ancora alzare la testa e venire a dire a me quello che devo o non devo fare” intimò loro il ragazzo. “Come ben sapete, adesso ho a mia disposizione il Gonfaloniere Borgia, quest’uomo feroce e inesorabile, e il suo nome diventerà presto sinonimo di terrore e distruzione per tutti coloro che oseranno minacciare me e il Regno di Napoli, voi per primi, con le vostre assurde pretese e rivendicazioni! Andate pure, vi auguro una buona serata, miei signori.”

Le guardie di Alfonso scortarono fuori dal castello i quattro nobili, che furono ben felici di salire sui loro cavalli e ripartire di gran carriera verso i loro possedimenti.

Il loro piano era miseramente fallito. Altro che indebolire il Principe e privarlo dell’appoggio degli odiati Borgia! Le loro parole avevano avuto il solo effetto di scatenare ancora di più il suo odio contro di loro e adesso avrebbero dovuto tenere un profilo molto basso per evitare di incorrere nella sua vendetta.

Forse non era stata una grande idea ricordargli le torture subite da Re Carlo, quando essi per primi si erano ben guardati dal portarlo in salvo e, anzi, avevano sperato che il monarca francese lo uccidesse, per poi farsi avanti e cercare di guadagnare favori e privilegi…

Nella Sala del Trono erano rimasti solo Alfonso e Juan.

Il giovane Borgia, ammirato per come il Principe lo aveva difeso, si era ripreso dallo sbigottimento ed era in vena di scherzare.

“Il mio nome diventerà sinonimo di terrore e distruzione? Bello, mi piace” commentò, divertito. “Meglio però che non si sparga troppo la voce della mia fuga da Forlì…”

La voglia di scherzare gli passò immediatamente non appena Alfonso si voltò verso di lui, gli occhi due pozze nere di dolore e desolazione.

“C’è qualcos’altro che dovrei sapere di voi, Gonfaloniere?” gli chiese, una domanda dura e diretta come una cannonata. “Non siete un eroe, ma questo l’avevo già capito anni fa, quando veniste a portare la proposta di matrimonio di vostro fratello. E non mi interessa, pure io sono un codardo, alla resa dei conti. E le vostre debolezze, oppio, alcool e bordelli, riguardano solo voi. Ma ditemi, fino a che punto vi dilettate ad abusare di ragazzini e a torturarli?”

Juan rimase impietrito.

“Che dici, Alfonso? Non avrai creduto davvero a quello che dicevano i Baroni, spero” replicò, improvvisamente molto meno sicuro di sé. “Sai che il loro scopo è quello di allontanarmi da Napoli e di privarti della protezione dei Borgia.”

“Lo so, infatti, ed è solo per questo che vi ho difeso. Ma ora ditemi, ditemi pure, Gonfaloniere: cos’altro c’è di voi che non so e che dovrei sapere?” ripeté Alfonso, implacabile.

Juan si sentì come se il terreno gli stesse franando sotto i piedi e le mura del castello si richiudessero sopra di lui. Era finita, dunque? Ancora una volta aveva fallito e sarebbe dovuto tornare a Roma, dal padre, con il capo chino e la vergogna scritta in fronte?

Ma questo fallimento gli bruciava troppo. No, questa volta non si sarebbe arreso, non poteva. Non avrebbe rinunciato a quello che, per qualche settimana, lo aveva fatto sentire in pace, sereno, come se avesse finalmente trovato una vera casa.

Non poteva rinunciare ad Alfonso…

Fine capitolo sesto

 

 

 

   
 
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