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Autore: Soul of Paper    28/06/2020    5 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nessun Alibi


Capitolo 36 - L’Opinione Pubblica


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


“Scegline un paio che te li metto.”

 

“Chetti!”

 

Le scappò un mezzo sorriso, notando che Noemi aveva indicato sempre degli orecchini leopardati con tre pendenti, per fortuna più leggeri di quelli che quasi le aveva strappato dall’orecchio.

 

“Ecco qua!” proclamò, mettendole giusto la punta della clip sui lobi, piccolissimi rispetto agli orecchini, che erano lunghi come la testa della bimba.

 

La prese in braccio e la mise di fronte allo specchio e Noemi batté le mani, felice.

 

“Mamma, hai vitto? Che bei!”

 

Rosaria fece un’espressione che pareva uno spero vivamente che crescendo li troverai orrendi come li trovo io! ma poi sorrise, annuì e le lancio di soppiatto un’occhiata di gratitudine.

 

“Mi sa che ti devo portare allo zoo se ti piacciono tanto i leopardi,” scherzò poi con la figlia, ma Noemi rise di nuovo e fece segno ad Imma di metterla giù, iniziando a trottare per la stanza ed avvicinandosi allo specchio dell’armadio, scuotendo la testa per fare muovere gli orecchini.


In quel momento suonò il telefono ed Imma temette, visto l’orario di venerdì sera, che fosse o un altro giornalista che aveva avuto il suo numero o qualcosa di lavoro.

 

“Valenti?” chiese, sorpresa, rispondendo alla chiamata.


“Ciao mà. Come va lì? I giornalisti sono ancora ad inseguirvi o hanno trovato una notizia più interessante della semi infermità mentale del tuo maresciallo?”

 

“Spiritosa, signorina! E comunque, come direbbe il mio capo, stiamo cercando di tenere un basso profilo. Tu che fai questo fine settimana? Stai qua o vai a Matera?”

 

“Ti ho chiamata proprio perché pensavo di prendere la corriera di stasera. Papà l’ha presa un po’ male e volevo andare a vedere come stava e-”

 

“Tata! Tata! Poccio povae atti?!”

 

“Ma chi è che parla? Pare una bambina. Sei ancora in giro?”

 

Imma sospirò, rendendosi conto di essersi scordata di avvertire Valentina. Non che fossero affari suoi, in fondo, ma….


“No, è… è la nipotina di Calogiuri. Lei e sua madre, cioè la sorella di Calogiuri, sono venute a Roma a trovarlo per qualche giorno.”

 

“Cioè… fammi capire… tu stai ospitando una bambina piccola? Quanto tempo ha?”

 

“Due anni ad agosto. E sì.”

 

“Oddio, la cosa è ancora più grave del previsto. Non è solo il tuo maresciallo ad essere impazzito, ma pure tu non stai bene!”

 

“Valentì! E comunque-”

 

“E comunque c’è una riunione di famiglia del genere e non mi dici niente? Io questa scena non me la posso perdere! Fino a quando staranno lì?”

 

“Fino a mercoledì, ma io lunedì e martedì lavoro e poi-”

 

“E poi domattina vengo a colazione. Alle dieci se riuscite a svegliarvi in tempo.”

 

“Ma Matera?”

 

“Partirò domani pomeriggio e torno lunedì, tanto non ho lezione. A domani!”

 

“Tutto bene?” le chiese Rosaria, quando ebbe messo giù, in un modo che le ricordava un po’ il fratello.

 

“Sì… ma… mia figlia vuole venire a colazione domani. Spero che non ti dispiaccia.”

 

La criatura che tiene vent’anni?” chiese, imitando in modo perfetto la voce di sua madre.


“In realtà i venti li deve ancora compiere, ma sì, non ne ho un’altra.”

 

“Ma che dispiacermi! Anzi! Non sai quanto ero curiosa di conoscerla!” proclamò con un sorriso ed un tono furbi, prima di prendere in braccio Noemi che ancora stava giocherellando con i pendenti, “e grazie per la pazienza con la peste. Non me lo aspettavo.”

 

“Non posso prendermela con l’unica persona al mondo a cui piace il mio abbigliamento.”

 

Oltre alla risata di Rosaria, ne sentì una ben più familiare e si voltò e vide Calogiuri sulla porta che la guardava con quegli occhi lucidi che erano un’arma letale.

 

“Vi lasciamo riposare mo. Se avete bisogno stiamo di là, buonanotte,” si congedò, raggiungendo Calogiuri e chiudendo la porta dietro di loro.

 

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“Allora, come va?”

 

“Il divano letto non è comodissimo, il tuo mi sa che è meglio, Calogiù. Però per qualche notte è accettabile. Tu come va? Felice della riunione di famiglia?”

 

“Molto! E poi… Noemi ti adora proprio! Però, insomma… quando vuoi un po’ di pausa da lei dimmelo pure, non voglio che ti senti in obbligo e-”

 

“Ma che obbligo e obbligo! Che non mi conosci, maresciallo? Quando non mi va di fare una cosa o di avere a che fare con qualcuno lo sai che mi si legge in faccia, no?”

 

“Sì, lo so, ma-”

 

“E poi appunto è l’unica persona al mondo che mi ruberebbe il guardaroba, quindi…”


“In realtà pure io te lo ruberei volentieri, dottoressa, ma per altri motivi,” la punzecchiò con un tono che le faceva venire voglia di fare tutto tranne che dormire.

 

“Maresciallo! Guarda che per qualche giorno ce ne dobbiamo stare buoni buoni, prima che traumatizziamo tua sorella e tua nipote. Quindi non provocarmi che è pericoloso! Anzi, sei pericoloso!”

 

“Era da un po’ che non me lo dicevi, dottoressa,” ribatté, l’ironia che lasciava trasparire un misto di dolcezza e di nostalgia.

 

“Il fatto che non lo dica non vuol dire che non lo pensi,” replicò, dandogli un pizzicotto sul petto, prima di appoggiarci il capo.

 

“Sono passati quasi due anni… mi sembra incredibile a volte.”

 

“Pure a me… ma non cambierei mai la mia vita di oggi per quella di allora, nonostante tutti i casini,” si sorprese ad ammettere e sentì i muscoli sotto al suo viso bloccarsi per un attimo. Lo sollevò e incontrò due occhi azzurri pieni di lacrime ed un sorriso dolcissimo.

 

“Ti amo!” le sussurrò, e poi la baciò in un modo che la fece commuovere ancora di più.

 

“Ti amo pure io e-”

 

Ma in quel momento sentì un frastuono tremendo e balzò in piedi di scatto, beccando Rosaria che aveva rovesciato una statuetta in metallo - raffigurante un leopardo stilizzato che correva - che aveva acquistato da poco e che teneva su un mobiletto all’inizio del corridoio. Per fortuna non si era rotta.

 

“Scu- scusate ma volevo prendere un po’ d’acqua e… non ho notato questa… statua…” disse, sembrando un poco imbarazzata, anche se l’occhiata che rivolse al suppellettile era tutto un programma.

 

“Tranquilla. Hai bisogno di qualcos’altro per la notte?” chiese Calogiuri, che aveva le guance nuovamente rosate.


“No, non credo. Ma posso uscire stanotte per andare in bagno o corro il rischio di traumi?”

 

E pure Imma si sentì arrossire ma scosse il capo, “cercheremo di dormire il prima possibile.”

 

Rosa annuì, recuperò una bottiglia d’acqua dalla cassetta e poi si riavviò verso la camera da letto. Si fermò di colpo all’inizio del corridoio, si voltò verso di lei e disse, “comunque, a parte la camicia da notte leopardata che non metterei neanche morta, devo dire che hai un fisico invidiabile, complimenti! Mio fratello non era del tutto accecato dall’amore quando mi decantava quanto sei bella.”

 

Il calore alle guance peggiorò, anche perché ai complimenti non ci era ancora abituata, dalle donne poi.

 

“E siete… teneri insieme, anche se non pensavo fosse possibile. Cioè, da mio fratello sì, che è un patatone da sempre, ma tu mi sembravi così tosta in video. Non che non lo sei, eh, ma mi fa piacere che non sei troppo tosta pure in privato, che non avrei voluto che Ippà replicasse la relazione dei nostri genitori che… va beh, mia mamma l’hai conosciuta, quindi te la puoi immaginare. Buonanotte e, se sentite ululare, portate pazienza che è la peste che si sveglia ancora ogni tanto la notte.”

 

Rosaria si voltò come se niente fosse e rientrò in camera da letto.

 

Imma incrociò lo sguardo di Calogiuri, che era ancora più commosso di prima. Allungò il braccio verso di lei e le tese la mano. Lei la afferrò e si rinfilò sotto il lenzuolo, trovandosi stretta in un altro abbraccio.

 

“Hai visto che non ti dovevi preoccupare? Ero certo che le saresti piaciuta.”

 

“Bugiardo! Eri preoccupato anche tu, maresciallo. Ma, visto che per me piacere a qualcuno, a una potenziale cognata poi, è un mezzo miracolo, non ti do torto.”

 

“Ed invece alla maggior parte dei Calogiuri piaci.”

 

“Veramente mancano ancora tuo fratello e tuo padre, che dubito siano entusiasti. Ma già non essere detestata da tutti per me è un risultato.”

 

“Va beh… mio padre e mio fratello non esprimono un’opinione quasi su niente, quindi è difficile capire cosa ne possano pensare. Però di solito accettano in silenzio il pensiero di mia madre per non discutere, anche se non è detto che siano d’accordo.”

 

Mi ricordano qualcuno! - pensò Imma ma non lo disse, anche perché quel nome non si sentiva di nominarlo a letto e poi non sarebbe stato giusto nei confronti di Pietro.

 

E almeno Pietro aveva un grande senso dell’umorismo, che compensava abbastanza bene la totale ignavia. Temeva invece che il padre ed il fratello di Calogiuri rientrassero nella categoria di persone che odiava di più in assoluto, dopo i disonesti.

 

Ossia i noiosi.

 

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“Chi è? Chi è?”

 

Era suonato il campanello e Noemi, ancora in pigiama, era scattata dal divano dove si era arrampicata e seduta - per fortuna lei e Calogiuri si erano alzati in tempo per rifare il letto e ritirarlo - ed era corsa verso la porta.

 

“Noemi, lo sai che non si va alla porta a casa degli altri. Bisogna aspettare.”

 

La bimba, per tutta risposta, guardò prima la madre con uno sguardo con su scritto ingiustizia! e poi si rivolse a lei implorando, “poccio veere chi c’è?”

 

“Quasi sicuramente è mia figlia, aspetta che apro mo,” rispose, avvicinandosi al citofono e, dopo aver confermato che si trattasse di lei, facendola salire.

 

Aprì la porta, cercando di evitare che Noemi corresse fuori, finché la bimba fu riacciuffata dalla madre. Dopo poco, l’ascensore arrivò al piano e ne uscì Valentina con un sacchetto di carta in mano.

 

“Ciao mà! Che miracolo che non stai ancora in camicia da notte a quest’ora di sabato! Ho portato i bomboloni per tutti, spero vada bene.”

 

“Va benissimo, Valentì, solo che… li avevamo già comprati pure noi. Qua possiamo aprire una pasticceria!” scherzò Imma, facendole segno di passare.

 

Valentina la superò ma si fermò di scatto quando vide Rosaria con la figlia.

 

“Siete la sorella e la nipote di Calogiuri, giusto?”

 

“Ma che pure tu lo chiami Calogiuri? Che è un vizio di famiglia? Mi pare di stare in caserma,” ironizzò Rosaria, prima di allungare la mano libera, “Rosaria, ma tutti mi chiamano Rosa. E questa è Noemi.”

 

“Ciu cei la fija di tata?” chiese la bimba, fissandola con gli occhioni azzurri spalancati dalla sorpresa.

 

“Tata?”

 

“Sì, Noemi, è mia figlia. Valentì!” la avvertì, lanciandole un’occhiata, ma Valentina si vedeva chiaramente che tratteneva a stento una risata.

 

“Ma cei gande, tanto!”

 

“Eh, sì, Valentina ha quasi vent’anni. Ormai è grande.”

 

“Coci’hai nel ciacchetto?”

 

“I bomboloni per la colazione.”

 

“Cììììì!” esclamò con entusiasmo, allungandosi per afferrare la carta, ma Rosaria la trattenne.

 

“Noemi, ce li abbiamo già in tavola e non si prendono i regali senza chiedere il permesso. Grazie e scusala ma è molto vivace.”

 

“Figurati. Di questi, mà, che ne facciamo? O vi volete fare un’overdose di bomboloni?”

 

“Se volete… dopo posso fare un salto in caserma e portarli ai ragazzi. Tanto lì finiscono subito. Naturalmente ti rimborso, Valentina.”

 

“Ma che rimborso, per cinque bomboloni! Guarda che non sono messa male come mia madre sui soldi,” ironizzò Valentina, lasciandogli il sacchetto.

 

“Lo sai perché sono… oculata… Valentì,” rispose Imma, in fondo in fondo leggermente irritata dal commento, più che altro perché c’era presente anche Rosaria.

 

“Sì, mà, lo so. E dai su, un po’ di autoironia, anche se in effetti per te è quasi impossibile,” ribatté Valentina con un sorriso, prima di chiarire a Rosaria, che la guardava un po’ stranita, “nonna, cioè la madre di mia madre, aveva origini molto umili. Quindi mà è molto attenta al valore dei soldi.”

 

Imma non sapeva se voleva abbracciarla a menarla, ma vide Rosaria che le sorrise, rispondendo, “beh… che noi non navighiamo nell’oro te ne sarai accorta, no, Imma? Anche se il fratellino si sta sistemando bene che sta facendo carriera, alla faccia di mammà!”

 

Rosaria poi diede un pizzicotto sulla guancia a Calogiuri e Noemi ne approfittò per appenderglisi di nuovo al collo, tipo koala.

 

“Cio! Cio! Colacione!”

 

“Povero maresciallo! Il tuo destino è proprio prendere gli ordini in famiglia,” ironizzò Valentina e Rosaria si mise a ridere.

 

E poi si avviarono con uno sguardo complice verso il tavolo già mezzo apparecchiato.

 

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“Cio!” saltò su Noemi all’improvviso, la bocca mezza piena di crema, “ma ciu shei boboi?”

 

“Come?” domandò Calogiuri, evidentemente confuso.

 

“Amiche di nonna dicono che shei boboi, pecché o dicono i cionnai!”

 

Sentì Calogiuri tossire, mentre Rosaria esclamava, “Noemi!”. Lei ci mise un attimo a tradurre il tutto in italiano ma poi capì e si sentì avvampare.

 

“Eh?” chiese invece Valentina, non essendo abituata alla pronuncia ancora stentata della piccola.

 

“Non devi dare retta a nonna e quella non è una bella parola, hai capito?”

 

“Ma è paolaccia?”

 

“No, non è una parolaccia, Noemi. Ma… toy boy vuol dire… vuol dire che uno è un giocattolo, quindi non è una bella cosa da dire a qualcuno.”

 

“Ma cio non è ciocattoo! Palla e si move da soo!”

 

E a quel punto scoppiarono tutti a ridere, perché la logica di Noemi in effetti era ineccepibile.

 

“Infatti non è un giocattolo, anzi, è una delle persone più intelligenti che conosco e quando inizia a parlare non lo ferma più nessuno, anche se di solito è silenzioso,” intervenne Imma e Calogiuri la guardò commosso, prima di stringerle la mano sul tavolo.


“Ecco, sono felice che ci sia anche tu, così capisci che scene da diabete mi devo subire ogni volta che li vengo a trovare!” ironizzò Valentina, rivolgendosi a Rosaria che rise nuovamente.

 

“Cociè dibete?”

 

“Signorina, ma non sei un po’ piccola per queste domande? Di solito l’età dei perché è a tre anni, non adesso!”

 

“Ma io soo gande!” proclamò Noemi scandalizzata, deglutendo un altro mega morso di bombolone, almeno per la sua stazza.

 

“Di sicuro sei una grande peste!” rispose Rosaria, prendendola in braccio ed aiutandola col bombolone prima che si spolverasse tutta di zucchero a velo, che neanche le dame del Settecento con la cipria, “e comunque, Valentina, sono felice che ci sia qualcuno di ancora non accecato dall’amore qui. Senti, lo so che per te sarò vecchia, ma ti andrebbe se uscissimo una di queste sere, visto che qui i due piccioncini devono tenere un basso profilo? Che ho proprio bisogno di svagarmi un po’ e tanto il fratellino fa da babysitter per qualche ora, vero fratellino?”

 

“Beh… sì… non c’è problema,” rispose lui, lanciando un’occhiata verso Imma.

 

“Tranquillo, Calogiù, se al cambio pannolini ci pensi tu per me va bene,” scherzò, guardando a sua volta Valentina, sperando che non se ne uscisse con un commento dei suoi.

 

“Guarda, avrei bisogno di uscire anche io, ma ho promesso a mio padre che sarei andata a Matera oggi. Magari possiamo fare martedì sera, se te la senti. E sì, mamma, lo so che ho lezione ma per una mattina posso pure sgarrare.”

 

“Ma chi ha detto qualcosa?” chiese Imma, sollevando le mani.


“Va bene… al massimo dormirò poi in corriera, se la peste me lo permette.”

 

Imma intercettò un’altra occhiata di Calogiuri, che sembrava soddisfatto, e pure lei lo era: forse almeno qualcuno in quella nuova famiglia allargata, che stavano pian piano costruendo, sarebbe andato d’accordo.

 

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“Noemi, allora, hai capito? Questa bimba è un po’ timida, cerca di non avvicinarti troppo in fretta, va bene?”

 

“Ma come con muo di cio Modetto?”

 

“No, il mulo è più simile a zio Ippazio, quando ci si mette,” ironizzò Imma, seduta accanto a lui sull’auto di servizio che Calogiuri era andato a recuperare da Irene, per poi venirle a prendere.

 

“Comunque sì, bisogna avvicinarsi con delicatezza… hai capito?”

 

“Cìììì e poi io ciò bava!!”

 

Scoppiarono tutti a ridere, finché Rosaria disse, “lo sappiamo che sei brava, quando ti ci metti. E anche che sbavi parecchio in realtà.”

 

Rimasero per qualche minuto il silenzio, a parte Noemi che ogni tanto si produceva in un “beo chetto!” o “beo chello!”, ma alla fine Rosaria sganciò la domanda del secolo.

 

“Ma questa Irene com’è? Che dal video pareva una bellissima donna, ma pure una che se le vai poco a genio ti sbrana.”

 

“In realtà Irene, tranne che in tribunale e con i criminali, di solito è gentile con tutti.”

 

Imma ringraziò il cielo di essere seduta davanti e che Rosaria non vedesse la sua espressione in quel momento.

 

“E tu, Imma, sei d’accordo con il fratellone?”

 

“Diciamo che io non vado d’accordo quasi con nessuno quindi non faccio testo,” replicò, usando quel briciolo infinitesimale di diplomazia che possedeva, anche se il tono non l’aveva controllato benissimo.

 

“Ho capito!” rise Rosaria, col tono di chi aveva capito veramente.

 

Imma era curiosissima di sapere cosa ne avrebbe pensato della gattamorta.

 

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“Benvenuti! Spero non abbiate avuto problemi coi giornalisti.”

 

“Tranquilla, ho fatto un giro lunghissimo per evitarli, così Rosaria e Noemi hanno fatto un tour panoramico di Roma.”

 

“Piacere, Irene Ferrari,” esordì Irene, stringendo la mano a Rosaria, che aveva l’aria di chi si stava trattenendo dal ridere, “che c’è?”

 

“No… è che… deve essere un’abitudine di voi magistrati presentarvi con nome e cognome.”

 

“Eh sì, deformazione professionale, temo. E tu devi essere Noemi,” esclamò la cara Irene, rivolgendosi alla bimba che stava in braccio a Calogiuri.

 

“Cì. Come ciai mio nome?” chiese, squadrandola con quell’occhiata inquisitoria che Imma adorava.

 

“Eh, lo zio mi ha parlato tanto di te.”

 

“Ma come conossi cio? Pecché lui cià fidanciacio!”

 

Imma, se avesse potuto, se la sarebbe abbracciata fino allo sfinimento.

 

Irene invece rise e pure Rosaria. Calogiuri sembrava imbarazzato.

 

“Io e tuo zio lavoriamo insieme.”

 

“Cei caabiniee?”

 

“No, sono un magistrato. Diciamo che tuo zio cattura i cattivi e fa le indagini. Io poi devo discutere con chi difende i cattivi, fino a farli condannare.”

 

“Beo!! Ma acche ciu fai uguale?” chiese poi Noemi, rivolgendosi ad Imma.

 

"Non proprio. A me piace anche catturare i cattivi, pure se non dovrei.”

 

“Bava che aiuti cio!” proclamò Noemi, decisa, battendo le mani.

 

“Comunque se vi volete accomodare,” offrì poi Irene, visto che stavano ancora tutti sulla porta.

 

Entrarono nell’appartamento ed era veramente stupendo. Luminoso, moderno, con mobili che definire di pregio era dire poco.

 

“Che beo!! Tutto bianto! Ciemba nuvoa!” esclamò Noemi, con la bocca aperta.

 

“Sì, cerca di non distruggere qualcosa, che qua ci va uno stipendio, come minimo!” si raccomandò Rosaria ma Irene sorrise.

 

“Ma no, sono cose resistenti e a prova di bambino quasi tutte. Tranquille, fate come foste a casa vostra!”

 

“Manco con tre mutui potrebbe essere casa mia, chista,” mormorò Rosaria, rimanendo anche lei impressionata.

 

Imma un po’ pativa il confronto, ma che la Ferrari fosse molto agiata era già evidente da tempo.

 

“Accomodatevi pure sul divano o sulla poltrona, vado a recuperare Bianca che è in camera sua.”

 

La Ferrari sparì oltre al corridoio e dentro una stanza. Imma si accomodò e si sentì come una macchia di colore stridente in mezzo a tutto quel candore. La donna che faceva le pulizie a casa della Ferrari doveva essere una santa, sua madre le avrebbe fatto un monumento a dover tenere pulito quel mobilio.

 

“Eccoci qui!” annunciò Irene, tornando mano nella mano con una bimba bellissima, dai capelli quasi neri e ricci ricci, gli occhi chiari e la pelle diafana, che però stava mezza nascosta dietro la sua gamba, “lei è Bianca.”

 

Bianca in una casa quasi tutta bianca… pareva quasi uscita dalle favole.

 

Pure Noemi rimase un po’ a bocca aperta, ma poi Bianca si sporse leggermente dalla gamba di Irene, si rivolse a Calogiuri con un sorriso e disse, “Ippazio! Sono felice che sei tornato.”

 

Calogiuri sorrise di rimando, prese a sua volta per mano la nipotina, e si avvicinò a Irene e alla bimba, “io le promesse le mantengo sempre. E questa è Noemi, mia nipote. Ha quasi due anni.”

 

Pure quella pareva una scena uscita da un film ed Imma non potè evitare una fitta di preoccupazione e gelosia. Ma doveva resistere.

 

“Ciao!” esclamò Noemi, ridendo ed agitando una manina, “che bei capei che ciai! Icci icci!”

 

Bianca rimase un po’ confusa ma poi sorrise e disse, “avete gli occhi uguali!”

 

Noemi fece una risatina, poi le chiese, “poccio datti a mano?”

 

Bianca sembrò un attimo esitante ma annuì ed allungò la manina verso quella di Noemi, ancora più piccina, e Noemi fece dondolare un po’ le braccia, soddisfatta.

 

“Voi chi siete invece?” chiese poi Bianca, guardando verso Rosaria ed Imma che erano rimaste sul divano.

 

“Mia mamma Osa e Tata!”

 

“Tata?” ripeté Bianca, confusa.

 

“Sono mia sorella Rosa - la mamma della piccoletta qui - e lei è… la mia fidanzata.”

 

“Ah! Imma!” esclamò Bianca, come se fosse la cosa più normale del mondo, e tutti la guardarono stupiti.

 

“Te lo ricordi ancora?” domandò Calogiuri, sbigottito.


“Bianca ha una memoria di ferro, non dimentica quasi nulla.”

 

“Un po’ come te e anche come Imma. Ma pure come Rosa in effetti.”

 

“Che ci vuoi fare, è una caratteristica di noi donne! Non ci scordiamo niente, quindi attento a te, fratellino, che oggi siamo cinque contro uno.”

 

Nel frattempo però Bianca si era staccata da Noemi e si era avvicinata piano piano al divano dove c’erano sedute lei e Rosa.

 

“Perché sei vestita come Jane?” chiese ad un certo punto Bianca, guardandola incuriosita anche se da distanza di sicurezza.

 

“Quale Jane?” le domandò di rimando.

 

“Quella di Tarzan,” rispose Bianca con un sorriso e, mentre Rosa sembrò divertita e Calogiuri terrorizzato, Irene parve quasi sinceramente mortificata.


“Scusala, ma… l’altro giorno abbiamo visto un film su Tarzan e-”

 

“Ma perché ti scusi? Jane è bella!” esclamò Bianca, come se fosse la cosa più normale del mondo, “ma come mai ti vesti così? Non ho mai visto nessuno che si veste così.”

 

“Eh… perché mi piace,” rispose, cercando di non prenderla sul personale perché la bimba, salvo avesse preso tutto da Irene, sembrava realmente innocente nella domanda.

 

“Anche i capelli sono belli, rossi rossi, come Anna.”

 

“Anna?”

 

“Anna di Frozen. Sai… Bianca ama molto i film Disney..”

 

“Non c’ho presente questa Anna, ma se aveva i capelli rossi doveva essere una tosta.”

 

“Tanto! Anche se i suoi genitori erano morti, come i miei,” proclamò Bianca, in un modo che le fece venire quasi un istinto irrazionale di abbracciarla.

 

“Ma ei no è ciua mamma?” saltò su Noemi, confusa, guardando verso Irene.

 

Calogiuri sembrava sempre più terrorizzato, mentre fu il turno di Rosa di dire un “Noemi!”.

 

“Irene sta con me da quando mia mamma è morta.”


“Ma ce vivete incieme e ci vole bene è ciua mamma, no?” proclamò Noemi, con la stessa decisione di chi proclama una cosa ovvia.

 

Per un attimo nella stanza non volò una mosca, poi Bianca inclinò il capo e fece un mezzo sorriso, “sì, forse sì.”

 

Irene pareva sull’orlo di piangere e pure Calogiuri. Rosa era tra il sollevato e il commosso. E perfino Imma dovette ammettere di sentire un certo nodo in gola: i bambini sapevano essere cattivissimi se volevano, ma all’età di Noemi, soprattutto, sapevano anche tirare fuori delle cose bellissime, non ancora condizionati dalle regole e dalle convenzioni della società.

 

“Ti va di giocare un po’?” domandò poi Bianca a Noemi, che saltellò ed iniziò a battere le mani, come al suo solito quando era felice.

 

“Mi raccomando, niente giochi con parti piccole, va bene?” si raccomandò Irene e Bianca annuì.

 

Non aveva mai visto una bimba così educata, forse per la timidezza e lo stare sempre con adulti, ma per certi versi pareva molto più grande della sua età. Per altri piccolissima.

 

“Ippazio, vieni anche tu a giocare con noi?” chiese poi Bianca, con occhi imploranti, e lui lanciò uno sguardo intorno.

 

“Andate pure in camera,” rispose Irene e Calogiuri e le bimbe si avviarono.

 

Prima che sparissero dietro alla porta, sentì Noemi chiedere a Bianca, “poccio toccae capei? Ciono bei!”

 

Bianca le porse due ciocche di ricci e Noemi li toccò, esclamando ancora, “bei! Bei!”

 

“Piano Noemi, non tirare, mi raccomando!”

 

“Ci cio!”

 

E poi la porta si richiuse e rimasero in tre.

 

“Calogiuri ci sa proprio fare coi bambini. Bianca lo ha visto una volta e lo adora.”

 

“Non solo con i bambini,” ironizzò Imma, punzecchiandola un po’.

 

“Hai proprio un fratello buono come il pane. Non pensavo esistessero più ragazzi così,” replicò Irene, rivolgendosi però a Rosaria, “volete qualcosa da bere? Un caffè? Un té? Se volete ho degli scones con la marmellata e la clotted cream.”

 

Rosaria la fissò come se avesse appena parlato arabo. Pure Imma aveva solo vagamente idea di che fosse quella roba, “ma come il tè inglese?”

 

“Esatto. Ho un’amica che ha una stanza da tè qui a Roma e ogni tanto me li porta. Lei è inglese, quindi è la ricetta originale. Vi va di provare?”

 

Rosaria si rivolse a lei come a chiedere aiuto. Sembrava quasi intimorita da Irene, nonostante fosse stata così decisa, quasi sfacciata, persino con lei che di solito altro che intimorire la gente.

 

“Va bene, ma io sono abbastanza tradizionalista sul mangiare quindi non garantisco.”

 

“Ma sì, Imma, se non vi piace ovviamente lo lasciate nel piatto. Come té un Darjeeling può andare bene?”

 

“Non ho la più pallida idea di cosa sia,” ammise Imma, Rosa che le lanciò uno sguardo grato, evidentemente essendo nella stessa situazione.

 

“Tranquille, faccio io. Torno tra poco.”

 

Non appena fu sparita oltre l’angolo che dava sulla cucina, Rosaria le sussurrò, “ma ha origini nobili inglesi?”

 

“No, credo sia soltanto ricca, molto ricca.”

 

“Ma come fa Ippà a frequentarla senza farsi venire l’ansia? Lui che è così… alla buona.”

 

“Eh, ma Irene gli ha fatto un po’ da insegnante, come in My Fair Lady, e mo è abituato agli ambienti di classe.”

 

“Come in che?”

 

“Niente… diciamo che gli uomini hanno una percezione diversa.”

 

“Se lo dici tu… certo che bella è bella. Ma è tutto così perfetto che mette soggezione.”

 

Imma sorrise, soddisfatta che anche Rosa avesse notato l’eccessiva e snervante perfezione apparente della Ferrari.

 

“Ecco qui!” ricomparì dopo un po’, con un vassoio con una teiera, dei dolcetti a cupola, marmellata ed una roba che pareva burro.

 

“Ah, ma è tipo pane, burro e marmellata?” esclamò Rosa, sembrando sollevata.

 

“Più o meno,” rise Irene, passando loro i dolcetti e versando il té.

 

Se lo portò alla bocca e dovette ammettere che era buono, anzi buonissimo, lei che al massimo comprava le bustine da pochi euro al supermercato.

 

“Ma che tè è?”

 

“Un Darjeeling first flush. Sono le prime foglie raccolte dell’anno, ancora giovani, dopo il freddo. Quindi è più aromatico.”

 

Imma annuì calcolando mentalmente il costo di suddetto té, mentre Rosa si diede al pane, burro e marmellata. Poi con mano tremante la ragazza prese la tazza ma, forse per l’agitazione, le cascò qualche goccia sul divano.


“Oddio, scusa, scusa!” esclamò, in un modo che le ricordò una scolaretta terrorizzata.


“Ma figurati! Il divano è lavabile, basta asciugare e poi ci penso io,” rispose Irene, serafica.

 

Rosaria sembrò tranquillizzarsi per un attimo, ma si vedeva chiaramente che non era del tutto a suo agio. E come non capirla.

 

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“Mà, tata!”

 

Noemi riapparve correndo, sembrando felicissima, tirandosi dietro Bianca che per fortuna sorrideva e pareva serena.

 

Calogiuri riemerse alle loro spalle con aria un po’ stanca ma soddisfatta.

 

“Allora, vi siete divertite?” domandò Irene, prima di offrire, “lo volete un dolcetto e magari un po’ di latte e cioccolato?”

 

“Cììììì!” esclamò Noemi, il cui entusiasmo di fronte al cibo era a dir poco comico.

 

“Sì per la merenda e sì, è stato… bello!” ammise Bianca, con un tono timido, per poi girarsi verso Calogiuri e dichiarare, “Ippazio è bravissimo a raccontare le storie e pure a giocare con le bambole.”

 

“Con che bambole avete giocato?” chiese Imma, divertita.


“Con e Babbi.”

 

“Ah ma allora ci credo che è bravissimo! Quando eravamo bambini lo facevo giocare alle Barbie con me, che Modesto non voleva mai. Lui invece essendo più piccolo mi obbediva. Anche se mà non voleva perché diceva che erano giochi da femmine ma alla fine si divertiva pure lui, vero fratellino?”

 

“Beh sì…” ammise Calogiuri, grattandosi il collo.

 

“Perché giochi da femmine?” domandò Bianca, stupita.

 

“Perché la gente ama classificare le cose per motivi assurdi, ma un gioco è un gioco e basta,” intervenì Irene con un sorriso.

 

“E tu, Imma, con che giochi giocavi da bimba?” le chiese Bianca, così di botto.


“Beh… in realtà… non avevamo tanti soldi e di giochi non me ne potevo permettere molti. Leggevo i libri della biblioteca e… avevo un cannocchiale. Mi piaceva andare in giro a esplorare ed indagare. Mi è sempre piaciuto.”

 

“Ma allora sei proprio come Jane!” esclamò con entusiasmo Bianca, prima di ammettere con un sospiro, “io invece… ho paura ad andare in giro. Però anche io leggo tanto.”

 

“Ma guarda, io le avventure le ho vissute tutte dietro casa perché non ho mai viaggiato lontano se non con la fantasia.”

 

“Me ne racconti una prima di andare via?”

 

Imma lanciò un’occhiata ad Irene e una a Calogiuri, che però pareva divertito, “io non sono brava a raccontare le storie come Calogiuri. Ma se ti accontenti ci provo.”

 

“Cììììì!!” ululò Noemi, entusiasta come sempre di quasi tutto.

 

“Allora merenda, dopo Imma vi racconta la storia e poi li lasciamo andare che se no viene tardi,” concluse Irene, con un’espressione indecifrabile.

 

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“E, tornando dal fiume, ho visto delle lenzuola stese, bianche bianche, che erano di una vicina molto antipatica e che trattava sempre male me e mia madre. Allora, siccome avevo le scarpe ancora tutte infangate, ho preso e ci sono saltata sopra fino a riempirlo tutto di pedate,” raccontò e le bimbe risero, soprattutto Bianca che sembrava divertirsi un mondo. Irene invece le lanciò un’occhiata come a dire ma ti pare il caso? e lei si guardò intorno e realizzò che in effetti poteva sembrare istigazione al danneggiamento di casa, “solo che si vedeva chiaramente che erano impronte da bambino. La vicina mi aveva vista al fiume ed andò a lamentarsi con mia madre ma non c’aveva prove. Mia madre mi difese ma poi in privato mi fece una capa tanta e non potei più uscire per un mese. Da lì imparai che non ci si poteva fare giustizia da soli, anche se mi ero levata una soddisfazione.”

 

Bianca continuò a sorridere mentre Noemi batteva le mani. Pure Calogiuri e Rosaria sembravano divertiti, mentre Irene le rivolse un altro sguardo della serie ti sei salvata in corner.

 

“Mi piacerebbe vedere quei posti… Matera deve essere bellissima!”

 

“Lo è, anche se non è sempre bellissima. Però, quando te la sentirai, puoi venire qualche giorno in un periodo in cui ci sono le vacanze. O io o Calogiuri ti facciamo da guida, va bene?” si offrì, quasi senza rendersene conto, guadagnandosi due espressioni sbigottite da Irene e pure da Calogiuri.

 

Non se lo aspettava nemmeno lei, ma la bimba le faceva tenerezza e simpatia. Era molto intelligente e sveglia anche se timida. Per certi versi le ricordava lei alla sua età… se avesse avuto un trauma del genere e se avesse avuto come madre una specie di Lady e non una povera donna che si spaccava la schiena a fare le pulizie.

 

“Mi piacerebbe tanto… spero di… di stare meglio presto.”

 

“Quando vuoi!”

 

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“Mi ha stupito un po’... l’invito a Bianca. Anche perché… tu torneresti con me a Matera?”

 

“Beh… tanto ormai tutti sanno di noi, Calogiù. Magari non mo che dobbiamo tenere il basso profilo. E quest’estate abbiamo le Baleari ma… più avanti si può fare, no? Che ne so… tipo per Natale. Avrei voluto tornare per la Festa della Bruna ma… mi sa che non è il caso.”

 

Per tutta risposta, si sentì abbracciare forte forte e poi rimase così, con la testa sul petto di lui, sotto le lenzuola nella casa stranamente silenziosa, mo che Noemi dormiva.

 

“E comunque tu te la cavi proprio bene con i bimbi, Calogiù, anche se mi pento di essermi persa la scena di te che giocavi con le Barbie.”

 

“Sei tremenda, dottoressa” mormorò e non le servì alzare lo sguardo per sentire che fosse in imbarazzo.

 

“Però occhio a con quali bambole plastificate giochi, Calogiù. Le Barbie vanno pure bene ma altre no.”

 

“Preferisco decisamente le bellezze naturali, dottoressa, soprattutto una!”

 

“Ah sì?”

 

“Sì!” ribadì, dandole un pizzicotto sul fianco e facendole il solletico. Imma si ritrovò a ridere, senza poterlo evitare, finché un bacio le levò il riso e pure la cognizione del luogo e del tempo, almeno per qualche istante.

 

“Calogiù… Calogiù…” lo bloccò ad un certo punto, spingendolo sul petto per farlo staccare, “guarda che se viene di qua tua sorella o tua nipote e poi le traumatizziamo, io-”

 

“Va bene. Ma la prossima volta la camera da letto che si chiude a chiave ce la teniamo noi. Cioè… se ci sarà una prossima volta. Ovviamente senza impegno e-”

 

Lo zittì con un dito sulle labbra, prima che andasse del tutto in panico.

 

“Tranquillo, Calogiù. E non mi dispiacerebbe se ci fosse una prossima volta. Magari non tutte le settimane o tutti i mesi, ecco, ma la compagnia di tua sorella e di quella peste di tua nipote in fondo non mi dispiace.”

 

Calogiuri sembrò nuovamente sull’orlo delle lacrime e si trovò stretta talmente forte da mancarle quasi il fiato.

 

Ma la verità era che avere una famiglia allargata che non fosse composta solo da una suocera scassapalle e da un suocero che mirava a sopravvivere alla vita coniugale, non era poi così male.

 

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“Mariani! Ci sono novità?”

 

“Sì, dottoressa. Abbiamo finito di verificare le telecamere dello studio e chi non ha inserito l’allarme. E l’ultima ad uscire è stata la receptionist.”

 

“Dimenticanza o qualcos’altro? Avete verificato se è successo altre volte che l’allarme non fosse inserito?”

 

“A quanto pare la receptionist se n’era già scordata un paio di volte nel corso dei mesi, e poi aveva chiamato per farlo inserire più tardi.”

 

“Certo che è una bella coincidenza che il nostro uomo mascherato sia entrato proprio quando la receptionist si è dimenticata dell’allarme. Da fuori si vede se l’allarme è inserito?”

 

“No, anche perché chi ha le chiavi sa anche come disinserirlo prima che scatti.”

 

“Quindi, o abbiamo un criminale molto fortunato o qualcosa non quadra.”

 

“Vuole interrogare la receptionist?”

 

“No, al momento no. Non abbiamo niente in mano e, se fosse d’accordo col tizio mascherato, rischiamo di farle mangiare la foglia. Voglio tabulati, movimenti bancari, insomma qualsiasi cosa ci aiuti a capire qualcosa di più su di lei. Va bene?”

 

“Va bene, dottoressa.”

 

“E sull’insulina ci sono novità?”

 

“No, dottoressa. Ho mandato la partita all’azienda farmaceutica ma temo ci vorrà qualche giorno.”

 

“Solleciti, Mariani, mi raccomando, che se no rischiamo che ci voglia una vita.”


“Naturalmente. C’è altro, dottoressa?”

 

“No, Mariani, vada pure, grazie!”

 

“Va bene, allora ci vediamo alle diciotto che l’accompagno io a casa stasera.”

 

E, luminosa e gentile come sempre, Mariani si congedò lasciandosi dietro quella sua aura di positività.

 

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“Allora, va bene qui o-?”

 

“Ma che scherzi, va benissimo! Dopo quasi due anni di pannolini, pappe e poco sonno vedere un pub mi sembra un miraggio, mi sembra.”

 

“In realtà pure io non ci vengo spesso… se non ogni tanto con le mie amiche dell’università.”

 

“Ma come mai? Perché sei molto studiosa? Perché uno dei miei rimpianti di non aver studiato è anche il vivere con le amiche, le feste, tutte le cose che mi sono un po’ persa stando a Grottaminarda.”

 

“In realtà... è che… vivo con il mio… ragazzo ma-”

 

“Ma allora avete di meglio da fare che uscire al pub! Mo ho capito!” esclamò Rosaria con una risata, bevendo una sorsata di birra, “ma sei fortunata! Mia madre, se le avessi detto che andavo a convivere col mio ragazzo, avrebbe fatto una tragedia quasi pari a quella che sta facendo al mio povero fratellino.”

 

“Ma guarda, magari c’avessi meglio da fare! E… pure mia madre non era convinta e… forse avrei dovuto darle retta che era troppo presto. Ma sono cocciuta, quando mi metto in testa una cosa.”

 

“Mi pare una caratteristica di famiglia. Non solo della tua. Allora, se ne vuoi parlare…” offrì Rosa e Valentina da un lato si sentiva un po’ in colpa a scaricarle addosso le sue magagne per una sera libera che aveva, ma voleva proprio sfogarsi.

 

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“Aaah!”

 

L’urletto di Noemi per poco non le fece prendere un infarto. La sentì infrattarsi nel suo fianco, le manine che le stringevano la vita.

 

“Butto! Butto! Fa paua!”

 

“Vuoi vedere qualcos’altro?” le domandò, preoccupata, guardando verso lo schermo dove c’era il Re Leone ed il pezzo delle iene con il leone dal manto nero e dalla cicatrice in viso, giusto per non lasciare alcun dubbio che fosse il cattivo.

 

“Forse in effetti è un po’ troppo per lei, non ci avevo pensato, io ero più grande quando l’ho visto,” disse Calogiuri, prima di guardare l’orologio, “e poi è già tardi. Che ne dici di dormire, signorina?”

 

“Poccio dommire co voi? No vojo sola. Pe faore!” domandò con occhi imploranti che erano una versione ancora più letale ed adorabile dello sguardo da cucciolo di Calogiuri.

 

E, manco a farlo apposta, fu il turno dello zio di fare quasi lo stesso sguardo della nipote.

 

Come faceva a dire loro di no?

 

“Va bene, finché non arriva tua mamma stai con noi,” acconsentì, e si trovò Noemi aggrappata al collo che esultava, la paua già scomparsa.

 

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“E quindi questa è la situazione. Tu che mi consiglieresti di fare?”

 

Rosaria la guardò un attimo allibita, poi scosse il capo e sospirò.

 

“Senti, se la situazione è questa, lascialo mo prima che sia troppo tardi. Io… io sono abituata a non vedere quasi mai mio marito, sai lui fa il camionista. Però non mi è mai dispiaciuto… sarà anche che… insomma quando ci siamo sposati stavamo insieme da una vita e ho sempre preferito avere un po’ di indipendenza, visto com’è la situazione al paese quando i mariti sono troppo presenti. Però… c’hai manco vent’anni… dovresti vivere e farti le tue esperienze, tu che puoi. Avessi avuto io il coraggio di trasferirmi a Roma! Non che mi dispiaccia la vita che faccio ora, eh, e Noemi è dolcissima ma… ho aspettato a sposarmi proprio per potermi godere quel minimo di libertà il più possibile.”

 

“Sì… mia madre per l’appunto mi aveva detto che… che era troppo presto e che non lo conoscevo abbastanza, ma-”

 

“Ma meglio capirlo mo che dopo tanti anni buttati via, no?”

 

“Forse… forse hai ragione. Grazie!”

 

“Ma ti pare! Grazie a te che mi fai fare un po’ di vita da giovani stasera.”

 

“Ti va di andare a ballare? Possiamo tornare presto se sei stanca.”

 

“Non è che i giornalisti seguono pure te, no? Perché, considerato con che cosa può fare rima Grottaminarda, di prendermi un soprannome anch’io me lo evito volentieri.”

 

Valentina rise: Rosaria era davvero fantastica, peccato che vivesse lontano e comunque avesse un tempo libero molto limitato, prendendosi cura di Noemi.

 

“No, al momento no, ma ho visto mia madre il meno possibile in questo periodo.”

 

“E allora andiamo! Poi chissà se mi ricapiterà più, che ormai divento vecchia!”

 

“Se ci va ancora mia madre a ballare, non vedo perché non possa farlo tu.”

 

“In effetti… e poi ormai i trenta sono i nuovi venti, no?”

 

Si sentì prendere sotto braccio ed uscirono insieme dal pub.

 

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“Non è ora di dormire, signorina?”

 

Noemi scosse il capo e rise. Era tra lei e Calogiuri nel divano letto e continuava a muoversi e ad aggrapparsi a turno a lei e allo zio.

 

“No, pecché domani tonniamo a casha e no vi veo più.”

 

Il tono di Noemi si era fatto più triste, cosa rarissima per lei. Si scambiò uno sguardo con Calogiuri che aveva gli occhi lucidi quanto dovevano essere i suoi.

 

E stavolta se la abbracciò lei più forte, facendole un po’ il solletico per farla ridere, “ma vedrai che ci vedremo presto, tornerete a trovarci.”

 

“Pecché no veite voi a casha quacche votta?”

 

Una nuova occhiata condivisa con Calogiuri, ma stavolta di panico.

 

“Eh… non possiamo perché…” lo guardò, implorandolo di suggerirle qualcosa.

 

Perché come facevi a dire ad una bambina di quell’età che sua nonna non ti voleva vedere manco in foto, figuriamoci dal vivo.

 

“Imma ha tanto lavoro e non può prendere ferie ora. Ma ci vedremo presto, vedrai.”

 

“Periamo!” esclamò la bimba, tirando con una mano la camicia di notte di lei e con l’altra la maglietta di lui.

 

Pregò si addormentasse presto, anche se la verità era che pure a lei sarebbe mancata e molto.

 

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“Grazie di tutto, Imma, soprattutto di aver sopportato la peste!”

 

“Ma che grazie e grazie! E poi Noemi è una meraviglia. Sta crescendo benissimo e spero continui così,” ammise sinceramente e vide che Rosaria sembrava commossa, ma lo era anche lei.

 

“Tata!” ululò Noemi, sporgendosi da in braccio a sua mamma per attaccarlesi al collo ed Imma se la strinse forte, di nuovo quel nodo che saliva in gola, soprattutto al pensiero dell’ultima volta nella quale l’aveva salutata, poco dopo averla conosciuta.

 

Aveva creduto davvero di dirle addio… e invece… quella piccoletta fin troppo sveglia avrebbe fatto parte della sua vita si sperava il più a lungo possibile.

 

“Fai la brava, mi raccomando a te!” le intimò e Noemi rise e poi si buttò verso Calogiuri.

 

“Ciooooooooo!” pianse, come i bimbi a quell’età davanti ai saluti e Calogiuri pareva sull’orlo di scoppiare pure lui.

 

Alla fine si avviarono oltre la porta, valigie in mano, il taxi che avevano chiamato che aspettava sotto.


“A presto e trattami bene il mio fratellino, mi raccomando!” si congedò Rosaria, facendole l’occhiolino, “e tu fratellino, attento a te, che qua sei fai uno sbaglio ti ritrovi con me e Noemi che non ti lasciamo più in pace. Per fortuna i tuoi gusti sono assai migliorati dai tempi di Maria Luisa e spero che pure tu continui così.”

 

“Va bene…” mormorò Calogiuri, con un sorriso commosso.

 

E poi la porta si richiuse e la casa sembrò silenziosissima.


“Andiamo al lavoro, maresciallo?”

 

“Agli ordini, dottoressa! E… grazie di tutto. Sei stata… incredibile con Noemi e… e pure con Rosaria.”

 

“Non so come siate usciti così bene, vista la madre che ti ritrovi, Calogiù, ma tu e tua sorella siete tra le pochissime persone con le quali non mi devo sforzare di essere civile. E Noemi si fa volere bene per forza, proprio come lo zio.”

 

“Imma…”

 

E, prima di poter parlare, si trovò travolta da un altro bacio.

 

Lo interruppe a forza dopo qualche istante, prima che diventasse impossibile farlo, “non possiamo arrivare in ritardo, lo sai.”

 

“E va bene… ma stasera recuperiamo con gli interessi, dottoressa.”

 

“Guai a te se non lo fai, maresciallo!”

 

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“Dottoressa!”

 

Era appena entrata in procura, lottando insieme a Calogiuri contro i giornalisti che ancora stavano appostati ostinatamente lì fuori, nonostante fosse arrivata da sola per tre giorni di fila, quando Mariani per poco non le fece prendere un colpo.

 

“Mariani, mi dica, ha aggiornamenti per me?”

 

“Sì, dottoressa, e pure abbastanza importanti!” esclamò la ragazza con un’evidente soddisfazione nella voce.

 

“Va bene, andiamo nel mio ufficio. A dopo, Calogiuri!” si congedò con un sorriso, da lui ricambiato.

 

“Allora? Che ha scoperto?”

 

“Ho sollecitato la casa farmaceutica e… mi hanno dato il nome di una clinica qui a Roma, Villa Mughetto. Mi pareva familiare e quindi ho fatto un po’ di ricerche ed è la clinica dove lavorava la signora Spaziani, quando ha conosciuto la vittima.”

 

Imma per poco non cascò dalla sedia: la Spaziani non le sembrava proprio il prototipo della moglie assassina, nonostante l’amante. Forse perché aveva difeso veementemente il Galiano, ma magari era solo una tattica per depistare, mentre cercava in realtà di incastrarlo.

 

“La voglio sentire subito, Mariani, mo! Convocala.”

 

“Certo, dottoressa!”

 

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“Allora, signora Spaziani? Che ha da dire?! Cosa ci faceva una fiala di insulina proveniente da Villa Mughetto nell’ufficio di Galiano?”

 

La donna la guardò terrorizzata, come un cerbiatto di fronte ai fanali, balbettò un attimo e poi si zittì.


“Allora?!”

 

La Spaziani si morse il labbro e poi, dopo un attimo di esitazione, buttò fuori, tutto in un colpo, “non è colpa di Andrea! Sono… sono stata io a lasciargli quella fiala in ufficio, per… per incastrarlo. Ma non è stato lui ad uccidere mio marito.”

 

“E chi sarebbe stato? Visto che lei ha un alibi di ferro confermato pure dalle telecamere.”

 

“Io… io… preferisco non mettere in mezzo questa persona, tanto la responsabilità è mia, no? Avendo io ordinato l’omicidio,” proclamò, decisa, nonostante il labbro le tremasse.

 

Imma però cominciò ad avere seri dubbi: la Spaziani era l’unica che grazie alle telecamere poteva procurarsi un alibi di ferro. Perché incastrare, Galiano con una fiala riconducibile peraltro a lei, quando già non avrebbe avuto problemi comunque? Il Galiano non aveva parlato.

 

“E… come ha fatto a mettere l’insulina nell’ufficio di Galiano?”

 

“Come?”

 

“Come ha fatto a piazzare lì l’insulina senza che lui se ne accorgesse?” ripeté e notò benissimo che la donna andò in panico.

 

“Io… io… una volta che lo sono andato a trovare l’ho messa lì.”

 

“E quando? Non ha usato i suoi servigi come avvocato di recente, mi pare.”

 

“No, ma… un giorno ci siamo visti lì che lui era in pausa pranzo. Era… era andato in bagno e ne ho approfittato.”

 

“E dove l’ha nascosta l’insulina, signora Spaziani?”

 

“Come?” ripeté di nuovo, sempre più impanicata.


“Dove l’ha nascosta l’insulina?”

 

“Ma lo sapete benissimo, no?”

 

“Noi sì. Ma vorrei che me lo dicesse lei.”

 

“Io… io… l’ho messa… in un cassetto… della scrivania,” disse, come se fosse una domanda.


“Fuochino, ma no, ha sbagliato,” rispose con un sospiro, prima di scuotere il capo, sedersi sulla scrivania, accanto alla sedia della donna, e metterle una mano sulle spalle, portandola a guardarla negli occhi, “senta, non serve che… che si sacrifichi per Galiano, mo. Soprattutto se è innocente come credo. Lei lo è sicuramente, a questo punto, perché non penso che abbia la furbizia di fare un doppio bluff di questo tipo. Però mi deve aiutare a capire chi si è potuto procurare quella fiala di insulina. Va bene?”

 

“Ma… ma dov’è stata ritrovata?”

 

“Questo non ha importanza. Le dico solo che è stata messa lì due giorni prima di quando è stata trovata nell’ufficio di Galiano. Allora, mi può aiutare?”

 

“Non… non lo so…. Cioè… è da tanto che non lavoro più lì e non so quanta gente conosco ancora. Ma… ci posso pensare.”

 

“Con discrezione, però, non si metta in pericolo, mi raccomando. Non faccia troppe domande. Cerchi solo di capire magari chi delle sue conoscenze è ancora in quella clinica e chi può avere accesso all’insulina-”

 

“Beh… quello tutti i medici e tutti gli infermieri, dottoressa. Però c’è una lista delle fiale e chi ne porta via una deve segnare.”

 

“Quindi c’è un registro personale?”


“Beh… sì… o almeno c’era.”

 

“Perfetto. Allora se mi dà solo il nome di qualcuno in clinica che pensa che mi possa aiutare, per il resto ci penso io.”

 

“Verifico e… e le faccio sapere… grazie…” sussurrò la donna, con gli occhi lucidi, per poi prenderle la mano e chiederle, disperata, “ma Andrea nel frattempo… deve rimanere in galera? Non se lo merita! Non ha fatto niente!”

 

“Farò domanda di metterlo agli arresti domiciliari, visto che il pericolo di inquinamento di prove mi sembra ridotto. Ma piantatela di fare giochetti per coprirvi a vicenda, o in galera vi ci devo mettere tutti e due, chiaro?”

 

“Sì, grazie, grazie!” esclamò, sembrando come se un peso le si fosse levato dalle spalle, le lacrime che ormai le rigavano i bei lineamenti.

 

Imma sospirò: per quanto non si fidasse di Galiano, per via della famiglia da cui veniva, la verità era che più passava il tempo e meno sembrava colpevole.

 

Ora doveva solo convincere Mancini a farlo scarcerare. Ma vedere il procuratore capo era l’ultima cosa di cui aveva voglia in quel momento.

 

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“E quindi credo che sia inutile tenere il Galiano in carcere. Anzi, credo che, se pure fosse coinvolto, sarebbe più utile poter intercettare i movimenti suoi e della vedova fuori dal carcere.”

 

Mancini unì le mani a piramide, poco sotto il mento, come se lo aiutasse a riflettere, poi sospirò ed annuì, “va bene, dottoressa. Anche se… ultimamente non mi ha dato esattamente motivo di fidarsi di lei a livello personale, a livello professionale almeno questa decisione mi pare sensata. Firmi pure l’ordine di scarcerazione. Per il resto… spero stia continuando a tenere un profilo basso, anche se noto che la mattina viene ancora al lavoro con il maresciallo.”

 

“Dottore, mi pare meglio che ci intercettino qui per farsi le loro belle fotografie da rotocalco, piuttosto che lo facciano altrove, no?”


“Anche se sarebbe meglio che non lo facessero affatto.”

 

“Mi creda, dottore, tutta quest’attenzione è più che spiacevole pure per me.”

 

“Questo lo immagino ma… forse... a parte il basso profilo, è ora di controllare la narrazione di questa storia.”

 

“Che vuol dire?”

 

“Che, visto che il putiferio ormai si è scatenato, e ci metteranno un po’ prima di calmarsi, forse è meglio che lei conceda un’intervista, una sola, in cui chiarire la sua posizione e la sua relazione col maresciallo, una volta per tutte, per poi sperare che la gente la smetta e la notizia diventi poco rilevante.”

 

“Cioè… dovrei raccontare i fatti miei e di Calogiuri ad un giornalista? Ma è impazzito lei mo, dottore?”

 

“Per carità, i particolari ovviamente me li eviterei più che volentieri e li eviterei più che volentieri anche a lei, dottoressa. Diciamo… far capire alla gente perché… perché avete deciso di intraprendere questa storia, ecco, e come avete gestito la cosa da un punto di vista lavorativo. Non che io capisca ancora cosa lei ci trovi nel maresciallo, dottoressa, ma magari gli italiani potranno capirlo, se lei è brava abbastanza ad inventarsi una storia convincente, e ci lasceranno in pace.”

 

“Io non devo inventare proprio niente! E comunque dei giornalisti non mi fido!”

 

“Ma ovviamente non sceglierei un giornalista qualunque. Non so se si ricorda di Paul Frazer, il mio amico che abbiamo visto a Milano. C’era anche all’udienza.”

 

“Sì, me lo ricordo,” sospirò Imma, perché uno con quella chioma strabordante chi se lo scordava? Doveva ammettere che era stato uno dei pochi a non averla presa di punta fuori dal tribunale.

 

“Però non vorrei fare la solita intervista agiografica compiacente, che sono ridicole. E poi questo Frazer non si occupa di esteri? Non mi pare uno che parla di gossip, no?”

 

“Ma infatti l’intervista verterà sul maxiprocesso e sulla sua esperienza professionale, poi si parlerà anche della sua… relazione personale col maresciallo, ma non solo di quello. Che ci manca soltanto l’intervista da talk show pomeridiano, con le sorprese strappalacrime di amici e parenti e poi stiamo freschi, proprio!”

 

Ad Imma venne nonostante tutto da sorridere, “perché lei guarda i talk show pomeridiani, dottore?”

 

“No, ma visto che molti parlano in modo pessimo anche di casi di crimine, purtroppo qualcuno l’ho dovuto vedere. Comunque, se lei è d’accordo, fisserei un’intervista tra qualche giorno, ovviamente qui in procura. Vorrei che Paul facesse anche qualche domanda al maresciallo, giusto per levare ogni dubbio.”

 

“Ne… ne parlerò con Calogiuri e le farò sapere, dottore.”

 

“Va bene, ma mi faccia sapere in fretta che Paul deve venire apposta da Milano.”

 

“Va bene, dottore.”

 

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“E così Mancini vuole che ci sia anche tu per qualche domanda. Che ne pensi? Sinceramente, Calogiuri.”

 

Erano a tavola e per poco non gli andava di traverso il pollo.

 

E che ne pensava? Come faceva a non preoccuparsi? Lui di Mancini non si fidava per niente, figuriamoci dell’amico suo, anche se non lo conosceva.

 

“Non ti fidi?” gli domandò, leggendogli nel pensiero.

 

“Ma non di te, dottoressa, di loro due.”

 

“Beh, pure io con un microfono in mano posso fare molti danni, Calogiuri, mi conosci.”

 

“Tu puoi dire ciò che vuoi, dottoressa, mi fido di te e sarebbe comunque la verità.”

 

Gli sorrise in quel modo bellissimo che era ogni volta un regalo, allungò una mano a prendere la sua e se la sentì stringere.

 

“Capisco le tue paure, Calogiuri, e se non te la senti. Ma è solo che… credi davvero che Mancini danneggerebbe la procura tendendoci una trappola con un giornalista? Nonostante tutto, io non penso arriverebbe a tanto.”

 

“Sei sempre troppo fiduciosa nei confronti di Mancini.”

 

“E tu nei confronti di qualcun’altra.”

 

“Ma mi pare che al processo qualcun’altra ci abbia salvato, no?”

 

“E perché non pensi che Mancini farebbe lo stesso? Non fosse altro che per non sbugiardare la Ferrari e non mettere in pericolo il processo. Se volesse liberarsi di me o di te, basterebbe convincerci al trasferimento, no? E non ci provare, Calogiù, prima che ti salti in mente, che ti conosco!” esclamò, notando l’espressione di lui e temendo che ci stesse pensando seriamente di cambiare procura, per tirarla fuori dai guai.

 

“E neanche tu, dottoressa!”

 

Imma sorrise ma poi fece un’espressione strana.

 

“Che c’è?”

 

“Sai… pare il dilemma del prigioniero portato all’estremo opposto. L’ho pensato anche oggi con la Spaziani, che sarebbe andata in galera per salvare Galiano. Nel dilemma del prigioniero ci sono due sospettati: se uno confessa ottiene uno sconto ma comunque ha una pena, pure se ridotta, e l’altro la pena intera. Se nessuno confessa, invece, sarebbero tutti liberi. Ma succede sempre che entrambi finiscono per incolpare l’altro, per non rischiare di avere la pena per intero. Noi stiamo facendo l’opposto invece, come Spaziani e Galiano. Rischiamo di perdere tutti e due tutto quanto e non è giusto. Dobbiamo combattere uniti, maresciallo, ma per uscirne tutti e due incolumi, chiaro?”

 

“Più o meno… mi sa che questa cosa del prigioniero è un po’ complicata per me. Ma è una tua teoria?”

 

Ed Imma rise, “no, di un Premio Nobel, un certo Nash. Io non arrivo a tanto, Calogiù.”

 

“Con tutto il rispetto per il Nobel, tu i sospettati li hai fatti confessare nella realtà e senza tanti giri di parole,” rispose, anche se era ancora un po’ confuso, “e comunque va bene, dottoressa, niente trasferimento. Farò di tutto per restare qui accanto a te, te lo prometto.”

 

“Ci conto, maresciallo, o dovrai trasferirti sì, ma al polo nord, per sfuggire alla mia ira!”

 

“Beh, almeno lì coi tacchi farai più fatica a correre!” scherzò e, per tutta risposta, Imma gli diede un pizzicotto sulla mano. Ma poi si alzò in piedi e, senza capire bene come, se la trovò in braccio.

 

“Sbaglio o dovevamo recuperare con gli interessi, maresciallo?”

 

“Pure se dovessero essere interessi altissimi?”

 

“Ti autorizzo ad oltrepassare i limiti imposti dalla legge antiusura, anzi è un ordine e-”

 

La zittì in uno dei pochi modi che conosceva, con un bacio, e poi la sollevò di peso, con tutte le intenzioni di mantenere la promessa ed usare la sua arma migliore in ben altro modo che per parlare.

 

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“Dottoressa, sono veramente felice che abbia accettato quest’intervista.”

 

“Ma… ma la facciamo qui?” chiese, guardandosi intorno, perché erano nel bar della procura.

 

“Sì, mi pare un ambiente più… rilassato. Anche se la troupe ci ha impiegato un’ora a togliere tutti i riferimenti al marchio del caffé. Forse dovrebbe indagare anche sui dirigenti di quest’azienda, dottoressa, perché è ovunque.”

 

“Ci penserò, signor Frazer.”

 

“Per favore, mi chiami solo Paul. L’idea deve essere quella di una chiacchierata informale, anche se riservata.”

 

“Sì, riservata tra noi e chissà quanti milioni di telespettatori.”

 

“Ma non siamo in diretta e vedrà che andrà bene: si concentri solo su di me e non pensi alle telecamere.”

 

“Ci provo,” sospirò, perché quella specie di cespuglio ingellato che aveva in testa la distraeva: Calogiuri in confronto era calvo, ed era tutto dire.

 

“Buonasera, sono qui con la dottoressa Imma Tataranni, che ringrazio per avermi accordato quest’intervista. Da poco è finito uno dei maxiprocessi più importanti della storia recente d'Italia e-”

 

“Il primo grado, solo il primo grado, che qui in Italia finché non è passata la cassazione può succedere di tutto,” non poté trattenersi dall’interromperlo.

 

“Certamente, ma penso che sia già una grande vittoria. Ed in gran parte al femminile, visto che lei è riuscita a far partire questo processo e poi la dottoressa Ferrari ha gestito la parte finale. Ma ora potrebbe tornare a lei. Sarebbe disposta a riprenderlo in mano?”

 

“Come ho già detto, è una valutazione che andrà fatta quando sarà depositato l’appello. La dottoressa Ferrari ha comunque fatto un ottimo lavoro in fase processuale e la ringrazio.”

 

“Ecco, mentre lei ha fama di essere veramente imbattibile nelle indagini. Qualcuno la definisce un poliziotto mancato, c’era gente che la chiamava lo sceriffo di Matera. Che ne pensa dei… nomignoli che le sono stati attribuiti negli anni?”

 

“Che la gente vuole sempre classificare tutto e, se qualcosa non rientra nei loro schemi, partono con i soprannomi cretini. Io amo fare il mio lavoro e, per avere successo in fase processuale, le indagini sono fondamentali. Ovviamente non è che non mi fidi di polizia e carabinieri, anzi, ma… credo sia importante essere di supporto in entrambe le direzioni, non solo loro a me ma pure io a loro. E poi mi hanno sempre insegnato che chi fa da sé fa per tre.”

 

“Ed è vero?”

 

“In questo lavoro è impossibile fare tutto da soli. Ma non trovo nemmeno giusto delegare tutto agli altri, mi piace essere coinvolta in prima persona, lo trovo più efficace, senza ovviamente nulla sottrarre ai miei doveri d’ufficio.”

 

“Capisco. So che, con ancora due gradi di giudizio, non si può parlare con piena libertà dei dettagli dell’indagine ma… volevo capire com’è nata e da dove è partito tutto.”

 

“Diciamo da un dito in mare.”

 

“Un dito in mare?”

 

“Se non annoio gli spettatori., perché è una storia un po’ lunga.”

 

“Abbiamo tutto il tempo, poi so che non ama perdersi in troppe chiacchiere di circostanza, quindi sono sicuro che sarà sintetica.”

 

“Ah, su quello ci può contare.”

 

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“E così siamo arrivati ad avere una prova schiacciante contro Eugenio Romaniello e… il resto è agli atti del processo ed è stato seguito abbondantemente dalle telecamere in tribunale, quindi ve lo risparmio.”

 

Il giornalista sembro trattenersi dal ridere.

 

“Il filo rosso di quest’indagine mi pare il coraggio delle donne. E anche, purtroppo, il fatto che molte delle vittime sono donne, o parte di minoranze etniche, o di fasce economicamente disagiate della popolazione e quindi più vulnerabili. Che ne pensa?”

 

“E che ne penso… che la criminalità trova gioco nella povertà, nell’ignoranza, intesa come mancanza di studio, di possibilità. Poche persone con una prospettiva di vita tutto sommato serena si danno al crimine - salvo gente che probabilmente ci è nata come i Romaniello, si intende - ma… chi è ricco sta al vertice, solitamente, chi è povero fa da manovalanza. Nemmeno il mondo criminale è democratico come classi sociali. E le donne sono una minoranza, e le minoranze sono trattate malissimo, da sempre, che sia per sesso, religione, etnia od orientamento sessuale. Sono considerate, siamo considerate persone più deboli e quindi più facilmente diventiamo vittime di violenza. Anche per la mentalità che purtroppo ci viene inculcata, di essere carine, docili, remissive, senza fare troppo rumore o dare troppo disturbo.”

 

“Beh… mi sembra tutt’altro che debole, remissiva o docile.”

 

“Ed infatti questa cosa non me l’hanno proprio mai perdonata. Molte donne per prime, purtroppo.”

 

“A Matera o pure qui a Roma?”

 

“Nelle piccole realtà è peggio… la grande città dovrebbe essere più aperta mentalmente, anche se a giudicare dai titoli dei giornali e da quanti se li comprano quando parlano di spazzatura, invece che quando trattano di argomenti seri, direi che tutto il mondo è paese.”

 

“Immagino si riferisca a… tutti i titoli sulla Pantera di Matera. Ho qui un breve estratto delle testate principali e dei vari titoli, per riassumere la situazione ai nostri spettatori e a quei pochi che si fossero persi quella che è la notizia del momento, per così dire.”

 

Paul fece un attimo di pausa, probabilmente perché ci doveva essere un taglio con la grafica da lui menzionata, cosa che già le dava molta ansia non poter vedere, e poi riprese con un, “ed eccoci qui. Allora, dicevamo, i titoli dei giornali li ha visti tutti immagino ed i giornalisti non le danno tregua. Come commenta tutta questa situazione?”

 

“Penso innanzitutto che sia assurdo che, dopo un maxiprocesso che si spera ridia un po’ di respiro ad una città i cui giovani sono ancora troppo spesso costretti ad emigrare, e che ha coinvolto tante persone anche qui a Roma, invece di parlare dei risultati raggiunti e delle vittime si parli della… Pantera di Matera. Potrei capire i giornaletti ma non i quotidiani, sinceramente.”

 

“Perché c’è tanto interesse?”

 

“Perché sono una donna tutto sommato normale ed ho osato separarmi e trovarmi pure un compagno più giovane. E bello. Ovviamente ci deve essere qualcosa sotto, no? Almeno secondo la gente. Per dire… posso chiederle quanti anni ha?”

 

“Quarantacinque.”

 

“Siamo più o meno coetanei. Se lei domani annunciasse che si è fidanzato con una ventinovenne, nessuno batterebbe ciglio, no? Poi per carità, è un bell’uomo, ma pure se fosse il Mostro di Lochness probabilmente nessuno batterebbe ciglio lo stesso. Sarebbe normale e nessuno la chiamerebbe il Panterone di… di dov’è?”

 

“Di Boston.”

 

“Ecco, nessuno si sognerebbe mai di chiamarla The Panther of Boston. Io invece…”

 

E Frazer stavolta rise, scuotendo il capo.

 

“Per mia fortuna no, anche perché sembra il nome di un team di football. E comunque posso dire ai nostri spettatori che la dottoressa e una delle donne più affascinanti che abbia mai intervistato, quindi non dovrebbe farsi problemi da quel punto di vista.”

 

Imma si sentì un attimo avvampare, ma poi scherzò, “occhio che mo diranno che la Pantera di Matera ha colpito ancora. Solo che in realtà nella mia vita ho colpito ben pochi, anche se devo dire pochi ma buoni.”

 

“No, no, che se no la mia compagna colpisce me, che pure lei ha un bel carattere forte e non le manda a dire, come dite qui in Italia,” scherzò il giornalista, ma qualcosa negli occhi le fece capire che non scherzava del tutto e che sta compagna doveva essere una tipa parecchio tosta.

 

Frazer poi tornò più serio e, con un tono stranamente professionale, visto l’argomento, le domandò, “vuole raccontarci qualcosa di com’è nata la sua relazione con il maresciallo Calogiuri? Mi rendo conto che sia gossip, ma credo sia importante che la gente veda anche il lato umano della vicenda, al di là dei titoli dei giornali.”

 

Imma prese un respiro, perché quella domanda era potenzialmente molto pericolosa, “non è che ci sia tanto da dire. Quando ho conosciuto Calogiuri ovviamente… va beh… che fosse bello bastava avere gli occhi per notarlo. Però mi ha colpito perché era molto riservato, di poche parole, gentile, buono, insomma una bella persona, cosa che nel mio lavoro è difficilissimo poter dire di qualcuno. Ma allo stesso tempo era molto intelligente, portato per le indagini, anche se si sottovalutava tanto e… e poi col tempo ho scoperto che quando una cosa non la riteneva giusta aveva una capa tosta quasi peggio della mia. Sapeva e sa tenermi testa in un modo a cui non sono abituata, col caratteraccio che ho, e mi capisce con uno sguardo. E così… insomma piano piano ho capito di essermene innamorata e non è stato facile accettarlo ed ammetterlo anche solo a me stessa. Per fortuna lui per qualche motivo inspiegabile ricambiava e ricambia e… e il resto direi che sono fatti nostri.”

 

“Se non le dispiace chiederei anche al maresciallo, così poi arriviamo alla conclusione di quest’intervista.”

 

“Va bene,” annuì e Frazer fece un cenno e Calogiuri, vestito per una volta in giacca, camicia e pantaloni - lei aveva indossato l’unico tubino buono che aveva - entrò nell’inquadratura e si sedette sullo sgabello accanto a quello di lei.

 

“Maresciallo, immagino abbia sentito cosa ha detto la dottoressa, perché non prova a spiegare lei com’è nata questa storia che sta facendo tanto discutere e cosa ne pensa dell’opinione pubblica in proposito?”

 

Calogiuri la guardò per un secondo e poi si rivolse all’altro uomo ed iniziò a parlare, “sull’opinione pubblica… che conoscendo la mentalità diffusa immaginavamo non tutti avrebbero reagito bene, ma che non mi aspettavo e non ci aspettavamo un interesse del genere e anche io trovo abbastanza assurdo e offensivo che, dopo tutto il lavoro svolto dalla dottoressa Tataranni e dalla dottoressa Ferrari, si parli solo di noi due che ci prendiamo una serata libera, come tutte le persone fanno al mondo.”

 

“Mi scusi, ma... la chiama ancora la dottoressa Tataranni?”

 

Calogiuri diventò color fragola, “in servizio sì, il rispetto dei ruoli è fondamentale. In privato ovviamente non la chiamo dottoressa… se non scherzosamente quando si mette a dare gli ordini.”

 

“Calogiuri!” esclamò, sentendosi avvampare del tutto ma lui rise, guardandola negli occhi e non riuscì a prendersela, “e comunque senti chi parla!”

 

“Diciamo che, al di fuori del lavoro, col nostro carattere prendiamo ordini solo se ci va. Però, seriamente, ciò che mi piace del rapporto con lei è proprio il… il grande rispetto e la grande fiducia che ha nei miei confronti, ricambiati ovviamente. E per il resto… non c’è molto da spiegare. Basta conoscerla per vedere quanto è bella, forte, intelligente, ma è anche buona, con chi se lo merita almeno, e-”

 

“Non mi rovinare la reputazione, mo!”

 

“Ecco, appunto!” rise, rivolgendosi a Frazer, prima di tornare a voltarsi verso di lei e guardarla fisso negli occhi, “annoiarsi con lei è impossibile e… e sinceramente non so come ci si possa non innamorare di lei, conoscendola, quindi fatico sempre a capire tutto questo stupore.”

 

“Mannaggia a te!” gli sussurrò perché le stava venendo da piangere ed allungò una mano sotto al tavolino per stringere quella di lui.

 

Dopo poco sentì qualcuno schiarirsi la gola e si voltò verso Frazer, che li guardava con un’espressione strana, “sinceramente, vedendovi insieme, mi stupisco pure io che la gente si stupisca. Siete una delle coppie più affiatate che abbia mai visto e pure una delle più divertenti.”

 

“Con tutto il rispetto, mi viene da chiederle chi frequenti di solito,” ribatté, anche se, in fondo in fondo, le fece un piacere immenso e Frazer rise di nuovo.

 

“No comment, dottoressa. Vi ringrazio per il tempo che mi avete dedicato per quest’intervista e spero veramente che da ora in poi potrete tornare ad occuparvi solo di indagini.”

 

“Lo speriamo pure noi, che il lavoro è tanto, purtroppo per le vittime, ma cerchiamo sempre di fare del nostro meglio. Che non è proprio rilasciare interviste.”

 

“Non direi, anzi. Grazie ancora e buona serata ai nostri telespettatori.”

 

Frazer mise giù il microfono e fece segno di tagliare.

 

“Per me va bene. Dobbiamo vedere il girato ma mi sembra che sia venuta molto naturale, cercheremo di non fare tagli, in modo da mantenere l’idea di una diretta o quasi,” spiegò, e del resto avevano girato tutto al primo colpo, volutamente. Poi il giornalista guardò oltre le loro spalle e disse, “Giorgio! Come ti è sembrata?”

 

Imma mollò la mano a Calogiuri e si voltò, notando Mancini che li fissava dall’ingresso del bar.

 

“Non è… non è venuta male. Credo… credo possa funzionare,” ammise il procuratore capo con un sospiro, guardandola negli occhi in un modo che le causò una fitta al petto.

 

In effetti avevano girato il dito nella piaga, anche se involontariamente.

 

“Sì, devo dire che dopo che è entrato anche lei, maresciallo, la dottoressa era paradossalmente molto più a suo agio e poi… siete molto divertenti quando vi… come si dice pick on eachother?”

 

“Punzecchiare…” tradusse Mancini con un altro sospiro, l’aria di chi avrebbe preferito trovarsi di nuovo in mezzo alla folla di giornalisti che lì.

 

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“Lo speriamo pure noi, che il lavoro è tanto, purtroppo per le vittime, ma cerchiamo sempre di fare del nostro meglio. Che non è proprio rilasciare interviste.”

 

“Non direi, anzi. Grazie ancora e buona serata ai nostri telespettatori.”

 

Imma lanciò un’occhiata a Calogiuri: erano sul divano di casa, era quasi mezzanotte e avevano appena finito di trasmettere, in seconda serata, la loro intervista.

 

“Che ne pensi?” gli domandò, preoccupata.

 

“Che sei molto… come si dice… telegenica? Stavi benissimo e hai fatto una bella intervista.”

 

Non fosse stato lui ma qualcun altro, avrebbe pensato che la stesse prendendo in giro, ma si vedeva che era sincero.

 

“Sì, va beh… sei tu che... altro che telegenico. C’aveva ragione quello del film su Gesù Cristo che potevi fare l’attore, potevi!”

 

“Pure tu, espressiva come sei, dottoressa.”

 

“Come no! Che poi con quella storia che mi chiami dottoressa, mo chissà la gente che penserà!” esclamò, trattenendosi però dal ridere, perché si immaginava la faccia della sua ex suocera quando lo aveva sentito. Perché sicuramente non se l’era persa l’intervista, conoscendola.


“E che penserà? Che ci amiamo, no?”

 

“Altro che pericoloso sei, Calogiù!” sospirò, abbracciandoselo di lato.


“Comunque Frazer è stato di parola: non ha tagliato niente. Mi pare che sia venuta bene, no?”

 

“E che ne so, Calogiù… mica me ne intendo! Speriamo che la televisione mi renda più simpatica che dal vivo e-”

 

In quel momento il suo telefono iniziò a squillare: Diana.

 

E pure quello di Calogiuri: Rosaria.

 

Si guardarono per un attimo e poi lui le chiese, “vuoi che non rispondo?”

 

“Senti, se vogliono commentare l’intervista ci possono mandare un messaggio. Che ne dici se mo ce ne andiamo a letto?”

 

“Sei così stanca, dottoressa?”

 

“E chi ha parlato di dormire, maresciallo?” gli domandò, con un sopracciglio alzato.

 

“La cosa si fa interessante!”

 

“E quando mi ricapita di andare a letto con un divo della televisione?”

 

“Beh, pure a me, in realtà, quando mi ricapita?”

 

Spero mai, maresciallo, se non con me finché durano, si spera per poco, questi minuti di celebrità.”

 

“Sei tremenda!” rise, scuotendo il capo.

 

Si sentì sollevare per aria e, dopo poco, si trovò buttata sul letto.

 

“Cos’è? Sei in vena di giocare stasera?”

 

“Perché tu no?”

 

“Beh… potrei fare questo grande sacrificio e-”

 

Stava per agguantarlo per la felpa quando la suoneria, talmente forte che la sentiva fin dal salotto, la bloccò.

 

Era quella più rumorosa che aveva, perché di emergenza.

 

“Valentina…” sospirò, guardandolo tra il dispiaciuto e l’implorante.

 

“Tranquilla, lo so che devi rispondere. Vorrà dire che nel frattempo leggo che mi ha scritto mia sorella. Ma poi riprendiamo il discorso da qua.”

 

“E ci mancherebbe altro!” esclamò, dandogli un pizzicotto al fianco e scendendo dal letto per raggiungere il cellulare.

 

“Pronto?” riuscì a rispondere prima che smettesse di squillare.

 

“Mà… ma che voce c’hai? Stai bene?”

 

“Sì, scusa, è che… avevo lasciato il cellulare lontano ed ho dovuto fare una corsa. Dimmi.”

 

“Ho visto l’intervista.”

 

“E che ne pensi?” domandò, trattenendo il fiato.

 

“Diciamo che tu eri come al solito da diabete, quando si parla del tuo maresciallo. Lui almeno due battute le ha fatte, anche se rimarrò per sempre col trauma all’idea di in quali momenti ti chiama dottoressa.”

 

“Valentì!”

 

“Come se non avessi ragione! Comunque hai visto i commenti online? Siete finiti in trend topic!”

 

“In che cosa?”

 

“Siete stati tra i più commentati sui social.”

 

“Immagino che cosa potranno avere scritto…” sospirò Imma, temendo che Mancini, nonostante fosse stata un’idea sua, la prendesse come la classica goccia che faceva traboccare il vaso.

 

“Ma no! Cioè, all’inizio magari sì. Ma poi, a parte le persone più su d’età, che continuavano con i commenti che ti immagini tu, molti ragazzi e ragazze - e pure alcune signore della tua età - hanno iniziato a scrivere cose tipo come state bene insieme. Un sacco di ragazze ovviamente commentavano quanto è figo tuo maresciallo. Ma ho anche letto alcuni commenti su di te di gente della mia età, soprattutto ragazzi, che altro che trauma!”

 

“Cioè.. intendi commenti positivi?”

 

“Fin troppo!” la sentì proclamare con un tono disgustato, per poi aggiungere, “pensa che ho un sacco di richieste di amicizia di gente di Matera che non sento da una vita, e pure gente mai vista, ma col cavolo che le accetto.”

 

“Valentì… mi dispiace, io-”

 

“Ma figurati! Non vedo l’ora di andare da nonna per sentire che ne pensa,” la punzecchiò, facendosi poi più seria, “però… mi preoccupa solo come la prenderà papà. Quindi credo che starò a Matera anche questo fine settimana, se non ti dispiace.”

 

“Va bene. E… mi sarei e ci sarei evitata tutto questo casino, potendo, credimi.”

 

“Tanto ormai ci sono abituata ad avere una mamma famosa, anzi famigerata. Magari non a livello nazionale, però.”

 

“Se hai bisogno di qualcosa o se ti danno disturbo dimmelo, va bene?”

 

“Va bene, mà, a presto! E salutami il tuo maresciallo, se si è ripreso dal fiatone almeno lui.”

 

“Valentì!” esclamò, ma la figlia aveva già riattaccato.

 

Tornò in camera e vide Calogiuri che guardava il cellulare con aria stupita.

 

“Che c’è? Brutte notizie da tua sorella?”

 

“No, no, anzi, ha detto che l'intervista le è piaciuta e che nostra madre pareva si fosse mangiata un rospo ma se l’è vista tutta.”

 

“E allora? Perché quella faccia?”

 

“Perché ho dovuto bloccare le notifiche dei social. Ho ricevuto più di cento richieste di amicizia e continuano ad arrivare.”

 

“Eh?!” esclamò, ringraziando il cielo di non avere quelle diavolerie sul suo telefono, “tutte ragazze giovani, immagino?”

 

“Pure qualcuna della tua età e anche più grande. Ma ovviamente non le accetterò, solo che mi stanno intasando i messaggi. Dovrò bloccare tutto, se va avanti così!”

 

Imma si mandò a quel paese da sola per avere accettato la bella idea di Mancini: mo non aveva solo la concorrenza della Ferrari o di tutte le ragazze locali. No, aveva pure le fan in rete il suo Calogiuri.

 

Ma come poteva biasimarle?

 

“Imma…” sentì pronunciare vicino all’orecchio e notò che Calogiuri si era mosso fino ad essere sul bordo del letto, a pochi centimetri da lei, e si sentì prendere il cellulare di mano, che finì insieme a quello di lui sul comodino, “non avevamo un discorso in sospeso?”

 

Esitò solo un secondo, prima di spingerlo lei stavolta sul materasso ed inchiodarlo con un bacio.

 

Ed era solo l’inizio: gli avrebbe dimostrato coi fatti come il reale era molto ma molto meglio del virtuale.

 

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Il telefono squillò per l’ennesima volta quella mattina.

 

Stava per cedere alla tentazione di mandare pubblicamente a quel paese i giornalisti e chiunque avesse dato loro il suo numero, quando il nome sul display le fece rimangiare il pensiero.

 

“Pronto, signora Spaziani? Ci sono novità?”

 

“Sì, dottoressa. Io… volevo innanzitutto ringraziarla per avere messo Andrea ai domiciliari, anche se non lo posso vedere, ma-”

 

“Non mi deve ringraziare, ho solo applicato la legge. Mi dica se ha qualche notizia.”

 

“Sì, sì. Ho contattato una persona che lavora lì in clinica e che per il momento vorrebbe rimanere anonima. Mi ha fatto alcuni screenshot del registro dell’insulina nelle date vicine a quelle di… dell’omicidio di mio marito e di quando hanno messo l’insulina nell’ufficio di Andrea. Le mando le foto e… così può anche confrontare il seriale. Se serve posso farle avere tutto il registro dalla data che le serve, ma ci vorrà più tempo.”

 

Ammazza se era sveglia la Spaziani! Forse fin troppo, ma per il momento voleva fidarsi della sua intuizione.

 

“Va bene. Per ora può bastare, grazie, mi potrebbe essere molto utile. Non indaghi oltre e non si metta nei guai.”

 

“Non voglio mettermi nei guai, ma… voglio che questo incubo finisca, soprattutto per Andrea. Mi sento così in colpa che sia stato messo in mezzo a questa storia solo perché mi conosce.”

 

“Lo vedremo.”

 

Stava per chiudere la chiamata quando l’altra donna le disse, “l’ho vista in televisione, sa?”

 

Ecco, ci mancava solo quello! La sua credibilità istituzionale poteva andare a farsi benedire.

 

“Lei e troppa gente, temo, signora Spaziani.”

 

“No, perché? Anzi! Ha detto delle cose… molto belle e… e lei ed il maresciallo siete davvero una bella coppia. Credo di essere fortunata che si occupi lei di questo caso, anche perché… può vedere la situazione senza pregiudizi. Credo che molti suoi colleghi uomini mi avrebbero già massacrata.”

 

Si chiese se fosse un tentativo di captatio benevolentiae, ma suonava sincera, “sto facendo semplicemente il mio lavoro e mi sarei comportata con lei nello stesso identico modo anche se la mia… situazione personale fosse completamente diversa.”

 

“Lo so. Ma perché… è libera mentalmente, dottoressa. E purtroppo, come ha detto lei, questa libertà noi donne la paghiamo cara.”

 

“Se è innocente non ha niente da temere. Mi faccia sapere se ha altre novità.”

 

Chiuse la chiamata e telefonò a Mariani ma niente, squillava a vuoto.

 

“Asia! Asia!” gridò, sperando che magari avesse ulteriori notizie sulla carabiniera.

 

Ma niente: dall’ufficio dell’ossigenata cancelliera non si sentiva volare una mosca.

 

Imma si avvicinò alla porta di soppiatto - pronta a cogliere in flagrante un eventuale allontanamento dal luogo di lavoro - la aprì di scatto e vide la giovane che saltò sulla sedia, smanettando poi a computer.

 

“Mi faccia vedere cosa stava combinando con quel computer.”

 

“Dottoressa, io-”

 

“Le ricordo che siamo pagati dai contribuenti e che utilizzare un computer della pubblica amministrazione per fini privati è passibile di sanzioni e-”

 

“Stavo guardando la casella mail del lavoro, se ci tiene proprio a saperlo.”

 

“E allora, se stava lavorando, che c’aveva da nascondere?!

 

“Questo!” esclamò, girando il monitor verso di lei con l’aria da ti avevo avvertita!

 

“E questo me lo chiama lavoro?!” domandò, fissando incredula una foto in costume di un ragazzo biondo, con gli occhi azzurri, sulla ventina. Pure bello, eh, per carità, ma l’incazzatura già stava salendo.

 

“Sì, lo chiamo lavoro perché la mail era indirizzata a lei. Alcuni… alcuni devono avere trovato questo indirizzo e, non avendo lei i social, scrivono qui pensando che li leggerà.”

 

“E mandano ste foto?” chiese, sconvolta, domandandosi se la gente fosse pure più rinscimunita di quanto già pensasse.


“Sì… per non parlare di quello che scrivono, ma-”

 

Alzò la mano perché non voleva sapere altro.

 

“Cancelli quest’immondizia, per piacere, e blocchi i mittenti, anche se servirà a poco. E, se persistono, minacci di denuncia per oltraggio a pubblico ufficiale.”

 

“Sì, dottoressa, ma… ci sono anche alcuni messaggi di donne. Alcuni sono… molto toccanti. Vuole che butti anche quelli?”

 

Imma sospirò, “quelli non degli allupati me li giri, vedrò se ho tempo di leggerli fuori dall’orario di servizio, come dovrebbe fare pure lei. Le mail degli infoiati d’ora in poi le butti direttamente senza stare a perdere tempo a leggerle, grazie.”

 

Stava per uscire, quando sentì la vocetta della Fusco domandare, “dottoressa, ma lei da che parrucchiere va?”

 

“Come scusi?”

 

“Visto il successo che sta avendo… mi chiedo se da rossa avrei… più riscontro pure io.”

 

“Capo primo la tinta me la faccio in casa, che chi c’ha tempo del parrucchiere. Capo secondo, non sono i capelli che fanno la differenza, ma quello che c’è sotto.”

 

“Il cuoio capelluto?” chiese, con uno stupore a dir poco comico.

 

“No, i neuroni!” replicò, alzando gli occhi al cielo, prima di chiudere la porta con fin troppa forza.

 

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“Dottoressa, io vado a pranzo!”

 

“Va bene,” annuì, congedandola con un cenno della mano.

 

“Vuole che le porti qualcosa? Che mi pare più nervosa del solito.”

 

“No, non mi serve niente, grazie!”

 

“Le ho girato le mail che sono arrivate negli ultimi giorni, quelle più interessanti.”

 

Imma sospirò: era ormai trascorso quasi un mese ma, se i giornalisti iniziavano finalmente a dare loro tregua fuori dalla procura, anche perché le foto si erano fatte ripetitive, online la situazione era ancora abbastanza movimentata, anche se non come i primi giorni, fortunatamente.

 

Calogiuri continuava a ricevere richieste sui social e lei mail che venivano quasi tutte cestinate.

 

Ma c’erano delle donne che le mandavano messaggi veramente commoventi, anche se non poteva rispondere a tutte. Ad alcune, che non parlavano solo di matrimoni infelici, ma che raccontavano di vere e proprie violenze domestiche, aveva risposto facendole contattare dai centri antiviolenza.

 

Ancora non poteva credere che la sua storia potesse toccarle tanto. Che poi… lei aveva avuto un marito meraviglioso e gentile. In confronto a ciò che aveva letto si sentiva veramente fortunata in un modo sfacciato.

 

Specie quel giorno, anche se… anche se qualcuno forse se ne era scordato.

 

Per carità, era solo uno dei loro anniversari ed in fondo non era nemmeno quello ufficiale. E Calogiuri era impegnatissimo con la cara Irene che lo riempiva di lavoro. Ma… era il due luglio, a Matera si festeggiava la Bruna e… per lei era quello il loro anniversario vero, quasi ancora di più di quello che avrebbero festeggiato ad ottobre.

 

Non era mai stata una da ricorrenze ma… ma era da quella mattina che ci pensava, solo che le sembrava infantile farlo notare a Calogiuri.

 

Bussarono alla porta e si stupì, visto l’orario.

 

“Avanti!” urlò, chiedendosi chi fosse che ancora non era fuggito in pausa pranzo.

 

“Dottoressa, disturbo?”

 

Lupus in fabula, Calogiuri entrò con uno sguardo un poco strano.

 

“Che ci fai qui?”

 

Calogiuri chiuse la porta alle sue spalle e le chiese, “ti va di venire a pranzo con me? Non ci sono giornalisti fuori, ho già controllato. E poi non so fino a che ora mi toccherà lavorare, temo che dovrò fare tardi e quindi-”

 

“Va bene…” gli sorrise, anche perché era una vita che non lo facevano più, “dai, andiamo!”

 

“Non vuoi che usciamo separatamente?”

 

“Se non ci sono i giornalisti no, Calogiù, mi sembra pure ridicolo.”

 

E così, uno accanto all’altra, si avviarono verso le scale. Notò Mancini che usciva dal suo ufficio e che li guardò in quel modo in cui li guardava ultimamente, un misto di biasimo e dispiacere.

 

Uscirono all’aria aperta ed effettivamente non c’era traccia di reporter o fotografi.

 

Stava per avviarsi a piedi verso il solito bar, ma Calogiuri le fece un cenno col capo verso l’auto.

 

“Dove mi porti?”

 

“Volevo andare dove fanno le pinse, per una volta che pranziamo insieme.”

 

Imma annuì e salì in macchina. Calogiuri partì a tutta velocità ma, ad un certo punto, sbagliò uscita ad un incrocio.

 

“Guarda che il posto delle pinse è dalla parte opposta e-”

 

Ma Calogiuri sorrise in un modo che le fece capire che l’errore era più che voluto.

 

“Dove mi stai portando, maresciallo?”

 

“Ti fidi di me, no?”

 

“Calogiù!” rise, scuotendo il capo, “certo che mi fido ma… non possiamo allontanarci troppo, che dobbiamo tornare al lavoro e-”

 

“Ed è un posto dal quale ti garantisco torneremo facilmente entro domattina.”

 

“Domattina?”

 

“Ho chiesto il pomeriggio di ferie anche per te. Spero… spero che non ti arrabbierai ma… insomma… lo sai che giorno è oggi?”

 

Ma Imma era talmente commossa che quasi non riusciva a parlare, “certo che me lo ricordo! Pensavo te ne fossi scordato tu, pensavo, ma-”

 

“Questa è una data che non avrò mai, ma proprio mai, bisogno di annotarmi sull’agenda, dottoressa, credimi.”

 

Buttò la prudenza al vento, si sporse verso il sedile del guidatore e gli pianto un bacio all’angolo della bocca, prima di sussurrare, “nemmeno io, Calogiù, nemmeno io!”


Nota dell’autrice: Ed eccoci arrivati alla fine di questo trentaseiesimo capitolo. Come avrete notato, siamo ai salti temporali e ce ne saranno parecchi nel prossimo, la narrazione darà una decisa accelerata almeno per un po’.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, tra piccole pesti, giornalisti ed i social, anche se mi rendo conto che le tematiche fossero un po’ diverse dal solito e più improntate sulla commedia. Ci attendono appunto parecchi eventi di grande importanza per i protagonisti e ci saranno diversi ritorni, anche geografici, oltre ad alcuni luoghi completamente nuovi.

Spero che la storia continui a mantenersi interessante e vi ringrazio tantissimo per avermi seguito fin qui. I vostri commenti come sempre mi danno una grandissima carica a proseguire quindi vi ringrazio fin d’ora se vorrete lasciarmi una recensione. Grazie a chi ha messo questa storia tra le preferite o le seguite.

Il prossimo capitolo arriverà puntuale domenica 5 luglio.

Grazie di cuore!

 
   
 
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