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Autore: MaxB    30/06/2020    7 recensioni
Ossessionata dalla saga de La Passe-Miroir, non riesco a pensare ad altro da settimane.
E ho bisogno di approfondire alcune scene dei primi tre (e spoiler del quarto) volumi.
Ci saranno missing moments, scene descrittive relative a Thorn, soprattutto alla sua infanzia, e immersioni nei dialoghi tra Ofelia e Thorn, per come me li immagino io. Ed eventuali scene mancanti che ci starebbero bene.
Per possibili spoiler sul quarto volume verranno dati avvisi in cima alla pagina.
Aggiornamento irregolare.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Allora! In vista di domani, mi sono sforzata al massimo per riuscire a pubblicarvi il capitolo sia qui che lì (su Ingranaggi). Sono proprio contenta di esserci riuscita xD
Molto presto aggiungerò sulla terza parte del capitolo La slitta gli spoiler contenuti nel quarto libro, nel caso in cui qualcuno volesse svelare l'arcano senza (giustamente) essere costretto a rileggersi tutte e tre le parti del capitolo.
Detto ciò, i capitoli che sto scrivendo ultimamente POV Thorn sono estremamente tristi e mi rincresce, ma non riesco a fare a meno di pensare che il nostro povero e amato intendente dentro abbia TANTA più sofferenza di quanto mostri. E spero che lo scopriate leggendo il quarto libro. E che il quarto libri sani anche questa sua grave mancanza affettiva, non vedo l'ora.
ALTRA COSA IMPORTANTE: io il quarto libro lo leggerò a metà agosto perché mi serve l'atmosfera giusta, ossia le ferie in montagna *-* Ho cominciato a leggere il terzo volume proprio il 15 agosto dell'anno scorso, mi sembra doveroso aspettare per leggere l'ultimo libro nello stesso luogo e nello stesso tempo. Maniacale come Thorn sono. QUINDI non aspettatevi capitoli basati sul vol 4 prima di agosto! Anche perché il libro l'ho preordinato online e chissà quando arriva. Ho già un capitolo pronto, sul 4, a dire il vero, ma devo assolutamente rivederlo in vista della lettura ufficiale del 4° libro, perché magari ho scritto delle castronerie o devo aggiungere cose fondamentali. E' un capitolo sporcaccione eh, vi faccio spoiler xD
Ultimo, non odiatemi, aggiornerò ancora prima di agosto, ovviamente, ho ancora 3 o 4 scene che voglio assolutamente riportare del libro 2 e del 3 e cavolo più ci penso più si moltiplicano, mannaggia, dovrete sopportarmi parecchio, però intanto volevo andare avanti con Ingranaggi dato che sono terribilmente indietro. Rischio di trovarmi con due storie dall'aggiornamento rallentato e lo odierei.
Ok ho finito buona lettura e grazie a tutti vi voglio bene. E' il caso di dirlo: che l'orologio da taschino sia con voi♥
L’Attraversaspecchi II, Gli Scomparsi di Chiardiluna, Le vertigini, pagine 302-314

13. J'avais un doute

Il pranzo non era andato proprio… cioè, era andato così… insomma, era andato.
Thorn non avrebbe saputo redigere un verbale in proposito, e la cosa lo destabilizzava. Lui poteva stilare rapporti su ogni evento, circostanza, a qualsiasi ora del giorno e con qualsiasi umore o incombenza. In quel caso, però, era troppo emotivamente coinvolto per sapere come gestire la cosa.
All’inizio del pranzo l’atmosfera era stata a dir poco tesa. L’inquietudine degli Animisti con cui aveva consumato il pasto era reso prepotentemente evidente dalla mancanza di reazioni, dall’immobilità degli oggetti e dal silenzio. Se c’era una cosa che aveva imparato in quei mesi, sul retaggio di Ofelia e sulle abitudini dei cittadini di Anima, era che: uno, chiacchieravano a briglia sciolta, come se fosse un requisito fondamentale per la propria sopravvivenza, come respirare, e di conseguenza facevano sempre sapere cosa passava loro per la testa senza che nessuno lo chiedesse; due, gli oggetti, in loro presenza, si muovevano, danzavano, lottavano, agivano in qualsiasi modo, solitamente in modo molesto.
Il fatto che nessuno spiccicasse parola, soprattutto la futura suocera, la madre di Ofelia, era a dir poco sconvolgente. Thorn apprezzava il silenzio, o più che apprezzarlo, non tollerava il chiacchiericcio inutile. Non si era mai sentito a suo agio nelle conversazioni, le trovava espedienti poco onesti per passare il tempo. Nel senso che, ad un pranzo o ad una cena, pur di non sentirsi tagliati fuori si era disposti a parlare con chiunque, anche con individui a cui di norma non si sarebbe mai rivolta la parola. Lui era una persona sincera, anche se nessuno avrebbe mai attribuito quella caratteristica ad uno come lui: era troppo positiva. Eppure lo era, sincero. Tanto sincero che non indossava una maschera dettata dal buon costume. Lui non avrebbe mai intavolato un discorso con chicchessia, in nessuna occasione, quindi non lo faceva mai, nemmeno ad un pranzo con i familiari della fidanzata. Era fatto così.
Eppure, in quel caso si era sentito a disagio. Non tanto perché non sapeva cosa dire, come intrattenere gli ospiti, non era quello il suo cruccio, quanto perché Ofelia era agitata. Lo aveva quasi pregato di restare per pranzo, lo aveva afferrato per la manica. Lo aveva quasi toccato. Aveva usato una scusa per trattenerlo, incoraggiandolo a pensare a quell’incontro come a un’esigenza diplomatica.
Thorn non era stato zitto durante il pranzo per cercare un argomento da sviscerare, ma perché era ancora attonito dall’invito e dalle reazioni di Ofelia, e stava cercando di analizzarle minuziosamente. Inoltre, aveva capito che lei ci teneva davvero a fargli fare bella figura con la famiglia, motivo per il quale ogni tanto l’aveva vista cercare di prendere la parola e diventare frenetica, essendo poi ignorata da tutti.
Ma perché voleva che lui facesse bella figura? Ci teneva così tanto al giudizio dei suoi parenti, o voleva solo che loro pensassero bene di lui? E perché avrebbero dovuto pensare bene di lui, poi? Ofelia voleva mostrarlo ed esporlo come un fidanzato modello, cosa che, per quanto si fosse sforzato, non sarebbe mai stato?
Il suo contatto sulla spiaggia di Sabbie d’Opale, lo slancio con cui lo aveva voluto con sé a pranzo, l’impegno che profondeva per farlo piacere… che Ofelia avesse cambiato opinione su di lui? Che si fosse… affezionata, come si era affezionato lui?
Seduto nella cabina teleferica, non faceva che rimuginare sulle ore appena trascorse, come del resto aveva fatto durante il pasto, senza giungere ad alcun risultato. L’inusualità di quella situazione aveva reso la vicenda uno degli enigmi più difficili da risolvere. Alla fine ci aveva rinunciato, a pranzo, esponendo le sue argomentazioni, ossia i possedimenti famigliari e la richiesta di non interferire. Aveva anche provveduto a fornire un domicilio ad Ofelia, adempiendo all’ultima richiesta che gli mancava da ottemperare. La verità era che, sebbene non si fosse aspettato che Ofelia morisse di gioia all’idea di ricevere un castello, cosa che si era dimostrata vera, con sua soddisfazione interna, non si era nemmeno aspettato tanto sdegno da parte della famiglia. Non sarebbe mai stato il genero ideale, lo aveva ribadito. Per questo aveva utilizzato la seconda argomentazione per farsi apprezzare: aveva dato completa libertà ad Ofelia e ai suoi genitori. La questione, spinosa, avrebbe dimostrato una volta per tutte cosa la fidanzata provasse per lui. Sarebbe scappata? Dell’opinione dei suoi parenti gli importava poco o nulla, ma era stato in qualche modo sollevato quando aveva visto la suocera deporre l’ascia di guerra. Certo, le aveva dato praticamente carta bianca, ma almeno non lo aveva più guardato con odio misto a disprezzo e sgomento. Non gli interessava davvero di essere odiato, c’era abituato sin dall’infanzia, ma non voleva dispiacere ad Ofelia. Di conseguenza, dal momento che lei teneva al fatto che lui si facesse… accettare dalla famiglia, si era sforzato più del solito. Per lei.
Ancora una volta, i pensieri di Thorn tornarono ad Ofelia, seduta di fronte a lui con gli occhiali oscurati. Non era ancora in grado di interpretare bene i cambiamenti di colore delle sue lenti, ma il fatto che non fossero chiare e scintillati non doveva essere di buon auspicio. L’aveva delusa? Sperava di no. Gli sembrava di aver fatto dei passi avanti con lei. Che la distanza avesse giovato ai suoi sentimenti? Gli era sembrata così… disponibile e… interessata e… non disgustata. Aveva preso un abbaglio? Ofelia era stata davvero contenta di rivederlo, anche se per caso? Gli era sembrato di sì, ma ora? Come aveva preso il suo exploit a tavola? A giudicare dalla sua espressione, non bene?
Mentre rimuginava su tutti quegli argomenti insieme, desiderando poter spegnere il suo stesso cervello efficiente e iperattivo, per una volta, si augurò che la sorella di Ofelia stesse zitta. Se c’era qualcuno che aveva preso dalla suocera, quella era proprio la cognata. Lei sì che era entusiasta del regalo di nozze della sorella.
- Nove castelli, è str-or-di-na-rio! Su Anima non ce n’è neppure uno, vero sorellina? Solo bicocche caratteristiche e nel migliore dei casi as-so-lu-ta-men-te noiose. Ehilà, la nostra…
Thorn decise di ignorare quel monologo, rendendosi conto che nemmeno Ofelia vi prestava molta attenzione. In effetti, nel giro di poco divenne un soliloquio: Agata stava parlando a se stessa, dal momento che nessuno la ascoltava. A nessuno dei tre presenti sembrava importare. Ofelia continuava a scrutarlo apertamente, mentre lui si fingeva interessato all’esterno della teleferica, guardandola di sottecchi. Agata non si rendeva conto di nulla.
Per quanto Thorn avrebbe voluto che gli sguardi che Ofelia gli lanciava fossero civettuoli, come quando due innamorati non riescono a togliersi gli occhi di dosso, si rendeva conto che in realtà erano penetranti, insistenti. Il che poteva solo dire che Ofelia voleva parlargli, possibilmente da soli. Dovevano sbarazzarsi dello chaperon, e lui non aveva nulla in contrario. Né al liberarsi di Agata, né allo stare da solo con Ofelia. Era arrivato al punto di desiderare di poter stare con la fidanzata a dispetto di qualsiasi convenzione, anche a costo di rimanere con lei solo per farsi bombardare da insulti e lamentele.
Era patetico, ma non sapeva come arginare quelle emozioni. Il fatto che lei fosse diventata così gentile e disponibile nei suoi confronti lo mandava ancora più in confusione, illudendolo e facendo sorgere in lui dei dubbi di natura sentimentale. Non avrebbe dovuto, lo sapeva. Ofelia aveva già chiarito esplicitamente la sua posizione e i suoi pensieri nei suoi confronti. Eppure, non poteva fare a meno di indugiare nella fantasia rassicurante che, in qualche modo, Ofelia avesse cambiato opinione su di lui.
Non gli importava di rimanere scottato.
Trascinato lontano da quei rimestii inutili e deleteri, Thorn si diresse verso l’imbarcadero e successivamente imboccò un tunnel che lo avrebbe condotto sul muraglione. Agata continuava a blaterare, e la cosa cominciava a dargli sui nervi, poco a poco. Aveva già portato abbastanza pazienza. Ofelia invece gli sembrava sempre più agitata e impaziente, chiusa nel suo silenzio riflessivo, mentre la sciarpa le strisciava sul corpo senza meta, anch’essa inquieta.
Fintanto che attraversavano il tunnel, Thorn prestò attenzione a ciò che diceva Agata; non tanto per la natura delle sue domande, quanto perché Ofelia aveva aperto bocca. Si era reso conto che la fidanzata non era proprio quello che si diceva una chiacchierona, anche se poneva più quesiti di chiunque avesse mai conosciuto. Quando parlava era sempre inevitabilmente e fastidiosamente attratto da ciò che avrebbe detto. Era un buon modo per cercare di capire cosa le passasse per la testa.
Ofelia rispose semplicemente alle domande di Agata circa la loro destinazione e il perché Thorn non prendesse il treno. Aggrottò le sopracciglia quando la sentì rispondere in maniera confusa, e non gli fu difficile immaginare che in realtà la sorella avesse capito ben poco di dove stessero andando e perché. Una cosa era certa: Ofelia non avrebbe mai potuto fare la guida turistica.
Quando sbucarono sul muraglione, che la prima volta aveva stupito anche lui, udì il gridolino terrorizzato di Agata. Continuò ad incedere, ma aggrottò ancora di più le sopracciglia. Sarebbe stata in grado di affrontare il camminamento, che dava dritto sullo strapiombo, fino alla porta che si apriva sulla Rosa dei Venti?
Sperava di no.
Circondato da nient’altro che nuvole, continuò ad avanzare finché non si rese conto che nessuno lo seguiva, nemmeno Ofelia. La voce di Agata gli giungeva da lontano, portata via dal forte vento che era un preludio ad una tempesta in grande stile. Il cappotto gli svolazzava da tutte le parti, ma Thorn lo percepiva a malapena: era troppo impegnato a cercare di capire cosa avrebbero fatto la fidanzata e sua sorella. Lo avrebbero salutato e si sarebbero dileguate? Agata sarebbe tornata indietro mentre Ofelia lo raggiungeva? Ce l’avrebbe fatta? Aveva intuito che fosse una ragazza che non si lasciava scoraggiare nemmeno dal più impervio degli scenari, ma quello strapiombo era in grado di far venire le vertigini a chiunque. Sarebbe riuscita ad attraversarlo? O meglio, lo avrebbe fatto lo stesso? Per raggiungerlo e stare con lui ancora un po’?
Ad un certo punto la vide indicare un punto oltre lui, con ogni probabilità la garitta a cui dovevano giungere. Stava cercando di convincere la sorella, dunque. Era davvero intenzionata ad andare…
Quando, poco dopo, la vide camminare verso di lui, da sola, il suo cuore mancò un battito con suo sommo disappunto. Il vento forte le gonfiava il vestito, facendolo agitare da tutte le parti, e Thorn contrasse i muscoli: nel caso in cui fosse inciampata, si sarebbe precipitato al suo fianco per impedirle di cadere. Instabile com’era, sarebbe stato possibile vederla capitombolare anche su una superficie piana in una giornata di sole, figuriamoci su uno stretto e vertiginoso camminamento durante il preambolo di un temporale. Come quando era scivolata sul ghiaccio su Anima, appena si erano conosciuti…
Miracolosamente Ofelia riuscì a raggiungerlo vacillando solo un poco. Non appena gli si affiancò, anche Thorn ricominciò a camminare, questa volta più lentamente, sia per adeguarsi al passo della fidanzata che per prolungare egoisticamente e poco professionalmente il tempo a disposizione con lei. Si era reso conto che, quando si trattava di lei, dello stare con lei, il tempo diventava una questione relativa e non assoluta, e ogni minuto trascorso insieme non era una perdita o uno spreco. Tutt’altro. Sperava sempre che quei momenti durassero più del dovuto. Anche qualcosa di più.
- Ora capisco perché, di tutti i possibili chaperon, avete scelto quella chiacchierona – le disse, rivolgendole la parola per la prima volta da dopo il loro incontro sulla spiaggia di Asgard. A tavola non avevano parlato affatto, ma era piacevolmente sorpreso circa le motivazioni che avevano spinto Ofelia a scegliere Agata come accompagnatrice.
Il fatto che soffrisse di vertigini era un’ottima scusa per poter restare soli. Si meravigliava persino che Ofelia avesse anche solo architettato una cosa simile.
- Avevo una cosa da chiedervi, e ci tenevo a farlo in privato.
Per una volta, fu ansioso di ascoltare le sue domande. Incuriosito. Dubitava che Ofelia volesse chiedergli qualcosa di ambito sentimentale, ma era invece sicuro che lo avrebbe sorpreso, come sempre. – Cosa?
- Le vostre scuse.
Giustappunto. Non era affatto ciò che si era aspettato.
Thorn la osservò dall’alto, senza muovere la testa o vacillare nel cammino. Ofelia, invece, sebbene avesse notato il suo sguardo indagatore, non lo ricambiò. Tentò invece di infilare i capelli nella sciarpa, in modo che non le sferzassero il viso come delle fruste. Ci stava riuscendo con difficoltà. E poco.
Thorn però non aveva percepito il suo tono di voce come stizzito, arrabbiato o imperioso, quanto più… demoralizzato, forse. Non era granché bravo ad interpretare gli stati d’animo altrui tramite il timbro vocale, tanto più che non gli era mai interessato. Pensava di essere arrivato a buon punto con Ofelia, ma ancora una volta lei l’aveva smentito.
Diede voce ai suoi pensieri senza rimuginarci troppo. – Perché dovrei scusarmi? Mi avete chiesto un domicilio e vi offro un castello. Ho mantenuto tutte le promesse che vi avevo fatto.
Invece che una richiesta di scuse, Thorn si aspettava quanto meno un cenno di gratitudine da parte di Ofelia. Aveva ottemperato ad ogni impegno preso con solerzia e meticolosità, dandole ancor più di quanto lei si fosse aspettata. Perché mai lei doveva volere le sue scuse?
- Sto parlando dei miei genitori – precisò finalmente. – Dovevate tranquillizzarli. Vi bastava fare una buona impressione per un’ora, Thorn, solo un’ora. Invece avete fatto un accordo con mia madre.
- E lei è tranquilla.
Questa volta, Thorn lo capì, era esasperata. A lui importava poco di fare buona impressione a chicchessia, fosse anche la suocera. L’unica persona di cui gli interessasse il parere era lì al suo fianco, insoddisfatta. Doveva riconoscerlo, Ofelia non era facile da accontentare.
- Tranquilla? È esultante! Le avete dato pieni poteri sulla mia vita.
Ah, ecco dunque svelato l’arcano. La chiave di volta. Risolta l’equazione, anche se non con metodi convenzionali. Ofelia sceglieva sempre la strada più impervia per esternare ciò che provava. Lui era decisamente più diretto; i giri di parole facevano solo perdere tempo.
Ofelia aveva concluso che la sua libertà fosse stata minata. Aveva percepito quell’accordo come una limitazione al suo potere d’azione. Se c’era una cosa che aveva capito con assoluta certezza, su di lei, era che anelava all’indipendenza come pochi. Voleva essere padrona della sua vita, avere in mano i dadi del gioco, e che non fossero contraffatti. Se avesse potuto, lui le avrebbe dato anche i suoi, purché fosse contenta. Stava lavorando in merito, lei non poteva nemmeno immaginare quanto.
- Le ho promesso che non mi sarei opposto alla sua volontà. Ma la promessa impegna soltanto me.
Ofelia si zittì, continuando camminare in silenzio e fissando dritto davanti a sé. Era evidente che stava riflettendo sulle sue parole, forse rendendosi conto che non c’era nessun tranello. Lui non fece pressione. Non aveva alcuna fretta.
- Mettiamo che vi prenda in parola – disse infine, a voce bassa come suo solito. Faticava a sentirla tra le raffiche di vento, ma in qualche modo era come se ciò che pronunciava fosse più forte del vento stesso. – Mettiamo che me ne vada dal Polo subito dopo la cerimonia del Dono e che non torni più. Vi ritrovereste a essere il più ridicolo dei mariti.
La prospettiva era orripilante; non tanto perché temeva di essere “il più ridicolo dei mariti”, quanto perché una vita senza di lei, ora che ci aveva fatto l’abitudine, era dolorosamente impensabile. Non voleva che se ne andasse; desiderava invece, con tutte le sue forze, che scegliesse di sua spontanea volontà di restare. Anche qualcosa di più.
Voleva che scegliesse lui e quella vita al di là degli intrighi matrimoniali e politici.
Se ne infischiava del ridicolo, ci conviveva da sempre. Quello che non poteva sopportare era che lei, la donna che amava, l’unica che avrebbe mai amato, sicuramente, se ne andasse. Eppure, se la cosa l’avesse decisa lei, non l’avrebbe fermata.
Nonostante tutto, non poté fare a meno di percepire quanto fosse grave il suo tono di voce, quando le rispose. Il fatto che le avesse dato pieno potere d’azione non significava che sarebbe stato imprescindibilmente contento delle conseguenze. – Devo già fare in modo che arriviate viva al matrimonio. Voi mi trasmetterete il vostro animismo, io vi libererò dagli obblighi coniugali e saremo pari. Quello che deciderete di fare poi riguarderà soltanto voi.
Voleva aggiungere che non gli sarebbe dispiaciuto uno scenario diverso, se lei lo avesse voluto; voleva farle intuire che non avrebbe caldeggiato una sua dipartita, e che sarebbe stato… sollevato, se lei fosse rimasta.
“Se vorrete restare al Polo con me potrete farlo, purché lo scegliate voi. Non vi imporrò io la mia presenza”.
Ecco cosa voleva dirle, ma due detonazioni in rapida successione lo bloccarono, portando via ogni rumore e gesto. Nulla di cui preoccuparsi, significava che qualche Bestia si era avvicinata troppo, ma Ofelia sembrava leggermente turbata. Era persa nelle sue elucubrazioni, con le labbra serrate; non faceva nemmeno più caso al vento che le agitava i capelli attorno al viso. Thorn avrebbe tanto voluto che aggiungesse qualcosa, sapere cosa stava pensando. Non gli era mai capitato, e la cosa lo rendeva irrequieto. E frustrato.
- E l’alleanza diplomatica? Voi e Berenilde non avete fatto altro che sventolarmela sotto il naso per tenermi buona. Pensate che Faruk sarà d’accordo a farmi trascorrere le mie giornate all’altro capo del mondo?
Sentirla parlare di un ipotetico futuro in cui lei rimaneva ben rintanata su Anima lo fece quasi rabbrividire. Se fosse accaduto, il fatto che lei non desiderava in alcun modo una vita con lui sarebbe stato evidente, e lui non sarebbe mai potuto nemmeno andare a trovarla. D’altro canto, sentirla nominare Faruk gli fece capire che su Anima quanto meno sarebbe stata al sicuro da qualsiasi male. Al sicuro anche da se stessa. Al sicuro, e lontana.
La preferiva al sicuro? O la preferiva vicina? L’inconciliabilità di quei desideri, come due poli che si respingono, lo stava tediando dall’interno, minando la sua calma di facciata. Non era da lui non saper decidere tra due opzioni.
Alla fine comunque, lo sapeva, avrebbe scelto irrazionalmente di starle accanto, mettendola addirittura in pericolo. Lo avrebbe preferito, piuttosto che non vederla mai più. Ma sapeva anche che non l’avrebbe mai fatto.
Al sicuro. Ofelia doveva stare al sicuro.
- Appena non vi avrà più sotto gli occhi vi dimenticherà – disse infatti, sperando che anche lei volesse salvarsi dallo spirito di famiglia, e sperando al tempo stesso che non lo volesse al punto da tornare sulla sua arca natia. Più di tutto, però, sperò che non le venisse qualche colpo di testa come suo solito, così precisò: - Per lui conta solo il Libro, e il Libro è cosa che…
- …Che riguarda solo voi, lo so.
Subito dopo averlo detto, Ofelia si soffiò il naso, concedendogli un attimo di pausa. Era evidente cosa pensasse di lui a quel riguardo. Era convinta che Thorn lo facesse solo per ambizione e guadagno personale, cosa che in parte era vera. Che male c’era se, per una volta nella vita, voleva affrancarsi dalla sua condizione di bastardo ed essere riconosciuto davvero? Non stava facendo del male a nessuno nel suo tentativo di ripulirsi dall’onta della sua nascita adulterina, cosa di cui non aveva nemmeno colpa. Non ne stava facendo a lei, visto che le aveva offerto tutto ciò che lei aveva richiesto e le aveva dato libertà in tutto. Chiedeva solo in prestito il suo animismo, dopodiché sarebbe stata una sua scelta. Aveva tutta la vita davanti. Ma cosa più importante, non si rendeva conto che la sua smania di essere lui il lettore del Libro non riguardava solo l’elevazione personale. Quell’impresa era la più difficile in cui si sarebbe mai potuto cimentare, la più pericolosa. Faruk non era affatto indulgente con chi falliva nello scopo. Ofelia non poteva saperlo, e lui non poteva dirglielo.
Voleva che stesse lontana dal Libro per salvaguardarla, e lei pensava che invece fosse solo per superbia o arroganza. Non era l’uomo migliore del mondo, ma era migliore della misera considerazione che Ofelia aveva di lui. Quantomeno, si augurava di esserlo.
Ofelia riprese la parola dopo aver messo via il fazzoletto, ricordandogli quando un tempo era lui quello costantemente malato e dalla salute fragile. – Vi siete concesso solo tre mesi per affrontare quella lettura. Pensate di arrivarci senza nessuno che vi insegni a padroneggiare il nuovo potere? Smettetela di voler portare il mondo intero sulle vostre spalle.
Thorn si voltò verso di lei, scrutandola al colmo della sorpresa. Si era aspettato una recriminazione, ma per la sua volontà di ascendere socialmente, di certo non perché si stava buttando a capofitto in un’impresa titanica senza gli strumenti adeguati per affrontarla. Ofelia era sembrata quasi… accorata, preoccupata, partecipe. Era da quando l’aveva incontrato al circo che si comportava in modo diverso dal solito, lo aveva addirittura afferrato per la manica, e ora gli diceva con apprensione che non doveva caricarsi ulteriore peso sulle spalle?
Non era pratico di questioni coniugali, ma sembrava proprio una moglie preoccupata per le sorti del marito, che lo incoraggiava a non strafare. O immaginava che fosse così che una moglie si comportava. La situazione gli procurò una vampata di calore allo stomaco, sciogliendogli i nervi tesi da mesi, anni, con poche parole.
Ofelia si stava… interessando a lui? Si stava impensierendo per lui, davvero?
Che avesse in qualche modo cambiato opinione? Su di lui? Su di loro?
Avrebbe voluto prendere in mano l’orologio da taschino, ma si accorse subito che non poteva, perché ce l’aveva lei. Non era abituato a non averlo con sé, era come una parte del corpo. Si rese conto solo in quel momento, con estrema violenza, di quanto Ofelia lo tenesse in pugno. Proprio come il suo orologio. Proprio come quel cuore che non sapeva nemmeno esistesse, e che invece era persino capace di provare affetto.
- Cos’è successo al muro di cinta, laggiù?
Fortunatamente Ofelia lo distrasse, o forse cercò di distrarre se stessa da ciò che aveva appena detto. Si era pentita delle sue parole? Se n’era vergognata, forse? Cos’aveva voluto dire in realtà?
Si era appoggiata al parapetto e indicava un punto in lontananza, poco visibile. Thorn era abituato a quel paesaggio, ma immaginò che per una come Ofelia fosse sconcertante uno scenario simile. In ogni caso, la sua domanda non riuscì a distrarlo del tutto. Una volta capito cosa stesse indicando, riportò la sua completa attenzione su di lei. Aveva il vestito che si muoveva al vento, quasi volesse portarla via, le mani inguantate posate sul parapetto, a cui si appoggiava anche con il busto, premendosi contro la roccia. I capelli erano aggrovigliati e per la maggior parte incastrati nella sciarpa, che si muoveva, per una volta, non di propria volontà, ma sferzata dal vento. Gli occhiali e gli occhi dietro essi erano fissi sul punto a cui erano interessati, in lontananza, ma Thorn avrebbe tanto voluto che si fermassero a guardare lui, invece del paesaggio. Voleva che scrutassero lui come lui aveva scrutato lei. Non poteva mentire a se stesso, ciò che vedeva gli piaceva al punto da provocargli battiti erratici a più riprese, e talvolta dei formicolii non meglio identificabili allo stomaco.
Ofelia gli piaceva. Così com’era. Anche qualcosa di più.
Con il naso rosso, gli occhiali, i guanti, la sciarpa, i riccioli spettinati, gli occhi intelligenti e profondi, sinceri, e la bassa statura. Davvero, davvero bassa, non solo in confronto a lui.
- È crollato - si costrinse a risponderle, senza però perderla di vista o distogliere lo sguardo. – In quel punto si è staccato un blocco di terra, quattro anni fa.
Ofelia si allontanò subito dal parapetto, come se temesse che potesse crollare di nuovo, proprio in quel punto, proprio in quel momento. Per lo meno, distanziandosi, non avrebbe rischiato di cadere nel vuoto, cosa di cui sarebbe stata capacissima.
- Un crollo? Di quelle dimensioni?
- Non era poi così grande. Due anni fa, su Heliopolis, un’arca minore, si è staccato un blocco di vari chilometri. Non leggete mai le gazzette interfamiliari?
Ofelia scosse la testa, sbalordita, e non parlò per un po’. Fermi entrambi al loro posto, immobili nonostante le correnti travolgenti, rimasero immersi ognuno nei propri pensieri. Thorn avrebbe tanto voluto conoscere i suoi, ma la mente e i processi deduttivi di Ofelia erano insondabili, decisamente al di fuori della sua portata. Provò l’inspiegabile impulso di posarle una mano sulla spalla, per allentare quel sentimento così estraniante che era evidente stesse provando. Non aveva davvero mai sentito del crollo di quei pezzi di arca? Non erano dei casi isolati, anzi, forse Anima era proprio l’unica che fosse scampata in quegli anni.
Fu la pioggia a riscuotere entrambi. Da poche gocce che bagnarono i loro capelli e vestiti si passò subito ad un acquazzone violento e fradicio. Con sua sorpresa, Ofelia non provò nemmeno a ripararsi, e rimase sotto l’acqua con gli occhiali gocciolanti e inservibili, i vestiti aderenti al corpo e freddi. Non era molto attenta alla sua salute, a quanto pareva. Aveva una buona resistenza al dolore, come lui, una delle poche cose che avessero in comune.
Se Ofelia non si fosse riparata gli occhiali con la mano, ad un certo punto, Thorn avrebbe detto che non si fosse nemmeno accorta della tempesta.
- Viviamo in un mondo davvero enigmatico. Leggo da anni ogni genere di oggetti e ho la sensazione di non sapere niente. La terra esplosa in pezzi. Spiriti di famiglia smemorati. Libri indecifrabili. Voi.
Thorn sgranò gli occhi, sperando che lei non lo notasse sotto la cortina di pioggia. Quasi trasecolò, sentendo una vertigine minare il suo impareggiabile equilibrio. Durante quel lungo silenzio aveva pensato a quello? A lui? Al fatto che fosse enigmatico, per giunta? Si rendeva conto che era lei la più grande incognita del mondo, al di là del crollo delle Arche, degli spiriti di famiglia e dei loro Libri, al di là della loro stessa esistenza e di Dio?
Lei era l’incognita, eppure credeva che quello enigmatico fosse lui. Ofelia aveva un cervello… incredibile. Nel senso che proprio non ci si poteva credere, non nell’accezione positiva del termine. Eppure, per un attimo si sentì talmente spinto verso di lei, talmente rincuorato da quelle parole che non sapeva se prendere come un complimento, che fece per parlare e riversare su di lei ogni pensiero recondito e nascosto che cercava di sottomettere da quando l’aveva conosciuta.
Voleva dirle che per lui era lo stesso, che nella sua vita di calcoli, di finanza e amministrazione burocratica, di regole ferree e catalogazioni, in cui tutto era bianco o nero, lei non era il grigio, era un’esplosione di colori, un arcobaleno che gli aveva fatto vedere un mondo che da solo non avrebbe mai intravisto. E che avrebbe voluto conoscerne di più, con il suo aiuto. Perché gli enigmi vanno risolti.
Non poté dire nemmeno la prima sillaba, perché un’altra detonazione risuonò in lontananza. Lo sparo gli risuonò nel cervello, riportandolo alla ragione, rompendo qualsiasi influsso emotivo e irragionevole si fosse impossessato della sua mente.
Non poteva dirle quelle cose, era fuori discussione.
- Sbrighiamoci – la incalzò, rendendosi finalmente conto che era il caso che Ofelia si riparasse al più presto, raffreddata com’era. Mise a riparo il portadocumenti che si stava bagnando per colpa di una sua svista, cosa che non era mai successa. – Non posso trattenermi oltre, e voi state prendendo freddo.
Si sarebbe trattenuto molto più del dovuto con lei, molto di più, e il guaio era proprio quello. Al di là del fatto che nella sua agenda non c’era spazio per quelle chiacchiere, e che stava sottraendo tempo prezioso al suo lavoro, c’era il rischio che dicesse qualcosa di equivocabile come poco prima stava per fare. L’avrebbe solo allontanata, se avesse ceduto. Doveva stare molto attento con lei, essere cauto, anche se Ofelia non gli facilitava il compito. Come prima.
Se ci avesse pensato troppo si sarebbe illuso, e non poteva permetterselo.
Si voltò e si diresse verso la garitta con il tetto a cupola, che almeno offriva un po’ di riparo dalla pioggia torrenziale. Osservò Ofelia gesticolare verso la sorella. Si era aspettato che lo salutasse e si affrettasse verso di lei, ma fu sollevato e grato quando lei lo raggiunse sotto il riparo improvvisato. Non avrebbe dovuto esserlo, eppure da tempo non poteva più nulla verso quello che provava per Ofelia. 
Come a voler confermare i suoi pensieri, lei gli chiese: - Quando tornerete?
Senza troppo riflettere sulle implicazioni della domanda, Thorn rispose in automatico, con tono da intendente: - Ho ancora parecchie ispezioni da fare in provincia.
Subito dopo si rese conto delle incognite del quesito.
Ofelia era… impaziente? Voleva sapere quando sarebbe tornato… perché? Era contrariata all’idea di doversi separare? Improbabile. Forse la sua era mera curiosità. Eppure… il fatto che si stesse comportando in modo strano era irrefutabile. Thorn non voleva prendere un abbaglio, ma lei stava proprio interessandosi a lui. Era… una sensazione travolgente che lo avviluppava da dentro, con la stessa forza degli artigli ma incredibilmente dolce.
Si rese conto che forse Ofelia voleva che lui non partisse. Non era una cosa plausibile, ma allora perché quella domanda?
- Quando volete che torni?
Lo chiese di getto, senza nemmeno pensarci. E si rese conto che, a dispetto di tutti i suoi impegni, sarebbe stato disposto a tornare a qualsiasi ora di qualsiasi giorno Ofelia avesse deciso. Forse non sarebbe nemmeno partito, se lei glielo avesse chiesto.
L’espressione della fidanzata era sorpresa quanto la sua, anche se non lo dava a vedere. Capì di averle fatto cosa gradita prendendola in causa, chiedendo la sua opinione. Aveva compreso quanto odiasse essere una pedina vittima di eventi e decisioni altrui.
– Io? Immagino che dipenda più che altro dai vostri impegni. Cercate soltanto di non dimenticare il matrimonio.
Non del tutto soddisfatto dalla risposta e al tempo stesso tranquillizzato dal fatto che non avrebbe dovuto esentarsi dal lavoro, le rispose come al solito: - Non dimentico mai niente.
Tanto più il loro matrimonio. Il fatto che Ofelia volesse che lo ricordasse significava che allora lei desiderava quell’unione? Una persona che vuole rifuggire un certo avvenimento di sicuro non lo ricorda a chi dovrebbe, per così dire, farlo verificare. Si sarebbe davvero arresa alle circostanze, sposandolo? Per rassegnazione, o per qualcos’altro?
- Ora che mi viene in mente – esclamò di nuovo lei, pulendosi gli occhiali, trascinandolo fuori dai suoi stessi pensieri, -  mi ero scordata di informarvi sull’ultimo capriccio di vostra zia: Berenilde mi ha chiesto di essere la madrina di sua figlia!
Thorn non poté impedirsi di sollevare il sopracciglio. Ofelia era… contenta. Questo era evidente, sebbene il tono fosse quasi sarcastico e incredulo. Eppure, trapelava la gioia che provava al riguardo. La cosa lo scaldò dentro, perché gli diede la certezza che, in qualche modo, Ofelia teneva a loro: lui e sua zia, il suo nucleo familiare, l’unico che avesse mai avuto.
E lui era impaziente di poter considerare lei la sua famiglia.
- Nessun capriccio. Fate parte della famiglia, ormai.
Non aveva mai pronunciato parole più vere di quelle, e lo fece sentire bene poterle esternare, anche se non nel modo in cui avrebbe voluto. Quello che intendeva dire era molto, molto più profondo, ma si sarebbe accontentato di asserire in senso lato che fosse parte della famiglia.
Nonostante tutto, Ofelia sembrava quasi perplessa.
- La proposta non mi sorprende – si costrinse ad aggiungere, temendo di averla turbata. – Mia zia sta per mettere al mondo una discendente diretta di Faruk. I parenti della bambina potranno contare su una posizione di rilievo a corte. Allo stesso tempo anche la mia posizione si consolida.
Non era proprio quello che avrebbe voluto dire, mettendo in luce la componente politica di quella richiesta, ma era più a suo agio a parlare di quegli intrighi che di quello di cui avevano parlato prima; di cui non riusciva ancora ad interpretare tutte le sfaccettature. Avrebbe avuto molto a cui pensare, una volta allontanatosi da lì.
In ogni caso, Ofelia non era portata per quegli intrallazzi. La richiesta di sua zia era stata mirata e intelligente, ma esponeva lo stesso Ofelia ad un certo rischio. L’unica cosa che lui voleva con più ardore di quanto volesse essere accettato dalla fidanzata era che stesse lontana quanto più possibile dalla corte. Renderla la madrina della cugina l’avrebbe messa a rischio.
- Ciò detto, sono dell’opinione che dovreste declinare l’offerta. Il vostro posto non è e non è mai stato la corte.
L’espressione di Ofelia, d’un tratto indurita al di là degli occhiali bagnati e dei capelli appesantiti dall’acqua, gli fece capire di avere sbagliato. Non si era espresso come avrebbe voluto, e lei aveva frainteso.
- Ieri ho conosciuto vostra madre.
Thorn si irrigidì come se la scarica di un fulmine l’avesse attraversato dalla testa ai piedi. Tra tutto quello di cui potevano parlare, non si aspettava un’uscita del genere. Ofelia aveva già provato a tirare fuori l’argomento, in passato, e il fatto che lui avesse sempre chiuso il discorso non la faceva demordere, anzi, accresceva la sua smodata curiosità in merito. Anche qualcosa di più.
L’evidenza che stesse cercando di capirlo meglio, di indagare, di conoscere lui e il suo passato scivolava in secondo piano quando tirava fuori quell’argomento. Rispondeva al novantatré percento delle domande che Ofelia gli poneva, con pazienza, talvolta con curiosità, altre con la volontà di farla entrare, di mostrarsi a lei come non aveva mai potuto fare con nessuno, perché percepiva che Ofelia lo avrebbe accolto, se fosse stato onesto. Sperava che fosse così, almeno.
Ma non voleva, non poteva rispondere ai quesiti che gravitavano attorno alla persona di sua madre.
Nemmeno Ofelia avrebbe potuto farlo cedere in merito.
- Berenilde mi ha raccontato quello che le è successo. Mi chiedevo… - borbottò Ofelia, leggermente meno spavalda di quando aveva affermato di aver conosciuto sua madre. Troppo poco intimorita, però, per demordere. – Se davvero avete ereditato la sua memoria prima della Mutilazione, vi sarebbe possibile… ecco… rendergliela? Non sto dicendo che meriti un gesto d’affetto da parte vostra. So che vostra madre non ne ha avuti per voi. Avevo soprattutto la sensazione che la sua memoria fosse un fardello supplementare.
Thorn sentiva i denti formicolargli da quanto stringeva la mascella, i tratti del volto contratti. Quell’argomento… lo odiava. Non voleva sentire nulla che riguardasse quella donna. Nulla. Berenilde doveva aver accennato ad Ofelia qualcosa della sua infanzia e nascita, ma Ofelia non aveva il diritto di indagare. Nessuno ce l’aveva, quella era una questione sua.
Lui non aveva avuto una madre. In senso biologico sì, ma non nell’accezione… figurativa del termine, se così si poteva dire. Nemmeno Berenilde poteva essere considerata sua madre. Lo aveva amato, questo era innegabile, lo aveva salvato, ricoperto di cure e affetto, gli aveva dato una casa e un riferimento, gli aveva spianato la strada. Gli voleva bene, davvero. Ma non poteva considerarsi sua madre tanto quanto lui non si era mai considerato suo figlio. All’inizio lo era stato, forse, ma poi era diventata madre davvero. L’adorazione che aveva nutrito per la sua prole era imparagonabile all’affetto di zia che provava per lui. Eppure Thorn non si era sentito di criticarla per questo: aveva fatto già abbastanza, crescendolo e standogli accanto.
Il suo orologio era il regalo più bello che avesse mai ricevuto.
Ma la donna che lo aveva messo al mondo... Ricordava quel tanto che bastava per odiarla: la trasmissione della sua Memoria, che lo aveva marchiato a vita; l’abbandono di fronte alle sue continue fragilità immunitarie; col tempo aveva scoperto degli intrighi politici, degli assassinii, addirittura, dell’inganno seduttivo a danno del padre, della falsità con Faruk e della distorsione della veridicità della storia del Polo.
Gesti d’affetto? Non ne avrebbe mai avuti per lei, e quella stessa insofferenza e indifferenza non erano nulla in confronto a ciò che lei aveva perpetrato.
Sua madre era stata la prima persona a rifiutarlo. Dopo di lei, ne erano giunti molti altri, ma nessuno gli aveva mai fatto male come lei. Quale madre… abbandona il proprio figlio? Quale?
Nessuno gli aveva mai fatto male come lei, sì… e nessuno aveva continuato a fargliene allo stesso modo.
Forse Ofelia avrebbe potuto surclassare quel dolore e infliggergliene un nuovo tipo, sconosciuto, che temeva con tutto se stesso. Ormai era consapevole di come Ofelia lo tenesse in pugno, e che nessuno avrebbe mai potuto ferirlo come lei.
- Voi non sapete niente – disse con calma, eppure terribilmente gelido all’interno, e di sicuro non tranquillo.
Quei pensieri, quei ricordi, quelle insinuazioni gli stavano urtando letteralmente il sistema nervoso, e i suoi artigli maledetti si stavano librando nell’aere attorno a sé, impazienti, bramosi, come se fossero vivi e chiedessero sangue. 
Doveva trattenerli ad ogni costo.
- In effetti non so nulla – ammise Ofelia a labbra strette, per nulla soddisfatta.
Bastarono quelle parole a calmarlo. Perché Ofelia voleva sapere di più su di lui? Perché cercava di insinuarsi tra le sue difese?
Doveva allontanarsi da lì.
Prese il mazzo di chiavi dell’intendenza e le introdusse nella serratura, pronto ad andarsene. La garitta si aprì su una delle tante Rose dei Venti, circolare e luminosa. Prima di imboccarla e andarsene, però, non poté fare a meno di fare alcune raccomandazioni.
Per quanto a volte le sue domande fossero fuori luogo, la presenza di Ofelia era davvero di conforto, piacevole. Anche qualcosa di più.
- Non allontanatevi più dall’albergo. Fino al mio ritorno state attenta a chi frequentate, a quello che mangiate e all’aria che respirate. L’Invisibile veglia su di voi, cercate di non renderle il compito più difficile. Se seguite alla lettera le mie raccomandazioni non vi succederà niente.
L’Invisibile appena menzionata era lì con loro, da qualche parte, ma Thorn era stato talmente preso da Ofelia da aver quasi dimenticato la sua presenza, fino a quel momento. Quasi. Lui non dimenticava mai nulla, e la verità era che aveva cercato di ignorare il fatto che fosse lì con loro per fingere di essere da solo con Ofelia.
Al contrario suo, quest’ultima doveva proprio aver dimenticato che erano in tre, perché si guardò alle spalle, alla ricerca di qualcuno che non avrebbe visto.
Thorn la vide rabbrividire, e fu deciso ad andarsene immediatamente per evitare che si raffreddasse ancora di più. Non era nemmeno al massimo della sua salute fisica, rimanere bagnata avrebbe solo peggiorato la situazione.
Ancora una volta, però, lei intervenne per fermarlo nella sua determinazione.
- Aspettate – disse prendendo di tasca l’orologio da taschino. Il suo orologio. Vederlo stretto tra le mani di qualcun altro fece uno strano effetto a Thorn. Soprattutto se quel qualcuno era Ofelia. – Prima che partiate vorrei rendervi questo. Ne avete più bisogno di me, e comunque non lo leggerò. Ho scelto di dare fiducia a voi, non al vostro orologio.
Il cuore di Thorn si bloccò. Non si rese nemmeno conto del fatto che le sue parole si erano affievolite sul finire della frase, come se avesse perso slancio, se si fosse vergognata o fosse accaduto qualcosa. Ofelia fissava il suo orologio con orrore, stupita e dispiaciuta, cercando di dire qualcosa e non riuscendoci.
A Thorn in quel momento non importava. Stranamente, per quanto fosse intimamente legato a quell’oggetto, non gli sarebbe importato nemmeno se Ofelia glielo avesse reso in pezzi, cosa di cui sarebbe stata capace. Invece no, glielo stava rendendo dopo averlo tenuto con cura, e non l’aveva letto.
Non. L’aveva. Letto.
Aveva deciso di dare fiducia a lui. Dare fiducia. A lui.
Quella sottospecie di rivelazione lo aveva reso più attonito di qualsiasi altra dichiarazione gli fosse mai stata rivolta, o minaccia, o affermazione. Ofelia non aveva volutamente letto l’oggetto che più conteneva i suoi stati d’animo e le sue emozioni, la sua personalità, il suo io. Le aveva dato il permesso di sondare se stesso concedendole di tenere quell’orologio, e Ofelia non aveva voluto. Non aveva scoperto quanto fossero incomprensibili e potenti i sentimenti che provava per lei, quanto la sua presenza lo avesse sconvolto, cambiato, quanto fosse stata anaffettiva la sua vita e ferale la sua infanzia, quante minacce avesse ricevuto, quando dolore, quando stringeva l’orologio con i tagli ancora sanguinanti. Non lo aveva letto. E questo perché voleva che fosse lui a svelarsi a lei, e non che un oggetto glielo mostrasse.
Ofelia voleva conoscerlo davvero, e voleva che fosse lui a farsi conoscere. A mostrarle che poteva fidarsi di lui, con le azioni, non con il suo passato e i suoi pensieri.
Quella era… la situazione più commovente che avesse mai vissuto.
- Non… non capisco – balbettò Ofelia, riportandolo al presente, nonostante si sentisse ancora la testa imbambolata come mai gli era capitato. In automatico richiuse il pugno sul suo orologio, che ai suoi occhi era diventato ancora più prezioso. Si accorse che la lancetta dei secondi non girava più, ma non era un dettaglio fondamentale in quel momento. – L’ho caricato stamattina… Forse un granello di sabbia l’ha inceppato…
Stava vaneggiando, preoccupata, perché aveva percepito quanto quell’orologio gli fosse caro. Era dispiaciuta per qualcosa di cui forse non aveva nemmeno colpa, per lui. Nessuno si era mai rattristato per lui.
Un dubbio atroce gli attanagliò le viscere, e questa volta non riuscì a sopprimerlo.
Ofelia aveva… aveva passato la mattinata con lui al circo, evidentemente non infastidita dalla sua presenza; gli aveva chiesto calorosamente di pranzare con la sua famiglia, di fare buona impressione; lo aveva seguito fin là, sul muraglione, portandosi appresso una sorella che soffriva di vertigini per restare, questo era palese, sola con lui; aveva parlato come se temesse che lui se ne andasse; lo aveva definito un enigma, e non con accezione negativa; aveva cercato di sondarlo, di capirlo, di farlo aprire…; gli aveva chiesto quando sarebbe tornato come se l’idea di non vederlo le fosse difficile da sopportare; gli aveva ricordato il matrimonio, come se lo attendesse con impazienza; e ora quello.
Gli aveva ridato l’orologio, vergine di letture, perché voleva fidarsi dell’uomo che era, e non dell’uomo che avrebbe letto.
Ofelia non… non lo odiava. Non lo disprezzava. Non provava repulsione.
Non si poteva certo dire che lo amasse, ma, forse…
Un dubbio. Un dubbio che non era più sopprimibile.
- Il mio prozio sa aggiustare qualsiasi oggetto. Forse sarebbe meglio che me lo lasciaste ancora un po’.
Con il pugno ancora stretto sull’orologio fermo, come il suo cuore, come il sangue nelle sue vene, come la sua mente, come la sua vita e il tempo che non scorreva più, Thorn le avrebbe lasciato qualsiasi cosa. Qualsiasi lei avesse chiesto.
Invece di risponderle, intenerito dalla sua preoccupazione, seppe che non avrebbe potuto trattenersi. Non più. E non voleva trattenersi. Non aveva mai sperimentato quel bisogno di… contatto e calore, quel bisogno di sentirsi fisicamente vicino a qualcuno. E ciò che aveva seppellito per anni emerse con forza, propagando un’onda d’urto in tutto il suo corpo.
Se davvero Ofelia non lo aborriva, se davvero si sentiva… in qualche modo legata a lui, non lo avrebbe respinto. Giusto?
Thorn non avrebbe esitato. Non accettava i dubbi, non ce n’era mai stato lo spazio nella sua vita e nel lavoro che svolgeva.
Si chinò su di lei, volutamente, irrefrenabilmente. Si chiese se l’avvicinamento richiedesse tanto tempo per via della loro differenza d’altezza o perché il tempo si stava effettivamente dilatando, prolungando quell’attimo più di quanto non sembrasse.
In un attimo posò le labbra sulle sue, e per un istante si sentì morto: non respirava, non pensava, non esisteva nemmeno. Poi, quando prese coscienza del fatto che stava effettivamente baciando un’altra persona, anzi, Ofelia, percepì quasi la pioggia evaporare dal suo cappotto, tanto si sentiva andare a fuoco.
Era… era una sensazione indescrivibile. Il solo contatto delle labbra morbide di Ofelia lo spingeva a volerne di più, a rimanere lì in eterno, o forse solo per un secondo, per poi approfondire quell’incontro. Non era schifato, tutt’altro. Era proprio attratto dalla sua bocca, dal suo corpo, da Ofelia stessa.
Il dubbio che lui l’amasse non c’era mai stato, ma la realtà lo colpì come un pugno violento, un’artigliata, e sperò di non aver frainteso le parole e i gesti di Ofelia durante quella giornata. Non poteva… non voleva più vivere separato da lei.
L’amava, ed era un fatto inconfutabile.
Nel giro di un battito di ciglia si rese conto di tutto questo, e del fatto che Ofelia non si era ritratta. Sentì i capelli spiovergli sulla fronte, bagnando entrambi, e provò ad approfondire quel bacio leggero sperando di non incontrare resistenza. Ne voleva di più, lui che odiava quel genere di cose, ne voleva molto di più. Non si sarebbe più chiesto cosa la gente trovasse tanto inebriante in un bacio. Aveva sempre provato disgusto per quel gesto che per lui era solo uno scambio di microbi e una violazione di spazio vitale. Invece… no, non avrebbe più criticato.
Provò a schiudere le labbra di Ofelia, timidamente, andando a tentativi, ma lei non sembrava molto collaborativa. Eppure, non sembrava nemmeno recalcitrante.
Tutto finì velocemente com’era cominciato.
Ofelia trasecolò sotto di lui, uno schiaffo lo colpì in pieno sulla gota, con uno schiocco che lasciava bene intendere che la mano avesse centrato il bersaglio.
Uno schiaffo.
Ben lontano dall’essere il colpo più duro che avesse mai ricevuto, fu quello che gli fece più male in assoluto. Con un solo, esile schiaffo, Ofelia aveva mandato in frantumi tutto quello che, dalle profondità dell’anima di Thorn, era risalito lentamente in superficie, in cerca di luce, in cerca di lei.
Non si era ritratta. Gli aveva proprio dato uno schiaffo.
Mentre si raddrizzava rigidamente, si massaggiò la guancia, che pure non gli faceva male. Era un riflesso involontario, ma non poté evitarlo. Guardò di lato, incapace di incontrare il suo sguardo.
Codardo. Non voleva vedere il disprezzo nei suoi occhi, la sorpresa mista ad ira e probabilmente disgusto. Aveva preso Ofelia talmente alla sprovvista che lei aveva impiegato più del solito a capire cosa stesse succedendo, ecco perché non lo aveva respinto subito.
Non voleva guardarla. Aveva visto troppe volte l’espressione di orrore nei suoi confronti sui visi altrui. Non voleva vederla anche sul suo.
- Ascoltate – farfugliò lei, interrompendo il silenzio plumbeo per prima. – Non volevo… non avreste dovuto…
Non voleva cosa? Era stato stupido ad illudersi. Non avrebbe ricommesso lo stesso errore.
- Avevo un dubbio – la interruppe, distante. Un dubbio invadente e pressante, pungente. Un dubbio stupido e… utopico. – Voi l’avete dissipato.
Thorn non la vide arrossire. Non voleva vedere nulla. Si girò e si piegò per passare sotto la porta della garitta ridicolmente bassa. Aveva un dubbio che lui aveva fatto sorgere in sé. Ofelia non aveva colpe. Non le avrebbe dato la colpa. E, inutile dirlo, non avrebbe cambiato ciò che provava per lei.
Non poteva. Non ci riusciva. Gli rincresceva solo che fosse costretta a sposare un uomo che davvero non le confaceva. Non le avrebbe dato la colpa nemmeno di quello. E non l’avrebbe costretta a sopportarne le conseguenze.
Le diede le spalle e le disse: - Farò in modo che sopravviviate fino al matrimonio. Quando tutto sarà concluso tornate a casa con la vostra famiglia. Il ridicolo non mi ha mai ucciso.
Thorn chiuse la porta e, solo dopo essersi assicurato di non poter più vedere Ofelia si voltò, chiudendola a doppia mandata. Gli sembrò un gesto simbolico, alquanto insolito per una persona realistica e razionale come lui.
Gli sembrava di aver chiuso il suo cuore a doppia mandata.
Dopo aver indugiato un secondo di troppo, si rese conto di avere ancora l’orologio da taschino in mano. Lo fissò, adocchiando trucemente le lancette ferme. Rotto o no, quell’oggetto era una sorta di portatore di memoria, per lui. Il regalo della zia, legato alla sua infanzia… e il pegno che aveva dato alla fidanzata, che l’aveva definitivamente rifiutato.
Non gli interessava che funzionasse, gli avrebbe sempre ricordato lei. Anche quando se ne fosse andata. Perché era ciò che avrebbe fatto, come chiunque altro nella sua esistenza: se ne sarebbe andata. Si era presa la vita del suo orologio così come si era presa tutto ciò che in lui aveva appena cominciato a sbocciare.
Si allontanò, pronto a ricoprire nuovamente il suo ruolo da intendente, cercando di non pensare al matrimonio imminente. Non si chiese cosa stesse facendo Ofelia.
Se avesse saputo che era ancora ferma dietro la porta della garitta, inconsapevolmente delusa, pentita, in preda al senso di abbandono e alla speranza che lui si riaffacciasse sull’uscio, forse sarebbe tornato indietro e avrebbe ritentato un bacio. Forse avrebbe incontrato meno reticenza. Forse lei gli avrebbe chiesto scusa, smentendosi. Forse lo avrebbe respinto con ancora più determinazione.
Forse…
Thorn serrò la mascella, in collera con se stesso. Portava ancora sulla guancia la prova di ciò che l’indecisione provocava. La prova del fatto che i dubbi laceravano il mondo.
Lui amava Ofelia. Lei non amava lui. La cosa non sarebbe mai cambiata.
Non aveva più dubbi.
  
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