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Autore: BellaLuna    02/07/2020    1 recensioni
[ Skam Italia ] [ Edoardo POV ] [ Incantava ]
Natale 2019. Edoardo ritorna dall'America portandosi dietro un segreto doloroso e una promessa stretta sotto la pioggia battente quando era solo un bambino. Una promessa che ha a che fare con New York e che non può rivelare a Eleonora. Grazie a un bizzarro gioco del destino (altrimenti conosciuto come Filippo Sava), stavolta a tenerlo a distanza dai fantasmi del suo passato ci penserà il neonato gruppo musicale dei "Contrabbandieri di Porri" o di "Luchini", questo particolare non è ancora stato deciso.
[Questa storia partecipa alla Challenge "Things you said" indetta da Juriaka sul Forum di EFP e alla "Seasons Die One After Another Challenge Edition!" indetta da Laila_Dahl sul forum di EFP. Inoltre, il Capitolo Quattro si è classificato Sesto al Contest "A Christmas Novel" indetto da Pampa313 sul forum di EFP.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edoardo Incanti, Eleonora Sava, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO UNO
§
Il Castello di Ghiaccio

(16- Things you said that made me feel like shit)
 
 
Quando, alla veneranda età di sette anni e mezzo, Edo si era trasferito a Roma con la sua famiglia, la prima impressione che aveva avuto, ammirando dall’esterno la sua attuale casa, era che assomigliasse troppo a un palazzo di cristallo – uno di quelli appena usciti fuori da un cartone animato della Disney-, e durante le prime settimane passate lì, a spacchettare pacchi e sistemare le stanze, non aveva fatto altro che temere l’arrivo di una eventuale scossa di terremoto o di una furiosa tempesta di fulmini pronta a radere al suolo le  sua mura di vetro, lasciando tutti loro spezzati e vulnerabili alle intemperie del mondo esterno, di nuovo divisi e di nuovo lontani.
Ma sua madre, invece, - dopo lo shock iniziale di vedersi spuntare davanti una casa che era praticamente più del triplo dell’appartamento dove abitavano prima-, l’aveva semplicemente adorata.
Adorava il giardino che la circondava e le ombre che gli alberi proiettavano sul viale; adorava tutta la luce che riusciva a filtrare dalle pareti a specchio e adorava il fatto che, essendo la casa così grande e, fatta eccezione per le camere da letto e il bagno, praticamente senza porte, il suono della sua musica potesse propagarsi ovunque come un’eco dentro una caverna.
Edo ricordava ancora il modo in cui aveva iniziato a saltellare in giro tutta eccitata, spostandosi da un piano all’altro quasi senza toccare terra per la gioia, e lanciando gridolini entusiasti mano a mano che trovava un particolare nuovo che la mandasse in giubilo.
E alla fine, tutto il suo entusiasmo da bambina di cinque anni al Luna Park, aveva ovviamente finito per coinvolgere anche lui che, di conseguenza, dopo un pò aveva smesso di girovagare per i corridoi con l’ansia che da un momento all’altro la sua nuova casa potesse rompersi in mille pezzettini di cristallo come sotto al maleficio della Regina delle Nevi, e aveva invece iniziato a godersi i giochi all’area aperta e quelli negli ampi spazi ancora vuoti di quella che, molti anni dopo, i suoi amici avrebbero ribattezzato “Villa Incanti”.
Per Edo, come per sua madre, si era trattato di un enorme cambiamento: passare prima da una piccola casetta in Sicilia, poi a un appartamento di 150 m2 a Roma centro e poi, infine, a questo.
Era stato suo padre a insistere che si traferissero lì prima possibile, in una zona meno invasa dai turisti chiassosi della capitale e dove la puzza della sporcizia non rimossa non finisse per arrivarti fin sotto le finestre. Sebbene fosse sempre stato un uomo pratico a cui non piaceva affatto l’ostentazione e l’opulenza, Tancredi Incanti era comunque un grande estimatore del lusso e dei vantaggi che una vita agiata poteva avere, e se si trattava di comfort e di allontanarsi il più possibile dal chiasso e dall’invadenza eccessiva dei romani, non solo non badava a spese, ma era anche pronto a fare le chiamate giuste e toccare i punti giusti affinchè, chi di dovere, velocizzasse il più possibile le faccende burocratiche, ed ecco spiegato il motivo per cui, in meno di tre mesi, avevano già cambiato nuovamente casa.
Qualunque altra persona, in tutti quei traslochi fatti di pacchi da imballare e architetti da consultare e contratti da firmare, ci avrebbe già perso la testa, ma a sua madre, Livia, i cambiamenti non spaventavano affatto, anzi, aveva sempre adorato indossare panni diversi a seconda delle occasioni in cui si trovava, e in quegli assolati pomeriggi di agosto, si era improvvisata di volta in volta prima design di interni, poi arredatrice e infine esperta giardiniera, consultando riviste su riveste recuperate chissà dove, e stressando suo padre con moine che al tempo Edo aveva giudicato stomachevoli, affinché le fornisse ogni strumento necessario per il compimento delle sue opere floreali.
Sua madre era fatta così, e la casa di specchi, asettica e spoglia, in cui Edoardo abita adesso, poco ha a che vedere con quella che un tempo Livia Incanti aveva trasformato, in maniera tutta sua, nel suo personale sacro tempio spirituale di creazione musicale, in cui erano ammesse solo vibrazioni positive e luce e armonia e ogni “minaccia oscura”, come le chiamava lei, era bandita.
All’epoca, scherzando, Yuri gli aveva detto che se un giorno un qualche scienziato pazzo fosse riuscito a dimostrare che tracciando un X rossa sul portene di casa ogni influenza negativa potesse svanire magicamente, Livia non avrebbe esitato nemmeno per un istante a munirsi di un secchio pieno di sangue di vai a vedere quale animale sacrificato agli Dei e a recitare tutti i riti voodoo richiesti per l’occorrenza, pur di riuscire nel suo intento.
Edo non aveva fatto fatica a crederci, anche perché, poche settimane dopo, sua madre aveva già infestato la casa con idoli della musica sparsi un po' ovunque, mensole di flauti di Pan, ocarine giapponesi inchiodate alle pareti come trofei, e la 5° sinfonia di Chopin attaccata al muro come se fosse carta da parati.
Suo padre aveva inoltre ricevuto il divieto assoluto di fumare dentro, perché – a detta di sua madre: “il fumo destabilizza l’arte creativa! O pensate forse che Ludovico Einaudi abbia composto Nuvole Bianche respirando aria affumicata?”
Nonostante questo divieto assoluto, pena una morte per cena disgustosa se infranto (e sua madre era una maestra a sfornare ricette tremende quando ci si metteva!), c’erano state delle volte in cui, con la deliberata intenzione di farle un dispetto, Edo aveva visto suo padre muoversi con fare insofferente per le stanze della casa, le mani affondate nelle tasche di uno dei suoi tanti completi eleganti, e la sigaretta spenta sospesa fra le labbra, girovagando di camera in camera con un sorriso malandrino in cerca dell’occhiata critica e degli improperi che sua moglie gli avrebbe puntualmente lanciato contro non appena l’avrebbe visto, inveendo contro di lui, contro quell’oggetto demoniaco che si portava in giro e anche contro chi aveva avuto l’ardire di inventarlo!
(“TAKI! SEI UNO STUPIDO! TI ODIO!”)
Dopo che sua madre era morta, nel giugno del 2012, Edo lo aveva sorpreso più volte, di nascosto, a vagare nel buio, di notte, con la sigaretta accesa, passando in rassegna stanza dopo stanza, aspettando il richiamo di una voce che non sarebbe più tornata.
Adesso, suo padre odia quella casa, lo infastidisce e forse disgusta a tal punto che ha fatto di tutto per evitare di rimanere a Roma più dello stretto necessario ogni anno, accettando lavori un po' ovunque, anche meno importanti rispetto a quelli che un tempo il Cavaliere gli aveva affidato nella capitale, ciò che conta è che lo tengano il più lontano possibile dal castello di cristallo in cui la sua adorata moglie ora non abita più.
Una volta, durante quel periodo della sua vita che Miki aveva molto simpaticamente ribattezzato per lui come “La Cattività Londinese”, Anna lo aveva guardato negli occhi e senza pietà gli aveva detto che Taki Incanti era in grado di amare solo Taki Incanti, e che l’unica eccezione a questa regola era stata sua madre; perciò, non doveva sorprendersi se adesso, pur di non soffrire più, lui stesse cercando di dimenticarla, di levarsela dalla testa, e al diavolo il fatto che, così facendo, avesse deliberatamente gettato nel dimenticatoio il suo stesso figlio.
All’epoca, le parole di Anna lo avevano fatto sentire uno schifo, lo avevano fatto sentire come se valesse meno di niente, come se per suo padre la sua intera esistenza avesse smesso di avere alcun valore, mentre adesso, a distanza di anni, sembrano finalmente avere acquisito un senso, persino per lui.
(“Se continuerai ad aspettarti dell’affetto da parte sua, allora sarai condannato a soffrire per sempre. Il cuore di Taki è fatto di ghiaccio. È un uomo freddo. Rassegnati, Edo. O, almeno, impara a fartene una ragione.”)
Forse era stato allora, o forse no, forse c’era voluta Ginevra e il suo volersi credere la principessa ribelle di turno a convincerlo che non importava affatto quanto avesse continuato a provarci, perché comunque non avrebbe più riavuto indietro il padre complice e presente che aveva conosciuto durante la sua infanzia, così come non avrebbe più riavuto indietro sua madre.
A ripensarci adesso, mentre fa scendere i ragazzi nello scantinato di casa sua, lì dove un tempo Livia Incanti, rinomata musicista, si andava a rintanare per ore a comporre con il pianoforte, quasi gli sembra una vita fa, quasi gli sembra la vita di qualcun altro e non la sua. Eppure, ne riconosce l’odore: polvere, carta vecchia e pelle usata. E saprebbe ancora elencare a memoria ogni brano preferito di sua madre e il modo in cui disponeva gli spartiti sugli scaffali dopo che li aveva suonati, fissandoli come se fossero reliquie antiche che avrebbero potuto magicamente svanire sotto il suo tocco.
(“Quand’eravamo piccole... alcuni dei nostri maestri chiamavano Livia l’angelo della musica. E questo era uno dei motivi per cui non riuscivo a sopportarla.”)
A differenza sua, Anna con la musica non aveva mai smesso, e il Black Tulip, a Londra, era nato proprio per questo. Non era solo un pub, era ciò che di più vicino a un tempio della musica una persona randagia e sempre in guerra con il mondo come Anna potesse riuscire a creare.
Il Tulip, come gli aveva suggerito una volta sempre Miki, sembrava quasi un centro di ricovero per anime dannate, (“Ecco perché tu sembri starci tanto bene dentro!”), ed era anche l’ultimo posto in cui Edo si era veramente sentito di nuovo a casa, dopo che sua madre era morta.
(“Se vuoi stare qui, devi lavorare.”
“Posso fare tutto.”
“Davvero? Allora, riprendi in mano quella chitarra e fammi vedere che cosa sai fare.”)
Edo ha smesso con le band. Le band appartengono alla sua cattività londinese, e lì preferirebbe che restassero, possibilmente per sempre, se non è chiedere troppo. Una volta aver mostrato la sala ai ragazzi, se ne sarebbe andato di sopra a tener compagnia a Ele, ritornando a fingere che quel posto e quel passato non esistessero. Tuttavia, non è certo così stupido da credere che una volta vista la sala, i ragazzi non iniziassero a porgli delle domande.
<< Come mai hai una sala di registrazione sotto casa tua? >> Elia Santini è il più diretto, nonché quello a cui, a un primo acchito, gli pare di stare maggiormente sulle scatole.
<< Era di mia madre >> gli risponde, e questo di solito basta per mettere tutti a tacere, (e per tutti, Edo intende tutti coloro che a scuola erano venuti a conoscenza del passato tragico dell’inavvicinabile @EdIncanti).  
<< E’ una musicista?>> la domanda legittima di Luca Colosio, per un attimo riesce a spiazzarlo, lo spiazza quell’uso del tempo presente, come se sua madre fosse ancora viva.
Prima che Edo possa anche solo pensare di aprire la bocca per rispondergli, vede la mano di Martino Rametta partire a razzo per colpire la nuca del suo migliore amico, gli occhi puntati al cielo di Santini seguiti dall’ “AHIA, zì! Mi hai fatto male!” di Colosio e infine vede Giovanni Garau portarsi una mano sulla faccia come se volesse scavare una fossa dove far sprofondare tutti loro.
E, nonostante tutti i ricordi dolorosi che Edo sta ancora cercando di seppellire dentro di sé, si ritrova comunque a reprimere un sorriso divertito, che lo aiuta a ritrovare una certa calma interiore per poter rispondere con perfetta compostezza alla domanda precedente.
<< Sì>> gli dice, attirando di nuovo l’attenzione di Luca Colosio, che fino a qualche secondo fa stava battibeccando con Rametta per aver ricevuto uno scappellotto senza alcuna meritata ragione.
<< Lo era >> conclude Edo, e solo ora anche il ragazzo biondo sembra capire lo sguardo imbarazzato di tutti e il silenzio teso in cui la stanza è appena precipitata.
Arrossendo, Edo lo vede abbassare gli occhi prima di scusarsi con lui << Non lo sapevo, mi dispiace >>, scuse che per abitudine si limita a scacciar via con un gesto della mano, come per dire “non importa”. Anche se ormai il danno è fatto e, per esperienza personale, sa bene che non si può rievocare il ricordo di un morto e poi sperare che l’aria dentro una stanza non tenti di schiacciarti, di soffocarti, non puoi tirar fuori la tragedia umana di qualcuno e poi sperare di poter ritornare come se nulla fosse a parlare di baggianate.
Ed è proprio in momenti come questi che Edo vorrebbe possedere la leggerezza di Filippo, avere sempre la battuta pronta al momento giusto, in modo tale da spezzare la tensione, ma, visto che non ce l’ha, deve accontentarsi dei doni che la natura gli ha offerto.
Così, con la studiata freddezza che suo padre gli ha insegnato, afferra la vecchia Nyx dal piedistallo in cui l’aveva fatta riporre prima di partire per l’America e la passa a Giovanni Garau.
<< Allora, come siete messi con gli assoli? >>
Prima avrebbero iniziato, prima avrebbero finito e prima Edo sarebbe tornato a seppellire i ricordi del suo passato lì sotto, chiudendosi alle spalle la porta del seminterrato del suo castello di ghiaccio, con un doppio giro di chiave.
 
 

FINE#1
 
 


N/A: in questo primo capitolo vediamo emergere quelle che sono le due figure più importanti del passato del nostro protagonista, ossia suo padre e sua madre. A differenza di Skam Og, dove i genitori di William erano entrambi vivi e vegeti e la sorellina minore, invece, era tragicamente scomparsa, in Skam Italia noi non sappiamo nulla dei genitori di Edoardo, eccetto il fatto che il padre lavora fuori e che la madre è morta.
“E’ stata una cosa lunghissima e brutta”, ci spiega Silvia nel secondo episodio della terza stagione, aggiungendo poi: “Per altro, negli ultimi mesi...” un discorso lasciato a metà volutamente dagli autori e poi non più ripreso IN NESSUNA PARTE DELLA STAGIONE, una roba assurda (O.O). A mio parere, questa è forse una delle GRANDI LACUNE, nonché una delle grandi pecche della terza stagione di Skam Italia.
Non so voi, ma io avrei di sicuro voluto saperne di più sul passato di Edo, che invece passa praticamente in sordina, come se non avesse alcuna importanza.
In questa storia mi piacerebbe proprio cercare di riempire tali lacune, creare una versione tutta mia della madre di Edo e di come poteva essere la sua famiglia prima e subito dopo la tragedia.
Che ne pensate voi di questo primo capitolo e di come ho iniziato a descrivere i genitori del nostro protagonista?
Mi raccomando, non esitate a lasciare una recensione per farmi sapere la vostra opinione a riguardo, positiva o, ahimè, negativa che sia!
Intanto, ringrazio Juriaka per i suoi Prompt della Challenge “Things you said” indetta da lei nel Forum di EFP, e alla quale io partecipo con questo capitolo usando il prompt numero 16.
Spero che anche a te questa storia sia piaciuta e di poter leggere presto un tuo parere! :)
Alla prossima,
BellaLuna
  
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