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Autore: babykit87l    08/07/2020    1 recensioni
Martino e Niccolò stanno insieme ormai da sette anni, finché un evento traumatico non cambia le loro vite stravolgendole. Sarà dura tornare alla vecchia vita o forse l'unica soluzione è considerare la possibilità di iniziarne una nuova.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5  

 

 

Quello scambio di messaggi gli aveva ridato un minimo di speranza. Quel “ci vediamo domani” aveva fatto spuntare un sorriso sul suo volto, che si era protratto per tutta la mattina, mentre sistemava la casa, lasciata nel caos. La presenza di Giovanni, Eva e in parte di Sana avevano contribuito a peggiorarne lo stato, negli ultimi giorni. Sua madre avrebbe detto che sembrava “una barca pronta a partire” da quante cose in giro avevano lasciato tutti. Questo, però, gli aveva permesso di non pensare troppo al fatto che tra poche ore avrebbe rivisto Niccolò e lo avrebbe accolto in casa, sperando che questo lo avrebbe aiutato a ricordare. Si era concentrato sul sistemare la stanza degli ospiti (se così si poteva chiamare quella specie di sgabuzzino dove avevano accampato un letto a una piazza e mezza ma contornata da tutti gli impicci della casa) ed era andato a fare la spesa. Per l’ora di pranzo era tutto pronto e con un sospiro soddisfatto si guardò intorno, ma si rese conto che non c’era più nulla da fare se non attendere. Aveva chiesto ai genitori di Niccolò di mandargli un messaggio quando fossero usciti dall’ospedale con il ragazzo, in modo da avere il tempo di prepararsi, ma erano quasi le due e il suo telefono era ancora silenzioso, così decise di farsi una doccia e rilassare un po’ i nervi tesi.  

E alla fine rimase in cucina, guardando l’orologio al muro. Dove, pochi minuti dopo le tre e mezza il suo telefono trillò, avvisandolo dell’arrivo di un messaggio.  

Quando sentì il suono del citofono aprì senza nemmeno chiedere chi fosse. Non riusciva a smettere di sorridere, quando lo vide uscire dall’ascensore un po’ ammaccato e curvo, ma sempre bellissimo.  

Niccolò entrò e si guardò intorno come fosse la prima volta che vedesse quell’appartamento.  

“Me la ricordavo diversa questa casa.” 

“L’abbiamo personalizzata, diciamo così. I mobili sono praticamente tutti nostri.” 

“Lo vedo. Possiamo parlare un momento?” 

Martino annuì e lo portò nella camera degli ospiti, dove attese che l’altro parlasse. Iniziò a sentire l’ansia prendere posto nel petto, invadergli i polmoni e spezzargli il respiro. Osservò Niccolò fissare ogni dettaglio di quella stanza, quasi cercasse di ricordarsi qualcosa, senza riuscirci. 

“Ecco… Sono venuto qui perché lo psichiatra ha insistito, secondo lui devo tornare in ambienti familiari, tipo questo. Però... non è che sia proprio a mio agio qui.” 

“Che posso fare per farti sentire a tuo agio?” 

“Ti spiace se per qualche giorno vado dai miei?”  

Fu un pugno nello stomaco per Martino, ma non poteva pretendere che l’altro si comportasse diversamente. Per lui era fondamentalmente un estraneo con cui gli era stato detto di dover vivere, non sapeva nulla di loro e di quello che avevano costruito e vissuto insieme.  

“No, va bene. Te l’ho scritto ieri, voglio solo starti vicino come posso. Se vuoi andare dai tuoi genitori per qualche giorno e riprenderti un attimo, okay. Però, ti va se ti faccio vedere casa e magari ceniamo qui, prima che vai?” 

Sperò che almeno accettasse quella proposta, perché ce la stava mettendo tutta per andargli incontro e trovarsi un muro, ogni dannata volta, lo stava sfinendo.  

“Okay, certo. Anche se un po’ l’ho vista dai video sul telefono.” Accettò con un sorriso. 

Martino lo ricambiò prima di spiegargli dove si trovassero, poi gli fece cenno di seguirlo fuori dalla stanza. Gli fece vedere la sala, dove avevano messo un divano gigante e il pianoforte - “non quello che avevi a casa dei tuoi, questo te l’ho comprato io per il tuo compleanno di tre anni fa” - e la cucina, l’unico ambiente con ancora i mobili della nonna che iniziavano a cedere, ma che piacevano talmente tanto a entrambi da non aver avuto proprio voglia di cambiarli. Poi lo portò in camera da letto. 

C’era un letto a due piazze con un copriletto blu scuro, due comodini in legno di rovere abbinati a un armadio ad ante scorrevoli e una cassettiera dove sopra spiccavano due cornici. Niccolò si avvicinò e osservò le due foto: in una erano in gruppo, tra cui riconobbe quei due ragazzi che erano andati a trovarlo in ospedale, erano tutti abbracciati e sorridenti. Niccolò e Martino erano vicini e quest’ultimo, al centro, teneva la mano poggiata sul suo fianco. Si trovavano davanti a una sede universitaria e Martino aveva la tipica corona d’alloro, segno che probabilmente quella foto l’avevano scattata il giorno della sua laurea. Nell'altra erano solo loro due, sulla spiaggia e sorridevano, Niccolò aveva la testa poggiata sulla spalla di Martino e quest’ultimo lo stava guardando con così tanto amore che gli venne nostalgia di qualcosa che non ricordava di aver provato, ma che risultava palese dalla foto.  

“Probabilmente dovrai portarti qualche vestito dietro. A casa dei tuoi non c’è più niente di tuo.” Martino lo scosse dai suoi pensieri e Niccolò annuì, mentre si sedeva sul letto e guardava il ragazzo prendere una borsa e infilare un po’ di cose al suo interno.  

“Ma quello è il mio ukulele?” Chiese poi con un sorriso divertito.  

“Sì, ce lo siamo portato dietro.” Martino sorrise malinconico. Ricordava perfettamente quando lo aveva visto la prima volta e poi quante altre volte lo avevano usato e quante serenate gli aveva dedicato, cazzeggiando un po’ con lo strumento. 

“Quindi sai del mio nascondiglio per la ganja?”  

Martino lo guardò e riconobbe uno sguardo complice. Lo stesso di quel giorno, quando Marti gli aveva chiesto di prestargli dell’erba e Nico non s’era certo tirato indietro. 

“Ovvio! Me l’hai mostrato per quello la prima volta che sono venuto a casa tua...” Rispose, riprendendo a mettere maglie e jeans nella borsa.  

“Ottimo nascondiglio tra l’altro...”  

Martino si fermò di colpo. Questa conversazione era già avvenuta molti anni fa, ma non l’aveva mai dimenticata e in quel momento gli sembrò di essere tornato indietro nel tempo.  

“Come? Perché hai detto così?”  

“Non lo so, mi è uscita così... Perché?”  

Martino sorrise emozionato perché era chiaramente un flashback, anche se lui non lo ricordava, da qualche parte nella sua testa erano lì, tutti i ricordi! Allora aveva ragione lo psichiatra... Stare in ambienti familiari lo avrebbe aiutato a recuperare la memoria. Ci sarebbero voluti pazienza e tempo, tanto tempo, ma in qualche modo ci sarebbero arrivati.  

“Niente... Hai ragione. Lo è stato, anche se ormai non fumiamo più.” 

“Davvero?” Sembrava stupito dalla scoperta.  

“Dopo Milano abbiamo deciso di smettere e quindi niente più erba.”  

Lo aveva deciso lui per tutti e due, ma non c’era voluto poi molto per convincere Niccolò. Non era stato facilissimo riuscire a smettere del tutto, per nessuno dei due, ma Martino non si era mai pentito della sua scelta. Non voleva assolutamente che Nico sentisse di essere solo in questo processo e alla fine dopo pochi mesi nessuno dei due sentiva più la necessità di farsi una canna, come invece avveniva prima. 

“Dopo Milano?”  

Martino sospirò, perché anche se ormai non era più un tabù quell’esperienza e riuscivano persino a scherzarci su, rimaneva doloroso parlarne. E ora, l’aveva ritirata fuori senza pensare che Niccolò non ricordava nulla e parlarne avrebbe riportato a galla vecchi sentimenti e paure, che erano rimasti chiusi in un cassettino a metà tra il cuore e la mente.  

Poteva dire “una lunga storia” e lasciar correre, ma se avesse permesso a Niccolò di ricordare qualcosa, visto il precedente flashback, forse la cosa migliore era parlarne. 

“Okay... ehm...” Si mise seduto accanto all’altro e sospirò, cercando di raccogliere i pensieri. Poi iniziò a raccontare di quanto fosse stata bella quella fuga romantica, di come avesse sorriso tutto il tempo, spensierato e innamorato, fino alla sera. Da lì, con voce tremante e più incerta, raccontò di come le cose fossero degenerate e dell’attacco maniacale che aveva travolto Nico e spaventato a morte lui. Non se ne rese conto finché non terminò di parlare, ma Niccolò gli aveva preso la mano e l’aveva stretta, facendo dei piccoli cerchi sul dorso con il pollice. Era una sensazione così rilassante che era riuscito a raccontare tutto senza crollare. Anche questo gli fece tremare il cuore, perché negli anni questa era diventata una cosa tutta loro: quando dovevano parlare di cose difficili o chiarirsi, per darsi forza a vicenda Nico gli teneva la mano e lui gli accarezzava la guancia. 

“Quindi sono sette anni che non fumiamo più?”  

“Esatto. Però solo l’erba, perché le sigarette ancora persistono.” 

“Meno male, non avrei sopportato di non poter fumare affatto.” 

Entrambi sorrisero forse per la prima volta complici come erano un tempo. Martino fece per alzarsi e Niccolò lo fermò, stringendogli ancora la mano. “Grazie di avermi raccontato di Milano. Immaginavo sapessi del mio disturbo, ma non sapevo come chiedertelo.” 

“Nì, io di te so tutto. Ma proprio tutto tutto. E ti racconterò tutto quello che vuoi. Fammi qualsiasi domanda, anche la più imbarazzante, ed io ti risponderò. Sempre.” 

Niccolò annuì e lasciò la mano, permettendogli di alzarsi e chiudere quella mini valigia appena fatta.  

“Dai torniamo di là che i tuoi ci avranno dato per dispersi.” Disse poi Martino, uscendo dalla stanza seguito da Niccolò, che sembrò più rilassato e più a suo agio rispetto a quando era entrato.  

“Martino noi andiamo, così potete parlare tranquilli.” 

“No, rimanete. Ceniamo insieme.” 

“E poi io e Martino abbiamo concordato che per qualche giorno tornerò a casa. Con voi.” 

Anna sospirò e scosse la testa contrariata. “Nico, però il dottore ha detto-”  

“Sì, lo so cosa ha detto.” Interruppe subito il ragazzo, già visibilmente infastidito. “Ne ho già parlato con Martino ed è d’accordo con me. Per una volta riuscite a non intromettervi nella mia vita e farmi fare come mi sento?” 

“Sarà solo per qualche giorno, per farlo riprendere dall’ospedale.” Intervenne subito anche Martino. 

“Anche perché dovrò fare avanti e indietro per i controlli ancora per un po’.” Borbottò, prendendo un respiro più profondo. Chiaramente non era ancora del tutto fuori pericolo con il polmone e il respiro spesso si spezzava anche solo per uno sforzo minimo, come alterarsi e parlare a voce più alta.  

“Va bene. Però Nico, poi devi tornare qui. È questa casa tua. Okay?” Intervenne anche suo padre il quale aveva uno sguardo ammonitore che non ammetteva repliche. E Niccolò non poté fare altro che annuire. 

Il resto della serata trascorse più serenamente di quanto Martino si aspettasse. Niccolò approfittò della presenza di tutti e tre per chiedere qualcosa di più di sé, tutte quelle domande che si era posto in ospedale ma per cui non aveva gli strumenti per poter rispondere.  

“Cosa faccio nella vita?” 

“Dai lezioni private di pianoforte nel weekend e durante la settimana stai lavorando in un consultorio come operatore sociale con i bambini.” 

“Wow, forte! Effettivamente i bambini mi piacciono.” 

“Sì e sei anche molto portato.” 

“Immagino di aver studiato per questo...” 

“Sì, sei laureato in Sociologia.” 

“Vorrei andare a vedere dove lavoro e cosa faccio effettivamente. Ti va di accompagnarmi uno di questi giorni?” 

Martino sorrise, felice che Niccolò gli avesse proposto, di sua spontanea volontà, di stare con lui. Si rese conto in quel momento che avrebbe potuto riscoprire il suo rapporto con Niccolò, tutte quelle piccole cose che sette anni prima lo avevano fatto innamorare di lui. Come un invito – diverso certo da quello alla festa di Halloween, ma che gli provocava la stessa emozione – o un caldo sorriso rivolto a lui, mentre parlava. Niccolò sembrava più incline alla sua presenza, al contrario di quanto fosse in ospedale, e forse il motivo era proprio che una volta fuori da quel posto, si sentiva più... normale. Meno malato, forse.  

Quando chiuse la porta di casa, una volta che Niccolò e i signori Fares erano andati via scendendo le scale, Martino sospirò e poggiò la testa sul legno freddo. Era andata meglio di quanto si aspettasse. Si sentiva più sereno. Niccolò si era mostrano molto più rilassato e gli aveva ricordato così tanto il ragazzo conosciuto sette anni prima, che quella lucina di speranza, flebile e tremolante che mai si era spenta del tutto da quella notte, si era arsa di nuova linfa ed era convinto che con i giusti stimoli avrebbe ricordato. Sì, sarebbe tornato da lui e avrebbero superato anche quest’ostacolo.  

Il sorriso rimase anche mentre sistemava la cucina e si poggiava sul letto, con il computer sulle gambe pronto ad editare i contenuti del giornale e a scrivere il suo articolo, che sperava venisse pubblicato quanto prima. Nel frattempo sentì il telefono trillare l’arrivo di un messaggio. 

Sana rispose al primo squillo.  

“Ehi che succede?” Chiese subito lui. 

“Hai presente quando dici che sei il mio migliore amico?” 

“Perché sono il tuo migliore amico, fattene una ragione Sana.” Rispose convinto con un sorriso. 

“Vabbè, diciamo che stavolta te l'abbuono perché Ibra domani non mi può accompagnare e non riesco più a guidare bene. Quindi dovrai venire tu.” 

“Ma dove?” 

“Dalla ginecologa. Ho provato a chiederlo a Eva, ma domani ha il turno la mattina. Mi puoi aiutare, vero?” 

“Ma certo. Sarei venuto anche se ci fosse stata Eva se me l’avessi chiesto, visto che sono il tuo migliore amico.” 

Sentì Sana sospirare e riuscì a immaginarsela mentre alzava gli occhi al cielo. “Okay. Allora l’appuntamento ce l’ho alle dieci e mezza, quindi mi vieni a prendere alle nove?” 

“Agli ordini. Così ti racconto anche di Nico.” 

“Ma è uscito dall’ospedale?” 

“Sì, ma sta dai suoi. Poi ti dico domani.” 

“Vabbè, allora ti aspetto. E riposa che non voglio fare incidenti domani.” 

“Ah ah ah. Guarda che non sono Eva, so guidare io.” 

Risero e poi si salutarono definitivamente, chiudendo la chiamata.  

Era già successo che Sana gli chiedesse di accompagnarla, per un motivo o per un altro, ma questa volta aveva proprio l’impressione che lo avesse fatto per non lasciarlo solo. E non poté che apprezzare questa sua vicinanza, discreta ma concreta. Ormai la sua era una di quelle amicizie cui non avrebbe potuto rinunciare, era diventata in pochi mesi durante il quarto anno di liceo una spalla su cui contare e negli anni successivi non solo un’amica, ma confidente e complice.  

Se Eva era una sorella, Sana era la sua migliore amica. Quella che se ti doveva cazziare non si faceva problemi a farlo, ma che se avessi avuto bisogno di nascondere un cadavere ti avrebbe coperto e aiutato ad occultarlo. Salvo poi rinfacciartelo tutta la vita, ovvio, ma era un piccolo prezzo da pagare per averla accanto. E gli era mancata così tanto quando era partita per l’Africa. Aveva finto di stare bene e si era fatto vedere sempre sorridente durante le videochiamate via Skype – quelle poche volte in cui da lei c’era connessione e potevano parlare – ma la sua mancanza si era fatta sentire, a volte più di quanto pensasse. Attendere la videochiamata per chiederle consiglio o per sfogarsi a volte non bastava, passavano troppi giorni e quando la sentiva voleva sapere di lei, di come stava e cosa faceva laggiù, così spesso non le diceva nulla. Da quando era tornata però, finalmente avevano di nuovo la possibilità di parlarsi ogni volta che volevano e Martino non perdeva occasione di contattarla e stare con lei ogni volta che poteva. E questa era sicuramente una di quelle. 

Così il giorno successivo, alle nove in punto, si fece trovare sotto casa di Sana, pronto ad accompagnarla in clinica. Con un po’ di fatica, la ragazza entrò in auto e lo salutò con un sorriso e un bacio sulla guancia.  

“Insomma, dimmi un po’ di Nico.” Disse lei appena si sistemò sul sedile. 

“Vabbè, ieri ti ho detto che è andato dai suoi ‘sti giorni.” 

“Sì, ma perché? È ancora così ostico nei tuoi confronti?” 

“In realtà mi è sembrato più predisposto e mi ha chiesto di accompagnarlo al consultorio dove lavora.” Poteva sembrare una cosa minima, una bazzecola, ma quel piccolo gesto per Martino era fondamentale per ricostruire il loro rapporto. Un po’ come quando ci si lascia, ma il sentimento rimane e si cerca di riavvicinarsi a piccoli passi. Quello era il loro piccolo passo e il fatto che fosse partito direttamente da Niccolò aveva ancora più valore. 

“Okay... però, Marti… non farti troppi castelli in aria, okay?” 

“No, lo so questo... è che mi ha anche detto delle cose che mi aveva già detto.” 

“In che senso?”  

“Hai presente quando hai un déjà-vu e poi ti rendi conto che hai già detto quelle cose, magari a qualcun altro o a quella persona? Ieri è successo. Mi ha detto una cosa che ci eravamo detti un sacco di anni fa.” 

“E pensi che stia ricordando?” 

“Non ricordando, non proprio. Però è un inizio. Magari sono solo flashback e non se ne rende conto. Non potrebbe essere così?” 

Sana sospirò e deglutì piano, prima di rispondere. “Non lo so. Magari sì, ma magari è solo una coincidenza.” 

“Non sei tu quella che dice che le coincidenze non esistono?” 

“Non illuderti troppo. Solo questo.” 

“Okay. Ora mi dici perché non c’è Ibra qui con te?” 

“Te l’ho detto, non poteva...” 

Martino la guardò di traverso e capì immediatamente che si trattava di una cazzata, così si accostò sul Lungotevere e spense la macchina.  

“Che stai facendo?” 

“Se non mi dici la verità, non ti accompagno.” 

“Ti ho detto la verità.” 

“Se vabbè... ogni volta ti devo tirare le cose fuori con le pinze. Quindi te ne vai a piedi in clinica.” 

Sana chiuse gli occhi e poggiò la testa sullo schienale del sedile, scuotendo la testa. “Abbiamo litigato. Mi ha detto che appena nasce la bambina vuole che torniamo in Kenya con Medici Senza Frontiere. Io gli ho detto che non ne ho intenzione. Mi ha risposto che però gli hanno chiesto di andare, che hanno bisogno di lui e che è una cosa che gli manca troppo e a cui non vorrebbe rinunciare. Però vuole anche stare con me.” 

“Per quanto sarebbe?” 

“Tipo sei mesi, ma sai com’è lì, ti chiedono sei mesi che poi diventano nove e alla fine rimani lì almeno un anno e mezzo. Non voglio partire con la bambina appena nata e non voglio che vada da solo perché si perderebbe tutti i momenti più importanti con la piccola. Quindi ieri gli ho detto che oggi ci sarei andata per i fatti miei, alla visita. Ma non mi andava di andarci da sola.” 

“Vabbè però mancano ancora due mesi alla nascita della bambina, magari nel frattempo cambia idea. Poi secondo me appena la vedrà e se tu non hai intenzione di partire, finirà che nemmeno lui partirà più.” 

“Sì, però Marti non vorrei che avesse dei rimpianti che poi mi potrebbe rinfacciare. Così il rapporto si rovinerà ancora prima di costruire qualcosa. Stiamo per avere un figlio e dovremmo essere le persone più felici del mondo. Non dovremmo litigare così.” 

“In realtà, durante le gravidanze c’è il più alto tasso di corna. Sei fortunata, lui vuole solo andare in Africa.” 

Sana lo fissò allibita e poi iniziò a ridere. “Quanto sei scemo. Grazie, è confortante.” 

“Se vuoi ci parliamo noi con Ibra.” 

“Tu e...?” 

“Gio, Luca… Rami, che potrebbe fargli il discorso da fratello maggiore.” 

“Quello gliel’ha fatto al matrimonio.” 

“Oddio sì, ricordo... okay un reminder di quel discorso allora.” 

“Okay, se volete parlarci magari mi date una mano. Ora puoi partire, che non voglio arrivare in ritardo?” 

Martino rimise in moto la macchina e in breve arrivarono in clinica. Sana salì per la visita e Martino andò a parcheggiare, in attesa che lei terminasse. Prese il telefono e si accorse che aveva un messaggio. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Notes:

Beh penso che ci siano stati dei passi avanti, no? Mi interessava mostrare il rapporto con Sana e quello che le succede perché *spoiler non spoiler* sarà legato a Marti e Nico ^.^
Detto ciò spero vi sia piaciuto, il prossimo capitolo è già pronto e sto iniziando a scrivere il settimo ;)
Vi prego di farmi sapere che ne pensate e vi ringrazio come sempre per continuare a seguire la storia *^*
A lunedì prossimo
Babykit

   
 
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