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Autore: AriilUndomiel    09/07/2020    5 recensioni
«Siamo proprio una coppia fuori dall’ordinario noi due» sorrise leggermente Thorn. «Anche un po’ di più.»
Thorn e Ofelia sono proprio così terribilmente fuori dal comune e tremendamente emozionanti. La loro storia d'amore mi ha fatto piangere e ridere per quattro tomi e, ora che ho finito il quarto, ho immaginato un breve epilogo che possa dare una giusta conclusione al romanzo. Contiene ovviamente spoiler del quarto volume, spero vi piaccia, un bacio. -Luna
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Thorn si trovava immerso nel Verso, quel mondo in negativi all’interno del quale era stato catapultato per mano di Seconda, il suo corpo si era dissolto diventando aerargyrum. Quel gesto fatto da quella bambina tremendamente asimmetrica aveva salvato il mondo è vero, si erano liberati dell’Altro. Lui stesso lo aveva trascinato nello specchio. Le mani di Ofelia senza dita avevano poi cercato di trascinare nuovamente Thorn nel Dritto, ma non ci erano riuscite, lui l’aveva lasciata andare. Non voleva che la donna che amava finisse con lui nell’abisso.

 

Thorn si era lasciato cadere in un angolo in mezzo a tutto quel bianco, rannicchiandosi al meglio che poteva. La gamba sinistra piegata a formare strani angoli, come se si fosse rotta di nuovo, ma non sentiva dolore. Era una parte del suo corpo, ma era come morta.

 

L’uomo poggiò le lunghe braccia coperte di cicatrici sulle ginocchia e ci nascose la testa chiudendo gli occhi. La sua mente fu subito offuscata da una miriade di pensieri, come in flusso questi si facevano spazio nella sua mente come un fiume in piena, era come se la sua vita gli  venisse riprodotta davanti agli occhi, funzionava in maniera analoga alla macchina che usava al Memoriale quando era sir Henry.

 

Ricordava sua nonna che aveva cercato di strangolarlo quando era ancora nella culla, il bambino dalla salute cagionevole che era stato, Freya e Godefroy, le loro torture e anche le partite a dadi. Solo quando giocavano a dadi, il piccolo Thorn si sentiva contare davvero.

 

Ora Thorn aveva potuto controllare nuovamente i dadi per l’ultima volta. Aveva ripreso in mano quelli della sua vita decidendo di lasciare la mano di Ofelia nel Dritto, scegliendo di sacrificare se stesso per il bene dell’umanità. Sarebbe rimasto nello specchio per sempre.

 

Chiuse di nuovo gli occhi, un nuovo ricordo si fece strada nei meandri della sua enorme memoria.

 

Aveva dieci anni, giocava costantemente a dadi e sua zia Berenilde, giovane e bionda, gli aveva regalato un magnifico orologio da taschino oro. Istintivamente, Thorn, si portò una mano alla tasca. Il tic-tac dell’orologio in quel bianco era inesistente, nessun suono era producibile nel Verso. All’ giovane drago bastava tuttavia sapere che questo fosse ancora lì, a ricordagli che esisteva ancora.

 

Berenilde era stata per lui una madre, anche un po’ di più. Si era presa cura di lui fin dall’inizio della sua vita. Suo padre era morto e sua madre non aveva voluto a che saperne di quel bambino gracile che era, se non qualche giorno prima della sua mutilazione per instillargli i ricordi di Faruk nella  memoria, da quel giorno aveva capito che il suo compito era quello di sovvertire Dio o meglio Eulalia Diyoh. Idea che aveva portato avanti fino a qualche ora prima, almeno pensava fossero ore. Il tempo scorreva dilatato in quel posto.

 

Aveva aiutato sua cugina Vittoria a passare dall’altra parte, Berenilde non avrebbe perso un altro figlio e Thorn questo glielo doveva. Riaprì nuovamente gli occhi sentendoli umidi. Aveva spesso detto che nessuno, qualora fosse tornato al Polo, lo avrebbe aspettato. Non era così e si era reso conto troppo tardi del perfetto egoista che era stato. La zia Berenilde lo avrebbe aspettato sempre a braccia aperte e ora che era incastrato in quel luogo doveva essere distrutta dal dolore. Certo, Vittoria, il sangue del suo sangue, era ancora con lei, ma aveva perso la cosa più vicina ad un figlio che avesse avuto negli ultimi anni.

 

Lo aveva visto crescere, gli aveva medicato le ferite, lo aveva stretto a se quando aveva gli incubi, si era preso cura di lui proprio come ora faceva con la piccola Vittoria. La scomparsa del nipote tre anni prima per lei doveva essere stata devastante.

 

Thorn dopo essersi asciugato le lacrime chiuse gli occhi nuovamente, aspettando di essere investito da un nuovo ricordo. La sua memoria era libera e sarebbe andata avanti all’infinito li dentro. Sarebbe impazzito? Forse. Poco importava. Le persone a lui care erano ormai al sicuro.

 

Rivide Ofelia, pioveva, era appena sceso dal dirigibile che lo portava ad Anima. Quella sera si era limitato a rivolgerle uno sguardo stizzito e a tirare su col naso, come per intimidirla. Vide poi lo stesso dirigibile sul quale le aveva detto che non avrebbe mai superato l’inverno. Ma quella ragazzina, quella piccola animista goffa, era più tenace di quanto pensasse. Era scappata dal maniero di Berenilde e affrontato Freya in una sera, sopravvissuto agli artigli di sua zia e all’umore mutevole della donna.

Non c’era voluto molto perché si accorgesse di provar qualcosa per lei, che la ragazza non fosse solo l’animista utile a leggere il libro di Faruk. L’aveva baciata sotto la pioggia per capire cosa provasse per lei e si era beccato un sonoro schiaffo, Thorn sapeva che la tempra di Ofelia fosse più forte di quanto avesse immaginato. Nonostante si fosse sempre comportato con freddezza nei suoi confronti, il giovane aveva ben presto capito di amarla.

 

Thorn si portò una mano al petto per sentire il battito accelerato.

 

Aveva detto di amarla in quella squallida prigione dorata sperando che lei gli desse una risposta. Dopo la sua fuga attraverso lo specchio era diventato Sir Henry, ma non c’era giorno in cui non pensasse alla sua Ofelia, sempre raffreddata, goffa e avvolta nella sua sciarpa di lana.

 

Prese un respiro profondo e riaprì gli occhi per asciugarsi delle nuove lacrime che avevano ripreso a scendere.

 

Miss Eulalia, ecco cos’era diventata, quando l’aveva rivista il suo cuore era sussultato nel petto nonostante si fosse mostrato freddo all’esterno. In quel momento non era Thorn, era Sir Henry, un automa, un lord di LUX.

 

Qualche mese dopo quel nuovo incontro le aveva mostrato le sue cinquantasei cicatrici, Ofelia lo aveva accettato e gli aveva detto di ricambiare il suo amore. Le indagini per trovare Dio erano continuate e Thorn le aveva detto di volerle essere indispensabile per lei e ora erano nuovamente separati. L’aveva persa di nuovo e per sempre.

 

Se non fosse stato perché in quel luogo era impossibile provare dolore, il giovane avrebbe sentito stringersi il cuore nel petto e i polmoni a schiacciarlo. Si rannicchiò meglio, cercando di occupare con quel corpo alto e mingherlino il minor spazio possibile. Se sarebbe rimasto in quel posto per sempre, doveva trovare un modo per limitare il flusso costante di ricordi, almeno per il tempo che gli restava da vivere, sarebbero stati anni, mesi o quanto.

 

Doveva essersi addormentato, aveva perso totalmente la cognizione del tempo. Riaprì gli occhi e controllo l’orologio che teneva in tasca. Aprì il coperchio e guardò l’ora. Non sembrava che molto fosse cambiato da quando si era abbandonato al sonno.

 

Uno specchio era apparso nel Verso, era così luminoso che Thorn dovette chiudere i suoi occhi di ghiaccio per evitare che la luce emessa dallo specchio in tutto quel bianco lo accecasse. Una sciarpa a tre colori uscì dalla superficie riflettente, fu seguita da mani senza dita, un viso dolce e un paio di occhiali rettangolari sul naso, un turbante in testa.

 

Ofelia.

 

Il cuore di Thorn si fermò nel petto e inarcò le sopracciglia dallo stupore, le sue cicatrici di fronte e sopracciglio si unirono in un unico segno. Nessuno dei due, in quel mondo in negativi, poteva emettere suono. Era venuta lì per lui? Sarebbero rimasti per sempre in quel mondo? A questo Thorn, neppure ricorrendo a tutti i calcoli statistici possibili e immaginabili sarebbe stato capace di dare risposta. Quella donnina goffa aveva un talento nel distruggere le statistiche, forse era anche per questo che lui aveva perso la testa.


Solo dal busto alla testa Ofelia era fuori dallo specchio, le gambe erano rimaste dall’altra parte, come se avesse paura che uscendo totalmente da quest’ultimo sarebbe stata incapace di rientrarci. Gli fece un dolce cenno con la testa per farlo avvicinare. Thorn si alzò, la sua schiena assunse una posizione eretta, percepiva ogni vertebra che si muoveva sotto la sua pelle. Zoppicò verso Ofelia, il suo passo solitamente spedito e fiero era più lento. Era venuta per dirgli addio? Il biondo arrivò difronte alla specchiera e alzò gli occhi verso quelli della moglie. Erano il totale opposto, gli occhi argentei di Thorn con quelli castani di Ofelia.

 

Lo sguardo della donnina era un invito a seguirlo oltre lo specchio, a tornare nel Dritto assieme a lei. Thorn distolse lo sguardo da quello della moglie per rivolgerlo alla sua ombra. Dalla sua testa uscivano dei rovi ordinati che rappresentavano la sua memoria e i suoi artigli, le loro ombre, erano domabili. La sua gamba sinistra però era sempre rotta, ma non gli importava.

Ofelia allungò il suo braccio destro, in sincronia con quel gesto Thorn allungò lo stesso braccio e con la mano si aggrappò al polso della ragazza, mentre con la mano sinistra si poggiava al vetro della specchiera che si fluidificò, come acqua, al suo tocco.

 

“Insieme” pensò Thorn fissando gli occhi di Ofelia, la ragazza colse il messaggio nascosto fra le iridi fredde del marito. “Si, insieme”, l’animista gli rivolse un sorriso e nonostante la sua goffaggine ritrovata, riuscì a tirarsi indietro con le spalle trascinando con se le mani dell’ amato in modo da farlo parzialmente oltrepassare lo specchio.

 

Per Ofelia, trovare lo specchio giusto per arrivare in quel luogo non era stato complicato, dopo che era uscita dalla clinica e si era accertata che il mondo stesse andando nel verso giusto, si era recata alla vetreria di Babel e si era tuffata nello specchio che le aveva dato quella visione di lei ricoperta di sangue, del mostro e della vecchia, il giorno del censimento. Era stata la scelta giusta, aveva trovato Thorn e ora sarebbero tornati insieme nel Dritto.

 

Thorn si aggrappò alle spalle di Ofelia e cercò di darsi una spinta con la gamba buona, no, non l’avrebbe lasciata andare stavolta. Con un tonfo caddero all’interno della vetreria e Thorn strinse la moglie facendole scudo col suo corpo.

 

«Ofelia…» la voce di Thorn era roca ma non nascondeva il suo accento del Nord. Le sue braccia avvolsero quelle dell’amata e lei fece lo stesso, mentre la sciarpa, che era ormai diventata le sue mani gli accarezzava i capelli biondi e le cicatrici che aveva sul volto.

 

Il pomo d’Adamo dell’uomo si contrasse, come se stesse per piangere. Era strano per lui piangere, lo faceva di rado ed era una vergogna farlo davanti a qualcuno, ma stavolta erano lacrime di gioia, poteva concedere a se stesso il diritto di versarne qualcuna.

 

«Ti ho trovato, ora non ti lascerò più andare» disse Ofelia, anche lei commossa stringendolo forte a se. «Hai detto di volermi essere indispensabile, lascia che ti dica che lo sei»  la donna poggiò le labbra sulle sue e l’uomo, nonostante quanto ruvido sembrasse, ricambiò baciandola con delicatezza, come per non volerla rompere.

 

«Non dovremmo stare qui Ofelia, in mezzo ai frammenti di vetro e di specchio. Torniamo al Polo, con Berenilde e Vittoria, con tua zia Roseline, con Faruk e, per quanto solo a pensarlo mi venga il voltastomaco, con quello scellerato dell’ambasciatore» Thorn notò che il dolore della gamba era tornato e che non aveva l’armatura, doveva trovare qualcosa per alzarsi. Fece leva su un mobile per poi trovare poco lontano un ramo che avrebbe usato come bastone di fortuna mentre Ofelia, nonostante l’enorme differenza d’altezza, cercava di fare del suo meglio per cingergli la vita in modo da non farlo pendere troppo da un lato.

 

Si avviarono con lentezza ai giardini di Polluce, ormai tutti gli altri erano partiti per le proprie arche d’origine, restava un solo dirigibile in direzione Polo, quasi come se aspettasse proprio loro.

 

*

Dal ritorno di Ofelia e Thorn al Polo erano passati circa tre mesi. Thorn aveva denunciato i suoi crimini alla giustizia e a Faruk, ma avevano deciso di non punirlo, giustificando i suoi gesti come necessari alla salvaguardia del loro mondo e dell’umanità. Thorn aveva una nuova armatura per la gamba, mentre Ofelia, alla quale erano ricresciuti i capelli fino alle clavicole e aveva dei guanti di metallo articolati, che uniti al suo animismo erano diventati le sue nuove dita. Certo anche alla sciarpa piaceva aiutarla e prendersi cura di lei.

 

Per quanto riguarda il matrimonio, una sera, mentre si trovavano al maniero di Berenilde per cena, Thorn era steso sul tappeto intento a insegnare alla piccola Vittoria come giocare a dadi, a quell’uomo i bambini non piacevano, ma la cugina di quasi tre anni costituiva l’eccezione, Ofelia decise che quella era la sera giusta per porgli la fatidica domanda. Aveva aspettato che Berenilde mettesse Vittoria a letto per condurlo nel giardino, dove regnava una perenne notte d’estate, lo aveva guardato negli occhi e si era inginocchiata difronte a lui.

 

«Quando siamo naufragati, mi hai detto che sarei dovuta essere io a chiedere di sposarti» Ofelia si mise in ginocchio difronte a lui. «Dunque, messer Thorn, vuoi farmi l’onore di diventare mio marito e rendermi la donna più felice di tutte le Arche sul Dritto e sul Verso?» Thorn sorrise, un sorriso vero, il primo sorriso autentico proveniente dal cuore di un uomo tanto freddo all’apparenza. «Signorina Ofelia, voglio sposarti con tutto il mio cuore» l’uomo sollevò la donna fra le sue braccia per baciare ogni angolo del suo viso e delle sue labbra.

 

*

Il giorno del matrimonio era arrivato all’inizio dell’estate. Stavolta non era un matrimonio fatto per formalità, era un vero matrimonio. La cerimonia si sarebbe tenuta nella cappella di Chiaridiluna, Ofelia ricorda di esserci stata solo una volta, quando ancora vestiva i panni di Mîme per i funerali di Madame Frida. Stavolta ci sarebbe stata come Ofelia, il tempo delle maschere era finito.

 

Faruk si trovava difronte all’altare, dopo aver recuperato la sua memoria, si sentiva in dovere di unire in matrimonio i suoi salvatori. Al lato sinistro della cappella stava la famiglia di Ofelia, sua madre, suo padre, Agata, Charles, i loro figli, Hector, le sorelline, le nonne, la zia Roseline e tutta una sfilza di parenti fino al sesto grado. Al lato destro invece c’erano alcuni membri della corte del Polo, certo, Thorn non andava ancora a genio a molti di loro, soprattutto dopo che era stato nuovamente assunto nel ruolo di intendente, ma era come se fossero lì per fare un favore a Faruk.

 

Thorn indossava l’alta uniforme, bianca e con una fascia azzurra sul petto, le spalline oro e un mantello blu che gli cadeva sulla schiena, entrò in chiesa a braccetto di Berenilde che indossava un lungo abito azzurro con un’ enorme crinolina al di sotto. Arrivato all’altare aprì il suo orologio da taschino, era impaziente di vedere Ofelia e l’orologio continuava ad aprirsi e chiudersi con foga.

 

Vittoria, con un vestitino azzurro, un cesto di fiori in una mano e tenendo l’altra in quella di Archibald, che per la prima volta indossava qualcosa che non fosse sciupato, percorse la navata precedendo l’ingresso di Ofelia accompagnata dal padrino, la marcia nuziale suonava in sottofondo, i suoi capelli erano stati acconciati in un semi raccolto con dei gigli bianchi come decorazione, aveva il velo a scenderle sul viso e il suo abito bianco e morbido le ricadeva addosso alla perfezione.

 

Thorn arrossì fino alle orecchie dopo averle rivolto il primo sguardo, il cuore all’impazzata nel suo petto. Quando la sua piccola animista goffa gli arrivò davanti lui le alzò il velo e si chinò baciandole le labbra, come il loro primo bacio al castello, solo che stavolta invece di respingerlo con uno schiaffo, Ofelia trattenne le labbra sulle sue.

 

«Siamo proprio una coppia fuori dall’ordinario noi due» sorrise leggermente Thorn. «Anche un po’ di più.»

 

Ed era vero, due Attraversaspecchi che avevano salvato il mondo, lei senza le dita, lui con una gamba malandata, era come se solo insieme sarebbero stati capaci di colmare i vuoti l’uno dell’altro.

Un peu plus que cela, même.

 

NOTA DELL'AUTRICE:  Se siete arrivati fin qui vuol dire che avete finito "Echi in tempesta" e che sicuramente sarete devastati dal finale. In questa piccola fanfiction volevo mettere per iscritto come per me è finito tutto, spero vi sia piaciuta, vi invito a lasciare una piccola recensione se vi va e alla prossima storia. Un bacino fatato, Luna.

   
 
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