Serie TV > O.C.
Segui la storia  |       
Autore: MauraLCohen    09/07/2020    2 recensioni
[Raccolta di flashfic]
Sandy e Kirsten a Berkeley.
Momenti importanti della loro storia, della loro quotidianità, prima di Newport.
Genere: Erotico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kirsten Cohen, Sandy Cohen
Note: Lime, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

One shot scritta per la #MakeyoursummerDE indetta dal gruppo Facebook We are out for prompt .

*** 

Il prompt è di Frida Rush

***

Testo del prompt: oltre l'orizzonte.

***

Parole: 3386.



Pezzi di un puzzle
 
 

Sandy sbuffò, rigirandosi nel letto della sua stanza ed individuando il telefono sul comodino. 

« Vuoi chiamarla, eh? » La voce arrivò dal letto accanto. Era Paul, il suo compagno di stanza, seduto con le gambe incrociate e un enorme libro poggiato su di esse. 

Paul stava studiando per diventare un docente di legge, perché, rispetto all’amico, non andava matto per l’azione. All’aula di tribunale, lui preferiva l’aula dell’Università, in cui poteva formare le giovani menti dei futuri avvocati della California. 

« Da morire » rispose Sandy, mettendosi a sedere con uno scatto. Aveva i capelli disordinati e schiacciati da un lato, come se il cuscino gli fosse rimasto incollato alla testa. « Sono giorni che non mi parla. Non risponde alle mie chiamate, mi evita quando mi incontra per il campus. Che dovrei fare secondo te? Stare qui con le mani in mano ad aspettare che le passi?  » 

Paul fece spallucce. « Non ho detto niente » si giustificò, notando il tono infastidito di Sandy. « Le passerà, vedrai » concluse, riportando la testa sui libri. 

Anche da quella posizione, però, Paul poteva sentire i pensieri di Sandy e le sue mani che si torturavano a vicenda. 

« Sandy! » tuonò Paul, alzando lo sguardo per osservare di sottecchi il compagno. « Ho un esame domani e non posso concentrarmi con te che dai di matto. Perciò prendi quel telefono e chiamala. Helen è con lei. » 

In realtà a Paul non importava dell’esame del giorno dopo, era preparato ed era certo di passarlo, ma sapeva anche che Sandy non si sarebbe mosso da quel letto se lui non lo avesse spronato a farlo. 

Il giovane Cohen non era mai stato il tipo che si lasciava intimidire dalle situazioni. Era arrivato in California dal Bronx quando aveva sedici anni, completamente solo e spaesato, ma non si era fatto spaventare. Aveva concluso gli studi in uno dei licei più prestigiosi di Berkeley e poi aveva sbaragliato tutti i concorrenti all’università. Era il migliore del suo corso, anche grazie alla spavalderia di cui la natura lo aveva dotato. 

Eppure con Kirsten diventava docile come un agnellino. 

Era orgoglioso, quindi non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce; ma se litigavano e lei non gli parlava, lui ci stava male. Male a tal punto da restare a letto, in pigiama, di giovedì sera, quando metà campus era coinvolto nella consueta festa in qualche camera più in là della loro. 

« Non esiste » sbuffò Sandy, mettendosi in piedi per recuperare t-shirt e felpa dal comò. « Tanto non mi risponderebbe. »

Paul lasciò scivolare il manuale di lato, usando la matita come segnalibro, così da potersi concentrare sull’amico. 

Tra i due, il ruolo dello psicologo spettava a lui. Era così da sempre. 

« E cosa intendi fare? » gli chiese, lasciandosi cadere all’indietro con le mani dietro la testa. 

Sandy alzò gli occhi al cielo. « Ma cosa ne so. Se devo essere sincero, non ho nemmeno capito perché è così arrabbiata. Ha chiamato il padre e due minuti dopo stava urlando come una pazza. » 

« Vuoi che chieda ad Helen? » propose Paul, mentre Sandy infilava la maglia. 

Liberando la testa dal tessuto della felpa, il ragazzo si voltò a guardare il compagno di stanza e scosse il capo. « No, non coinvolgerla. Se Kirsten scoprisse che uso Helen per capire cosa le passa per la mente, ammazzerebbe prima me e poi lei. L'importante è che almeno si sfoghi con qualcuno. » 

« Uno di questi giorni ti faranno santo. » 

Sandy scoppiò a ridere, alzando gli occhi al cielo. Si avvicinò al comodino per prendere il portafoglio e lo infilò nella tasca dei jeans, prima di cercare il giubbetto. 

Ormai la fase delle chiamate senza risposta era superata. Sandy era stanco di aspettare. Qualsiasi cosa avesse Kirsten, era tempo di parlarne. 

Non capiva perché lei dovesse fare così: ogni volta che c’era un problema, si chiudeva in se stessa e lo teneva a distanza. 

Lui sapeva che Kirsten era perfettamente in grado di badare a se stessa e la sua indipendenza era una delle cose che più amava di lei, ma voleva poterle stare vicino quando stava male. Essere sicuro che lei si sentisse abbastanza a suo agio con lui da permettergli di aiutarla se ne aveva bisogno. 

« Io vado da lei » annunciò, infine, finendo di aggiustare il suo riflesso allo specchio. « Almeno così non potrà ignorarmi. »  Dicendolo, abbozzò un sorriso sornione e uscì dalla stanza, permettendo a Paul di tornare al suo ripasso. 

 

Nel tragitto dalla sua camera a quella di Kirsten, Sandy dovette attraversare tutto il campus, incrociando di tanto in tanto qualche studente che studiava all’ombra degli alberi, nell’ampia area verde. 

Rispetto al Bronx, Berkeley era molto più calda. Pioveva solo un mese all’anno e le temperature non scendevano mai sotto i dieci gradi. Il clima era decisamente una delle cose che il giovane Cohen amava di più della California, subito dopo Kirsten e il mare, s’intende. 

 

Finalmente si ritrovò dinanzi all’imponente ingresso del dormitorio femminile. Tra lui e Kirsten ora c’era solo una manciata di gradini. 

Stavolta, se avesse voluto evitarlo, sarebbe dovuta scappare dalla finestra. 

Guarda tu cosa mi tocca fare – pensò tra sé e sé Sandy, mentre schivava un gruppetto di ragazze ubriache fradice che barcollavano per tutto il corridoio. 

« Alle sette di sera? Che classe! » osservò l’unica ragazza apparentemente sobria del gruppo, che aiutava le altre due a restare in piedi. Sandy non poté fare a meno di sorridere nel vedere tutta la scena, prima di fare qualche passo in avanti e ritrovarsi di fronte alla porta della stanza di Kirsten. Bussò due volte con l’indice, aspettando paziente che qualcuno gli aprisse. In sottofondo si sentivano la musica e le risate che provenivano dalla camera dietro l’angolo. 

« Sandy! » esclamò Helen, una volta aperta la porta. La ragazza mora lo guardava un po’ stupita, tenendo la mano sulla maniglia e impedendogli così la visuale dell’interno della stanza. 

Solidarietà femminile – scherzò il ragazzo, senza dirlo ad alta voce. 

« Kirsten c’è? » chiese, invece, rimanendo immobile sull’uscio. 

Era sicuro che fosse lì, seduta sul letto che la porta gli nascondeva e non riusciva ad impedire ai propri occhi di puntare esattamente in quella direzione. Helen lo notò e sorrise. Sandy sapeva essere davvero cocciuto quando si trattava di Kirsten. 

Più lei lo allontanava, più lui provava disperatamente a starle vicino ed Helen sapeva bene che quello era esattamente ciò di cui l’amica aveva bisogno: qualcuno che non si lasciasse spaventare dai suoi muri. 

Kirsten era tendenzialmente diffidente, colpa dell’ambiente in cui era cresciuta, e difficilmente abbassava la guardia, specie se si trattava di ragazzi. Stando con Sandy aveva fatto passi da gigante, Helen dovette riconoscerlo, ma le vecchie abitudini erano dure a morire, soprattutto quando queste riguardavano il padre. 

« Sandy… » Helen tese una mano verso il petto dell’amico che aveva fatto un passo in avanti. 

« Voglio solo parlarle » rispose questi, rivolto più alla ragazza nascosta che a quella con cui stava effettivamente parlando. 

« Lo so, ma dalle tempo. Le passerà. Ora è sdraiata, non ha voglia di vedere nessuno. »

Sandy, però, non l’ascoltò. Gli bastò un solo gesto della mano per spalancare del tutto la porta, rivelando così l’interno della camera e il letto su cui Kirsten era seduta. 

La ragazza aveva i capelli raccolti e una maglia bianca con un paio di jeans. Teneva le gambe premute contro il petto e il viso poggiato sulle ginocchia. 

Sandy incrociò il suo sguardo, stanco. Non doveva aver dormito granché negli ultimi giorni. 

Notò anche gli occhi arrossati, segno che aveva appena finito di piangere.

Maledizione, Kirsten! – pensò, senza smettere di guardarla. – Perché devi fare così? Perché devi sempre affrontare tutto da sola? 

« Uhm… V-vi lascio soli. » La voce di Helen riportò Sandy alla realtà, obbligandolo a voltarsi nella direzione della ragazza che aveva appena parlato. 

Simulò un grazie con le labbra, annuendo appena. 

Prima di andare via, Helen rivolse un’ultima volta il suo sguardo verso Kirsten, per accertarsi che stesse bene. Dopodiché lasciò i due nel silenzio della camera, chiudendo la porta alle proprie spalle. 

 

Per la prima volta, dopo quello che a Sandy parve un periodo interminabile, erano soli, uno di fronte all’altra, senza possibilità di scappare. 

Era il momento di parlare. 

Sia lui che Kirsten lo sapevano, ma nessuno dei due si azzardò ad emettere un fiato o muoversi da dov’erano. Rimasero semplicemente a fissarsi, lei seduta sul letto mentre tratteneva il respiro nei polmoni e guardava Sandy che le stava davanti. 

Nessuno dei due sapeva cosa dire, come iniziare. Erano semplicemente stanchi di ignorarsi. 

A Kirsten, Sandy mancava e sapeva che, in fondo, anche per lui era lo stesso; ma era più forte di lei, non voleva scaricargli addosso il peso dei suoi problemi e Sandy continuava a non capirlo. Lo amava, tanto, ma non spettava a lui salvarla dal caos di Newport. Non era per quello che stavano insieme e non voleva fargli pensare il contrario. 

Poteva cavarsela da sola. E in ogni caso, ormai doveva farlo per forza. 

« Mi dici cos’hai? » Finalmente Sandy ruppe il silenzio, notando che Kirsten era sul punto di piangere.

Istintivamente, lei nascose il viso contro le ginocchia, impedendogli così di vedere le lacrime che le rigavano le guance. 

« Kirsten… » tentò di dire Sandy, avvicinandosi a letto e sedendosi accanto a lei. « Ehi, non piangere » la rassicurò, prendendola tra le braccia. « Sono qui. Va tutto bene » continuò a ripeterle, affondando il viso tra i suoi capelli e stringendola a sé con più forza. 

Kirsten continuò a piangere contro il petto di Sandy. 

Non se lo meritava. 

Non meritava che qualcuno come Sandy l’amasse. 

Non aveva fatto altro che respingerlo negli ultimi giorni e nonostante ciò lui era ancora lì a prendersi cura di lei. 

Come poteva dirgli cosa le aveva detto il padre? 

Come poteva chiudere la loro storia quando ogni centimetro del suo corpo si contorceva al solo pensiero? 

« Che succede? » le mormorò lui, continuando a tenere il viso nascosto tra i suoi capelli. 

Lei non rispose. 

« Kirsten, andiamo, parlami » insistette Sandy, portandole due dita sotto al mento per obbligarla a guardarlo. « Cosa c’è che non va? »

Kirsten respirava a fatica, tra le lacrime e i singhiozzi. Stava per dire qualcosa, ma il suono del telefono glielo impedì. 

Maledizione! – pensò Sandy, volgendo lo sguardo verso l’apparecchio. 

« Vuoi rispondere? » le chiese, asciugandole una lacrima con il dorso del pollice. 

Lei fece cenno di no col capo. « Tanto è mio padre » disse, finalmente, in un lungo sospiro. « Pronto a ricordarmi che non importa quanto lontano io sia, resterò sempre una sua proprietà. » Dicendolo, accennò un sorriso sarcastico, accentuando le guance bagnate dal pianto. 

Allora Sandy mise insieme tutti i pezzi del puzzle, capendo che non era lui ad aver fatto qualcosa che l’aveva mandata fuori di testa; era Caleb. E chiaramente, qualsiasi cosa fosse, riguardava o loro due o Berkeley. Solo in quel caso Kirsten avrebbe potuto dire una cosa del genere. 

« Che ha fatto? » le domandò, mentre alzava la cornetta e la risbatteva contro la piattaforma con un colpo deciso. Il tono irritato al solo pensiero. 

« Se te lo dico... » Kirsten fece una pausa, prendendo la mano di Sandy tra le sue. « Se te lo dico, devi giurarmi che rimarrai calmo e che non farai nulla di stupido. È una cosa che devo risolvere da sola. » Lo guardò supplicante. Gli occhi azzurri sembravano piccoli diamanti. 

« Okay. » Fu tutto ciò che le rispose Sandy, rimanendo impietrito davanti a quelle parole. 

« Okay? » ripeté Kirsten, con un filo di voce e lui annuì. 

Così lei iniziò il suo racconto, partendo dalla prima telefonata del padre, avvenuta tre giorni prima. Caleb aveva deciso che la fase-Berkeley – come l’aveva definita – era durata abbastanza e che era tempo di finirla con quella inutile ribellione. 

« Sai anche tu che il tuo posto è alla BSU, con Jimmy » le aveva detto. « Ho parlato con il rettore. Per questo semestre non si può fare nulla, ma è disposto a farti accedere ai corsi a partire dal prossimo gennaio. Nel frattempo starai qui, a Newport. » 

Kirsten soppresse il nuovo attacco di pianto che stava avendo la meglio su di lei, cercando di mantenere un tono pacato mentre ripeteva le parole del padre. Sandy, intanto, la ascoltava senza emettere nemmeno un fiato. Sentiva la rabbia divampargli dentro come fuoco, desiderando con tutto se stesso di prendere a pugni quel figlio di puttana che trattava la figlia come se fosse un oggetto. Non si accorse nemmeno di aver stretto la mano a pugno talmente forte da essersi conficcato le unghie in profondità nella carne del palmo. 

« Vuole che torni a casa, sabato. Ha già predisposto tutto. Ha perfino parlato con il rettore di Berkeley senza nemmeno chiedermi cosa ne pensassi. Gli interessa solo della sua stupida società. Non gli importa niente del fatto che mi sta rovinando la vita. » Kirsten si lasciò cadere contro il petto del ragazzo, il quale fu subito pronto ad accoglierla, stringendola come se da quello dipendesse la vita di entrambi. 

« Non volevo dirtelo » proseguì lei e Sandy poté sentire il solletico delle sue parole contro la propria maglia. 

« Perché? » gli chiese lui, accarezzandole la schiena. 

« Perché se te lo avessi detto, sarebbe stato reale. Non voglio andarmene, Sandy. Non voglio lasciarti. » Pianse, ancora. 

« Non gli permetterò di portarti via » la rassicurò lui, baciandole il capo. « Non può farlo. »

Kirsten si lasciò scappare una risata isterica. « È Caleb Nichol, può fare tutto quello che vuole. » 

« Questo lo vedremo » ringhiò Sandy, resistendo al desiderio di prendere Caleb per il collo e picchiarlo fino a lasciarlo agonizzante sul pavimento. 

Kirsten alzò il viso di colpo per incontrare gli occhi di lui. Era terrorizzata. « No! No! Sandy! Me lo hai promesso » protestò, scuotendo il capo energicamente. « È una cosa che devo gestire io. Non voglio che tu venga coinvolto. Conosci mio padre. Sai com’è fatto. Se ti metti in mezzo, se lo ostacoli, dio solo sa quello che può inventarsi per distruggerti. » 

« Non puoi chiedermi di rimanere a guardare mentre quello stronzo ti tratta così. » 

« Sandy… » provò a rispondere Kirsten, ma il ragazzo la zittì. 

« No! Ho capito. Non vuoi che se la prenda anche contro di me e lo apprezzo, davvero. Ma non posso rimanere fermo e lasciare che ti porti via senza fare assolutamente niente. Ci sono già dentro, Kirsten, e se non lo capisci, sottovaluti quello quello che provo per te. » Sandy le sorrise, sfiorandole il mento col dorso dell’indice e facendola ridere. 

Finalmente – pensò il giovane, lasciandosi beare dalla bellezza di quel sorriso. 

 

Ormai stavano insieme da sette, forse otto mesi – non era bravo con le date –, ma su una cosa Sandy Cohen non poteva sbagliarsi: Berkeley gli aveva regalato l’amore della sua vita, la persona che un giorno – ne era certo – avrebbe sposato. E averla lì, poter guardarla ridere, era l’unica cosa che chiedeva per il resto dei suoi giorni. 

 

Dopo Rebecca, Sandy aveva passato due anni infernali; aveva perso completamente la capacità di fidarsi del prossimo, soprattutto delle donne. Si era ripetuto allo stremo che non si può conoscere davvero qualcuno, anche quando ne sei estremamente  convinto, perché tanto la gente ti mostra solo quello che vuole. E lui non voleva essere ferito di nuovo, non in quel modo. 

Così per tutto il tempo successivo alla fuga della sua ex, il giovane Cohen si era dedicato a capofitto ai suoi studi, all'attivismo studentesco, ma si era tenuto ben alla larga dalle relazioni. 

Per due lunghi anni, si era reso emotivamente inaccessibile, concedendosi solo di uscire qualche volta con Paul e il resto del gruppo per fare serata nei locali frequentati da studenti. Capitava, di tanto in tanto, di imbattersi in un po’ di sesso occasionale, ma nulla più di quello. 

Almeno finché un giorno, mentre era completamente preso dalla campagna per Mondale e Ferraro, Sandy aveva incontrato Kirsten e quello splendido sorriso che ora lei gli stava rivolgendo. 

Era stato un momento, qualcosa nella sua testa gli aveva suggerito che se avesse lasciato andare via quella ragazza se ne sarebbe pentito per sempre e quella vocina non poteva essere più vicina alla verità di com’era. 

« Ti amo. » La voce di Kirsten lo richiamò alla realtà. Sandy sentì le sue braccia cingergli il collo e fare pressione perché lui le si avvicinasse. Senza aggiungere altro, le loro labbra si incontrarono a metà strada, sovrapponendosi dolcemente. Sandy poteva ancora sentire su di lei il sapore salato delle sue lacrime e l’unica cosa che voleva era tenerla stretta a sé, giurarle che sarebbe andato tutto bene. 

Perché sarebbe andato tutto bene.

Non avrebbe mai permesso a Caleb di portarla via da Berkeley, non aveva paura di lui né di ciò che poteva fare. 

Voleva riportare Kirsten a Newport? 

Doveva solo provarci. 

Kirsten non avrebbe fatto un passo per tornare in quel covo di borghesucci imbellettati, viziati e capricciosi, senza la minima cognizione del mondo reale. 

Lei non era così e non si sentiva parte di quella realtà. Voleva altro dalla vita, desiderava più di qualche festa lussuosa e dei soldi del padre; c’era molto di più di quello che Newport poteva offrire, un futuro che non la costringeva ad essere Kirsten Nichol, la figlia di Caleb Nichol, la moglie perfetta di Jimmy Cooper, ma in cui poteva essere semplicemente se stessa, fare ciò che davvero le piaceva e la rendeva felice. 

E sapeva che in quel futuro, al suo fianco, l’unica persona che voleva era Sandy. Glielo aveva confessato la prima volta in cui gli aveva detto di amarlo e lui era rimasto pietrificato, incredulo, senza spiccicare parola. 

Mai in vita sua si era immaginato con qualcuno come Kirsten. Mai in vita sua aveva creduto di poter incontrare qualcuno come lei. Eppure quel primo, innocente ti amo lo aveva fatto sentire come mai prima di allora.
Nemmeno con Rebecca aveva provato qualcosa di tanto forte e totalizzante. Lui e Kristen sembravano completarsi alla perfezione, come due tessere di un puzzle, riuscendo ad offrirsi quello che nell’altro mancava.

Quando Sandy si allontanò dalle sue labbra per riprendere fiato, le sorrise, raccogliendo un paio di ciocche dietro il suo orecchio. Seguì la linea dell’attaccatura dei capelli con l’indice, solleticandole leggermente  la pelle e facendola ridere. 

« Mangiamo qualcosa? » le propose, senza staccare gli occhi dai suoi. 

Kirsten annuì, per poi andare in bagno a sciacquarsi il viso e rimuovere i residui di mascara che, colando, le avevano marcato di nero il contorno occhi. 

 

(...)

 

Un’ora dopo si ritrovarono sdraiati, Sandy con la schiena poggiata ad un masso e Kirsten accovacciata tra le sue gambe e contro il suo petto, in una piccola insenatura tra gli scogli, isolata dal resto del mondo, mentre sentivano le onde dell’oceano infrangersi contro le rocce sotto di loro. 

Quel piccolo anfratto di spiaggia era uno dei posti in Berkeley che Kirsten amava di più. Era stato Sandy a scovarlo, una mattina di qualche mese prima, durante la sua consueta escursione alla ricerca di nuovi scenari in cui fare surf. 

Da allora, quello era diventato il loro rifugio quando avevano voglia di stare lontani dal resto del mondo.

« Hai freddo? » chiese Sandy, sentendo Kirsten rabbrividire tra le sue braccia. 

« Un po’ » rispose lei, affondando il mento sul suo petto per guardarlo in viso. 

Senza aggiungere altro, il ragazzo si mise seduto e appoggiò il pezzo di pizza che aveva in mano nel cartone quasi vuoto, per poi afferrare il retro della felpa bordeaux che aveva indosso e tirarlo su per la testa, così da riuscire a sfilare l’indumento senza difficoltà. Fece cenno a Kirsten di sollevare le braccia e lei lo assecondò, permettendogli così di aiutarla a mettere la felpa.  Provò a riscaldarla un po’ sfregando delicatamente le mani lungo le sue braccia e le sorrise.

« Va meglio? » le chiese, riportandola giù con sé. 

Lei annuì, sentendosi avvolgere dal calore del tessuto e dal profumo di Sandy. 

« Grazie » gli mormorò, prima di sistemarsi meglio tra le sue gambe, la schiena contro il suo petto, mentre in silenzio ammiravano entrambi il sole morire all’orizzonte. 


 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > O.C. / Vai alla pagina dell'autore: MauraLCohen