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Autore: unsynchronized    12/07/2020    0 recensioni
"Lui era come uno specchio che mi permetteva di vedere cose di me che da sola non potevo cogliere. Non so se per lui fosse lo stesso, o se mai riuscì a capirlo; non so se lui mai vide uno squarcio di sé in quel mio essere restia, schiva, in quel mio desiderare così tanto l'amore da fuggire ogni volta che minacciava di avvicinarsi."
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non mi resi conto subito di cosa fosse a unirci così tanto. 

Lui una rockstar, una bellezza fuori di questo mondo e un ormai poco evidente accento finlandese. Io una studentessa con un'infima autostima e senza la più pallida idea di quale fosse il suo posto nel mondo. 

Due universi così lontani e due esistenze così diverse. Eppure, c'era qualcosa in mezzo, qualcosa di forte e innegabile. C'era un ponte tra queste due vite. 

Lo capii una volta mentre ero avvinghiata a lui tra le lenzuola: il sudore gli inumidiva la pelle e la mano sul suo petto mi permetteva di sentire il cuore decelerare gradualmente. 

“Sei tutto per me,” mi disse. Io lo strinsi più forte. Fu lì che capii. 

Eravamo entrambi ossessionati dall'amore. E io non avevo mai capito che avevamo questo in comune perché si manifestava in due modi radicalmente differenti. 

Lui poteva avere qualsiasi donna desiderasse. Le sue relazioni si susseguivano con ritmo incalzante, come se non avesse potuto permettersi di restare da solo. Ne cantava, ne suonava. Aveva creato una carriera intorno a questo suo bisogno d'amore. Una mossa intelligente, non c'è che dire. Guadagnarsi da vivere grazie a quell'angoscia, quel segreto profondo che attanaglia continuamente la tua psiche. E riuscirci così bene, poi. 

Io, io avevo ben altre problematiche. 

Io non ero riuscita a trovare un escamotage riguardo questo mio bisogno. Non potevo cantarne come faceva lui. Ne scrivevo, quello sì, ma non ero una star; a nessuno era dato leggere. La mia vita personale era molto meno intensa della sua: non ero uscita con nessuno negli ultimi tre anni. 

Io scappavo. Lui rincorreva. 

Semplicemente, erano due modi diversi di gestire la cosa. 

Giunsi alla conclusione che il motivo per cui non stavo scappando da lui era perché mi incuriosiva poter guardare questa mia ossessione da un'altra prospettiva. Lui era come uno specchio che mi permetteva di vedere cose di me che da sola non potevo cogliere. Non so se per lui fosse lo stesso, o se mai riuscì a capirlo; non so se lui mai vide uno squarcio di sé in quel mio essere restia, schiva, in quel mio desiderare così tanto l'amore da fuggire ogni volta che minacciava di avvicinarsi. 

 

Mi aveva portato in una radura. Io non c'ero mai stata, ma lui sembrava conoscerla a menadito; ci sedemmo l'uno accanto all'altra su un tronco caduto, il sole pallido ci riscaldava appena e un leggero vento soffiava tra gli alberi tutt'intorno a noi. Mi prese il viso tra le mani delicatamente e mi baciò, il suo tocco sicuro, caldo e rassicurante allo stesso tempo. Era bello. Tutto di questo momento era bello: stare sola con lui, il suo corpo tanto vicino al mio, le sue labbra morbide su di me. Un desiderio primordiale non tardò a manifestarsi in noi, insinuandosi in ogni fibra del nostro essere; ci supplicava di avvicinarci di più l'uno all'altra, di lasciar andare ogni esitazione e prenderci. Un desiderio che ci spingeva verso una collisione di anime. Un desiderio sempre più insistente. Era bello. 

Era fin troppo bello. Lui ruppe il bacio ma rimase a pochi centimetri dal mio viso, le labbra gonfie e rosse, i suoi boccoli castani tutti fuori posto. 

Era bello, fin troppo bello. 

Il sole proiettava scaglie dorate nei suoi occhi di giada, un verde così intenso da riprendere quello della natura che ci circondava. Sembrava appartenere in qualche modo a quella natura; che fosse uno spirito della foresta o una qualche divinità boschiva? D'altronde avevo visto un po' della sua anima e, come me, anche lui sembrava fuori posto nella vita reale, come se il luogo designatogli fosse un altro. Forse non era di qui. 

Era bello, fin troppo bello. 

Mi tirò su il mento con un dito per guardarmi negli occhi. La vista dei suoi mi dava le vertigini. 

“Ti amo,” mi disse. Era la prima volta. 

La mia reazione istintiva fu quella di allontanarmi, portando il busto all'indietro. Abbassai lo sguardo, e quando trovai il coraggio di riguardarlo negli occhi, sul suo viso c'era un'espressione che sembrava supplicarmi. In silenzio, in attesa. 

Era un'attesa che gli stava stracciando l'anima, però, e io non volevo di certo fargli male. 

My heart's a graveyard, baby,gli dissi. Per qualche motivo, l'unica cosa che mi era sembrato sensato dire erano le sue stesse parole. Parole che venivano da un luogo di dolore, di impotenza. Ma le aveva scritte lui, poteva capirmi, giusto? 

Lui si voltò e non rispose. Io cominciai a sentirmi molto confusa. 

Lo amavo anch'io e avrei voluto gridarglielo, ma nel petto mi nacque una paura paralizzante che mi immobilizzò completamente. Ero... allarmata. Mi sentivo invasa. Mi si era avvicinato troppo? Sembrava di sì, perché mi sentivo sopraffatta dalla sua silenziosa richiesta. Cosa voleva da me? Non potevo dargli io quello che cercava. Io volevo solo essere lasciata in pace. Perché chiedere a me? 

“Non ci credo,” disse dopo qualche minuto in silenzio. “Sento che non è vero. Il tuo cuore non è un cimitero. C'è vita. Tu provi sentimenti.” 

Gli avrei voluto dire che aveva ragione, non era che non provassi sentimenti. C'erano, ma erano seppelliti due metri sotto terra. 

Era tutto così confuso. Da una parte volevo lasciarmi andare completamente a lui e al suo tocco caldo. Dall'altra, avevo paura che non mi sarei sentita più al sicuro tra le sue braccia. 

“So che mi ami. Ma ho bisogno di sentirtelo dire…” 

Se all'inizio si era mostrato assertivo e sicuro delle sue parole, ora faticava a guardarmi negli occhi. Tantomeno io ero convinta di quanto affermavo; non sapevo neanche cosa volessi dirgli alla fin fine. Non volevo che se ne andasse e che tutto questo, troppo bello, finisse; ma ormai era troppo vicino. 

Too close to my heart

Non riuscii a trovare una sintesi tra questi miei poli opposti, e ambivalenza fu tutto ciò che potei offrirgli. 

Gli diedi un bacio tenero, e lo sentii sciogliersi contro le mie labbra; il suo corpo si rilassava e si lasciava trasportare dal mio tocco che tanto bramava. 

My heart's a graveyard, baby,” gli ripetei. 

E fu lì che percepii quasi fisicamente il suo cuore farsi in frantumi tra le mie mani. 

I frammenti mi tagliavano. 

Ma se mi tagliavano, era solo perché si era avvicinato troppo. 

Non sapevo cosa ne sarebbe stato di noi, e sicuramente non lo sapeva neanche lui. L'unica cosa sicura era che quel suo “ti amo” sarebbe stato il preludio di una tragedia. 



































































 

                                                              

   

  
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