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Autore: Soul of Paper    12/07/2020    4 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 38 - Chiaroscuro


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


“Non è che preferivi andare in spiaggia? Ma sono tanto affollate e ho pensato che ci andremo già a Minorca e poi... avevo in mente un paio di spiaggette più isolate pure qua.”

 

“Hai fatto ricerche, vedo, dottoressa. E comunque questo palazzo è bellissimo. Se penso al mio quasi ex monolocale, in confronto a questa… casa vacanze.”

 

Ed Imma rise, perché in effetti il palazzo de l’Almudaina era stupendo ma talmente grande che, in confronto, Mancini e la Ferrari messi insieme parevano due nullatenenti.

 

“Hai proprio gusti strani, Calogiuri. Tutti i ragazzi della tua età su quest’isola a quest’ora saranno ancora a dormire dopo la discoteca e prima della spiaggia…”

 

“Ma in spiaggia ci posso andare anche in Italia, in un posto così no. E poi… devo ammettere che mi piacciono gli edifici storici ed i musei, anche se non avrei mai pensato. Ma stare a Roma mi ha fatto ricredere.”

 

“Roma o la Ferrari?”

 

“E dai, dottoressa, pure la gelosia a distanza, mo?”

 

“No, perché intanto qui con te in vacanza ci sto io e non lei e poi… e poi sono felice che tu abbia allargato i tuoi orizzonti da un punto di vista culturale. Da altri punti di vista, invece….”

 

“Ti ho già detto chi è il mio orizzonte, no?”

 

Imma scosse il capo, dandogli però una rapida carezza sul viso.

 

Stava per ritrarre la mano e proseguire la visita quando lui le afferrò le dita, “e comunque in discoteca una sera ci voglio andare, ma con te.”

 

“Io in discoteca? Poi queste discoteche che sono enormi?”

 

“E dai, dottoressa, per una sera! E poi, appunto, se devi andare in una discoteca meglio farlo in grande, no?” le chiese, con uno di quei sorrisi ai quali era impossibile dire di no.

 

“Vedremo… mo che ne dici se proseguiamo, che dopo dobbiamo vedere pure la cattedrale? C’è anche un museo di arte moderna qui vicino ed un altro castello, ma possiamo farli pure domani ed andare un poco in spiaggia stasera.”

 

“Se facessimo oggi il museo e domani castello e cattedrale? Anche se non mi sembravi il tipo da arte moderna.”

 

“Mi stai dicendo che sono antica, Calogiuri?” gli chiese, le mani sui fianchi e il busto proiettato in avanti, come a sfidarlo.

 

“No, al limite quello antico sono più io, o ero più io. Ma è che… su certe cose hai idee modernissime, su altre sei molto tradizionalista, mica è facile prevederli i tuoi gusti.”

 

“Senti chi parla! E comunque diciamo che ho deciso che voglio fare cose nuove. Poi, se i quadri non mi piaceranno, non farò a meno di farlo notare, mi conosci.”

 

“Li conosco i tuoi commenti, dottoressa!" rise, scuotendo il capo, "ma… a proposito di cose nuove… possiamo cominciare dalla discoteca, non pensi?”

 

“E va bene, Calogiuri, hai vinto! Ma il giorno dopo non garantisco di essere in forma.”

 

“Vorrà dire che staremo in spiaggia, dottoressa. O possiamo andare in una spa: ho letto che ce ne sono di bellissime qua sull’isola. E d’estate penso siano meno frequentate.”

 

“Vediamo… ma in caso i massaggi solo da me te li fai fare, Calogiuri, chiaro?”

 

“Lo stesso vale per te, dottoressa! E poi alla spa possiamo fare altro di rilassante, insieme.”

 

“Con te altro che rilassamento, Calogiuri!” rise, dandogli un rapido bacio, prima di proseguire nella visita guidata, tra i turisti che li guardavano strano.

 

Ma non le importava niente.

 

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“Come va? Lo vuoi un massaggio ai piedi?”

 

Era in bagno con le gambe ammollo nella vasca: avevano camminato tantissimo ed i sandali, per quanto relativamente comodi, le avevano distrutto i piedi.

 

“Non pensavo fossi un feticista, Calogiuri!”

 

“Ma no, no, io-”

 

Scoppiò a ridere e si godette l’imbarazzo di lui, che su certi argomenti a volte aveva ancora un’ingenuità adorabile, pur essendo per il resto diventato fin troppo esperto, mannaggia a lui!

 

“E comunque l’offerta è valida, anche perché ti devi riprendere per camminare domani, dottoressa!”

 

“E va bene… vorrà dire che anticipiamo un po’ il trattamento spa privato, Calogiuri.”

 

Privatissimo…” le sussurrò, e gli si trovò in braccio, in un bacio famelico.

 

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“Dove mi porti, Calogiù? Dobbiamo andare a cena e ho ancora i piedi distrutti.”

 

“Appunto! Ti fidi di me, no?”

 

“Certo, ma…”

 

E, girato l’angolo, vide un negozietto di scarpe e vestiti.

 

Gli sorrise e lui intimò, con un tono assolutamente adorabile, “mo ci compriamo delle scarpe comode, dottoressa.”

 

“Ci compriamo?”

 

“Tu hai offerto la vacanza, posso farti un regalo, no?”

 

“Ma stiamo facendo a metà con i pasti!”

 

“Imma…” sospirò, guardandola in quel modo che non ammetteva repliche.

 

Lo faceva raramente, ma sapeva che quando la chiamava Imma e non dottoressa era serissimo.

 

“Va bene, Calogiù, va bene!”

 

Entrarono nel negozio ed una commessa alta, bionda, davvero bella, si avvicinò a Calogiuri ad una velocità quasi tragicomica.

 

“Hola. ¿Puedo ayudarte?”

 

Calogiuri lanciò un’occhiata ad Imma e bastò quella per capirsi.

 

“Hola. Mi novia necesita zapatillas,” si affrettò a specificare e la commessa la guardò in un modo talmente incredulo che tra un po’ le cascava la mascella.

 

Ma ormai c’era abituata. Quindi soffocò la fitta di dolore e mise addosso il suo sorriso migliore, prendendo Calogiuri a braccetto. Se c’era qualcuno che si doveva mangiare il fegato non era di certo lei.

 

La commessa rimase un attimo spiazzata, poi balbettò un, “¿has visto algo que te guste?”

 

“A parte il mio novio?” chiese Imma, contando sul fatto che, come lei capiva a grandi linee lo spagnolo, la commessa capisse l’italiano, poi si guardò in giro e vide un paio di scarpe da ginnastica leopardate nella parte superiore e che sotto parevano un dipinto di arte moderna di quelli che avevano visto quel giorno: a sezioni rosse, bianche nere e gialle.

 

Scambiò uno sguardo con Calogiuri che sembrava molto divertito e lui prese in mano la scarpa di prova e chiese, “queste, vero?”

 

La commessa stavolta non sembrò stupita, la squadrò solo da capo a piedi nel suo vestito leopardato rosa con paillettes ma non disse nulla. Anche se quello che pensava si capiva benissimo.

 

Imma si scelse il suo numero, se le provò ed erano comode e pure scontate. Stava per rialzarsi per andare alla cassa quando Calogiuri le indicò un paio di espadrillas con la zeppa ed i lacci.

 

“Che ne dici? Come souvenir?”

 

“Dico che almeno un paio me le pago io, Calogiuri, e-”

 

“Non mi fare arrabbiare, dottoressa!” le intimò ed Imma capì che, per una volta, doveva cedere le armi.

 

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“Calogiù, quanto manca?”

 

“Quasi ci siamo, dottoressa, cinque minuti. Tutto bene?”

 

“Quando sono in moto con te va sempre tutto bene, lo sai. Anche se sono abituata allo scooter e questo è molto più veloce!”

 

Per esplorare il resto dell’isola avevano noleggiato una moto, perché era molto più facile da parcheggiare che l’auto.

 

Si godeva il panorama, l’aria sui vestiti ed i suoi amati silenzi con Calogiuri.

 

“Eccoci qui, dottoressa, se scendi parcheggio.”


“Ma figurati, Calogiù! Ti accompagno. Che mi hai pure costretta a mettere le scarpe comode, mi hai costretta!”

 

“Lo sai che mi piace prenderti al volo, ma se ti fai male qua è un disastro. E poi… e poi queste scarpe sono proprio nel tuo stile!”

 

“Lo so… grazie ancora, Calogiù!” gli sussurrò, stringendolo più forte da dietro.

 

Trovato parcheggio, Calogiuri la aiutò a levare casco e protezioni usate per il viaggio e raggiunsero le Grotte del Drago.

 

Imma riuscì a spuntarla nel pagare gli ingressi e si avviarono a braccetto nella grotta, insieme alla guida e ad altri turisti.

 

Beccò un paio di ragazze che si fissavano Calogiuri come se fosse un cono gelato, ma decise di concentrarsi sulla meraviglia che li circondava.

 

"È… è davvero bellissima!" esclamò ad un certo punto, incantata dalle rocce, dall’acqua azzurrissima, dai giochi della luce che filtrava illuminando il meraviglioso fondale.

 

“Imma…” sentì sussurrare all’orecchio. Si girò verso di lui e fu solo quando due dita le sfiorarono la guancia che si rese conto che le era scesa una lacrima di commozione.

 

“Scusami, io… non ti preoccupare… è che… hai presente quando vedi qualcosa di così bello che…”

 

“Ce l’ho presente molto bene,” mormorò lui, guardandola fisso negli occhi in un modo che le fece capire che non stava parlando solo della grotta, “e poi a noi le grotte hanno sempre portato fortuna, no?”

 

Gli diede un rapido bacio, finché la guida esclamò un “no se queden atrás!” che li fece staccare un po’ imbarazzati e si riavvicinarono rapidamente al resto del gruppo.

 

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“Hai freddo? Forse avremmo dovuto portarci i giubbini e non lasciarli in moto.”

 

“Preferisco decisamente scaldarmi così, Calogiuri,” gli rispose, e si sentì accarezzare le braccia che la stringevano da dietro, mentre si appoggiava ancora di più a lui, “e comunque avevi ragione che ne valeva la pena di venire a Cap de Formentor a quest’ora… il tramonto è… e pure il panorama e il faro. Oggi è… tutto bellissimo.”

 

Un nodo gli si piantò in gola, il cuore che pareva esplodergli nel petto: era bella da mozzare il fiato con la luce rossastra della sera che le si rifletteva nei capelli e con quell’espressione felice che la faceva veramente sembrare una ragazzina.

 

Ed era orgogliosissimo di avere contribuito a renderla così felice.

 

“Beh… la vacanza l’hai scelta tu, dottoressa, quindi….”

 

“Sì, ma… ma non avrei mai pensato di… di vedere cose del genere e di… di vivere esperienze così, alla mia età poi!” la sentì mormorare, quasi tra sé e sé.

 

“Beh… nemmeno io, ma… non è per l’età… è che… non ti sei mai concessa niente e-”

 

“Come se pure tu non fossi una formichina, Calogiuri, almeno nell’animo!” esclamò, assestandogli un buffetto sul braccio che non gli fece male, anzi.

 

“Tu però sei imbattibile, dottoressa!”

 

“Mi stai dando della tirchia pure tu come Valentì?!” gli chiese, voltandosi leggermente verso di lui, con uno sguardo fintamente indignato che gli fece venire una voglia matta di baciarla.

 

E non si trattenne: almeno lì erano solo una coppia come tante altre, senza i problemi dei giornalisti ed il maledetto basso profilo.

 

“Che ne dici se rientriamo mo? Che il sentiero è ripido e la strada è tortuosa ed è meglio andare prima che faccia del tutto buio,” gli propose, anche se aveva sul viso la malinconia di chi non avrebbe voluto andarsene.

 

Ma aveva ragione: sarebbe stato imprudente.

 

“Agli ordini, dottoressa!” acconsentì, prendendola nuovamente a braccetto per aiutarla sulla via del rientro.

 

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“Al-? Ch- n- -si?!”

 

“Eh? Non ti sento!”

 

“Che ne pensi?!” ripeté, stavolta urlandoglielo quasi nell’orecchio e finalmente capì.

 

“Che ci vorrebbero i dpi acustici per non diventare sordi! E stiamo come sardine!”

 

Calogiuri, che evidentemente grazie alla gioventù l’udito l’aveva messo un po’ meglio del suo, scoppiò a ridere, o almeno così le parve dal linguaggio del corpo, perché sentiva solo la musica che le rimbombava ovunque.

 

Erano appena usciti da un ascensore di vetro ed entrati alla famosa discoteca: enorme, un tripudio di luci led multicolori da accecarsi e soprattutto una folla che manco alla festa della Bruna.

 

“Vieni con me!” urlò Calogiuri, dirigendosi verso il lato della sala.

 

Si tenne stretta a lui, temendo quasi di soffocare. Passarono vicino a dei palchi con delle ragazze decisamente troppo svestite per i suoi gusti - avevano due specie di pennacchi sul seno e per il resto erano in topless, per non parlare degli slip che parevano filo interdentale - ma Calogiuri sembrava guardare davanti a sé o era bravo a non farsi beccare a fissarle. Dopo svariati strattoni tra la folla di tarantolati, finalmente arrivarono ad una scala dove c’era un nastro divisorio ed un gorilla al cui confronto Calogiuri sembrava rachitico.

 

Si chiese, non per la prima volta, perché si fosse lasciata convincere e cosa ci facesse lì, con gente che aveva la metà - se non pure un terzo - dei suoi anni.

 

Calogiuri mostrò al buttafuori un foglio che aveva preso in cassa - aveva pagato anticipatamente, per fregarla, ormai ci riusciva sempre più spesso! - e l’uomo li squadrò per un attimo ma poi li fece passare.

 

“Ma che sei matto?! Hai preso il privè? Chissà quanto costa!”

 

“Non è quello vip, tranquilla, dottoressa!” gridò, precedendola sulle scale, finché arrivarono in cima e le fece spazio urlando, “e poi non potevo non portarti qui!”

 

Imma si guardò intorno ed un “Calogiù!” le uscì spontaneo, a volume altissimo e non per la musica.

 

In quella specie di balconata, infatti, oltre ad esserci decisamente meno folla, un volume di musica più tranquillo, e non essere a rischio soffocamento, c’erano sgabelli, bar, divani, tutto quanto zebrato.

 

E lei aveva proprio messo il vestito nero e zebrato da ballo quella sera, manco a farlo apposta.

 

“Ma la musica qua è diversa, non solo per il volume!” notò, e poi, guardandosi in giro, vide che pure l’età media era un poco meno da denuncia, anche se lei era sempre decisamente over, “e ci sono meno ragazzetti o sbaglio?”

 

“No, dottoressa. Qui si fa musica deep ed è solo per maggiori di venticinque anni.”

 

“E che c’avrebbe di profondo sto fracasso?” chiese, sconvolta, e Calogiuri scosse il capo e si mise a ridere.

 

“Non è che sia un grande esperto di musica da discoteca, dottoressa, ma dovrebbe essere più rilassante.”

 

“E certo, per gli anziani sopra i venticinque! Per me dovrebbero passare direttamente al requiem.”

 

Calogiuri scosse di nuovo il capo ma la accompagnò ad uno dei tavolini più minuscoli, con un bigliettino con su scritto Calojuri che le provocò una mezza risata.

 

“Quanto ti è costata sta follia, Calojuri?”

 

“Poco, dottoressa, decisamente poco rispetto a quanto a te è costata questa vacanza!”

 

Ed Imma si rassegnò, mimetizzandosi sopra lo sgabello, mentre Calogiuri faceva segno ad un cameriere che arrivò chiedendo cosa volessero di consumazione.


“Tranquilla, è compresa nel prezzo!” la rassicurò, conoscendola fin troppo bene, ed Imma assentì, iniziando a sfogliare una lista di cocktail dai nomi improbabili, ripromettendosi, visti i prezzi, che non avrebbero fatto il bis.

 

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“Che c’è, Calogiuri?”

 

Non riusciva a trattenere un sorriso ma era da un’ora che ballavano ed Imma, dopo un momento iniziale di spaesamento, ci aveva evidentemente preso gusto e si muoveva in un modo che lo avrebbe mandato ai matti.

 

“Ridi di come ballo, Calojuri?” lo sfotté e lui approfittò del momento per coglierla di sorpresa e farle fare un mezzo casquet, strappandole un grido di sorpresa.

 

“Mi chiamerai Calojuri per tutta la sera, dottoressa?”

 

“Come minimo! E comunque mica stiamo ballando il tango. Va bene che sta musica è profonda, ma che c’entra il casquet?”

 

“Non mi pare che ci siamo mai preoccupati delle regole, almeno quando balliamo.”

 

“Va beh… diciamo che ne abbiamo infrante un po’ pure fuori dal ballo, no?” rispose, con un sorriso tra il compiaciuto e l’imbarazzato che gli faceva venire voglia di tornarsene subito in hotel.

 

Ma la notte era ancora giovane, Imma aveva un’energia che superava decisamente la sua e vederla così spensierata era la cosa più bella di quella vacanza.

 

“E te ne sei pentita, dottoressa?”

 

“Fossi matta!” replicò e si sentì trascinare in un bacio che era decisamente profondo, altro che la musica!

 

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“Ci vuole un poco di pausa, mo!”

 

La vide quasi accasciarsi sulla poltroncina, zebrato su zebrato, e poi guardare fuori dal grande finestrone di vetro.


“Certo che qua c’è una vista bellissima pure in mezzo a questo casino!”


“Allora l’ho scelta bene o no, la discoteca?”

 

“Fin troppo, che a vedere quanto costano le consumazioni-”

 

“A proposito, dottoressa, che ne dici di berci qualcos’altro? E non dirmi con quello che costa, Calogiuri, perché-”

 

“Prima vado in bagno, Calojuri, poi vediamo. Ce n’è uno su questo piano, no?”

 

“Vuoi che ti accompagno alla porta?”

 

“Sicuramente con tutte le giovani manco trentenni che sembrano uscite da una rivista da cui siamo circondati, sarò proprio a rischio io, guarda! E poi mi vedi pure da qua. Vado e torno.”

 

Sospirò, perché non voleva essere pesante, ma si preoccupava sempre un po' nei locali notturni. La vide allontanarsi, camminando su quelle zeppe altissime come se fossero ciabatte, ed entrare in bagno.

 

Stava per approfittare della sua assenza per andare ad ordinare altri due cocktail, quando un rumore alle sue spalle, più forte della musica, lo portò a voltarsi.

 

“¡Suéltame!”

 

A gridare era stata una delle cubiste della discoteca, poco distante dalle scale che portavano presumibilmente al privè vip. Un uomo sulla trentina abbondante la stava tenendo per un braccio ed insieme a lui c’erano altri due uomini che l'avevano circondata.

 

D’istinto si alzò e si avvicinò, intimandogli un, “suéltala!” ma l’uomo lo ignorò, finché non gli si avvicinò ancora di più e gli gridò quasi in faccia, “déjala ir!”

 

“¿Cómo te atreves? No sabes quien soy yo? ¡Chicos!”

 

E gli altri due uomini, con solo quel cenno, gli andarono praticamente addosso e tentarono di afferrarlo per le braccia, probabilmente per trascinarlo dove non c’erano testimoni e poi dargli una lezione.

 

Riuscì a scansarli per un soffio e notò che il buttafuori del locale se ne stava impalato sulle scale senza dire né fare niente, con l’aria di chi voleva trovarsi ovunque tranne che lì.

 

Sperando di non peggiorare la situazione, infilò la mano nella tasca dei pantaloni e vide che gli energumeni si ritrassero un attimo, ma poi spostarono pure loro le mani verso la zona posteriore dei pantaloni.

 

“¡Deténgase!” urlò, estraendo il distintivo. Sapeva che in Spagna non aveva alcun valore legale, ma sperava bastasse a farli desistere.

 

I due uomini però si bloccarono lo stesso e lanciarono un’occhiata a quello che presumibilmente era il loro capo. Il boss fece un cenno quasi impercettibile con la testa e mollò la ragazza in un modo così brusco che la poveretta sbandò all’indietro e non si sfracellò contro le scale solo perché il buttafuori la prese al volo.

 

“¡Vàmonos! ¡Que no vale la pena!

 

Ed i tre, come se fosse la cosa più normale del mondo, scesero le scale dall’altra parte della balconata, dalle quali sbucò l’altro buttafuori, che fece un segno al collega e poi tornò al suo posto, come se non fosse successo niente.

 

E pure il gorilla per la zona vip, una volta lasciata la ragazza, gli lanciò un’occhiata che pareva un non ti azzardare a fare altri casini! e rimase impassibile.

 

“¿Todo bien? ¿Cómo estás?” le domandò, preoccupato, visto che la cubista tremava un poco e, dato il caldo, certamente non perché era più svestita che vestita.

 

“Sei un carabiniere?” lo sorprese, in un italiano non solo perfetto ma dall’accento familiare, nonostante l’aspetto esotico, conferitole dall’abbronzatura, dal trucco e dai capelli lunghissimi, neri e lisci.

 

“Sei italiana?”

 

“Sò de Roma, sì, cioè di Grottaferrata. Tu? Napoletano?”

 

“No, di Avellino.”

 

“Grazie… anche se… ti conviene stare attento quando esci. Che quelli… sò pericolosi!”

 

“Ma chi sono quelli?” le chiese, sempre più preoccupato.

 

“Uno che c’ha i soldi e… e va beh… col mestiere che fai, ci capiamo come li ha fatti i soldi, no?”

 

“Ma allora pure tu sei in pericolo! Dovresti andare dalla polizia e-”

 

“E denunciarlo? E per cosa?! Per avermi presa per un braccio? Quello è potente e qui nessuno farà niente… per una come me poi! Sai in quanti pensano che noi… non dobbiamo ballare e basta?”


“Ma… ma e se tornasse pure domani sera? Come pensi di fare?”

 

“Eh… o me ne vado ad Ibiza a finire la stagione, che tanto questo locale mi sa che me lo sò bruciato, o me ne torno in Italia: ormai è agosto. Peccato però, qua mi piaceva,” sospirò la ragazza, toccandosi leggermente il braccio.


“Ti fa male?”

 

“Ma no, è solo un livido!”

 

“Dovresti metterci un po’ di ghiaccio. Possiamo chiedere al bar,” propose, guadagnandosi un’occhiata un po’ stupita.

 

Andò verso il bar e chiese, “hielo para el moretón, por favor!”

 

Il barista, pure lui con l’aria di chi avrebbe preferito essere da un’altra parte, gli diede un po’ di cubetti dentro a dei tovaglioli di carta.

 

Gli passò il fagotto e la ragazza se lo mise sul braccio. Poi lo guardò di nuovo in quel modo strano, come se fosse un alieno, e rise.


“Che c’è?”

 

“C’è che sei forse il primo qua dentro che mi guarda solo negli occhi e non… da n’altra parte…” rispose con un sorriso e Calogiuri si sentì avvampare, “comunque… io sò Melania, anche se tutti qua mi chiamano Melita.”

 

“I- Ippazio,” rispose lui, un po’ imbarazzato e la ragazza strabuzzò gli occhi.

 

“Come scusa? Mi sa che con la musica non ho capito!”

 

“Ippazio,” ripeté lui, avvicinandosi leggermente per urlarglielo all’orecchio, e Melita ebbe la reazione che avevano tutti: scoppiò a ridere.

 

“Mai sentito sto nome!” rise, dandogli poi una pacca sul braccio, sopra al bancone.

 

“Calogiuri!”

 

L’urlo fu talmente forte che lo avrebbe sentito pure nel casino della sala principale. Si voltò e ritrovò Imma con un’espressione omicida, i pugni serrati, le braccia che un poco le tremavano.

 

“Imma! Non è-”

 

“Me ne vado in bagno cinque minuti e così ti trovo?!” gridò e percepì chiaramente la delusione nel tono di voce.


“Ma mi hai preso per scemo?! Se volessi…” fece segno verso la ragazza, perché non poteva nemmeno usarla la parola tradirti, “secondo te lo farei con te a due passi?”

 

“A me sembrava che ti fossi scordato di tutto, Calojuri!” sibilò, stavolta sprezzante, “cos’è? Dovevi fare pratica con la lingua?”

 

“Imma…” sospirò, cominciando ad innervosirsi, “sto solo facendo il mio lavoro!”

 

“Il tuo lavoro? Questo sarebbe il tuo lavoro?!” gli chiese, con le braccia conserte, “perché io me lo ricordavo un poco diverso  e non mi pare che tu stia nell’interpol!”

 

“Sì, perché è stata aggredita. E non certo da me!” gridò, stufo del sarcasmo, ed Imma si zittì bruscamente.

 

“Come aggredita?!” chiese, il viso che si faceva preoccupato, rivolgendosi subito alla ragazza, “ma che è ghiaccio, quello? Ti sei fatta male?! Che è successo?”

 

Calogiuri, con un sospiro di sollievo, l’irritazione che evaporava di fronte al grande cuore di Imma, iniziò a spiegare la situazione.

 

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“Melita, que pasa? Tienes que bailar conmigo y Manola!” domandò una specie di palestrato moro - vestito solo con delle mutande bianche e con delle ali da angelo attaccate alle spalle, i muscoli tutti oleati - avvicinandosi fin troppo a Imma e chiedendo, “¿quienes son estos?”

 

“Devo tornare al lavoro e-”

 

“Ma c’hai qualcuno che ti accompagna quando finisci?” intervenne Imma, con aria professionale.

 

“No, ma-”

 

“A che ora stacchi?”

 

“Alle cinque, ma-”

 

“E allora ti accompagnamo noi. Tanto rimaniamo qua fino alla chiusura,” proclamò Imma, in quello che era un ordine, “non fare scherzi che non ti voglio sulla coscienza! E mi dispiace per prima, ma-”

 

“Non ti preoccupare: pure io se c’avessi un fidanzato così… nun lo mollerei n’attimo!” scherzò Melita, raggiungendo l’angelo culturista ed allontanandosi con lui verso il privè.

 

Sentì una mano sul braccio e poi Imma pronunciò una parola che forse non si sarebbe mai abituato del tutto a sentire da lei: “scusami.”

 

“Va beh, dottoressa… diciamo che pure io se ti avessi visto con… con uno come quello… non sarei stato contento.”


“Ma chi? Il tacchino unto?” esclamò lei e Calogiuri non potè contenere un’altra risata, “preferisco decisamente… il manzo italiano. E poi… se ti azzardi a mettere su un costume del genere ti denuncio per oltraggio al pudore! Che pareva na mutanda pareva!”

 

“Imma…” sospirò, stringendosela più forte che poteva, “come devo fare con te?”

 

“Dici che ci sarà qualcosa con la caffeina? Che se dobbiamo tirare fino alla chiusura.... Ma offro io!”

 

“Agli ordini, dottoressa!”

 

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Aveva gli occhi chiusi e si godeva quell’abbraccio, lasciandosi andare addosso a lui, mentre ondeggiavano al ritmo di un lento.

 

E poi, bruscamente, la musica si spense e le luci si accesero tutte.

 

Aprì gli occhi, confusa, e Calogiuri le sorrise, “mi sa che abbiamo fatto chiusura, dottoressa. Allora, com’è stata questa serata?”

 

“Preferisco i balli latini, Calogiù. Ma… non è stata male, per essere la prima volta che ci metto piede in una discoteca come cliente. Anche se sono parecchio fuori età.”

 

“Davvero non…?” le chiese con sguardo stupito ed Imma scosse il capo: con Pietro non ci erano mai stati, anche perché erano già tutto sommato abbastanza grandicelli quando avevano iniziato ad uscire insieme.

 

“Estamos cerrando. Tienes que salir.”

 

Il buttafuori non aveva perso tempo nel fare loro capire che se ne dovevano andare. Si guardarono per un attimo, perché Imma non era convinta che fosse una buona idea aspettare Melita all’aperto, quando la ragazza, sempre vestita con le nappe da tenda ed il filo interdentale, comparve da dietro l’armadio a tre ante della sicurezza.

 

“Venite con me. Mi cambio e andiamo.”

 

La seguirono, giù dalle scale, e poi in un corridoio che evidentemente dava sui camerini, a giudicare da quante ragazze e ragazzi mezzi nudi correvano verso le varie stanze.

 

Anche Melita si infilò in una delle porte ed Imma spiò di sottecchi Calogiuri: si chiedeva se fosse un santo o se l’avesse proprio terrorizzato, perché le ragazze che passavano manco le guardava, restando con gli occhi bassi. Anche se la visione periferica ce l’aveva più che buona, dai tempi di Metaponto.

 

Lo vide estrarre il telefono e parlare in spagnolo, ma non ci capì molto.

 

Dopo qualche minuto, la porta si aprì e ne uscì Melita, in shorts e maglietta.

 

“Ci conviene prendere il pulmino,” disse Calogiuri e sia lei che la ragazza lo guardarono stupite, “non vi preoccupate, ho un piano.”

 

Per fortuna, la maggior parte della gente si era già avviata o a piedi o su altri bus e riuscirono a salire al primo tentativo.

 

Dopo tre fermate però, Calogiuri fece segno di scendere.

 

“Ma io non abito qua-” disse la ragazza, sorpresa, ma Calogiuri scosse il capo e scese. Un poco dubbiosa, lo seguì e la ragazza pure.

 

E poi, quando vide un taxi fermo poco distante, capì.

 

Ci salirono tutti e tre, stretti dietro, e la ragazza diede un indirizzo al tassista.

 

I minuti trascorsero in un silenzio un po’ imbarazzato, finché la vettura si fermò in un quartiere decisamente diverso da quelli per i turisti.

 

“Grazie…” mormorò Melita, sembrando quasi intimidita e dimostrando finalmente gli anni che doveva avere, poco più di venti sicuramente.

 

“Mi raccomando, se riesci a… a trovare altro… non rischiare!”

 

“State attenti pure voi, che quello c’ha tanti uomini qui sull’isola!”

 

Imma fu improvvisamente molto felice all’idea che a breve se ne sarebbero andati a Minorca.

 

Melita stava per scendere quando, presa da un impulso, le disse “aspetta!”, aprì la pochette zebrata, ma si rese conto di essersi portata solo i soldi ed i documenti essenziali.

 

“Calogiuri, c’hai un biglietto da visita?”

 

Calogiuri frugò nel portafogli e ne estrasse uno, che pareva essere lì da un bel po’, per quanto era spiegazzato.

 

“Se avessi bisogno di aiuto…” spiegò Imma e Calogiuri le porse il cartoncino.

 

La ragazza li guardò entrambi, un po’ sorpresa, poi sorrise, li ringraziò ancora e scese dall’auto.

 

Aspettarono che fosse rientrata e diedero al tassista un indirizzo vicino al loro hotel ma non quello preciso.

 

Paranoie da PM.

 

Si sentì abbracciare la vita ed incrociò gli occhi di Calogiuri, che scintillavano commossi, ma sul viso aveva anche un’aria soddisfatta.

 

“Che c’è?”

 

“C’è che… sono felice, dottoressa,” rispose semplicemente, stringendola più forte.

 

“Lo sai che mi fido di te, no? Anche se… magari all’inizio mi parte un po’ la capa.”

 

“A me piace quando ti parte la capa. Ma a piccole dosi.”

 

“Avvertimento recepito, maresciallo!” ironizzò, dandogli un bacio sulla guancia e rifugiandosi di più in quella stretta che la faceva sentire a casa pure alle Baleari.

 

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“Mmmm… ci voleva proprio!”

 

Imma galleggiava nella vasca idromassaggio accanto a lui, un’aria rilassata sul volto, solo che lui…

 

“Qualcosa che non va?” gli chiese all’improvviso, tornando seduta e smettendo di galleggiare.

 

Ormai percepiva i suoi stati d’animo solo dal silenzio.

 

“C’è che… se fai certi… mugolii… come faccio rilassarmi, dottoressa?”


“E dai, Calojuri!” lo prese in giro, con quello che ormai era il soprannome di quella vacanza, prima di attaccarglisi ad un braccio, “e poi non dirmi che sei geloso pure di un idromassaggio.”

 

“No, perché stasera... altro che idromassaggio, dottoressa…”

 

“Ci conto, maresciallo!” gli soffiò sulle labbra e sentì un bacio che sapeva leggermente di cloro.

 

“Che ne dici se proviamo le piscine calde e fredde, dottoressa?”

 

“Va bene, Calogiuri! Ma prima… mi sa che conviene che passiamo da quelle fredde, che ne hai bisogno!”

 

“Imma!” esclamò, afferrandola per la vita e facendole il solletico, almeno fino a quando un paio di occhiatacce di uno dello staff gli fecero capire che stava turbando la quiete assoluta che si respirava lì dentro.

 

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Aprì l’armadietto per recuperare portafoglio e cellulare. Stava per metterli in tasca, ma notò una notifica dall’app di messaggistica istantanea.

 

Grazie ancora per ieri. Ho lasciato il lavoro e tra qualche giorno parto per Ibiza. Ho provato a mandarti una richiesta di amicizia sui social ma ce le hai intasate. Se ti va, così se ho bisogno non ti disturbo al cellulare. Buona vacanza! Melita

 

Calogiuri andò a verificare ed effettivamente tra le ultime richieste di amicizia arrivategli, in mezzo a tutte quelle di sconosciuti, c’era proprio quella di una certa Melita Italianita.

 

Ovviamente un nome d’arte.

 

Stava decidendo il da farsi quando un, “tutto bene, Calogiù?” per poco non gli fece cascare il telefono di mano.

 

Imma si era cambiata ed aveva raccolto i capelli ancora un po’ umidi.

 

“S- sì, sì.”

 

“Pare che hai visto un fantasma, Calogiù!”

 

“No, è che… mi ha scritto Melita per ringraziarmi e mi ha chiesto l’amicizia - sui social - per non disturbarmi con telefonate, dice. A quanto pare ha lasciato il lavoro ed andrà ad Ibiza,” spiegò, tutto d’un fiato, ed Imma scosse il capo e sorrise.

 

“Tranquillo, Calogiuri. In fondo ho detto io di lasciarle il numero, no? Però… se dovesse… allargarsi oltre l’amicizia in un altro genere di richieste….“

 

“Messaggio recepito, dottoressa!” esclamò, sollevato, dandole un rapido bacio.

 

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“Valentì!”

 

“Mà! Ti fai sempre riconoscere! Pure se sei conciata meno peggio del solito!”

 

Imma scosse il capo ma se l’abbracciò, incurante delle proteste, anche se le toccò lasciarla rapidamente andare.

 

In effetti era vestita con i pantaloni da equitazione ed una maglia bianca. Ma sapeva per esperienza che, quando si andava a cavallo, era meglio indossare cose facili da lavare.

 

“Ti trovo bene! E pure tu Penelope! Pure se qua di noi non se ne abbronza uno!”

 

“Siamo senza melanina, dottoressa,” rispose la ragazza con un sorriso.

 

“Ma che dottoressa, dai che stiamo in vacanza! Chiamami pure Imma. E allora, come sono andati questi giorni?”

 

“Benissimo, mà! Abbiamo visto un sacco di posti fighissimi. Abbiamo noleggiato le bici e poi ci siamo accampate con la tenda. Se vuoi ti mando un messaggio coi luoghi che ci sono piaciuti di più.”

 

“Va bene. Anche se io e Calogiuri gireremo soprattutto a cavallo. Anzi, siete pronte per oggi?”

 

“Sperando di non spaccarci qualcosa,” sospirò Valentina, anche se non sembrava poi così dispiaciuta.

 

Le ragazze avevano il traghetto per Maiorca quella sera e Valentina aveva accettato di passare qualche ora insieme a Minorca, andando a cavallo.

 

“Hola! ¿Cómo estás?”

 

Il proprietario del maneggio li raggiunse e diede loro la mano, “¡Jordi Ruiz, encantado! ¡Bruno me ha hablado mucho de vosotros!”

 

Bruno li aveva raccomandati ad un amico con cui aveva fatto pure delle gare e, grazie a lui, erano riusciti a noleggiare i cavalli per alcuni giorni ad un ottimo prezzo, mentre normalmente avrebbero potuto fare solo escursioni di poche ore. Volevano fare con calma il giro dell’isola, sul Camì de Cavalls, facendo tappa ai vari maneggi e punti di ristoro.

 

Le ragazze andarono a mollare gli zaini grandi e a cambiarsi, mentre Jordi li portava a vedere i due cavalli di razza minorchina che li avrebbero accompagnati in quei giorni e che avrebbero usato quel pomeriggio.

 

“Pistacho y Enigma!”

 

Imma sorrise, già solo per il nome della cavalla a lei destinata: cominciavano bene!

 

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“Essendo due per cavallo dovete reggervi così,” mostrò loro, salendo alle spalle di Calogiuri, per poi ridiscendere.


Valentina e Penelope parevano ancora un poco intimorite.

 

“Va beh… io vado con lui che tanto… con me non c’è pericolo!” si schernì Penelope, cercando di imitarla, mentre Calogiuri le diede una mano.

 

“Dai, Valentì, sali che partiamo!”

 

“Mà, non è che caschiamo tutte e due, vero?”

 

“Se ti reggi bene no,” la rassicurò, anche se stava pensando un se somigli a tuo padre siamo freschi!

 

Ma non poteva dirlo, anche perché quella era stata una giornata decisamente da cancellare dalla memoria collettiva.

 

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“Allora?”

 

“Allora puzzeremo da far schifo, ma che figata!” la sentì esclamare alle sue spalle, mentre per una volta era costretta ad abbracciarla alla vita.

 

La spiaggia su cui stavano facendo l’escursione era davvero stupenda e soprattutto tranquilla, perché riservata ai cavalli.

 

Avevano incontrato pochi altri fantini ma, essendo loro in due e con delle principianti, andavano al passo ed erano stati superati da tutti.

 

Lanciò un’occhiata a Calogiuri che, insieme a Penelope, procedeva al suo fianco e poi chiese, “vi andrebbe di fare un pezzetto al trotto?”

 

Le ragazze, che da terrorizzate erano passate ad entusiaste, annuirono e, dopo un altro cenno di intesa, Imma e Calogiuri lanciarono i cavalli un poco più in velocità.

 

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“Ci facciamo il bagno?”

 

La proposta era partita da Penelope, Valentina che subito aveva acconsentito entusiasta.

 

“Ma non c’ho il costume sotto!” aveva provato a protestare, ma sua figlia aveva sfoderato inattese doti da avvocato - anche se temeva da chi potesse averle prese - protestando che tanto erano solo tra loro e Calogiuri sicuramente l’aveva già vista altro che in intimo! e che tanto si sarebbe asciugata subito con quel caldo!

 

E così, mentre Calogiuri si era offerto di tenere i cavalli e dare loro da bere, Imma si era lasciata convincere - per una volta che Valentina era felice di qualcosa che includesse pure lei - si era tolta i vestiti, ed era rimasta con l’intimo leopardato.

 

Penelope l’aveva guardata come se non credesse ai suoi occhi, mentre Calogiuri sembrava sull’orlo di scoppiare a ridere.

 

Le ragazze - che invece erano state più previdenti sul costume - l’avevano praticamente trascinata nell’acqua fredda e poi avevano iniziato con una battaglia di schizzi da fare impallidire quelle tra lei e Calogiuri.

 

“All’attacco!” aveva poi urlato Valentina, praticamente buttandola sott’acqua. Penelope le guardava divertita ma pareva un poco timorosa all’idea di avvicinarsi a lei.

 

Ma poi Valentina si buttò pure addosso a Penelope ed Imma si unì a lei, fino a quando la ragazza emerse dalle acque, le trecce azzurre tra i capelli biondi che la facevano sembrare quasi una sirena.

 

E poi Imma notò i tatuaggi che aveva sulla schiena. Uno, che le percorreva le scapole, era un disegno che riconosceva da una maglietta che aveva pure Valentina: due ragazze una di spalle all’altra, ritratte fino al seno, i capelli dell’una che si confondevano con quelli dell’altra.

 

“Eh, ho un po’ di tatuaggi!” disse Penelope, avendo notato il suo sguardo.

 

“Pensa che li ha disegnati tutti lei e-”

 

“E me li ha fatti una tatuatrice professionista, ovviamente. Io ho fatto giusto il bozzetto, Vale.”

 

“Non sarebbe figo se mi facessi pure io un tatuaggio, mamma?!” saltò su Valentina, quasi dal nulla, e ad Imma prese un colpo.

 

Stava per reindossare i panni da PM, come le rinfacciava Valentina da adolescente, quando sua figlia si mise a ridere.

 

“Valentì!” gridò, aggrappandolesi alle spalle per farla finire in acqua, ringraziando chiunque ci fosse in ascolto di quanto si fosse trasformato in meglio il loro rapporto negli ultimi anni.

 

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“A che punto sei, Calogiù?”

 

“Ho finito, dottoressa,” rispose, uscendo dalla tenda, brandendo la pompa con la quale aveva gonfiato il materassino.

 

Imma infilò la testa in quello spazio angusto - anche se meno della controparte da spiaggia - e guardò un poco preoccupata il materassino ed il sacco a pelo leggero matrimoniale.

 

“Se… se è troppo scomoda per te, domani siamo in agriturismo e poi… posso cercare in hotel se hanno posto.”

 

“Non lo so, Calogiuri. In tenda non ci sono mai stata nemmeno da ragazzina ed è una di quelle cose che sto recuperando fuori tempo massimo. Ma purtroppo non con la schiena dei vent’anni.”

 

“Ma se sei in formissima! Oggi a cavallo te la sei cavata meglio di me!”

 

“Non so se sei più accecato dall’amore o più bugiardo, Calogiuri, anche se è una bugia a fin di bene!”

 

“Con te non mento mai, dottoressa, non più,” proclamò serio, guardandola negli occhi, prendendole la mano e mettendosela sul cuore.

 

“Disonesto mai, lo giuro?” gli chiese, citando la famosa canzone di Celentano, e lui le fece un sorriso tenerissimo ed annuì.

 

Anche se a fatica, Imma si decise a staccarsi e, prendendo un respiro, si infilò nella tenda, stendendosi sul materassino.

 

“Com’è?” gli chiese lui, un po’ preoccupato, ma Imma dovette ammettere che era molto più comodo di quanto pensasse.

 

“Non male, Calogiuri, ma il verdetto lo avremo domattina, temo.”

 

E poi lui annuì e si levò maglietta e pantaloni, rimanendo in boxer ed infilandosi nel sacco a pelo.

 

Imma lo imitò ma, sollevato il lembo del sacco a pelo, scivolò di proposito sopra di lui.

 

“Che fai?”

 

“Siamo in vacanza da pochi giorni e già mi perdi colpi sulla tua capacità deduttiva, maresciallo?” lo sfottè, prima di scivolare sempre più in basso, sussurrandogli, “e comunque recupero un’altra tappa persa, Calogiuri, fino a che c’ho ancora le forze.”

 

“Me le leverai a me le forze, dotto-” provò a ribattere ma la frase gli morì in gola.

 

Imma ormai sapeva benissimo come farlo tornare di poche parole.

 

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“Perché ridi?”

 

“No, ripensavo a tua madre oggi. Mi ha stupita, non la facevo così… avventurosa. Sembra molto più giovane della sua età. E pure l’intimo leopardato…!”

 

“Ma non è che ti piace mia madre?” le chiese, sentendo un misto di preoccupazione e di qualcos’altro che non avrebbe saputo definire.


“Ma che sei scema?!” esclamò Penelope, sollevandosi dal suo sacco a pelo e fulminandola con lo sguardo, “guarda che non è che perché sono lesbica mi devono piacere tutte.”

 

“No, ma… visto che mia madre inspiegabilmente ha successo tra i giovani…”

 

“Beh, devo ammettere che è una bella donna ed ha un bel fisico, ma non è il mio tipo,” rise, scuotendo il capo, “anche se è molto diversa da come me la descrivevi una volta e da come la descrivono i giornali.”

 

“Ma perché non era così, anzi, pareva di avere un gendarme in casa! Ma… da quando sta con Calogiuri… non so… si è molto addolcita e fa cose che non avrei mai nemmeno immaginato di vederla fare. Tipo oggi.”

 

“Va beh… allora tutti i mali non sono venuti per nuocere, no? E comunque lei ed il maresciallo sono una bella coppia.”

 

Valentina sorrise ma poi si sentì assalire da un’ondata di malinconia.

 

“Che hai, Vale? Sei ancora preoccupata per tuo padre?”

 

“No, è che… mi chiedo se troverò mai anche io qualcuno che mi ami così. E magari prima dei quarant’anni, possibilmente.”

 

“Ti dovresti solo guardare intorno, Vale…”

 

“In che senso?” le chiese, il cuore che le batteva stranamente un poco più forte, ma Penelope si ridistese nel sacco a pelo, sembrando fissare il soffitto della tenda.

 

“Nel senso che, se continui a pensare al tuo fallimento con Samuel, rischi di perderti un sacco di occasioni.”

 

“Mah… io tutte queste occasioni non le ho proprio viste. E tu?” le chiese, prendendo coraggio.


“E io cosa? Se vedo occasioni?”


“In un certo senso. Ti piace qualcuna?”

 

Penelope si zittì per un attimo, tanto che Valentina temette di avere fatto una domanda di troppo, ma poi sospirò, “forse… forse mi piace un poco una. Ma… ma tanto è inutile.”

 

“Perché?”

 

“Perché è etero, quindi non ho speranza ed è inutile pensarci,” spiegò, continuando a guardare in alto.

 

“Come… come hai capito che ti piacciono le ragazze?” le chiese d’improvviso, dandosi della deficiente mentre le parole le uscivano dalla bocca.

 

“Ma che domanda è? E tu come hai capito che ti piacciono i ragazzi? Lo so da sempre, un po’ come la mia passione per l’arte.”

 

“Per me non è così, io… io non ho queste passioni come… come le hai tu, come le ha perfino mia madre. L’università non mi dispiace ma… non ho mai trovato qualcosa che mi appassioni così tanto, se non forse la cucina i primi tempi.”

 

“Vale… non hai manco vent’anni! Troverai qualcosa che ti appassiona, basta che la smetti di accontentarti e che ti guardi intorno in tutti i sensi!” esclamò Penelope, voltandosi verso di lei, “e nel frattempo magari rifletti e stai un po’ da sola, che non c’è niente di male.”

 

“Sono già fin troppo sola. Quando… quando questa vacanza finirà, tornerò nel monolocale che ho ereditato dal maresciallo e forse vedrò le mie compagne di università agli esami. Ma con loro non… non ho il rapporto che ho con te. E mi mancherai!”

 

Penelope le sorrise ed allungò una mano fino a stringere la sua, “pure tu mi mancherai. Possiamo vederci un po’ più spesso nei finesettimana. Ma devi trovarti le tue amicizie a Roma. Magari cerca un appartamento con altre ragazze, no? O esci più spesso con le tue compagne di corso. Almeno conosci gente e qualcuno lo troverai, vedrai.”

 

Valentina annuì e le lasciò andare la mano, girandosi poi dall’altra parte per provare a dormire.


Ma la verità era che si sentiva molto triste, anche se non sapeva nemmeno lei il perché.

 

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Si svegliò di botto, il cuore in gola, confusa ma con un senso di pericolo imminente.

 

“I- Imma?” sentì bofonchiare al suo fianco, anche se non vedeva praticamente niente, ma si rese conto di essere nella tenda buia.

 

E poi li udì: i cavalli nitrivano disperatamente.

 

Una luce improvvisa la accecò e si rese conto che Calogiuri aveva acceso la torcia e si stava rapidamente rivestendo.

 

Le fece cenno di stare ferma, mentre lui sarebbe uscito dalla tenda.

 

Lei rispose scuotendo la mano davanti alla fronte, come a dire manco morta!, lo bloccò prima che potesse uscire e si infilò canotta e pantaloncini.

 

Una nuova occhiata di Calogiuri la implorò di restare nella tenda ma lei scosse di nuovo il capo, decisa.

 

E poi lui sospirò ed uscì senza ulteriori proteste. Imma si acquattò dietro di lui e lo vide proiettare la luce della torcia su tutta la zona circostante, ma l’unica cosa che si poteva scorgere erano i manti neri e lucidi dei cavalli, che parevano ancora imbizzarriti, e che, per fortuna, erano rimasti legati alla staccionata vicino alla tenda.

 

Calogiuri ispezionò ancora i dintorni ma sembrò non esserci nulla. Poi accese la lanterna da campeggio più grande, che aveva lasciato fuori dalla tenda, spense la torcia e si avvicinò con molta calma ai cavalli, parlando loro con dolcezza.

 

Rimase per un attimo incantata a vederlo all’opera, anche se soprattutto Enigma sembrava ancora molto agitata, pur lasciandosi toccare il collo.

 

“Mi porteresti un po’ d’acqua ed un poco del loro cibo?” le chiese ed Imma annuì, divertita dall’ordine, frugando in uno degli zaini e passandogli quanto aveva chiesto.

 

In poco tempo, i cavalli si erano calmati del tutto ed Enigma si coccolava Calogiuri appoggiandogli il collo su una spalla.

 

E come non capirla!

 

“Non pensavo di essere fidanzata con l’uomo che sussurrava ai cavalli!” ironizzò, anche se, passata la paura, un poco si stava quasi commuovendo.

 

“Fidanzata?” le chiese però Calogiuri, gli occhi che brillavano nell’oscurità come l’arma impropria che erano.

 

“E come mi devo definire, Calogiuri? Accompagnata?”

 

“Fidanzata va benissimo,” le sussurrò e si trovò stretta in un abbraccio che, senza tacchi, la sollevò dalla sabbia.

 

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“Che… che cosa sono queste?”

 

Alzò lo sguardo da dove stava preparando la colazione - pane con burro d’arachidi e caffè solubile sciolto nel latte freddo - e vide che Imma indicava un punto nella sabbia poco dietro ai cavalli.

 

Mollò la colazione sul tavolino gonfiabile e si avvicinò a lei, facendo attenzione a non disturbare gli animali che stavano facendo pure loro un poco di colazione, in attesa di rifocillarli meglio al maneggio successivo.

 

Guardò a terra e vide, accanto ai segni lasciati dagli zoccoli, alcune impronte di scarpe da uomo, di quelle col carrarmato, forse scarponcini.

 

“Imma…” sussurrò, incrociando lo sguardo di lei che era molto preoccupato, “magari… magari c’erano già e-”

 

“Così nette? Sulla sabbia, Calogiuri? Lo sai anche tu che di notte con l’umidità le impronte rimangono, ma di giorno... va bene che è una spiaggia isolata, ma con sto vento-”

 

“Faccio delle foto e provo a capire che numero potrebbe essere, va bene? E stasera abbiamo l’agriturismo e poi a questo punto cerchiamo di andare nei campeggi sorvegliati. Mi dispiace, io-”

 

“Non ti preoccupare, Calogiuri. Ma è meglio essere prudenti.”

 

Sentendosi terribilmente in ansia, nonostante cercasse di farsi forza per lei, recuperò il cellulare ed iniziò a documentare il più possibile le tracce vicino alla tenda.

 

Sperando che quelle immagini non sarebbero mai servite in un’indagine.

 

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“Sembra di stare su Marte!”

 

Il sorriso di lei, sotto al cappello che la riparava dal sole, era smagliante. Aveva quasi temuto di non vederla più così spensierata: tutto il giorno prima e pure durante quella giornata era rimasta preoccupata per quelle impronte vicino alla tenda e quell’incidente notturno.

 

Ma, dopo due giorni tranquilli, e forse di fronte alla bellezza della spiaggia rossa, sembrava di nuovo serena come raramente l’aveva mai vista a Roma e Matera. Del resto, d’accordo che avevano dormito in agriturismo ma, se qualcuno li avesse seguiti in mezzo a quel nulla, se ne sarebbero già dovuti accorgere.

 

E poi la vide saltare giù da cavallo, con un “voglio provare a camminarci, Calogiù!”

 

Smontò pure lui di sella, proseguendo a piedi insieme a lei, i cavalli che si lasciavano dolcemente condurre per le redini.

 

“Così le tue scarpe avranno un colore in più, che già non ne avevano abbastanza!” scherzò, per sdrammatizzare, ed Imma gli diede un colpetto al braccio.

 

Enigma, per tutta risposta, fece una specie di grugnito e le soffiò sul collo.

 

“Tranquilla che non te lo sciupo. Pure la cavalla c’ho come rivale mo!”

 

“Almeno lei ci tiene alla mia incolumità fisica, dottoressa. Tu, considerate le ultime notti, un po’ meno.”

 

“Scemo!” esclamò, e la vide trattenersi dal dargli un altro colpetto, “e comunque, se ti pesa così tanto, posso tutelare la tua incolumità almeno fino al ritorno a Maiorca.”

 

Si sporse e le diede un bacio sulla guancia: non cambiava proprio mai.

 

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“E dopo Marte mo sembra di stare sulla luna…”

 

Era l’ultima tappa prolungata del loro giro dell’isola: il giorno successivo sarebbero rientrati al maneggio ed avrebbero riconsegnato i cavalli.

 

Erano finiti in una spiaggia bianchissima, che pareva uscita da una foto dei Caraibi, molto lontana dai luoghi battuti dai turisti: per l’ultimo pezzo avevano dovuto proseguire a piedi, guidando i cavalli piano piano.

 

E, dopo aver dato loro da bere ed un poco da mangiare, si erano levati gli zaini e messi in costume.

 

“Vuoi farti un bagno, dottoressa?” le chiese Calogiuri, dopo aver finito per l’ennesima volta di spalmarsi a vicenda di crema solare, della quale in quei giorni avevano fatto fuori una quantità industriale.

 

“Mmmm… sì… ma mi sa che ti sei dimenticato di spalmarmela in alcuni punti, Calogiuri.”

 

“Cioè?” chiese, con uno sguardo confuso che le fece un’enorme tenerezza.

 

Si guardò per un’ultima volta in giro e prese coraggio: o era allora o mai più. Forse era una follia, ma con lui si sentiva pronta a fare quasi qualsiasi cosa.

 

Sganciò i lacci del bikini fucsia e la mascella di Calogiuri per poco non cascò sulla sabbia.

 

“Ma-”
 

“Una promessa è una promessa, no, maresciallo?” gli chiese, liberandosi del tutto del costume e correndo verso l’acqua, “e poi il naturismo qui non è vietato dalla legge.”

 

Non fece in tempo a tuffarsi che sentì una specie di ruggito e poi Calogiuri le ricambiò il favore e se lo trovò addosso senza quasi rendersene conto, mentre ruzzolavano insieme nell’acqua.

 

“Non dovevi tutelare la mia incolumità fino a Maiorca? Un giorno mi manderai in manicomio!” esclamò, con sguardo ancora incredulo, tenendola però talmente stretta che quasi le mancava il fiato.

 

“Devo pure accertarmi del tuo buono stato psicofisico, Calogiuri, e-”

 

Un grido spazzò via parole e pensieri: c’era solo quel momento, loro due ed il mare e tutto il resto non importava.

 

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“Mi raccomando, fai la brava! Che tanto so che mi capisci!”

 

Le accarezzò la fronte e la sentì soffiarle leggermente sulle labbra, in quello che sapeva essere un segno di saluto.

 

Ricambiò e poi la lasciò andare. Ovviamente Enigma non perse tempo e si buttò sulla spalla di Calogiuri: non c’era niente da fare, lui col genere femminile vinceva proprio a mani basse.

 

Salutò anche Pistacho, che le accarezzò il collo, e la colse un senso di bruciore agli occhi.

 

Non sapeva come fosse possibile affezionarsi tanto in così poco tempo ma, dopo qualche giorno quasi in simbiosi, le sembrava impossibile pensare di non rivederli mai più.

 

Infine, si rivolsero a Jordi e lo salutarono, ringraziandolo profusamente per l’esperienza indimenticabile.

 

“¡Gracias a los dos! Regresen cuando quieran. ¡Nunca había visto a Pistachio y Enigma volverse tan aficionados a alguien!”

 

La commozione non fece che peggiorare, mentre si incamminavano verso dove avevano lasciato la moto a noleggio: si sentiva tutta indolenzita, ma era felice in una maniera che le faceva quasi spavento.

 

“Anche a me mancheranno…” sussurrò Calogiuri e percepì dita delicate, anche se un poco più ruvide del solito, sulla guancia destra.

 

“Non è solo per quello… ma è che… questa è stata la vacanza più bella della mia vita ed è quasi finita.”

 

“Ce ne saranno molte altre, vedrai. Anche se non garantisco che riuscirò sempre a starti dietro, che mi ci vorranno settimane per riprendermi da questa vacanza!”

 

“A chi lo dici!” esclamò, abbracciandolo fortissimo, prima di staccarsi bruscamente.

 

“Che c’è?”

 

“Senti… se chiedessimo a Jordi se ci possiamo fare una doccia? Che qua mi sa che sul traghetto per Maiorca non ci fanno neanche salire. In albergo non ne parliamo.”

 

“Mi stai dicendo che puzzo, dottoressa?”

 

“Ti sto dicendo che se ci beccano Taccardi e Proietti ci mettono una targhetta sul pollice e ci infilano in un cassetto refrigerato, Calogiuri.”

 

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“Mà!”

 

“Valentì!”

 

Si avvicinò per abbracciarla ma si bloccò perché la figlia la guardava come se le fosse spuntata un’altra testa.

 

“Che c’è?”

 

“C’è che… ma che hai fatto? Sei… sei bellissima stasera!”

 

L’apocalisse doveva proprio essere vicina.

 

“Sei sicura di sentirti bene, Valentì, sì? Non è che hai preso troppo sole in questi giorni?”

 

“No, mà, è che sei… diversa.”

 

“Concordo!” si inserì Penelope con un sorriso.

 

“Sarà il vestito nuovo?” chiese, guardando il vestito leopardato - più corto davanti e più lungo dietro - preso a poco ad un mercatino locale quel giorno stesso.

 

“Ma no! Ti sei truccata diversamente? Sei… sei più luminosa in viso.”

 

“No, anzi, co sto caldo mi sono truccata poco o niente. Deve essere l’effetto di questa vacanza.”

 

“Allora non è che potete rimanere qui fino a Natale? Visto che ti fa così bene!”

 

“Spiritosa, signorina! E comunque no, domani sera si torna tutti a casa. Ma siete proprio sicure che l’ultima sera di vacanza volete passarla con noi?”

 

Valentina e Penelope si scambiarono uno sguardo complice e divertito che la mise in allarme.


“Sì, mà! Questo locale lo dovete assolutamente vedere!”

 

“Ma che ora vorreste fare? Che domani abbiamo l’aereo!”

 

Le due ragazze però si limitarono a sorridere, Valentina che la prese a braccetto e la trascinò con sé prima che potesse cambiare idea.

 

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“Ma questo è-”

 

Valentina e Penelope scoppiarono a ridere ed Imma capì di avere capito benissimo.

 

Sul palco c’era una drag queen che cantava e, a giudicare dall’atteggiamento che avevano tra di loro alcuni dei ragazzi e delle ragazze presenti, non erano semplicemente amici o amiche che stavano facendo serata.

 

“Hola chicas!” arrivò un cameriere a salutare sua figlia e Penelope, come se fossero vecchi amici, per poi rivolgersi verso Calogiuri, con sguardo decisamente più malizioso, “ay qué guapo! Donde lo tenias escondido? ¿Como te llamas, bombón?”

 

“Questo è il fidanzato di mia madre. E questa è mia madre.”

 

“¡Ay no! ¡Vas a romper muchos corazones esta noche!” esclamò il cameriere, rivolto a Calogiuri, sembrando deluso, ma poi la squadrò in modo complice e le disse, “eres una mujer muy afortunada, tigre!”

 

“Dà un soprannome a quasi tutti,” spiegò Valentina, l’aria di chi si stava divertendo un mondo.

 

Poi il cameriere fece segno loro verso un tavolino e dopo aver chiesto se volessero il solito, sparì verso il bar.

 

“Ma da quanto lo conoscete?” chiese Imma, ancora un attimo scombussolata.

 

“Siamo venute qui l’altra sera e ci siamo trovate così bene che siamo tornate tutte le sere. Lo spettacolo è divertentissimo!”

 

“Non mi dite che siete a disagio?” chiese Penelope, sembrando però non offesa, ma con l’aria di chi si aspettava esattamente quello.

 

“No, no. Ma è solo che non ci sono mai stata in un locale gay. Tu, Calogiuri, ci eri poi andato durante l’indagine a Bari?” gli chiese, lanciandogli un’occhiata complice, e Calogiuri scosse il capo e rise.

 

“No, dottoressa, è la prima volta pure per me. Anche perché Matarazzo se no chissà che combinava!”

 

Imma fece un’espressione mezza disgustata al solo sentire quel nome e Calogiuri rise ancora di più.

 

“Hi!”

 

Un ragazzo molto attraente, dai muscoli talmente definiti che poteva tranquillamente reggere il confronto con il tacchino unto dell’altro locale, ma vestito benissimo, si era avvicinato a Calogiuri, guardandolo come se fosse altro che un bonbon.

 

“I have never seen you here before. Why don’t we drink something together?”

 

Calogiuri le fece un cenno come a chiedere aiuto: con l’inglese se la cavava molto poco ma pure lei non è che lo sapesse benissimo, anche se lo capiva a grandi linee. Che il ragazzo volesse bere qualcosa con Calogiuri - e chissà che altro - però non ci voleva una laurea in lingue a capirlo.

 

“Sorry, but… she is my…”

 

“Fiancée,” si inserì Imma, anche se forse non era la traduzione più corretta.

 

“You’re not gay?! And into cougars?” chiese sorpreso l’altro.

 

Valentina e Penelope risero. Imma vide che Calogiuri si stava un poco irritando, sicuramente per la definizione di cougar, ma il ragazzo scosse il capo e se ne andò, deluso.

 

“Mi dispiace, io-”

 

“Ma che ti scusi tu, Calogiuri? Vorrà dire che sarò pure la Pantera delle Baleari, mo! E poi… che sei bello lo so, ed evidentemente hai un successo trasversale,” ironizzò, dandogli una pacca sul braccio, “io invece-”

 

“Hola!”

 

La voce a poca distanza dal suo orecchio per poco non le fece prendere un colpo e si trovò di fianco una donna sulla trentina, mora, formosa, dagli occhi scurissimi, fasciata in un abito a fiori come ne aveva visti diversi nei negozi locali, “¿quieres bailar?”

 

“Ma dici a me?” domandò Imma, presa in contropiede, e lei annuì.

 

“Ti ringrazio ma… questo è il mio novio e questa è mia figlia.”

 

La donna parve un attimo sorpresa, ma poi sorrise e sembrò quasi… commossa?

 

“¡Tienes mucha suerte!” esclamò, rivolgendosi a Valentina, per poi indicare lei e Penelope e chiedere ad Imma, “soy una pareja muy hermosa,¿no?”

 

E fu il turno di Imma di rimanere meravigliata ma annuì, lanciando uno sguardo a Valentina.

 

“No, è che… abbiamo detto in giro che siamo una coppia per evitare rimorchiamenti, che io non sono dell’umore giusto e Valentina non è interessata,” chiarì Penelope, dopo che la spagnola si fu allontanata, sembrandole, per la prima volta da quando la conosceva, in imbarazzo.

 

“Ma non ho detto niente!” rispose Imma, scuotendo il capo ed alzando le mani come in segno di resa.

 

“No, ma è che… non voglio creare problemi a Valentina.”

 

“Ma che problemi?!” esclamò Imma, non sapendo se offendersi o se essere intenerita dalle preoccupazioni di Penelope, “e poi non-”

 

“Tapas!”

 

Il tono super allegro del cameriere, che riempiva il loro tavolino di ste famose tapas - che a lei sembravano sempre stuzzichini, anche se decisamente più invitanti del finger food - e di una brocca di quella che pareva sangria, interruppe quella conversazione. Penelope sembrò tirare un sospiro di sollievo.

 

Guardò di nuovo sua figlia che invece era tra il sorpreso e l’imbarazzato, anche se non ne capiva bene il motivo.

 

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“¡Muchas gracias! Os quiero a todos!”

 

La drag queen aveva finito il suo spettacolo e c’erano applausi fragorosi che l’accompagnavano all’uscita dal palco.

 

“Allora?”

 

“Molto divertente, anche se con l’inglese non capivo tutto. Tu che sei esperto di spettacoli dal vivo, Calogiuri, che ne pensi?”

 

“Che già ballare su quei tacchi è un’impresa, dottoressa. Io mi sarei spaccato una gamba dopo due minuti. E purtroppo sull’inglese sono messo peggio di te.”

 

“Ah guarda, se torniamo al locale dell’altra volta, ti trovi un’insegnante madrelingua in tempo zero. Ma poi mi tocca fare come Maria Luisa. Anche se, pure qui, di aspiranti insegnanti ne hai quanti ne vuoi!”

 

“E tu, no, dottoressa? Tra spagnolo e inglese?!”

 

In effetti, a inizio serata, tra lei e Calogiuri avevano ricevuto un sacco di inviti a ballare o a bere qualcosa, anche se dopo un po’ erano un po’ scemati, probabilmente perché la gente aveva capito che stavano insieme.

 

“Va beh, non-”

 

“Oh my god! I love your look, it’s fabulous!”

 

Si trovò con Kiki, la drag queen, a due passi e, coi tacchi, era alta due metri.

 

“I noticed you from the stage! You are slaying that dress, girl!”

 

“Credo intenda dire che con quel vestito sta benissimo e che adora il suo look,” tradusse Penelope, mentre Imma era un poco confusa dallo slang.

 

“Thank you…” rispose, maledicendo la barriera linguistica, perché non sapeva bene che dire.

 

“Ah, italiani! Sorry, but my Italian is really bad. I only know enough to pick up cute guys, but he is taken, right?” le chiese con un sorriso ed Imma rise ed annuì, avendo stavolta capito che, tanto per cambiare, Calojuri aveva fatto colpo. Sempre se Kiki era seria e non scherzava per deformazione professionale, come aveva fatto per quasi tutto lo spettacolo.

 

“Come on stage with me for the encore! Come on!” le disse poi, concentrandosi su di lei, ed Imma si sentì andare in panico.

 

“Me?” chiese, sperando vivamente di aver capito male, e che non volesse veramente farla ballare con lei per il bis.

 

“I always pick someone from the crowd for the encore. Come on: with this look you just have to!”

 

Si trovò improvvisamente a rivalutare i completi noiosi e da beccamorto della Ferrari e perfino della D’Antonio. Almeno a loro nessuno avrebbe mai fatto caso.

 

“Vai, mamma, vai!” la incitò Valentina, con l’aria di chi stava per soffocare dalle risate, Penelope idem e…

 

“Calogiuri, tu quoque?!” esclamò, quando incrociò l’espressione di lui, che pareva starsi trattenendo malamente dall’esplodere a ridere.

 

“E dai, dottoressa, che balli benissimo!”

 

“Are you a doctor?”

 

“No, not a medical doctor,” riuscì a dire, facendo mente locale sul suo poco inglese.


“Oooh… a pet name. Kinky!”

 

Si sentì avvampare e vide che pure per Calogiuri era lo stesso, ma di sicuro non era il caso di stare lì a spiegare che lei fosse un magistrato e lui un carabiniere, o le battute sarebbero state probabilmente pure di più.

 

“Come on!” esclamò, prendendola per una mano e portandola ad alzarsi in piedi, “and you too, of course, sweetie pie! The men in the front row will be dying!”

 

Con l’altra mano, Kiki afferrò pure il braccio di lui che divenne, se possibile, ancora più paonazzo.

 

“Se lo faccio io lo fai pure tu, Calojuri!” lo sfottè, tutto sommato felice di condividere l’imbarazzo con lui: mal comune, mezzo gaudio!

 

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“Non ho mai riso tanto! Mi fa quasi male la pancia! Questa è stata la vacanza più figa di sempre! Altro che Metaponto! Oddio, pensa se ti avesse vista nonna!”

 

Erano usciti dal locale che erano le tre di notte e Valentina rideva come una matta e non solo per la sangria. Pure Penelope era molto divertita.

 

“La prossima volta a ballare sul palco ci andate voi, però!”


“Ma se ve la siete cavata pure bene, alla fine! All’inizio un po’ meno,” continuò a ridere Valentina ed Imma si voltò verso Calogiuri, lanciandogli uno sguardo di scuse, ma lui sorrise e scosse il capo.

 

“Mi sono divertito anche io, dottoressa. E poi vederti ballare mi piace sempre!”

 

“Il diabete è tornato!” esclamò Valentina, con aria finta disgustata ed Imma le diede un buffetto sul braccio.

 

In realtà si era divertita molto pure lei, anche se non lo avrebbe ammesso manco morta. Dopo l’encore avevano conversato un po’ con Kiki - aka Charles - che si era bevuto qualcosa con loro. E sia quando era in personaggio, sia quando aveva levato le maschere e parlato più seriamente, l’aveva fatta pentire amaramente di non sapere meglio l’inglese, perché aveva quel sarcasmo e quell’intelligenza che difficilmente trovava nelle persone che frequentava quotidianamente, a parte in Calogiuri e in sua figlia - quando non la faceva troppo disperare.

 

“Va beh, il nostro campeggio è qua. Ci vediamo domani pomeriggio allora,” disse Penelope, distogliendola dai suoi pensieri.

 

Imma annuì, augurando alle ragazze buonanotte, la stanchezza ed il male ai piedi che iniziavano a farsi sentire.

 

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“Certo che tua madre è una matta, ma in senso buono!”

 

“Lo so,” rise, infilandosi nel sacco a pelo, però per poi farsi più seria, “ma perché ti sei messa a farle tutto quello spiegone sul fatto che io e te non stiamo insieme?”

 

Penelope sospirò, voltandosi verso di lei, un’espressione un poco amara, “te l’ho detto, Vale, non volevo darti problemi. Sai quanti genitori non vogliono che sia nemmeno amica delle loro figlie, quando scoprono che sono lesbica?”

 

“Mia madre ha tanti difetti ma non è così!”

 

“No, ma… sai… anche tra chi è più aperto mentalmente… è molto più facile quando a non essere etero sono i figli degli altri. Quando sono i tuoi… il discorso cambia e- Vale!” esclamò, sorpresa, e fu solo a quel punto che Valentina si rese conto di averla abbracciata.

 

Penelope sembrava sempre così forte, sicura di sé, quasi invincibile, ma capiva da come ne parlava che i suoi problemi doveva averli avuti anche lei, pure con quei genitori moderni che le aveva tanto invidiato alle superiori.

 

Sentì uno strano miscuglio di sensazioni nel petto ma, prima che potesse anche solo iniziare a capirle, un rumore fuori dalla tenda la fece staccare bruscamente, interrompendo il momento.

 

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Si infilò a letto e prese in mano il cellulare: era tutta la serata che non lo controllava.

 

Un messaggio di Rosaria, che esprimeva invidia per la loro vacanza - le aveva mandato alcune foto di lui ed Imma insieme e dei luoghi più belli che avevano visto - poi uno di Mariani, che gli chiedeva a che ora doveva venirli a prendere all’aeroporto.

 

Decise di fare un giro anche sui social, perché ultimamente, se non lo faceva spesso, si intasavano di messaggi e notifiche.

 

E trovò subito un messaggio di Melita, che gli aveva scritto quel pomeriggio e che, avendo l’amicizia reciproca, gli appariva in evidenza rispetto agli altri.

 

Sono a Ibiza. Tutto bene. Spero anche voi. Grazie ancora!

 

Vide che aveva pubblicato delle storie e dei post e sperò vivamente che non avesse fatto sapere a tutto il mondo dove si trovava, visto quanto era successo.

 

Ci cliccò sopra ma, a giudicare da quanto non era vestita, e dalle luci a neon inconfondibili, erano foto ancora scattate al locale lì a Palma.

 

Melita era sveglia, per fortuna.

 

Sentì un rumore, la porta del bagno che si apriva mentre Imma ne emergeva in camicia da notte, i capelli ancora raccolti nel turbante, e per poco non gli prese un colpo, rendendosi conto di quanto potesse sembrare compromettente la cosa.

 

“Che c’è?” gli chiese, guardandolo in quel modo che sembrava potergli leggere dentro.

 

“No, niente… è che… mi ha scritto Melita che è arrivata ad Ibiza e-”

 

“A quest’ora?!”

 

“No, oggi pomeriggio, ma l’ho visto solo mo. E poi… e poi ha postato delle foto ma da Palma, credo per depistare.”

 

“Che genere di foto, Calojuri?” gli chiese, con un sopracciglio alzato, “o forse mo dovrei chiamarti bonbon?”

 

“Imma…” sospirò, scuotendo il capo, “e comunque… diciamo che era… vestita da lavoro, ecco, come quando l’abbiamo incontrata.”

 

Imma rimase un attimo in silenzio, con un’espressione indefinibile.


“Vuoi vedere il suo profilo, dottoressa?” le chiese, perché non aveva niente da nascondere, anche se un poco si sentiva in ansia.

 

Ma Imma sorrise e scosse il capo, “preferisco decisamente guardare il tuo di profilo, Calogiuri!” esclamò e lui annuì e le porse il cellulare.


Lei, per tutta risposta, scoppiò a ridere.

 

“Che c’è?”

 

“C’è che mi sembra di essere tornata indietro di anni, Calogiuri. Non mi riferivo al tuo profilo sui social, ma a questo profilo!” esclamò, mentre con un dito gli sfiorava il viso dalla fronte, alla punta del naso, fino alle labbra e al mento, “e se ti chiedessi mai di controllare i tuoi social, denunciami per violazione della privacy, Calogiuri, che me lo meriterei, come minimo.”

 

“Dottoressa…” le sussurrò, mollando il cellulare e tirandola a sé fino a farla sedere in grembo, “come-”

 

Ma, proprio in quel momento, arrivò un altro trillo.

 

“Ancora gente che ti cerca, Calogiù?”

 

“Veramente questo è il tuo cellulare, dottoressa.”

 

Imma alzò gli occhi al cielo e si sollevò da lui, rotolando nella sua parte di letto, fino a recuperare il cellulare dal comodino.

 

Pochi secondi ed il cellulare le cadde sul materasso con un tonfo, il viso che le sbiancò talmente tanto da confondersi quasi con le lenzuola.

 

“Imma!” esclamò, prendendola per le spalle, perché, nonostante fosse seduta, temeva svenisse, talmente tremava.

 

Stava per chiederle cosa fosse successo, ma l’occhio gli cadde sul display del cellulare e vide una foto di due ragazze, in spiaggia, presa con una fotocamera ad infrarossi.

 

Notò contemporaneamente due cose: il numero anonimo del mittente ed il vistoso tatuaggio sulla schiena di una delle due ragazze.

 

Penelope. E l’altra era chiaramente Valentina.

 

“Pro- proviamo a chiamarle, Imma,” propose, mentre lei continuava a tremare.

 

Bastò un cenno d’intesa e prese lui stesso il cellulare, trovando il numero di Valentina e componendolo.

 

Ma risultava staccato.

 

Ed una mano gelida gli si strinse sul cuore.



 

Nota dell’autrice: Ed eccoci qua. Un capitolo dove ci sono alcune nuove consapevolezze e un po’ di giallo, oltre al rosa. Che fine avranno fatto Valentina e Penelope? Forse lo scopriremo nel prossimo capitolo dove ci saranno ulteriori salti temporali ed un ritorno della Città dei Sassi.

Spero che il capitolo vacanziero vi sia piaciuto - i prossimi avranno toni un po’ più seri - e che la storia continui a mantenersi interessante, nonostante la lunghezza. Se vorrete farmi sapere che ne pensate, come sempre le vostre recensioni, oltre a darmi una carica pazzesca, mi fanno un enorme piacere.

Vi ringrazio di cuore per avermi letta fin qui e grazie a chi ha messo la mia storia tra le preferite o le seguite.

Il prossimo capitolo arriverà domenica 19 luglio.

Grazie ancora!

 
   
 
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