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Autore: Ella Rogers    13/07/2020    0 recensioni
"Chi non muore si rivede, eh Rogers?"
Brock Rumlow era lì, con le braccia incrociate dietro la schiena e il portamento fiero. Il volto era sfregiato e deturpato, ma non abbastanza da renderlo irriconoscibile, perché lo sguardo affilato e il ghigno strafottente erano gli stessi, così come non erano affatto cambiati i lineamenti duri e spigolosi.
"Ti credevo sepolto sotto le macerie del Triskelion."
La risata tagliente di Rumlow riempì l'aria per alcuni interminabili secondi, poi si arrestò di colpo. L'uomo assunse un'espressione truce, che le cicatrici trasformarono in una maschera di folle sadismo.
E Steve si rese conto che, per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Brock Rumlow si mostrava a lui per quello che realmente era, privo di qualsiasi velo di finzione.
"Credevi male, Rogers. Credevi male."
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Die for You
 
Even if the sky does fall
Even if they take it all
There’s no pain that I won’t go through
Even if I have to die for you
 
And when all the fires burn
When everything is overturning
There’s no thing that I won’t go through
Even if I have to die for you
 
 
 
 
Aprile 2015
 
 
Ogni tanto si chiedeva che tipo di vita avrebbe avuto se non fosse stato un genio, miliardario, playboy, filantropo e se non fosse stato Iron Man.
Probabilmente avrebbe dormito più ore, il suo cervello avrebbe fatto meno rumore, avrebbe evitato parecchie botte – perché avrebbe avuto di certo meno nemici – e non avrebbe dovuto avere a che fare con problematici disadattati, che adesso vivevano anche sotto il suo stesso tetto.
Dopo il Mandarino, la possibilità di mollare la carriera da eroe ce l’aveva avuta e lui cosa aveva fatto? Aveva riunito i suoi problematici disadattati per combattere insieme e, cavolo, ancora si domandava cosa effettivamente lo avesse condotto verso quella scelta, dati tutti i contro che essa implicava. Una mezza teoria ce l’aveva, in realtà, e questa prevedeva l’esistenza di una irrefrenabile attrazione fra problematici disadattati. Era qualcosa che non si poteva controllare, un istinto che agiva per vie traverse rispetto quella della ragione e che spesso portava a prendere decisioni tutt’altro che autoconservative.
Il più normale fra loro, probabilmente, era Sam Wilson, un veterano che, senza la minima garanzia, aveva rinunciato ad una vita tranquilla per seguire Capitan America – allora appena conosciuto – prima nella guerra contro l’Hydra, poi nella ricerca del Soldato d’Inverno ed infine in una battaglia dalle sfumature suicide contro Teschio Rosso. Oh, Tony dovette ricredersi, perché adesso che ci rifletteva o Sam era segretamente innamorato pazzo di Steve Rogers – non avrebbe potuto biasimarlo troppo – o era anche lui un problematico disadattato attratto da altri problematici disadattati e la seconda opzione era la più probabile.
In ogni caso, tale riflessione dalle sfumature esistenziali non era di certo calata dal nulla, ma discendeva direttamente dal brutto momento che stava passando. Un brutto, bruttissimo momento.
Avrebbe dovuto essere un lavoro facile e avrebbe dovuto portarlo a termine senza troppi problemi. Vane speranze gettate al vento.
Erano arrivati all’aeroporto di Seattle un’ora prima e non era stato troppo difficile penetrare nella base Hydra che vi era al di sotto e che era rimasta nascosta per chissà quanto tempo. Ogni volta che individuavano un nucleo dell’Hydra, trovavano anche informazioni sulla collocazione di altri nuclei nemici. Talvolta si trattava di piccoli gruppi e due Avengers erano più che sufficienti a smantellarli. Altre volte, però, si ritrovavano ad avere a che fare con vere e proprie strutture organizzate e demolirle non era sempre così semplice, soprattutto se al loro interno trovavano lasciti del lavoro di Adam Lewis, il bastardo con il fetish per gli anabolizzanti.
Questa volta Tony si era trovato davanti quattro individui potenziati da quello che aveva tutta l’aria di essere un miscuglio ben calibrato fra Extremis e un surrogato del serio del super soldato, probabilmente lo stesso che circolava nelle vene del Soldato d’Inverno, prodotto ben riuscito dell’Hydra.
Gli Avengers avrebbero continuato ad incontrare nemici del genere, finché Adam Lewis fosse rimasto a piede libero. Peccato che il caro dottore fosse un asso nel giocare a nascondino.
In ogni caso, l’attuale misfatto era che Stark aveva addosso l’armatura nuova e non ancora perfettamente pronta a sostenere uno scontro di quel livello. Aveva ben pensato di testarla durante quella che avrebbe dovuto essere una missione tranquilla, ma non aveva avuto molta fortuna e, se si concentrava abbastanza, poteva sentire la vocina di Rogers che gli diceva quanto fosse stato imprudente.
Ritornando al brutto, bruttissimo momento succitato, i potenziati lo stavano adesso tenendo a terra e cercavano di strappargli di dosso l’armatura, pezzo dopo pezzo. La velocità di rigenerazione della nanotecnologia ad essa applicata sarebbe stata presto insufficiente e successivamente sarebbero state le sue ossa ad essere smantellate.
Improvvisamente, il potenziato che stava per staccargli di prepotenza l’elmetto dalla testa – probabilmente con tutta la testa dentro - fu freddato da un proiettile che gli si conficcò nella nuca. Altri due potenziati vennero spinti lontano da lui e una mano di metallo si chiuse attorno al suo braccio destro e lo tirò in piedi di forza.
 
“Dobbiamo muoverci. Ne ho altri alle calcagna.”
 
Stark fu strattonato lontano dai potenziati che stavano già tornando all’attacco e registrò solo allora che Barnes gli aveva salvato il culo. Attivò i propulsori sotto i piedi e fu lui stavolta a trascinare il Soldato d’Inverno di forza, per i corridoi della base.
Davanti a loro, però, si presentarono altri potenziati e Tony dovette arrestare la corsa. Lui e Barnes si posizionarono schiena contro schiena e si preparano allo scontro.
 
“Abbiamo bisogno di rinforzi” fece presente James, mentre tendeva al massimo ogni singolo muscolo.
 
“Possiamo farcela” protestò Iron Man.
 
Furono attaccati da entrambi i fronti e Tony stava per tirare fuori armi più pesanti, quando alcuni strani congegni, simili a piccoli ragnetti meccanici, gli furono sparati addosso e una scarica elettrica di intensità preoccupante lo scosse dalla testa ai piedi. Crollò sulle ginocchia e si sforzò di riprendere a respirare, mentre l’armatura si dissolveva in diversi punti sul suo corpo, rendendolo maledettamente vulnerabile.
“Stark” si sentì chiamare dal Soldato d’Inverno, che stava adesso cercando di proteggerlo tenendo a distanza i nemici, nonostante fosse in netta minoranza.
Quei super soldati scongelati sapevano essere davvero degli ossi duri e, per un singolo istante, Tony si chiese cosa si provasse ad affrontarli. Sicuramente sapevano portare gli avversari sull’orlo di una crisi isterica, dato che pareva avessero la straordinaria capacità di rimettersi in piedi ogni santa volta che venivano buttati giù, a meno che non gli si spezzassero entrambe le gambe.
 
“A terra!”
 
Una voce risuonò fra le pareti del corridoio e James, riconoscendola, si abbassò al fianco di uno Stark ancora in ginocchio.
Grazie all’aiuto di un lanciarazzi, il loro aiuto esterno fu capace di creare un diversivo abbastanza efficace da permettere a Barnes di prendere di peso Iron Man e allontanarsi dal gruppo di potenziati.
“Da questa parte!”
Il giovane agente della CIA, Daniel Collins, li esortò a seguirlo.
James si caricò Tony sulle spalle e corse dietro il ragazzo, finché non raggiunsero una pesante porta metallica costituita da due ante scorrevoli aperta a metà. Al di là della porta c’era la sala controllo che avevano messo in sicurezza prima e l’idea di Dan fu quella di chiudersi lì dentro, assieme ad agenti dello SHIELD già all’interno e ad agenti dell’Hydra messi fuori gioco precedentemente.
Barnes, dopo aver steso Stark sul pavimento, chiuse le due ante con la forza. I potenziati si accalcarono all’esterno ed iniziarono colpire con violenza la spessa porta.
 
Intanto, l’armatura di Iron Man si dissolse e rimase il solo reattore luminoso sul petto di Tony che, mettendosi seduto e prendendo un profondo respiro, diede segno di non aver subito danni troppo gravi, almeno all’apparenza.
“Stai bene?” chiese Barnes, avvicinandosi a lui con sguardo impensierito. Il super soldato aveva un brutto taglio sulla tempia destra e il sangue gli era colato lungo l’intero lato del viso.
“Niente di rotto, ma l’armatura è danneggiata.”
Tony si rialzò in piedi a fatica, diede un paio di colpetti al reattore e poi spostò l’attenzione sull’orologio che portava al polso.
 
Gli agenti lì intorno guardavano preoccupati in direzione dell’unica barriera che li separava dai potenziati.
“Siamo chiusi dentro la base. Abbiamo controllato le uscite e sono tutte bloccate” spiegò Dan.
Il giovane sostituiva Sharon come supervisore di Barnes quel giorno e non era stato troppo fortunato, dato come si erano messe le cose. Stava ancora cercando di recuperare il fiato e non era stato affatto piacevole arrivare a portata di quei massicci uomini in nero, dagli sguardi freddi e taglienti come lame affilate. A prima vista potevano sembrare semplici soldati ben piazzati, ma bastava incontrare i loro occhi per capire che non fossero propriamente normali. Se lo avessero colpito a piena potenza, probabilmente lo avrebbero spezzato come un rametto secco e questo lo portava a chiedersi quanto forte fosse il Soldato d’Inverno, che era ancora in piedi dopo i colpi subiti e che era riuscito a stenderne più di uno.
 
“Okay, Barnes, te lo concedo. Abbiamo bisogno di rinforzi” cedette Stark, alla fine.
C’erano troppe vite in gioco per tentare mosse azzardate o estreme.
 
“Dici che li lasceranno venire?” fu la lecita domanda del Soldato d’Inverno, visto che gli Avengers non avevano tutta questa libertà di manovra. Era abbastanza scontato cosa significasse chiamare rinforzi per risolvere quella situazione.
 
“Ha importanza?”
Tony non ricevette risposta, perché quella era più una domanda retorica che una vera e propria domanda. Toccò l’orologio e poi il reattore sul petto, facendo in modo di riavere l’elmetto e la connessione con JARVIS. Attivò la comunicazione e rimase in attesa.
La risposta giunse quasi immediata e, prima di parlare, Stark sorrise mestamente.
 
“Ho bisogno di te.”
 
 
 
 
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Era tarda serata e si erano ritrovati nella Sala Comune a chiacchierare tranquillamente, in attesa del rientro di Stark e Barnes. Thor era l’unico ad essere momentaneamente assente, richiamato da doveri al di fuori della Terra. Fra aneddoti, battute e cocktail alla frutta senza alcuna traccia di alcool – perché Natasha aveva preteso cameratismo –, c’era stata un’interruzione dovuta allo squillare del cellulare del Capitano che, visto il nome di Tony sullo schermo, non aveva esitato a rispondere.
 
“Ho bisogno di te.”
 
Non era servito altro per indurre Rogers a scattare in piedi all’istante, sotto gli sguardi allarmati dei suoi compagni. Teso ed immobile, ascoltò la sfilza di informazioni che Tony gli riportò a macchinetta e senza perdersi troppo, cosa assai rara.
Una volta chiusa la telefonata, il biondo spiegò velocemente la situazione ai compagni, rimasti in silenzio fino ad allora.
 
“Cosa intendi fare?” fu la legittima domanda di Natasha, che si alzò dalla poltrona per fronteggiare meglio il super soldato. Sistemò la felpa, stirandola verso il basso, per coprire la curva tondeggiante e ormai parecchio evidente, ma non infranse nemmeno per un attimo il contatto visivo con lui, in attesa di avere una conferma a ciò che, in cuor suo, già sapeva bene. Steve avrebbe preso una sola strada e loro lo avrebbero seguito senza esitare, o almeno, lei lo avrebbe certamente sostenuto, perché dinanzi a una situazione simile non c’era alcuna scelta da fare.
 
“Abbiamo poco tempo. Ho bisogno di entrare lì dentro con la forza e ...”
 
“Sono d’accordo, Capitano.”
Banner aveva risposto nell’esatto momento in cui gli occhi di Steve si erano posati su di lui.
Era ovvio cosa gli stesse chiedendo il ragazzo e Bruce non aveva alcuna intenzione di tirarsi indietro.
 
“Sam, con me. Cinque minuti e partiamo” aggiunse infine Capitan America, ricevendo da Wilson un cenno d’assenso e lo sguardo di chi è pronto a tutto.
 
Prima che potesse muoversi, Rogers fu bloccato da una presa ferrea sul braccio destro, ma non si scompose, perché da lei se lo aspettava e per questo era già pronto ad affrontarla.
“Perché mi lasci fuori? Posso...” iniziò a protestare Anthea, la cui espressione era un misto fra confusione, disappunto e ansia. Dovevano affrontare una situazione difficile e lei voleva aiutare, non restarsene in disparte.
Nonostante la forte volontà, a Steve bastò un singolo ed intenso sguardo per ammutolirla.
“Non possiamo lasciare la Tower scoperta. L’hanno già attaccata una volta. Tu e Clint rimarrete qui” le disse con un tono che escludeva ogni tipo di replica, però il suo sguardo chiaro si era ammorbidito.
“Proteggila” le chiese e la giovane capì che non si stava riferendo alla Tower stavolta.
“Lo farò” promise e lo lasciò andare.
Clint le mise una mano sulla spalla, come segno di rassicurazione, e Anthea gli rivolse un cenno del capo per assicurargli che era tutto okay.
 
Rogers, Banner e Wilson si diressero verso l’ascensore.
“Mentre voi due recuperate l’attrezzatura, io preparo il Quinjet” attestò Bruce.
 
A pochi passi dall’ascensore, gli agenti della CIA sbarrarono loro la strada. Reazione prevedibile, nonostante sulle loro facce ci fosse più incertezza che altro.
“Non avete l’autorizzazione per lasciare la Tower. Dovete prima parlare con ...”
 
“Noi usciremo da qui adesso e con ogni mezzo. Ci sono delle vite in gioco.”
 
Il Capitano si fermò solo quando fu ad un passo dai due agenti. Banner attese poco dietro di lui e gli bastò guardare le espressioni di quegli uomini, per capire come sarebbe andata a finire.
Gli agenti si fecero da parte, senza fare resistenza, e il più anziano fra i due rivolse a Rogers uno sguardo fra il conciliatorio e il rassegnato.
“Cercheremo di coprirvi per quanto più sarà possibile. Buona fortuna, Capitano” disse e ricevette indietro un cenno del capo e un mezzo sorriso grato da parte del super soldato.
 
Sam e Steve dovettero recuperare la loro attrezzatura da battaglia e, con quella fra le braccia, raggiunsero il tetto della Tower, dove Bruce li attendeva nel Quinjet, già pronto a decollare.
Il dottore inserì le coordinate che Tony aveva inviato a Steve e, dopo aver attivato la modalità che rendeva il velivolo invisibile, condusse la fase di decollo.
Una volta in viaggio, Rogers e Wilson iniziarono a cambiarsi, liberandosi dei vestiti che portavano addosso e indossando le rispettive uniformi da battaglia.
Dopo pochi minuti, Steve si rese conto di non aver portato con sé l’elmetto blu della stealth, infilata in tempo record. Poco male, gli bastava avere con sé lo scudo e per il resto si sarebbe arrangiato.
 
“Bene. Vi dico cosa faremo una volta arrivati.”
 
 
 
 
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“Merda.”
 
A Tony il cuore balzò in gola. Se solo quei mostri là fuori avessero smesso di assestare senza tregua colpi alla porta, avrebbe sicuramente sudato meno, mentre tentava di riavviare completamente il sistema operativo dell’armatura con l’aiuto di JARVIS.
Sperò che Rogers arrivasse in tempo e anche che cercasse di contenere le conseguenze di quell’azione, che certamente sarebbe stata considerata illecita da Ross e dal Consiglio.
A livello di tattica, nonostante Tony facesse una grossa fatica ad ammetterlo, Rogers era pressoché intoccabile, tanto che delle volte aveva beccato pure Fury a pendere dalla sua bocca - e poi Fury lo aveva beccato a sghignazzare e si era dovuto ricomporre. Insomma, lasciar fare a Rogers era un’ottima soluzione, ma più la situazione era critica, più il ragazzo aveva la tendenza ad alzare l’asticella relativa a ciò che era capace di fare e, questa cosa, non sempre era del tutto positiva, a seconda dei punti di vista.
Se ci pensava bene, Tony non era così diverso in questo. Lui e Steve avrebbero potuto competere su chi fosse più audace a tirare su quell’asticella e faticava ad immaginare fin dove sarebbero stati capaci di spingersi.
 
La prima piccola fessura fra le ante scorrevoli della porta metallica generò un moto di agitazione generale.
 
“Barnes, una mano.”
Iron Man, ora parzialmente operativo, si posizionò ad un lato della porta e James si mise dal lato opposto. Con tutte le loro forze, cercarono di richiudere la fessura che si stava facendo sempre più grande, tanto che adesso erano perfettamente visibili i volti dei potenziati e le loro braccia cercavano di introdursi all’interno con prepotenza.
 
“Spingi, Manchurian Candidate.”
 
“Cosa credi stia facendo?”
 
“Allora impegnati di più.”
 
Resistettero qualche altro minuto, prima di essere sovrastati dalla forza dei potenziati, il cui numero fece senza ombra di dubbio la differenza.
 
“Mettevi al riparo!” gridò Tony, a pieni polmoni, in direzione degli agenti dello SHIELD.
 
Non potevano farcela. Era assolutamente assodato e Stark ne ebbe la riprova più e più volte, ovvero ogni volta che un colpo gli faceva vedere le lucciole. No, non potevano farcela. Erano almeno una decina quei bastardi, ma davano l’impressione di essere il doppio.
Quando sentì Barnes gridare di dolore, fu preso da un moto di panico, perché Steve non lo avrebbe mai perdonato se lo avesse lasciato morire.
 
“JARVIS voglio la massima potenza, anche se non supportata. Ora.”
 
Iron Man, nonostante l’armatura danneggiata, si fece largo tra i potenziati a colpi di fasci di energia, fino ad arrivare a Barnes, la cui faccia insanguinata la diceva lunga su come se la stesse passando. Tony lo spinse via, abbastanza lontano da permettergli di riprendere fiato. Allora notò che, ormai, anche gli agenti dello SHIELD erano stati coinvolti nello scontro. Inoltre, diversi soldati dell’Hydra si erano ripresi e non erano rimasti di certo con le mani in mano.
L’armatura iniziò di nuovo a dissolversi in diversi punti e Tony si accorse di non essere più troppo lucido. Però, in tutto quel macello, una nota positiva c’era. Aveva capito come avrebbe potuto migliorare l’utilizzo della nanotecnologia e l’avrebbe fatto, se fosse uscito da lì.
Cadde sulla schiena e mise le braccia davanti a sé, per proteggersi alla meglio. Ebbe l’impressione di sentire un boato, ma poteva benissimo esserselo immaginato, date le sue precarie condizioni mentali.
Poco dopo, tutto cessò di colpo. Niente più percosse gratuite e niente più stilettate di dolore. Si ritrovò in piedi e sostenuto da braccia solide. L’armatura si era ormai completamente dissolta ed era rimasto in jeans e maglietta.
Spostò l’attenzione sugli occhi azzurri che stavano sondando l’ambiente circostante. Per un singolo piccolissimo attimo, si sentì come un fan eccitato dinanzi al suo idolo ed esultò internamente.
“Sam, raduna tutti e non ingaggiare” lo sentì dire e poi si ritrovò il suo sguardo preoccupato addosso.
“Sappi che in questo momento ti adoro, Steven Grant Rogers” gli confessò, preso da un folle moto di entusiasmo di scampata morte. Se ne sarebbe pentito, ma ci avrebbe pesato più tardi.
“Devono averti colpito proprio forte” gli fece presente Rogers e, diavolo, se aveva ragione.
“Non immagini e... C’è il nostro amicone verde! Spaccali tutti!”
Hulk era il motivo per cui il Capitano poteva permettersi di stare lì senza preoccuparsi di doversi difendere, almeno per il momento.
Stark si stabilizzò sulle proprie gambe e Rogers lo lasciò andare.
“Va’ con Sam. Portate gli agenti fuori. Noi vi raggiungiamo non appena sistemate le cose qui.”
 
“Va bene, capo. Finiremo nei guai per questo, vero?”
 
“Ha importanza?”
 
Stark sorrise, scosse il capo e si mosse in direzione di Wilson, che sembrava una diligente e premurosa maestra che diceva ai suoi alunni – gli agenti dello SHIELD – di stare vicini e di seguirlo.
 
Separatosi da Stark, Rogers si immerse nello scontro che Hulk stava impeccabilmente portando avanti. Individuò Bucky in un angolo della sala e al suo fianco riconobbe il giovane Collins, che lo stava sorreggendo. James aveva una brutto taglio che gli percorreva la coscia destra e che gli impediva di rigettarsi nella mischia.
Alcuni potenziati smisero di ingaggiare direttamente Hulk e si mossero verso il gruppo guidato da Sam e altri si mossero invece verso il Soldato d’Inverno, obiettivi molto più facili da trattare in confronto al gigante verde.
Rogers richiamò Hulk e indirizzò la sua attenzione verso i nemici alle calcagna di Falcon e la reazione del compagno fu immediata. Lui, invece, corse verso Bucky e ingaggiò lo scontro con i due potenziati che ne stavano minacciando l’incolumità.
Il gigante verde abbatté i potenziati come fossero birilli, evitando che saltassero addosso al gruppo in corsa verso l’uscita. Era stato Hulk stesso a creare un bel buco nella base, per rimediare al fatto che le uscite ordinarie fossero state bloccate.
Il gruppo di nemici decise dunque di accanirsi sul gigante e, durante la lotta rocambolesca, tornarono nella sala lasciata solo poco prima.
 
Nella periferia del suo campo visivo, Rogers captò uno scintillio rossastro e subito dopo ci fu un’esplosione.
Hulk fu sbalzato di qualche metro, di nuovo al di fuori della sala comando, mentre lui, Bucky e Dan colpirono la parete sul lato opposto rispetto l’uscita.
Steve si riprese immediatamente e vide due potenziati dalla pelle incandescente che si avvicinavano. Dietro i due ce n’era un altro. Inoltre, si accorse che i restanti stavano circondando Hulk e cercavano di saltargli addosso, prima di lasciarsi esplodere.
Rogers si mosse, rapido, e raggiunse Collins. Tirò su il ragazzo ancora poco lucido per la botta presa e, trascinandoselo dietro, corse verso Bucky, che si stava rialzando dolorante dal pavimento. Lo aiutò senza indugi e gli affidò il moretto prima e lo scudo subito dopo.
Quando intuì cosa Steve avesse in mente, James allungò il braccio di metallo per afferrare una delle cinghie in cuoio dietro la sua schiena, ma le dita si strinsero attorno al vuoto e il biondo si allontanò da lui.
Il Capitano arrivò di fronte ad uno dei potenziati in avvicinamento, saltò e, una volta che la schiena fu in posizione parallela al pavimento, gli spiattellò le suole delle scarpe sul petto. Dopo averlo spinto via, cadde a terra ma, slanciando in avanti le gambe ed arcuando la schiena, tornò sulle gambe in un attimo e caricò a testa bassa la seconda bomba ad orologeria che si stava avvicinando. Buttò a terra il potenziato con una spallata degna di nota e infine tornò indietro, verso il terzo, che sentendolo arrivare spostò l’attenzione da James e Dan a lui e lo ingaggiò in uno scontro. La pelle del potenziato era ormai scintillante e Steve si impegnò a spingerlo indietro, abbastanza lontano da Barnes e Collins. Doveva assolutamente impedire che quegli ordigni ambulanti si trovassero troppo vicini a loro, nel momento in cui sarebbero saltati in aria.
Si diresse verso i compagni solo quando capì di non avere più tempo a disposizione. Gli altri due potenziati, che aveva spinto nella parte opposta della sala, si stavano trascinando verso di loro, ma erano lenti a causa della combustione che stava avvenendo all’interno dei loro corpi.
Rogers esitò nell’accorgersi della vicinanza del terzo nemico. Lo sguardo gli cadde sul monitor di un computer mezzo scassato che era a terra, ad un paio di passi da lui. Se ne impossessò e lo lanciò con forza contro il potenziato, riuscendo così a rallentarlo abbastanza da garantire che sarebbe esploso ad una distanza accettabile da Bucky e Dan.
 
“Steve!” lo richiamò a gran voce il suo migliore amico.
 
James sollevò lo scudo per proteggere se stesso e Dan, che spinse dietro di lui, ma rimase con il braccio metallico teso in avanti, rivolto in direzione del suo incauto fratello. Gli afferrò la mano e se lo trascinò addosso, dietro lo scudo.
Mentre si accovacciavano sulle ginocchia, per una maggiore copertura, Barnes avvolse istintivamente il braccio artificiale intorno le spalle di Steve, che invece posizionò le mani sul retro dello scudo, per conferirgli maggiore resistenza e stabilità contro l’imminente onda d’urto.
 
Quando i tre corpi si disintegrarono, assieme a quelli che erano su Hulk, l’esplosione fu talmente forte da far tremare l’intera base sotterranea.
Hulk ne uscì fuori praticamente quasi illeso e lo stesso si poté dire dei due super soldati e del giovane Collins dietro di loro.
 
Rogers portò una mano alla ricetrasmittente nell’orecchio sinistro e l’attivò.
“Sam, siete fuori?”
La risposta non si fece attendere.
“Affermativo, Cap. Cosa diavolo è successo là dentro?”
“Soliti fuochi d’artificio, ma stiamo bene. Arriviamo.”
 
A quel punto, il Capitano si alzò in piedi e si rivolse direttamente al gigante verde.
“Hulk, va’ fuori e controlla che nessuno ci sia sfuggito.”
L’ordine venne seguito praticamente all’istante.
 
“Ti capisce davvero?” chiese Barnes, mentre tornava anche lui in posizione eretta.
 
“Banner sta imparando a controllarlo sempre meglio e ...”
Rogers registrò un movimento in lontananza e scattò come una molla, correndo via senza esitare.
 
“Aspetta!” gli gridò James e fece per andargli dietro, ma lo squarcio sulla gamba glielo impedì e lo fece imprecare sonoramente. Lo scudo era ancora nelle sue mani e aveva intravisto anche lui la presenza in fondo al corridoio. Non era sicuro andare da soli, per nessuno di loro – Hulk escluso –, perché era evidente che tutto lì dentro fosse stato organizzato per farli fuori.
“Tu raggiungi l’uscita, ragazzo” disse allora, rivolto a Daniel.
“Ma…” provò a protestare il giovane, tuttavia quella protesta ebbe vita molto breve.
“Muoviti” fu l’ordine perentorio che ricevette e annuì come un automa, per poi eseguire.
 
Barnes strinse i denti e si mosse il più rapidamente possibile nella stessa direzione di Rogers.
 
 
Dopo averlo ricorso per buona parte dei corridoi della base, il Capitano trovò il soggetto in una piccola stanza dalle pareti metalliche, intento a frantumare il case di un computer fisso, posto su una lucida e nera scrivania. C’erano fogli stracciati sul pavimento e uno scaffale ribaltato, da sotto il quale si stava spandendo un liquido rosso scuro.
Il super soldato capì che l’uomo stava cercando di cancellare una probabile pista verso Lewis e intervenne, sperando che non fosse tardi. Gli saltò addosso e lo sbatté a terra e, nello schianto, il nemico sbatté la nuca calva sul pavimento. Gli assestò un pugno dritto sulla mascella e lo spedì così nel mondo dell’incoscienza.
Aveva il fiato corto, tuttavia l’udito fine gli permise di sentire un suono provenire dalla testa dell’uomo. Gli girò il capo e individuò la ricetrasmittente nel suo orecchio destro. Se ne impossessò e la portò nel proprio di orecchio destro.
 
“Siamo ancora in attesa di aggiornamenti, soldato.”
 
Quella voce era inconfondibile. Rogers trattenne il fiato.
 
“Soldato, rispondi.”
 
La distrazione del biondo fu tale da consentire al soldato di sbalzarlo indietro. Si rialzò abbastanza velocemente, ma l’uomo gli si appiccicò addosso, avvolgendolo in un abbraccio ferreo che gli bloccò le braccia lungo i fianchi. I loro volti finirono ad un palmo di distanza e Steve riuscì a percepire distintamente l’alito caldo dell’altro sul viso.
Il potenziato sorrise e la sua faccia iniziò a diventare incandescente, così come l’intero corpo stretto in una resistente divisa militare nera.
Il biondo fece forza sulle braccia, nel tentativo di liberarsi. In risposta, l’uomo lo sbatté contro una parete della stanza e serrò maggiormente la presa, arrivando ad incrociare le braccia dietro la schiena del ragazzo.
Steve poteva percepire distintamente il calore bruciante che proveniva dal corpo pressato contro il suo.
 
Alle spalle del potenziato sopraggiunse il Soldato d’Inverno, che lo colpì violentemente sulla nuca con il braccio di metallo, senza tuttavia ottenere il risultato sperato. Sembrava che l’uomo fosse diventato insensibile.
“Dannazione.”
James iniziò a provare un certo panico, mentre cercava in tutti i modi di staccare il potenziato da Steve. Se solo il biondo non fosse andato avanti senza di lui, adesso non si sarebbero ritrovati in quella situazione disperata.
Non poteva perderlo. Non così. Non davanti ai suoi occhi. Non adesso.
Utilizzò lo scudo in vibranio e si accanì sulla colonna vertebrale del potenziato, con tutta l’intenzione di spezzarla. Poi gli venne un dubbio che lo gelò sul posto.
 
“Cosa succede se lo ammazzo?” domandò con il fiato corto, rivolto a Steve.
 
“Non lo so! Allontanati!” gli gridò di rimando il compagno.
 
“Scordatelo!”
 
Un affilato coltello venne spinto nel fianco del potenziato e gli sguardi dei due super soldati si fissarono sulla figura di Collins, che aveva ben pensato di non seguire l’ordine ricevuto.
Non ci fu tempo per i rimproveri e, quando nemmeno il buco nel fianco riuscì a smuovere l’uomo, Rogers si costrinse a fare un ultimo grosso sforzo. Utilizzando le gambe come perno, fece in modo che lui e il potenziato eseguissero una rotazione abbastanza violenta, da spingere fuori dalla stanza sia Dan che Bucky, la cui gamba ferita cedette, facendolo cadere a terra di schianto.
Steve trascinò di forza l’uomo il più lontano possibile, rinunciando a sottrarsi alla stretta.
Il potenziato divenne luminescente e James gridò forte il nome del compagno, i cui occhi azzurri incontrarono i suoi per un istante, prima di serrarsi istintivamente in vista dell’esplosione.
 
Solo che non ci fu alcuna esplosione.
Il potenziato smise di brillare e la sua presa sul super soldato venne improvvisamente meno.
Steve lo osservò scivolare a terra, mentre tentava vanamente di aggrapparsi a lui, finché non finì steso ai suoi piedi, morto.
Il biondo non si mosse e mantenne lo sguardo fermo sul corpo inanimato dell’uomo.
 
“Perché diavolo sei andato avanti da solo, stupido incosciente?” sbottò James, rompendo il silenzio tombale che era venuto a crearsi. Si rialzò in piedi con fatica e Steve percorse la distanza che li separava per offrirgli un appoggio.
 
“Non ho avuto scelta” si giustificò il Capitano.
 
Barnes si irrigidì e dalla sua espressione svanì completamente il sollievo, che fu rimpiazzato da una rabbia a stento trattenuta.
“Ce l’avevi invece e il fatto che tu non te ne sia reso conto mi fa incazzare.”
 
“Ho fatto quello che andava fatto. Sono in grado di badare a me stesso. Non ho più bisogno della tua protezione.”
Doveva essere stato lo stress dovuto all’essere quasi morto, o all’aver quasi trascinato nella fossa con sé Bucky, che continuava a proteggerlo a costo di finire ammazzato, come sul treno settant’anni prima. Fatto stava che Steve si pentì di ciò che aveva detto nel momento stesso in cui lo disse.
 
“Buck, io …”
 
La reazione di James fu impulsiva e violenta. Le dita di metallo si chiusero sui ciuffi biondi della nuca del compagno e, quando lo strattonò, le fronti quasi finirono per collidere e a separare i loro volti rimase una distanza irrisoria. Quel gesto fece rimanere il biondo senza respiro.
Barnes si specchiò negli occhi chiari e spalancati dinanzi ai propri e cercò di controllare l’impulso di smettere di usare le buone ed iniziare con le cattive, al fine di far capire almeno un paio di cose allo stupido incosciente che possedeva l’eccezionale talento di finire nei guai.
 
“Se ciò che vuoi fare è trovare un bel modo per ammazzarti, allora sappi che non sarò tuo complice in questo. Mi sta bene combattere insieme. Mi sta bene morire insieme. Ma questo... non posso sopportarlo.”
Le iridi di Barnes erano gelide e Rogers ebbe l’impressione di rivedere in esse il Soldato d’Inverno che aveva affrontato un anno prima.
“Rischia ancora in modo così sconsiderato la tua vita, come se non valesse niente, e giuro che, se sopravvivi, ti farò rimpiangere di non essere morto.”
James lo lasciò andare e si allontanò da lui, dandogli le spalle.
 
Guardandolo zoppicare vistosamente, Steve tentò avvicinarsi per aiutarlo, ma lo sguardo tagliente che ricevette fu sufficiente a farlo desistere.
 
“Ti consiglio di starmi lontano per un po’.”
Quelle parole stroncarono ogni tipo di possibilità di approccio e Barnes si allontanò definitivamente.
 
Rogers era talmente fuori fase in quel momento, da non accorgersi che Dan gli stava tendendo lo scudo, almeno finché il giovane non lo richiamò con voce poco ferma.
“Ti ringrazio, Collins.”
Prese il cerchio in vibranio dalle mani del moro e lo fissò sulla schiena.
 
“Mi dispiace non essere stato in grado di aiutare. Sono contento che lei stia bene.”
 
Steve rimase alquanto spiazzato e vide nello sguardo cristallino di Daniel lo sconforto, la paura e il sollievo mescolati assieme.
“È stata colpa mia. E tu avresti dovuto essere fuori da qui.”
Quello non fu un vero e proprio rimprovero, ma più una constatazione.
 
“Mi dispiace. Volevo solo essere d’aiuto.”
 
Da quando Steve Rogers era arrivato nel ventunesimo secolo, Daniel Collins ne aveva fatto il proprio punto di riferimento. Il giovane agente era entrato nello SHIELD quattro anni addietro, all’età di ventuno anni, e aveva lavorato per l’organizzazione fino al crollo del Triskelion. Come era accaduto a Sharon, aveva trovato un posto alla CIA, ma non era la stessa cosa e puntava a tornare tra le file del nuovo SHIELD, non appena ne avesse avuto la possibilità.
Dan ricordava ancora l’eccitazione provata quando Capitan America si era unito allo SHIELD. Aveva avuto la possibilità di incrociarlo per i corridoi del Triskelion e, sporadicamente, lo aveva osservato con discrezione allenarsi nella palestra posta a disposizione degli agenti. Ovviamente, non aveva mai partecipato ad una missione assieme a lui, a causa della differenza di livello.
Poi c’era stato il casino con l’Hydra e Dan non aveva creduto nemmeno per un secondo che il Capitano potesse essere un traditore, quando Pearce lo aveva dichiarato tale. Allo stesso modo, si era rifiutato di credere alle accuse di Benson contro i Vendicatori.
Riportò alla mente il giorno del lancio degli Helicarrier legati al progetto Insight. Ricordava ogni parola pronunciata da Capitan America in quell’occasione e non aveva avuto dubbi su cosa fare e contro chi combattere.
Il compito di dover sorvegliare i Vendicatori era stata la prima vera occasione di conoscerlo più da vicino, di potergli rivolgere la parole e adesso era lì, dinanzi a lui, e riusciva a intravedere la sua parte più umana e vulnerabile, al di là del soldato inarrestabile. E non poteva che provare una maggiore ammirazione nei suoi confronti.
Dan voleva diventare più forte e combattere al fianco del super soldato. Non gli importava quanto difficile sarebbe stato. Avrebbe dato tutto sé stesso.
 
“Posso chiederti un favore?” gli chiese Rogers, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
 
“Tutto quello che vuole, Capitano Rogers.”
 
“Steve. Chiamami Steve. E dammi del tu.”
 
Lo sguardo di Dan si illuminò.
“Oh, la ringrazio...  cioè volevo dire grazie.”
 
Steve, suo malgrado, sorrise.
“Aiuteresti James Barnes al mio posto? Come avrai sentito, io non posso farlo.”
 
“Lasci… lascia fare a me. Può… puoi contare su di me.”
Collins sollevò il pollice e, contemporaneamente, si diede dello stupido per il modo traballante che stava usando per esprimere semplici concetti. Si sentì meno stupido, solo quando si accorse di aver strappato una fievole risatina al Capitano.
“Da dove vieni, ragazzo?” domandò il biondo, curioso.
“Brooklyn” disse con un certo orgoglio il moretto e, prima di correre in direzione di James, mise su un sorriso a trentadue denti.
 
Rimasto solo, Steve respirò profondamente un paio di volte.
 
“Non c’è di che, ragazzo.”
 
Sobbalzò nell’udire quella voce e si ricordò della ricetrasmittente nell’orecchio destro.
 
“Sarebbe stato un grosso spreco se quell’esplosione ti avesse ridotto in pezzi carbonizzati. Non avresti dovuto essere lì oggi.”
 
“Lewis ...”
 
La linea fu troncata e un fischio fastidioso costrinse Steve a cacciarsi dall’orecchio la ricetrasmittente.
Fu la prima volta che Adam Lewis non riuscì a fargli saltare i nervi, come si divertiva a fare ogni volta che avevano una interazione. Era troppo esausto perché la rabbia potesse prendere il sopravvento. Si sentiva svuotato e pensò che se Bucky gli avesse tirato un pugno – con il braccio di metallo – dritto in faccia, avrebbe sicuramente fatto meno male.
Stava davvero dando poca considerazione alla propria vita? Okay, a volte agiva d’istinto e poi utilizzava la ragione per uscire e risolvere qualsiasi situazione si ritrovava ad affrontare. I rischi inevitabili facevano parte del percorso che aveva scelto di seguire e mettere in gioco la vita era parte del gioco.
Allora dove sbagliava? Era pronto a morire ed era per questo che riusciva a lanciarsi nel mezzo di cose molto più grandi di lui, senza esitazione.
Smise di pensare e si mosse anche lui in direzione dell’uscita, consapevole che avrebbe dovuto affrontare una tempesta una volta fuori, perché gli Avengers avevano rotto le regole e avevano agito senza autorizzazione.
Sperò che venisse preso in considerazione il fatto che si era trattata di un’emergenza.
 
 
“Ehi Cap, aspettavamo solo te.”
 
Tony lo accolse con un mezzo sorriso. Era in piedi sulla rampa abbassata del Quinjet, al cui interno c’erano già tutti gli altri Avengers e il giovane Collins, a cui avrebbero dato un passaggio fino alla Tower.
Gli agenti dello SHIELD avevano invece i loro mezzi ed erano già in procinto di partire.
 
“Ho sentito Fury. È alla Tower e non ha parlato molto bene della compagnia.”
 
Rogers sospirò molto profondamente e lanciò un’occhiata furtiva alla figura di Bucky, steso sul letto metallico del jet e supervisionato da Banner, che si era coperto con una larga felpa grigia dotata di cerniera.
“Posso immaginare. Non perdiamo altro tempo allora.”
 
Steve fece per superare Tony, ma lui lo bloccò premendogli una mano sul petto.
“L’ho gestita male. Mi dispiace, Cap.”
Il biondo scosse il capo e diede una stratta amichevole alla spalla destra del compagno.
“Non preoccuparti. Gli Avengers dovrebbero avere libertà di manovra e odio il fatto che non sia così.”
 
“Tu mantieni la calma, okay? Quello che è successo oggi non cambierà nulla. È stata un’emergenza.”
 
“Sono calmissimo.”
 
“Bravo il mio ragazzo.”
 
 
 
 
֍
 
 
 
 
“Ma che squisito comitato di accoglienza.”
 
Tony sondò le presenze che riempivano la Sala Comune e prese un profondo respiro. C’erano Thunderbolt ed Everett Ross ovviamente. Nick Fury era affiancato da Maria Hill e c’era anche Sharon in un angolo della stanza. Clint, Natasha e Anthea erano vicini e le loro espressioni non erano affatto rassicuranti. In particolare, se lo sguardo avesse potuto uccidere, la ragazzina avrebbe spedito già da un pezzo Henry Benson all’altro mondo.
 
“Dov’è James Barnes?” chiese immediatamente Everett, notando l’assenza del Soldato d’Inverno.
 
“Sta ricevendo assistenza medica.”
Non ci fu una replica sull’attestazione di Stark, dato che il tono e l’espressione del miliardario suggerivano, poco gentilmente, di spostare l’attenzione altrove.
 
“Credo sappiate perché siamo qui” disse allora Thunderbolt Ross, mentre li invitava con un eloquente gesto della mano a farsi avanti.
 
Nonostante non fossero ancora riusciti a scovare Lewis, gli Avengers sembravano aver recuperato un piccolo margine di tranquillità nell’ultimo mese. In diverse missioni, erano riusciti a trovare file che contenevano dati su Teschio Rosso e sui suoi movimenti dal giorno in cui era riuscito a rimettere piede sulla Terra. Dagli stessi file erano venuti fuori diversi nomi, relativi a coloro che lo avevano appoggiato e, come diretta conseguenza, i piani alti avevano subito diversi riassestamenti.
Su Ross, divenuto da poco ufficialmente Segretario di Stato, c’era stata la conferma del fatto che, come da lui stesso dichiarato, non sapesse nulla dell’implicazione dell’Hydra nel progetto sui nuovi super soldati. Era sempre stato attratto dalla possibilità di ottenere un siero che potesse competere e superare quello che Erskine aveva portato con sé nella tomba ed Henry Benson, questa possibilità, gliela aveva offerta su un piatto d’argento. Ross aveva accettato senza accertarsi in cosa si stesse realmente cacciando, fidandosi di un uomo che, con gli anni, aveva acquisito sempre maggior potere all’interno delle agenzie governative e che, su carta, non era mai stato implicato in losche faccende. Aveva decisamente peccato di ingenuità e si era fatto raggirare, accecato dalla possibilità di avere un personale esercito di potenziati pronti a combattere per il Paese e a seguire i suoi ordini, ma non aveva mai avuto intenzione di aiutare o appoggiare l’Hydra.
Tuttavia, da quel che era emerso da un file riportante la lunga lista degli individui che l’Hydra aveva plagiato tramite lo Scettro di Loki, Henry Benson appariva come una vittima del caso, dunque Ross aveva deciso di prolungare la collaborazione con l’uomo, mantenendo però una certa diffidenza, giusto per non commettere lo stesso errore per due volte di fila.
Benson sapeva il fatto suo, quando si trattava di gestire situazioni complicate, sapeva essere scaltro e, in un modo o nell’altro, riusciva ad ottenere ciò che voleva. Per questo era spesso richiesto ai piani alti.
Da quando la battaglia contro Teschio Rosso si era conclusa, Ross si era impegnato a ripristinare quanto più possibile le normali condizioni di ordine e sicurezza e a mantenere un certo controllo sulla cosa maggiormente incontrollabile e pericolosa, ovvero la squadra che Nick Fury aveva creato anni prima e che adesso si ostinava a proteggere a spada tratta, come se i Vendicatori avessero bisogno di protezione.
Era Benson che gestiva la faccenda sul mantenere un controllo che altrimenti a Ross sarebbe sfuggito di mano. Ogni scusa, impacchetta in forma di una sfacciata clausola burocratica, era buona per mantenere lo stato di arresti domiciliari, tramite il quale era possibile monitorare costantemente gli Avengers. Certo, era stato necessario allentare la presa su alcuni punti, ma sia Benson che Ross erano stati disposti a pagare un piccolo prezzo, pur di continuare a controllarli.
Intanto, grazie alle competenze che gli erano riconosciute e grazie alla veridicità acquisita dalla sua testimonianza sull’essere stato sottoposto al lavaggio del cervello, Henry Benson era riuscito ad ottenere il controllo sul Consiglio Mondiale della Sicurezza.
Quando gli Avengers erano venuti a conoscenza di ciò, si era generata una tale tensione da far temere una brusca rottura degli equilibri. Poi la tensione era venuta meno, sostituita da un incremento delle azioni sul campo ai danni dell’Hydra.
Era evidente che i membri della squadra cercassero in ogni modo di evitare di rompere le regole e gli accordi presi con Ross e il Consiglio. Ed era stato così per mesi, perché non c’era mai stata una ragione sufficientemente buona a spingerli verso la scelta di spezzare le invisibili catene che impedivano loro di prendere decisioni e di muoversi, senza dover chiedere prima il permesso a coloro che si erano eletti come loro supervisori.
Poi, però, la ragione era arrivata, forte e chiara.
 
“Ross, quello che ...”
 
“Non sia così precipitoso, Rogers” lo fermò Benson, che sembrava avere tutta l’intenzione di essere una spina nel fianco.
Avevano in mano una eclatante motivazione che avrebbe giustificato l’uso del pugno di ferro contro i Vendicatori ed Henry non era disposto a lasciarsi scappare una tale succosa occasione.
 
“No, va bene. La ascolto, Capitano.”
Sorprendentemente, Ross decise di venire in contro agli Avengers. Sapeva bene che, se loro avessero deciso di prendere posizione contro di lui tutti insieme, non avrebbe avuto molte speranze di vincere. C’era da considerare anche che Nick Fury e lo SHIELD sarebbero stati dalla loro parte e che, probabilmente, non sarebbero stati i soli.
 
“Si è trattato di un’emergenza e c’erano delle vite in gioco. Non abbiamo avuto scelta.”
 
Ross si era aspettato un primo approccio del genere, perciò sapeva già come rispondere e sapeva anche che le sue parole non sarebbero state troppo apprezzate, ma nemmeno sarebbero state motivo di immediata rivolta.
“Sa, Capitano, è proprio questo che mi preoccupa. Quando voi lo credete opportuno, agite senza alcun controllo. Se io ci passassi sopra oggi, sono certo che il problema si ripresenterebbe non appena voi riterrete indispensabile un altro vostro intervento. Non prenderò decisioni adesso e sono disposto a valutare in modo più approfondito la questione, per darvi prova che non nutro completa sfiducia nei vostri confronti. In ogni caso, dovete tenere bene a mente che ogni singola vostra azione ha un grosso peso. Avete creato il panico a Seattle e danneggiato l’aeroporto.”
Lì guardò tutti, uno ad uno, poi tornò a posare l’attenzione su Rogers, come se si aspettasse una qualche tipo di replica. Non sbagliò.
 
“L’aeroporto era stato evacuato, altrimenti non avrei agito come ho agito. Non chiederemo il permesso, non quando ci sono in gioco delle vite. E non ho intenzione di chiedere scusa per quanto successo oggi.”
 
“Nessuno di noi ha intenzione di farlo” aggiunse Tony, con ferma convinzione, dando man forte al compagno.
 
“Bene. Lo terrò presente. Non mi sarei aspettato diversamente. Mi farò sentire presto.”
Ross si congedò e, senza ulteriori indugi, abbandonò la Sala Comune, lasciando che del resto si occupasse Everett.
 
Benson si mostrò alquanto infastidito dal fatto che Ross non si fosse imposto come avrebbe dovuto, facendo sfumare l’opportunità di prendere provvedimenti vantaggiosi. Per un attimo, perse la compostezza e assottigliò lo sguardo, fisso sulla sua ossessione dagli occhi azzurri. Gli passarono per la testa diversi modi che avrebbe potuto utilizzare per fargli abbassare la testa e ci pensava dal giorno in cui quel demonio gli aveva sottratto la possibilità di renderlo finalmente obbediente.
A quanto pareva, nemmeno mesi di limitazioni su ciò che poteva o non poteva fare erano serviti a renderlo più malleabile, ma Henry non ne era affatto stupito, anzi, sapeva bene che con lui avrebbero funzionato solo le maniere forti.
Fece per muoversi verso il super soldato, intenzionato a ricordargli in modo sottile di stare al suo posto, ma fu freddato da un sussurro gelido e tagliente.
 
“Non osare avvicinarti a lui.”
 
Henry non ebbe bisogno di voltarsi per capire chi fosse alle sue spalle. La voce di quel demonio se la ricordava estremamente bene, nonostante fossero passati mesi.
Fu in quel momento che ebbe un’idea. Poteva sfruttare la distrazione generale.
I Vendicatori e Fury stavano prestando attenzione ad Everett. Inoltre, fra agenti della CIA e alcuni dei suoi uomini, Benson aveva abbastanza copertura per poter giostrare il tutto, senza attirare troppo l’attenzione.
La ragazzina lo aveva tenuto sotto controllo dal momento in cui aveva messo piede lì dentro ed era evidente che non gradisse minimamente la sua presenza lì.
“Altrimenti?” la istigò dunque, fronteggiandola e, al tempo stesso, mantenendo un tono tranquillo e sottile.
Il confronto che aveva avuto con lei, mesi prima, gli aveva fatto capire che la ragazza tendeva a perdere la calma abbastanza facilmente, quando si toccavano i tasti giusti. Se l’avesse spinta a reagire, a compiere un’azione avventata, allora ci sarebbero stati risvolti interessati e Ross avrebbe smesso di comportarsi da cauto rammollito. La ragazzina aveva già uno sguardo che faceva venire i brividi. Doveva però tenere a mente di non tirare troppo la corda, perché alla vita ci teneva.
“Nessuna risposta tagliente o minaccia di morte?” le domandò, dato che era rimasta in silenzio. Doveva essersi esercitata sull’autocontrollo. Si era aspettato una reazione immediata.
“So cosa stai cercando di fare. Credi che sia tanto ingenua?”
Benson non si lasciò scoraggiare. Aveva appena iniziato a giocare con lei ed era certo che sarebbe riuscito a smuoverla.
“No, affatto. Ecco perché i tuoi avvertimenti non hanno alcun effetto. Sono solo parole di una ragazzina instabile.”
“Non sono instabile. Io ...”
“Oh, ho capito. Sei frustrata. Capitan America non sa scoparti a dovere?”
 
Benson ghignò nel vederla irrigidirsi e vacillare. Sapeva che tasti premere e come premerli e la cosa lo divertiva parecchio. Spingere le persone proprio dove voleva lui era un qualcosa che gli era sempre riuscita bene, se non si contavano rari casi.
‘Avanti, demonio, reagisci’ pensò con folle entusiasmo.
 
Quel momento di tensione si infranse in un singolo istante ed Henry si ritrovò a dover sostenere lo sguardo fermo di Capitan America, la cui mano destra era adesso poggiata sulla spalla sinistra della Reyes.
“Va tutto bene?” chiese il super soldato, sforzandosi di non mostrarsi teso e incazzato per il semplice fatto che Benson fosse dinanzi a lui, con in faccia l’espressione di chi è stato interrotto proprio sul più bello.
 
“Sì, è tutto okay.”
Anthea rilassò le spalle e distolse lo sguardo dall’uomo, spostandolo sul compagno al suo fianco.
 
Peccato che l’intenzione di arrendersi non avesse nemmeno sfiorato Benson, che decise di continuare a premere tasti delicati, senza alcuna remora. Era lui che aveva il coltello dalla parte del manico e non era disposto a trattenersi dall’affondare il colpo.
“Non appena sarà disponibile, vorrei discutere con lei in privato, Capitano.”
 
Ogni singolo muscolo dell’oneiriana ebbe prima uno spasimo e poi una contrazione a cui non seguì un rilascio.
“Se lo può anche scordare” sibilò freddamente e le dita di Rogers, ancora ferme sulla sua spalla, rafforzarono la presa, tanto che sarebbe stato possibile vedere la pelle sbiancare sotto i polpastrelli se lei non avesse indossato la maglietta.
 
“Se deve dirmi qualcosa, può farlo anche adesso. I miei compagni lo verrebbero a sapere in ogni caso.”
 
Buona replica, ma Henry si era già portato un paio di passi avanti.
“So che voi Avengers siete alquanto fuori strada. Potrei avere delle informazioni che sono disposto a condividere solo se mi concedi un incontro a tu per tu.”
La formalità era sfumata e non era accaduto per errore, ma per volontà.
Benson tirò fuori dalla tasca del completo nero un bigliettino e lo porse al Capitano.
“Qui c’è il mio contatto e l’indirizzo del mio ufficio a Washington.”
Steve esitò per un istante, prima di afferrare il biglietto con visibile reticenza.
“Da solo” sibilò allora l’uomo, fissando gli occhi piccoli e scuri in quelli chiari del super soldato. Sembrava lo stesse sfidando, ma stavolta Rogers non era certo che accettare quella sfida fosse la cosa giusta da fare.
 
“Rischia ancora in modo così sconsiderato la tua vita, come se non valesse niente, e giuro che, se sopravvivi, ti farò rimpiangere di non essere morto.”
 
Benson dovette accorgersi di non essere stato abbastanza convincente e decise di dare un’ultima spintarella al ragazzo, in modo da essere certo che non avrebbe potuto rifiutare.
“Ultimamente ho il caso di James Barnes fra le mani e la linea che lo separa dalla gogna è molto sottile. Non vorrei dover prendere una decisione spiacevole per...”
 
Fu improvviso ed inaspettato. Il chiacchiericcio nella stanza venne freddato in un singolo istante e ciò consentì a tutti di sentire perfettamente il suono del sedere di Benson che impattava sul pavimento, mentre un fiotto di sangue spruzzava dal suo naso. Gli uomini della CIA accorsero in aiuto dell’uomo.
Everett, invece, non sembrò molto stupito dall’accaduto. Da quando gli era stata affidata la sorveglianza dei Vendicatori, aveva avuto il fiato di Benson addosso e aveva avuto a che fare con i suoi metodi di persuasione, volti a indirizzarti sulla strada che lui aveva scelto per te. Everett aveva imparato che l’unico modo per toglierselo di torno era dargli l’impressione di seguire quella strada. In diverse occasione lo avrebbe volentieri mandato a farsi fottere, ma avrebbe rischiato di essere affossato, quindi aveva deciso di evitare.
Rogers, invece, lo aveva mandato a farsi fottere in modo alquanto plateale e a Everett venne da pensare che Benson se l’era cercata, considerando che il Capitano aveva collaborato senza dare troppi problemi e senza imporsi più del necessario per interi mesi.
Ross iniziò a credere che le accuse che Rogers aveva mosso contro Benson tempo prima fossero tutt’altro che dovute a fraintendimenti sulla condizione mentale dell’uomo, ma finché non avessero trovato prove sufficientemente incriminanti, non era possibile fare granché.
Cosa dovesse fare adesso, Everett non lo sapeva, o meglio, lo sapeva, ma non era molto convinto che sarebbe stata la cosa giusta da fare, senza contare che essere in mezzo agli Avengers e muoversi contro uno di loro non sarebbe stata una mossa troppo saggia.
 
Henry, una volta in piedi, scacciò via con rabbia gli agenti che lo stavano sostenendo. Fissò lo sguardo infuocato sul super soldato e gli puntò contro il dito.
“Ritieniti fottuto, Rogers” gli sputò addosso, mentre teneva il dorso della mano premuto contro il naso, da cui continuava a colare sangue.
 
“Se non lo avesse fatto lui, lo avrei fatto io stesso.”
 
L’attenzione di tutti i presenti si spostò repentinamente sulla persona che aveva parlato e che era rimasta in disparte fino ad allora, non troppo distante da dove si trovavano Benson e Rogers.
Banner, che aveva un diavolo per capello e un’espressione tanto scura da provocare seria ansia per ciò che sarebbe potuto accadere, venne avanti verso il centro della Sala.
 
“Invito gentilmente tutti coloro che sono qui per conto del Governo a sparire seduta stante, perché comincio a perdere la calma.”
Gli occhi di Bruce scintillarono di un verde intenso e ipnotizzante. Non stava lasciando molta scelta ai presenti e i suoi compagni non sembravano essere turbati dalla cosa.
 
“Accompagnate il signor Benson in ospedale” ordinò allora Everett ai suoi uomini e poi si rivolse direttamente ai Vendicatori.
“Voglio venirvi in contro, sulla base della vostra buona condotta degli ultimi mesi. Niente rigidi controlli fino a domani mattina, ma in cambio nessuno di voi abbandoni la Tower.”
Non attese risposta. Scambiò un rapido sguardo con Fury e poi si mosse verso l’ascensore, seguito a ruota da Benson, che sembrava aver perso la voglia di inveire e il pallore era segno che stesse sentendo parecchio dolore.
 
Sharon e Dan furono costretti a seguire Everett, ma la Carter, prima di andare, fece in modo di passare di fianco a Rogers.
“Come sta?” chiese in un sussurro appena udibile.
“Sta bene, non preoccuparti” fu la risposta del biondo, che le dedicò un mezzo sorriso teso.
“Se riesco a capire cosa hanno intenzione di fare, ti avviserò” gli disse con ferma convinzione.
“Grazie, ma sta’ attenta.”
 
Solo Fury e la Hill rimasero nella Sala, in cui l’atmosfera non si era ancora del tutto alleggerita.
“Beh, questa la definirei ordinaria amministrazione, dato che siete voi. Solo, evitate di fare troppo casino, almeno per le prossime ore.”
Fu così che Nick si congedò. Aveva previsto che, presto o tardi, gli equilibri sarebbero stati messi a dura prova e ancora si chiedeva come avessero resistito per così tanto tempo.
 
Una volta rimasti soli, gli Avengers rimasero in silenzio per qualche minuto, come per raccogliere idee e pensieri. Fu Banner a sbloccare quel momento.
“Sapete bene che non sono mai stato d’accordo con l’avere a che fare con il Governo. Sono mesi che Ross controlla le nostre vite e i nostri spostamenti. Secondo voi, perché non troviamo Adam Lewis?”
Fece una pausa e guardò in faccia tutti i suoi compagni.
“Perché lui sa cosa faremo e quando lo faremo. E lo sa perché ci sono ancora in circolazione persone che lo supportano, dato che noi non abbiamo potuto sistemarle a dovere. Sono stanco di sottostare a tali condizioni. Qualsiasi decisione Ross prenderà, non sarà buona. Tutta l’accondiscendenza mostrata stasera mi puzza e non poco.”
Cadde di nuovo il silenzio. Poi il dottore parlò ancora.
“Siamo tutti stanchi e stressati adesso e non è il caso di portare avanti questo discorso, ma tenete a mente che, prima o poi, saremmo costretti a prendere una decisione più drastica. E Steve?”
L’interpellato fissò gli occhi azzurri in quelli scuri del compagno e attese.
“Quello che è successo non cambierà niente, credimi. A Ross interessa ben altro e sa che cosa significherebbe tirare troppo la corda con noi, arrivati a questo punto. Barnes può ritenersi al sicuro e puoi farlo anche tu. Se decidessero, e sono certo che non oseranno, di venire a prendere uno di noi, sarò io stesso a sbarrare loro la strada.”
 
“Penso che tu sia appena riuscito a commuovermi.”
Se c’era una persona capace di smorzare la tensione, quella era Tony, che però era rimasto sinceramente colpito sia da come Bruce aveva reagito prima, sia da ciò che stava dicendo adesso.
“Difenderci è giusto. Ma eviterei di attaccare per il momento” volle solo sottolineare l’inventore.
 
“Niente da ridire su questo” confermò Banner.
 
Non ci fu altro da aggiungere. Bastò scambiarsi qualche sguardo, per capire come ognuno di loro la pensasse a riguardo e fu confortante rendersi conto di viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda.
La Sala Comune si svuotò a poco a poco, finché non rimasero solo Tony, Steve e Anthea.
Prima di andare, Stark decise che era giusto fare almeno un appunto su quanto era accaduto poco prima, dato che l’intervento di Banner ne aveva completamente smorzato gli effetti.
“Buonanotte, Capitan Sono-Calmissimo America. Buonanotte, Anthea.”
 
“Buonanotte, Tony. E grazie per aver rigirato il coltello nella piaga, quando nessuno l’aveva fatto” fu la fin troppo pacata risposta di Steve, mentre la ragazza cercava di non ridere.
 
“Non c’è di che.”
Dopo aver rivolto al Capitano un sorrisetto divertito e comprensivo al tempo stesso, Tony sparì oltre le porte dell’ascensore. Quello del super soldato non era stato un gesto molto furbo, ma l’inventore non poteva biasimarlo, soprattutto perché avrebbe fatto lo stesso, quasi sicuramente.
 
 
“Vado a vedere come sta James. Vieni con me?” propose, ad un certo punto, Anthea.
Steve non rispose subito come lei si sarebbe aspettata. Eppure, quella non era una domanda difficile e la ragazza non capì il motivo di tutta quella esitazione. Lo osservò aprire e chiudere la bocca un paio di volte, prima che si decidesse a parlare.
 
“Io devo... sistemare una... faccenda... con Sam.”
Rogers non era affatto sicuro su cosa fosse giusto fare. Bucky era stato categorico sul fatto di non volerlo avere intorno.
 
“Nessuno ti ha mai detto che fai pena a mentire?”
 
“Sì, qualcuno l’ha fatto.”
Il biondo abbassò il capo e sospirò.
 
“Fammi indovinare. Non vuoi parlarne.”
 
Steve tornò a guardarla e notò una sfumatura di tristezza nella sua espressione rassegnata.
Oltre che un pessimo bugiardo, era anche pessimo nel condividere ciò che lo faceva stare male. Aveva sempre preferito tenere per sé i propri fardelli, per non farli ricadere sugli altri, tanto più se questi altri erano persone a cui teneva.
Tuttavia, tenendola fuori da ciò che lo impensieriva, finiva per ferirla e adesso se ne stata finalmente rendendo conto. Lei lo rispettava e, se le questioni in ballo erano serie, non si era mai azzardata a intrufolarsi nei suoi pensieri, nonostante avrebbe potuto farlo in ogni momento.
Steve sapeva di poter contare su Anthea, sapeva che lei era sempre pronta ad aiutarlo e a sostenerlo. Doveva solo lasciarsi andare un po’ di più con lei, soprattutto considerando quanto gli fosse stata vicina in quei mesi e quanto la sua presenza lo avesse aiutato a recuperare un certo equilibrio.
 
“Bucky ed io abbiamo discusso. Mi ha chiesto di stargli lontano per un po’.”
 
Anthea non riuscì a trattenere la sorpresa dinanzi all’aprirsi spontaneo di Steve. E tale sorpresa fu amplificata dal fatto di aver appena sentito che Bucky e Steve avevano litigato, cosa che non credeva fosse possibile. Si ricompose il più possibile, ma non riuscì a liberarsi della stretta allo stomaco che lui le aveva provocato decidendo di parlarle, senza che fosse lei a spingerlo a farlo.
“Cosa è successo?” gli chiese, mentre si avvicinava a lui. Gli si fermò di fronte, a un passo di distanza, e attese con pazienza.
Steve le raccontò cosa era accaduto e cercò di essere il più obiettivo possibile.
 
“Vuoi che sia spietatamente sincera o solo sincera?” domandò la ragazza, una volta che lui ebbe finito.
“La prima va bene.”
Steve le sorrise fievolmente.
 
“Coraggioso. Tornando seria, credo che il brutto momento che avete passato vi abbia spinto a dire cose che, in un certo senso, pensate, ma sono venute fuori nella maniera più sbagliata. Tu non vuoi che lui muoia per te, come è già successo, però lo vuoi al tuo fianco. Siete disposti a sacrificarvi l’uno per l’altro e questo è bellissimo ma anche spaventoso, perché potreste essere l’uno la causa del dolore dell’altro. Quando lo hai perso la prima volta, credendo fosse morto, cosa hai provato?”
Anthea lo osservò passare nervosamente una mano fra i capelli e le iridi più azzurre divennero più lucide.
 
“Ero distrutto.”
 
“Lui si sentirebbe allo stesso modo, Steve. Per questo ha reagito così. Vederti rischiare tanto anche quando potresti rischiare meno fa male, fa dannatamente male.”
Da quel momento in avanti, la ragazza non seppe più troppo bene se stesse parlando di James o di se stessa. Probabilmente di entrambi.
“Ti seguirebbe ovunque e lo sai, anche nelle situazioni più disperate e anche sapendo che entrambi rischiereste la vita. Non ti ostacolata, anzi, tutto il contrario. Ciò che ti chiede è solo di dare più peso alla tua vita. Se muori, porti con te una parte di lui e quel vuoto non potrà mai riempirlo nessun altro e tu sai che è così. Se fossi morto oggi e in quel modo…”
Anthea esitò, realizzando solo allora, fino in fondo, ciò che era accaduto e ciò che sarebbe potuto accadere.
“Lui non se lo sarebbe mai perdonato. Questo lo ha fatto scattare. Sei disposto a sacrificare te stesso e questo ti fa onore, ma non puoi pretendere che coloro che ti amano siano disposte ad accettare la cosa, perché preferirebbero morire che vederti morire e… scusami, sono uscita un po’ fuori dalle righe… cerca solo di pensare un di più alle conseguenze delle tue azione, anche se sei in buona fede, e scusati per la cavolata che gli hai propinato senza troppi complimenti, perché tu hai bisogno di lui o non ti saresti dannato tanto per riaverlo al tuo fianco, una volta scoperto che era ancora vivo.”
La giovane sorrise e poi, senza alcun preavviso, lo abbracciò, circondandogli i fianchi con le braccia. Il biondo ricambiò l’abbraccio e la ascoltò respirare a fondo un paio di volte.
Fu lei a sciogliere il contatto e lo guardò dritto negli occhi.
“So che questa per te è una battaglia personale. Ma lo hai detto tu più volte che è insieme che siamo imbattibili.”
 
Rogers si limitò ad annuire, perché non aveva nulla da dire. Lei aveva ragione.
“Dove vai?” le chiese, quando si accorse che era in procinto di allontanarsi.
 
“A vedere come sta James. Tu va’ a darti una sistemata. Forse è meglio lasciarlo tranquillo per il momento. Ha avuto una brutta giornata.”
 
“Credo che tu abbia ragione. Grazie.”
 
“Non devi ringraziarmi, ma apprezzerei se volessi parlare con me qualche altra volta, in caso tu abbia un problema. Va’ a riposare adesso. A domani.”
 
Steve la osservò andare via, ma poi il cervello registrò anche l’ultima parte di ciò che lei le aveva detto.
“Non ci vediamo dopo?”
 
La ragazza arrestò il passo e si voltò verso di lui.
“Preferisco lasciarvi i vostri spazi. Però prometto che accorrerò se inizierete a picchiarvi.”
 
“Oh, okay. Va bene.”
 
“Che c’è? Sentirai la mia mancanza?” lo prese bonariamente in giro.
 
“Sta’ attenta a non spaventare Sam, piuttosto. Non è abituato a presenze estranee durante la notte.”
 
Anthea rise e scosse il capo. Senza ulteriori indugi, lo salutò scuotendo una mano a mezz’aria e si diresse verso l’infermeria.
 
 
 
 
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Si era fatto una doccia e, accertatosi di non avere nulla di rotto tastando con fare random i vari lividi a portata di mano, aveva deciso di andare a controllare come se la stesse cavando il super soldato scongelato numero due.
Quella era una delle rare volte in cui era contento che Pepper fosse in trasferta per affari. Odiava farsi vedere ridotto ad uno straccio ambulante che era stato malamente calpestato e sfilacciato. Guardare la tristezza e l’ansia negli occhi di Pepper faceva più male che essere picchiato a sangue.
Quando Tony raggiunse l’infermeria, sulla fronte comparvero rughe sottili, dovute alla scena poco usuale che si ritrovò dinanzi gli occhi.
 
James era seduto sul lettino metallico e aveva addosso solo una maglia nera maniche lunghe, oltre che boxer scuri. I capelli corti erano parecchio incasinati e il ciuffo leggermente più lungo gli ricadeva sulla fronte sudata.
Il dottor Mitchell era lì a fianco, con le mani puntellate sui fianchi e la camicia bianca non perfettamente infilata nei pantaloni blu.
Stavano entrambi osservando con attenzione la capacità della Reyes di velocizzare la rigenerazione di tessuti danneggiati. La ragazza aveva una mano poggiata sul quadricipite destro di Barnes, solcato lateralmente da un profondo taglio slabbrato. La ferita sembrava stesse venendo ricucita da fili invisibili.
Tony decise di non interrompere né il momento né il silenzio.
Il taglio si trasformò abbastanza rapidamente in una linea rosa. A quel punto, Anthea si tirò indietro e prese un paio di respiri profondi.
 
“Sarebbe interessante studiare come funziona il processo. Se fosse possibile riprodurlo senza effetti collaterali...”
Mitchell offrì alla ragazza un appoggio, ma lei scosse il capo, affermando di stare bene.
 
“C’è chi già l’ha riprodotto. Extremis, il siero di Lewis” si intromise a quel punto Stark, rendendo nota la propria presenza.
“Non è esatto, signor Stark. Quelle soluzioni presuppongono una modifica del DNA, mentre qui si parla di una cura che agisce senza alterare niente” lo corresse il dottore, con tono tranquillo.
“Devo darti ragione. In ogni caso, ho capito che è meglio non giocare troppo con modificazioni genetiche, perché i risultati sono spesso poco gestibili.”
I due uomini scambiarono un mezzo sorriso, dandosi reciprocamente prova sia di un comune interesse inerente all’argomento, sia del fatto di condividere l’ultima affermazione del miliardario.
 
“Quindi sarei un caso fortunato?” chiese allora James, mentre saltava giù dal lettino per provare la stabilità della gamba, ora di nuovo perfettamente funzionante.
 
“Caso disperato, vorrai dire” lo corresse Anthea e sorrise, senza nemmeno provare a rimanere seria.
 
“Numero due” aggiunse prontamente Stark.
“A proposito, è strano non vederlo nei paraggi, considerando che voi due siete qui e che tu sei… eri ferito.”
 
Il silenzio che si protrasse lasciò Tony alquanto confuso, mentre il dottore ne approfittò per congedarsi, data l’ora tarda.
“Il mio lavoro qui è finito, anche se stavolta non ho dovuto fare molto.”
Mitchell fece l’occhiolino in direzione della Reyes e salutò i presenti con genuina cordialità. Il suo saluto venne ricambiato e James lo ringraziò, dato che era accorso lì per aiutarlo.
 
“Tu cosa ci fai qui, invece?” chiese poco dopo l’oneiriana, rivolta a Stark.
 
“Volevo essere certo che il Soldato Smemorato stesse bene, dato che non ce la siamo passata alla grande oggi.”
Tony stava ridimensionando la reale motivazione. Non era mai stato molto bravo a gestire i sentimenti, soprattutto se questi erano parecchio contrastanti.
“Gentile da parte tua, Stark.”
James, che intanto aveva rinfilato i pantaloni, piegò la bocca in un mezzo sorriso e per Tony quello fu un segnale positivo, perché probabilmente non sarebbe stato necessario spiegare che era lì per dirgli che sentiva di dovergli la vita, dato quanto successo quel giorno.
“Non ti ci abituare” disse invece, non rinunciando del tutto al sottile muro che c’era ancora fra di loro.
“Non lo farò. E adesso, scusatemi, ma ho bisogno di darmi una ripulita e di dormire.”
Barnes tese il braccio umano verso Anthea e le strinse una spalla, mentre le rivolgeva una sguardo grato. Prima che riuscisse a dirle qualsiasi cosa, lei scosse il capo e lo esortò ad andare, dato che la stanchezza gli si leggeva praticamente in faccia.
 
Grazie, Barnes.”
 
James si voltò in direzione di Tony e, per un attimo, credette di aver sentito male.
 
“Il sentimento è reciproco, Stark. Dico davvero.”
 
Si erano salvati a vicenda quel giorno e insieme erano riusciti a resistere fino all’arrivo dei rinforzi. Era stata la prima volta in cui avevano mostrato, in un certo senso, di tenere l’uno alla vita dell’altro e di fidarsi l’uno dell’altro.
La stessa Anthea capì di star assistendo a qualcosa di decisamente importante, data l’intensità di quel momento. Era come se i due, in quelle poche e semplici parole, avessero detto più di quanto si potesse anche solo immaginare.
 
Una volta che Barnes fu andato, Tony si concentrò sulla Reyes.
“Ho una cosa che devi provare.”
“Non è ora che anche tu vada a dormire?” cercò di protestare lei, dato che nemmeno il miliardario appariva in gran forma.
“Solo se prima vieni con me. Ci vorrà un attimo.”
“E va bene, mi arrendo.”
 
Quando Tony si metteva in testa qualcosa, era alquanto difficile dissuaderlo. In realtà, Anthea aveva notato che questa caratteristica sembrava essere alquanto diffusa fra i Vendicatori e lei stessa riconosceva di possederla.
Potevi essere dissuaso solamente da qualcuno che era più difficile di te da dissuadere. Ecco spiegato perché Steve era il capo. Le venne da sorridere al pensiero.
 
Si spostarono nell’officina di Stark, per lo più riempita da scheletri di armature e diverse attrezzature da battaglia, che Anthea riuscì ad associare ad ognuno degli Avengers.
 
“Ho finito la tua uniforme. Mi hai messo in difficoltà con quelle tue richieste poco comprensibili, ma credo di aver risolto. Sarai uno schianto, fidati.”
Tony le indicò un tavolo e Anthea lo raggiunse, per poi studiare con fare curioso ciò che vi era poggiato sopra.
“Avanti, provala” fu esortata e, a quel punto, tanto valeva accettare l’offerta.
Stark si lasciò cadere su una sedia girevole, che era nel mezzo della stanza e parecchio fuori posto, come la maggior parte delle cose lì dentro. Fece girare la sedia in modo da dare le spalle alla ragazza e le disse semplicemente di avvisarlo quando sarebbe stata pronta.
Lei non ci impiegò molto a disfarsi dei vestiti che aveva indosso e a sostituirli poi con ciò che Tony aveva progettato e realizzato per lei.
 
Il materiale di base era fibra di carbonio e il tessuto era resistente ed elastico. Non era sottile come quello degli oneiriani, ma la cosa non le dispiaceva affatto.
L’uniforme era costituita da diversi pezzi. Prima di tutto, c’era una specie di canotta attillata di un azzurro intenso, dotata di un colletto alto ma abbastanza largo da poterci infilare un paio di dita. Torcendo il busto e contraendo l’addome, poteva vedere come quel capo accompagnasse ogni muscolo, senza essere in nessun modo restrittivo. Le spalle erano lasciate scoperte, mentre altro tessuto di azzurro più chiaro le fasciava le braccia, fino poco sopra i gomiti.
Il gomito era la seconda articolazione, dopo la spalla, ad essere stata lasciata libera.
L’avambraccio era invece avvolto da una lega opaca e di un grigio scuro. Questi pezzi possedevano una certa pesantezza, ma non eccesiva. Lo stesso materiale le avvolgeva le gambe, a partire da sotto il ginocchio, e andava ad infilarsi in uno scarponcino blu scuro, dalla punta arrotondata e dalla suola spessa. Intorno ai fianchi, tramite una fibbia tonda e argentata, si agganciava una cintura grigia e fornita di tasche, sempre utili per ogni evenienza.
A concludere il tutto, c’erano pantaloni blu scuro che le fasciavano perfettamente il sedere, ma che non stringevano troppo né sulle cosce né sulle ginocchia, dove poi convergevano con la parte grigia e opaca. Erano provvisti di due tasche laterali e abbastanza capienti. Erano dannatamente comodi.
 
“Le parti opache possono raggiungere parecchi gradi e diventare incandescenti, senza subire alcun danno. Se convogli lì il calore otterrai armi pericolose, considerando il peso e la forza che sei in grado di imprimere nei movimenti.”
Mentre parlava, Tony l’aveva guardata con attenzione, fino a posare gli occhi sul suo viso, in attesa di sapere cosa ne pensasse.
“Non ti avevo detto di essere pronta” gli fece notare lei, più per punzecchiarlo che per altro.
“Ci stavi mettendo troppo” si giustificò Stark, tranquillamente.
 
Anthea sorrise e poi simulò un breve combattimento contro un nemico invisibile.
“Voglio assolutamente provarla sul campo. Sembra fantastica. Grazie, Tony.”
Le parti opache divennero gradualmente luminescenti e lei le guardò con entusiasmo, mentre le metteva alla prova.
 
“Non avvicinarti a nulla e non fare nulla in quelle condizioni” le ordinò Stark, con fare abbastanza perentorio. Ci teneva alla sua cara officina e si rilassò solo quando l’incandescenza venne gradualmente meno, fino a scomparire.
“Non sono ancora troppo in accordo sul lasciare libere le giunture delle braccia, ma non mi hai dato molto scelta, nonostante avrei dovuto decidere io e solo io.”
 
“Hai voluto feedback e ti ho accontentato. Però ho ceduto sulle ginocchia. E ora dovresti davvero andare a risposare, Tony.”
La ragazza gli dedicò uno sguardo apprensivo. Pensò che forse sarebbe stato meglio accompagnarlo in camera, giusto per essere certa che arrivasse fino al letto. Sembrava stesse avendo un calo repentino di tensione ed era abbastanza pallido da preoccuparla.
 
“Nemmeno tu hai una bella cera” replicò lui, sapendo bene che i processi di guarigione prosciugavano parte delle energie della giovane.
 
“Starò benissimo entro le prossime ore. Quella ferita lo rendeva vulnerabile e non sappiamo cosa aspettarci.”
 
“Non posso contraddirti.”
Tony fece per alzarsi dalla sedia, ma ci ricrollò sopra senza che potesse fare nulla per impedirlo. Stava risentendo degli effetti dello scontro, tutti in un volta, e non era affatto piacevole.
 
“Mi cambio e ti aiuto ad arrivare di sopra” si impose allora la Reyes, iniziando subito a sfilare via la divisa.
 
“Va bene. Ma non dirlo a Rogers. Potrebbe pensare male.”
Stark le diede le spalle e la sentì ridere.
 
“Non preoccuparti. Sarà il nostro piccolo segreto” lo prese in giro lei e rise ancora, perché Tony riusciva ad essere così Tony, anche quando era sul punto di stramazzare a terra.
 
 
 
 
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James guardò un’ultima volta la propria immagine riflessa nello specchio. Piccole gocce d’acqua scivolavano dai capelli ancora bagnati, finendo sull’asciugamano di spugna che aveva arrotolato sulle spalle. I ciuffi sulla fronte gli arrivavano ormai quasi davanti agli occhi, che erano sottolineati da occhiaie abbastanza scure. La barba rasa aveva bisogno di un’aggiustata, ma non era in vena.
Lo sguardo gli cadde sul confine frastagliato che separava la carne dal metallo e si chiese quando avrebbe smesso di provare un senso di nausea nel guardarlo. Alcune volte quella cicatrice bruciava in modo doloroso e non riusciva a capire se quel dolore fosse effettivamente fisico o se fosse tutto nella sua testa incasinata.
Stava meglio, non lo negava. Da quando era tornato assieme a Steve, la sofferenza, il senso di disorientamento, l’odio verso ciò che era diventato, erano diventati meno aggressivi e c’erano giornate in cui sentiva che poteva ancora raddrizzare la propria vita.
Aveva ottenuto una seconda possibilità, seppur in un tempo diverso. Eppure, se ci pensava, le cose non erano poi tanto diverse da settant’anni prima.
Era un soldato allora e lo era adesso. E c’era Steve e anche a Steve era stata concessa una seconda possibilità. Entrambi avevano sacrificato la vita, ma qualcosa o qualcuno aveva deciso che non era ancora arrivato per loro il momento di morire. Non sapeva se fosse un bene o un male, questo doveva ancora deciderlo. Sicuramente, quello stesso qualcosa o qualcuno vegliava su quell’incosciente del suo migliore amico, perché altrimenti era impossibile spiegarsi come fosse ancora in circolazione. Nemmeno l’infallibile Soldato d’Inverno era riuscito ad ammazzarlo, nonostante quell’idiota gli avesse dato l’opportunità di portare a termine la missione.
James scosse il capo, scacciando via le immagini che faticava a far sfumare dalla sua memoria, una volta per tutte.
 
“Sono la mia famiglia. Una famiglia abbastanza disfunzionale, bisogna ammetterlo, ma con loro mi sento al sicuro. Se mai fossi schiacciata ancora dal passato, loro allevierebbero il peso, mi aiuterebbero a sostenerlo.”
 
Le parole di Natasha gli risuonarono nella testa, mettendo a tacere gli altri pensieri.
Quel senso di sicurezza, James lo aveva sentito davvero, alla fine.
Dopo il crollo del Triskelion, l’abitudine di guardarsi le spalle, di essere pronto ad attaccare al minimo accenno di pericolo, di passare la notte con i sensi in allerta, lo avevano gettato sull’orlo della pazzia. Era andato avanti, si era aggrappato al volto e alla voce del ragazzo sul ponte, del ragazzo che aveva detto di essere suo amico, l’aveva cercato, ricordato, trovato ed era arrivato fino a lì dov’era adesso, riprendendo possesso di pezzi di se stesso, di James Barnes, di Bucky, un po’ alla volta.
Fra gli Avengers, sentiva di avere le spalle coperte, sentiva di poter abbandonare l’aria truce e guardinga, sentiva di poter essere più simile alla persona che era stata e sentiva che avere quella seconda possibilità non era poi così male.
Ciò che era accaduto con Tony Stark, durante quell’intensa giornata, aveva attenuato i morsi della colpa e sapere di avere la sua fiducia significava molto.
Tuttavia, era ancora dannatamente incazzato, nonostante avesse cercato in tutti i modi di distendere i nervi.
 
“Sono in grado di badare a me stesso. Non ho più bisogno della tua protezione.”
 
Quelle maledette parole gli avevano fatto parecchio male, doveva ammetterlo.
Aveva capito che Steve non voleva che lui mettesse in gioco la vita per salvarlo, perché lo aveva già visto morire una volta – anche se poi non era morto – e voleva fare in modo che non accadesse ancora, anche se ciò comportava dirgli che non aveva bisogno di lui.
Davvero un bel modo maturo di gestire la cosa, Rogers.
James prese un respiro profondo. Passò l’asciugamano sui capelli e poi lo abbandonò sul bordo del lavello. Si costrinse a muoversi per uscire dal bagno. Indossava solo i pantaloni della tuta e si chiese dove diavolo avesse lasciato la maglietta.
Quando aprì la porta, si ritrovò dinanzi gli occhi azzurri appartenenti alla causa della sua rabbia e fece una certa fatica a rimanere impassibile.
Rogers aveva un braccio sollevato, segno che stava per bussare alla porta, prima che venisse aperta. Sul suo viso era dipinta un’espressione che era un miscuglio di ansia, sorpresa e sollievo.
 
“Volevo solo accertarmi che fosse tutto okay. Eri chiuso qui dentro da parecchio” si giustificò in modo alquanto impacciato, per poi portare la mano sollevata dietro la nuca.
 
“Bene, adesso sai che sto bene, quindi lasciami solo. Mi sembrava di essere stato chiaro, quando ti ho detto di starmi lontano.”
James utilizzò un tono alquanto affilato. Era arrabbiato, lo era più di quanto avesse immaginato.
 
“Sei stato chiaro, ma …” tentò Steve.
 
“Sparisci, allora.”
 
Barnes si mosse per superare il compagno, ma fu afferrato per il braccio umano e riuscì perfettamente a percepire la forza impressa nei polpastrelli che cercavano di trattenerlo.
 
“Lasciami andare.”
 
“Buck, per favore, ascolta. Io non …”
 
James si sottrasse di forza alla stretta e spinse Steve contro il muro, di fianco la porta del bagno. Lo tenne fermo con la mano di metallo pressata contro il petto. Dinanzi lo sguardo gelido dell’amico, il biondo rimase immobile.
 
“Vuoi sapere una cosa? Neanch’io ho bisogno della tua protezione.”
‘Ma ho bisogno di te’ avrebbe voluto dire James, ma quelle parole gli rimasero intrappolate in gola.
Tirò indietro il braccio di metallo, lasciando andare Steve, e gli diede le spalle.
Senza voltarsi indietro, si incamminò versa la sua stanza, consapevole di avere lo sguardo del compagno addosso.
 
Non era la prima discussione che affrontavano. Ce n’erano state di litigate e non era mancata qualche scazzottata, che nemmeno le condizioni poco sane dello Steve prima del siero erano riuscite ad impedire.
Questa volta sembrava diversa dalle altre ed era evidente che entrambi ne fossero rimasti parecchio scottati. Forse avevano solo bisogno di schiarirsi le idee, di smettere di pensare a ciò che era accaduto quel giorno e di smaltire i postumi del caos emotivo che aveva colto entrambi impreparati.
 
 
Una volta che Bucky si fu chiuso la porta della camera alla spalle, Steve si lasciò scivolare seduto sul pavimento e inclinò la testa all’indietro, poggiando la nuca contro il muro.
 
“Ho bisogno di te” fu il lieve sussurro che si perse nel buio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note
Ciao 😊
Prima di tutto, ringrazio di cuore tutti coloro che leggono e seguono questa storia ❤️
Come avrete potuto vedere, negli ultimi capitoli ci sono stati diversi salti temporali, questo perché si va verso ciò che è scritto nel prologo. Tutti gli eventi che si stanno susseguendo avranno un peso nella parte finale e spero di riuscire a rendere le cose al meglio.
Adesso ho un piccolo annuncio da fare. Pubblicherò il prossimo capitolo non fra due settimane ma, se tutto va bene, entro la prima settimana di Agosto, causa impegni improrogabili. Ecco, ci tenevo ad avvisarvi.
Un abbraccio a tutti voi ❤️
 
Ella
   
 
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