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Autore: Abby_da_Edoras    13/07/2020    4 recensioni
Questa storia nasce da un sogno che ho fatto e sinceramente non avrei mai creduto di tornare a scrivere in questo fandom, eppure... mai dire mai! Questa ff è il sequel della mia storia "Shadows and lights" (ma non è indispensabile averla letta): sono passati più di due anni dalla conquista di Napoli da parte del Re Carlo e dalle atroci esperienze del Principe Alfonso. Nel frattempo il Re è tornato in Francia, lasciando il Generale a guidare il Regno di Napoli in sua vece, ma all'inizio di questa storia il Generale è morto. Il Papa Borgia, allora, non perde l'occasione per ampliare i suoi domini e manda il figlio Juan come "protettore" del Principe Alfonso, perché sia lui a governare Napoli. Il rapporto tra Juan e Alfonso, però, evolverà in maniera inaspettata...
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a registi, autori e produttori della serie TV The Borgias.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alfonso II di Napoli, Altri, Juan Borgia
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Salvation'
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Capitolo ottavo: Not your monster

 

Call me when you are sober
You are too drunk to remember now
I did write you a love song
You got the words wrong

The pledge, the turn, the prestige
Are not worth anything
When we have to perform them
In front of a blind audience

We all have made our mistakes
Mistakes we've paid for
I'll always be a monster
But not your monster anymore!

(“Not your monster” – The Dark Element)

 

Quella era stata una giornata particolarmente faticosa per Alfonso, e non soltanto perché Juan l’aveva preso e posseduto come se non ci fosse un domani! Il ragazzo aveva dovuto affrontare i Baroni di Napoli e le loro insinuazioni, aveva dovuto tenere loro testa fingendo di non esserne turbato e poi, come se non bastasse, aveva discusso con il giovane Borgia a proposito di ciò di cui era stato accusato. Si era reso conto che, alla resa dei conti, quello che lo turbava veramente era pensare che Juan avesse desiderato quel ragazzo che aveva torturato, che avesse fatto qualcosa con lui e poi, per essere sincero fino in fondo, anche il pensiero che frequentasse abitualmente i bordelli gli causava delle punture al cuore che non riusciva a spiegarsi.

In realtà Juan non aveva del tutto smentito le voci su di lui, anzi, per non doverne parlare più di tanto lo aveva preso, baciato e poi… e poi Alfonso non aveva capito più niente e non era stato in grado di ragionare lucidamente. Stremato e sconvolto aveva finito per addormentarsi tra le braccia del giovane Borgia come se non avesse dubbi su di lui, come se quelle maldicenze fossero state del tutto false, cosa ancora da dimostrare.

Tuttavia la mente del Principe aveva continuato a lavorare anche mentre lui dormiva e si era concentrata principalmente sull’argomento delle torture. Sì, Juan aveva dichiarato di non essersi divertito a seviziare il giovane Sforza e di averlo malmenato solo ed esclusivamente al fine di costringere sua madre ad arrendersi. Alfonso gli aveva creduto, ma questo non era bastato a fugare dalla sua testa le atroci immagini delle torture che invece lui stesso aveva subito, ad opera di un Re crudele che non voleva ottenere niente, ma solo godere nel sentirlo urlare disperatamente fino a farsi sanguinare la gola… E, quella notte, in un incubo spaventoso, si era ritrovato nelle segrete, incatenato ai peggiori strumenti di tortura, mentre arnesi orribili e incrostati di ruggine e sangue gli straziavano le membra e le parti più delicate del suo corpo, senza fine, senza fine.

Si era svegliato con un grido terrificante che aveva fatto sobbalzare anche Juan. Il Borgia lì per lì non aveva nemmeno capito bene dove si trovasse e nel letto di chi (e questa era una cosa che gli era capitata un sacco di volte…), ma poi si voltò verso Alfonso e lo trovò raggomitolato su se stesso, che si allacciava le ginocchia con le braccia e piangeva, gli occhi immensi a fissare il buio della stanza.

“Alfonso, cosa c’è? Che ti succede?” gli domandò, ancora mezzo assonnato.

Il ragazzo non parve riconoscerlo, o forse nemmeno lo vedeva, perduto nel suo incubo.

“Non mi fate del male… basta, no, per favore, basta, lasciatemi andare…” mormorò, la voce spezzata dal pianto.

Juan adesso era sveglio e non ci mise molto a capire quello che era accaduto: tutto quel parlare di torture e il confronto piuttosto serrato con i nobili Baroni di Napoli avevano provocato un altro incubo al Principe, uno di quelli legati alle atroci esperienze nella stanza delle torture. Non era molto esperto nel consolare e confortare la gente, tuttavia si avvicinò ad Alfonso e cercò di attirarlo a sé.

“Era solo un incubo, Alfonso, non c’è nessuno che voglia farti del male” gli disse. Il ragazzo continuava a tremare, ma non lo respinse e Juan lo strinse più forte. “Non sei più solo, ci sono io, non permetterò che ti facciano del male, lo sai che sono qui per difenderti.”

Il giovane Principe cedeva, si lasciava abbracciare e ad un certo punto, timidamente, ricambiò l’abbraccio, rifugiandosi nella calda e sicura stretta delle braccia di Juan. Adesso cominciava a rendersi conto di aver sognato, ma la paura non lasciava la sua presa su di lui e gli impediva di smettere del tutto di piangere e tremare. Tuttavia il tremito, adesso, era più leggero e il pianto si placava. Ben presto Alfonso non seppe più dire se stava tremando ancora per il terrore indottogli dal sogno… o perché stava nell’abbraccio protettivo e avvolgente di Juan!

“Stai tranquillo, non c’è più niente da temere ormai e gli incubi pian piano se ne andranno” continuò a tranquillizzarlo il giovane Borgia e si sentiva strano nel farlo. Era vero, lui non aveva mai consolato nessuno, non era il tipo, non sapeva nemmeno come si dovesse fare, ma adesso sembrava tutto così facile e naturale. Anzi, tenendo Alfonso stretto tra le braccia e dicendogli parole affettuose e di conforto si sentiva meglio anche lui, si sentiva forte, indispensabile, importante per qualcuno e un calore buono gli si diffondeva nel petto.

“Non lasciatemi solo anche voi, Gonfaloniere…” lo pregò il Principe in un sussurro.

“Non vado da nessuna parte, sono qui con te e ti proteggerò sempre” rispose Juan, “e non ti sembra l’ora di smetterla con la storia del Gonfaloniere? Mi sembra che siamo diventati abbastanza intimi, ormai, puoi darmi del tu e chiamarmi per nome, no?”

“Io… veramente… sì, penso di sì…” mormorò Alfonso, che ora decisamente tremava per la vicinanza di Juan e non più per l’orrore dell’incubo, ormai già dimenticato.

Il giovane Borgia, tuttavia, non aspettò la sua risposta. Stringerlo tra le braccia lo aveva dapprima intenerito, però poi la tenerezza si era trasformata in desiderio, un bisogno diverso da quello che provava prima, non era più legato esclusivamente all’atto sessuale ma lo coinvolgeva totalmente, corpo, cuore e anima. Era un desiderio che nasceva dall’attrazione fisica e dai sensi, certo, ma per la prima volta si arricchiva e si intensificava con i sentimenti che Juan provava per il Principe: tenerezza, istinto protettivo, voglia di restargli accanto, di non separarsi mai più da lui. Lo strinse forte a sé, affondandogli una mano nei capelli e cingendolo con l’altro braccio; premette le labbra sulle sue e iniziò a baciarlo sempre più profondamente, con passione e intensità, esplorando la sua bocca con la lingua. Lo sospinse delicatamente sul letto e continuò a baciarlo, mettendosi sopra di lui, premendogli una mano sulla sua nuca per attirarlo sempre più contro di sé; con l’altra mano, intanto, lo accarezzava su tutto il corpo. Si fece strada dentro di lui lentamente e languidamente per non perdersi niente di quel contatto che lo emozionava tanto, che gli incendiava il sangue nelle vene e lo portava a desiderare di non staccarsi mai da Alfonso, di unirsi a lui, annullarsi nella passione e nell’estasi. Juan Borgia aveva avuto tante amanti, ma la maggior parte di loro non aveva lasciato nemmeno l’ombra di un ricordo. Aveva goduto di esperienze piacevoli e soddisfacenti, sì, ma il suo cuore non ne era mai rimasto coinvolto. Invece quella notte, già dalla prima volta in cui aveva preso Alfonso e lo aveva fatto suo, aveva sentito che una parte di sé era legata indissolubilmente a quel giovane Principe spocchioso e adorabile allo stesso tempo.

Si sarebbe potuto dire che quella notte, per la prima volta, Juan Borgia aveva compreso il significato dell’espressione fare l’amore e che somigliava solo lontanamente al sesso che aveva praticato come una sorta di gioco e di appagamento fisico. E non riusciva a placarsi, ad accontentarsi. Un solo amplesso non gli era bastato, sentiva la necessità di perdersi ancora e ancora in Alfonso, di fondersi con lui fino a dimenticare i confini tra il proprio essere e il suo, entrargli sotto la pelle e nel sangue, diventare una parte di lui, riempirsi del suo sapore e del suo odore, farlo diventare un naturale prolungamento di se stesso. Voleva essere il suo mondo, il suo sole e il suo respiro. Desiderava portarlo più e più volte all’estasi totale e prendersi e dargli piacere per ore e ore, fino allo stordimento dei sensi, fino a confondere gemiti e sospiri.

Per tanti anni aveva vagato alla ricerca di qualcosa che nemmeno lui sapeva, sempre insoddisfatto, cercando nei vizi quello che gli mancava e che lo faceva sentire vuoto dentro. Adesso, per la prima volta, sperimentava la soddisfazione di sentirsi completo, integro, assaporava la meravigliosa sensazione di appartenere a qualcuno e di avere qualcuno che gli apparteneva e non aveva la minima intenzione di perdere tutto questo, anzi. Voleva che Alfonso fosse suo, sempre più suo, solo e soltanto suo. Avrebbe conosciuto ogni centimetro del suo corpo, si sarebbe insinuato in ogni fibra del suo essere, avrebbe cancellato ogni confine tra di loro per diventare una sola cosa con lui.

Gli assalti amorosi si susseguirono, a volte più appassionati e ardenti, a volte più languidi e lenti, mentre il tempo non aveva più limiti e si dilatava all’infinito, le ore potevano diventare secoli o secondi, nient’altro più esisteva se non l’unione dei due corpi che si cercavano e che non potevano restare separati. Juan continuò a baciare Alfonso, a invaderlo e a seppellirsi in lui, ad annegare nel suo corpo più e più volte, sfiorando l’apice del piacere per poi ricominciare, e andò avanti così finché non si sentì del tutto stremato e soddisfatto.

Tuttavia, anche alla fine di tutto, Juan non volle staccarsi da Alfonso, non riuscì a separarsi da lui. I loro corpi erano rimasti allacciati e incatenati l’uno all’altro e trovarono riposo in un dolce languore mentre i loro respiri tornavano regolari. Il giovane Borgia si divertiva ad accarezzare i capelli e le guance morbide del ragazzo e a giocherellare con i suoi ricci scompigliati sulla fronte e sulla nuca. Anche quella era una cosa insolita per lui: quando mai gli era accaduto di rimanere a coccolare una delle sue amanti occasionali una volta soddisfatto il desiderio sessuale? Non gli era mai neanche passato per l’anticamera del cervello, ma si rendeva conto con stupore che quei momenti di tenerezza con Alfonso lo riempivano di calore e soddisfazione quasi come i piaceri della passione in cui si era perduto poco prima e che quell’abbraccio spontaneo e affettuoso era probabilmente la cosa più bella che gli fosse mai capitata. E non voleva perderlo, no.

Alfonso era l’unico che lo facesse sentire davvero vivo, accettato, completo e integro. Era buffo che tutto quello che aveva cercato inutilmente per l’intera sua vita fosse così facile da trovare. Adesso tutto ciò che aveva sempre voluto era lì, nel letto, abbandonato e affidato a lui, ancora completamente esausto e sopraffatto per le emozioni intense e mai provate prima, con la testa appoggiata al suo petto: sembrava essersi addormentato in pace e dimentico dell’incubo che lo aveva tormentato.

Juan si trovò ancora una volta a riflettere su quanto fosse diverso ed enormemente più piacevole sentire il calore e la tenerezza del ragazzo che gli restava abbracciato e completamente affidato rispetto alle tante esperienze di amore fisico che gli avevano appagato i sensi ma lasciato freddo il cuore, di come ormai non potesse più farne a meno, altro che la dipendenza dall’alcool o dall’oppio!

Nulla sarebbe stato più lo stesso, ma Juan Borgia doveva stare bene attento a non commettere i suoi soliti errori e a non compromettere tutto. Aveva voluto il Principe Alfonso, lo aveva posseduto e aveva invaso ogni fibra del suo essere, ma ora, proprio come aveva marchiato quel ragazzo e lo aveva fatto totalmente suo, doveva sigillare e marcare una volta per tutte la sua posizione nel Regno di Napoli. Avrebbe dovuto trovare un modo. Questa volta non avrebbe perso ciò che aveva cercato per tutta la vita.

Quella era la sua casa e accanto ad Alfonso si sentiva felice, accolto e amato.

Perso in questi pensieri, anche Juan si addormentò, cullato dolcemente dal respiro regolare del giovane Principe che dormiva già da un po’…

La mattina dopo, però, quando si svegliò non trovò Alfonso accanto a sé. Sorpreso, Juan si alzò e si preparò in fretta per andare a cercarlo e lo trovò nella Sala del Trono, impegnato e concentrato nella consultazione di antichi tomi e pergamene.

“Buongiorno, Principe, non ti facevo così mattiniero” gli disse scherzosamente, con quel suo mezzo sorriso che lo imbarazzava e lo faceva arrossire.

“Beh, mi sono svegliato presto e mi è venuta in mente una cosa, così non ho voluto aspettare e sono venuto qui” rispose il ragazzo, cercando di riprendere una parvenza di contegno. Ricordava molto vagamente cosa fosse successo in tutta quella notte appena trascorsa, ma sapeva di non aver dato certo uno spettacolo edificante di sé. Aveva perso totalmente ogni controllo, ogni concezione dello spazio e del tempo e aveva permesso a Juan di fare di lui tutto ciò che voleva, in totale balia di emozioni che lo stravolgevano anche solo ripensandoci!

“Gonfaloniere…”

“Avevamo detto Juan” lo corresse subito il giovane Borgia.

“Sì, è vero… dunque… Juan” mormorò Alfonso, arrossendo di nuovo solo a pronunciare quel nome, “mi sono reso conto del fatto che voi… che tu, insomma, che la tua posizione qui dipende soltanto dal fatto che sei stato inviato da tuo padre, Papa Alessandro VI. Ma che cosa succederebbe se accadesse qualcosa a tuo padre? So che ha molti nemici e questi vorrebbero di sicuro fare del male a tutta la vostra famiglia.”

Il giovane Borgia non ci aveva mai pensato prima, ma dovette ammettere che Alfonso aveva perfettamente ragione. E se non lo sapeva lui! Era il legittimo erede del trono di Napoli eppure, morto suo padre, era stato catturato dai Francesi e gli era accaduto di tutto. Cosa sarebbe successo a un Borgia qualsiasi se il Papa fosse morto? Nessuno di loro aveva una posizione sicura. Juan era il Gonfaloniere e Capitano Generale dell’esercito papale, ma quale esercito papale avrebbe avuto se il Papa non fosse stato più suo padre?

Era una bella domanda…

“Dunque mi sono venute alcune idee” spiegò il Principe, con maggior disinvoltura. “Si tratta di cose che dovremo iniziare a fare al più presto e io credo di avere l’autorità per farle, no? Dopotutto, adesso sono io il sovrano del Regno di Napoli.”

“Così sembrerebbe, sì” commentò Juan, divertito da quell’Alfonso così preso dal suo ruolo.

“Per prima cosa, stamattina ho inviato una lettera al vostro… al tuo amico, quel Don Hernando de Caballos, affinché venga a Napoli al più presto. Quando sarà qui lo nominerò Generale dell’esercito di Sua Maestà… il mio, in parole povere.”

“E’ davvero un’ottima idea” esclamò il giovane Borgia, soddisfatto. Era esattamente ciò che lui stesso avrebbe voluto suggerire al Principe. “In questo modo l’esercito di Napoli avrà una guida valorosa ed esperta, ti avevo detto che Don Hernando è stato anche uno dei conquistadores nel Nuovo Mondo? E potrà schierarsi in difesa del Regno accanto all’esercito papale che è ai miei ordini.”

“Esattamente. Tuttavia voglio anche che voi… che tu, insomma, abbia una posizione più sicura in questo Regno. Il ruolo che occupi adesso è del tutto dipendente dalla figura di tuo padre, al quale noi tutti auguriamo un lungo e felice pontificato, ovvio” fece Alfonso, con un guizzo negli occhi e un sorrisetto da birbante. “Ed è per questo che ho deciso di nominarti mio successore, erede al trono di Napoli e Duca di Calabria, che era il mio titolo quando mio padre era ancora in vita.”

Fu la volta di Juan di rimanere sbalordito.

“Come? Aspetta, tu vuoi che sia il tuo erede? Ma… è una cosa un po’ buffa, non trovi? Insomma, pensi di adottarmi?

Alfonso scoppiò a ridere e fu bello sentire di nuovo il suono della sua risata squillante e argentina.

“Ma no, non ce n’è bisogno! I sovrani nominano spesso un loro successore quando non hanno figli. Io non ho figli e nemmeno parenti ancora in vita, * se si esclude mia sorella Sancha che, comunque, è illegittima” spiegò, “quindi ho il diritto di nominare chi voglio come mio erede. Del resto è ciò che ha fatto lo stesso Re Carlo quando è tornato in Francia per motivi di successione: nemmeno lui ha figli o fratelli e per questo ha nominato suo erede il Duca d’Orléans Luigi II.”

“E tu hai intenzione di nominare me?” Juan era completamente spiazzato e non sapeva come prendere quella notizia. Da un lato era contento perché quel titolo gli avrebbe consentito di mantenere una posizione salda e sicura sul Regno di Napoli anche dopo la morte di suo padre (e a dispetto delle trame dell’infido Cesare…), dall’altro, però, era anche profondamente turbato. Alfonso si fidava tanto di lui da nominarlo suo erede senza nemmeno pensare che, se avesse voluto, lui avrebbe potuto eliminarlo per prendere il trono e nessuno avrebbe potuto dire o fare niente, poiché era stato Alfonso a volerlo. Ovviamente Juan non aveva la minima intenzione di fare del male al ragazzo, ma questo Alfonso non poteva saperlo per certo, era pur sempre un Borgia… Cosa aveva fatto per meritarsi una simile illimitata e incondizionata fiducia da parte di quel Principe?

“Naturalmente. E’ il modo più sicuro per consolidare definitivamente la tua posizione nel Regno di Napoli” ribadì Alfonso, deciso. “Preparerò un editto reale in cui ti nominerò ufficialmente Duca di Calabria ** e, quindi, legittimo erede al trono se dovesse accadermi qualcosa.”

“I Baroni di Napoli avranno ancora più da ridire, la tua non sarà una mossa ben vista dagli Stati Italiani, tuttavia…” Juan avrebbe voluto scherzare sull’argomento e sulle insinuazioni (tra l’altro verissime!) che ci sarebbero state sulla sua nomina, ma fu attraversato da un brutto presentimento che gli fece gelare il sangue. Prese la mano di Alfonso e la strinse forte. “Perché dici se dovesse accadermi qualcosa? Non ti succederà niente, te l’ho promesso, io continuerò a proteggerti sempre, il titolo di Duca di Calabria e tuo erede è solo una sorta di assicurazione per me, perché possa mantenere la mia posizione comunque vada, non è così?”

Alfonso fece un sorriso che, però, non gli arrivò fino agli occhi.

“Sì, immagino di sì” rispose con semplicità. “Nei mesi dopo quello che… insomma… le torture… mi ammalavo spesso, con febbri altissime e debolezza. Il dottore disse che probabilmente gli strumenti con cui mi avevano… disse che potevano avermi avvelenato il sangue.”

Juan si avvicinò ancora di più ad Alfonso e lo prese per le spalle.

“Questo non significa niente, anche a me il dottore ha detto che ho rischiato di perdere la gamba, ma non è successo” protestò, improvvisamente spaventato. “Le infezioni possono capitare, ma tu adesso stai bene e io sto bene. Non ci accadrà niente e governeremo insieme questo Regno, se è ciò che vuoi. Sarò il Duca di Calabria, suona anche bene, tanto ero già il Duca di Gandia… ma sarà soltanto per rafforzare la mia posizione. Io non prenderò mai il tuo posto, governeremo insieme, sono stato chiaro?”

Strinse a sé il Principe e lo baciò a lungo, profondamente, chiudendolo nel cerchio protettivo delle sue braccia, unendo il respiro al suo, perdendosi nel suo sapore e nel suo dolce tepore, comprendendo che niente al mondo avrebbe mai più avuto senso se lo avesse perso e deciso a fare in modo che questo non avvenisse mai, qualunque cosa gli fosse costata. Ogni ambizione, ogni desiderio di gloria e potere si dissolveva ed era come polvere ai suoi occhi e nel suo cuore.

Niente poteva essere più prezioso per lui del suo divertente, altezzoso e adorabile Alfonso.

Fine capitolo ottavo

 

 

 

* In questo seguo, ovviamente, la versione della fiction The Borgias, secondo cui il Principe Alfonso era molto giovane e non aveva figli né fratelli, a parte la sorella illegittima Sancha d’Aragona. Nella realtà storica il Regno di Napoli passò prima al figlio di Alfonso, Ferdinando II (che per la fiction e la mia ff non esiste), che morì giovane e senza figli lasciando il trono allo zio Federico I (che per la fiction e la mia storia non esiste), tuttavia entrambi regnarono solo per pochi anni, dopo di che il Regno venne conquistato di nuovo dalla Francia, poi dagli Asburgo di Spagna. Per cui la dinastia Aragonese si estinse davvero molto presto… tanto vale che io faccia nominare Juan Borgia come erede di Alfonso! XD

 

** Era il tradizionale titolo dell’erede al trono del Regno di Napoli.

 

 

   
 
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