Capitolo ottavo: Not your monster
Call me when you are sober
You are too drunk to remember now
I did write you a love song
You got the words wrong
The pledge, the turn, the prestige
Are not worth anything
When we have to perform them
In front of a blind audience
We all have made our mistakes
Mistakes we've paid for
I'll always be a monster
But not your monster anymore!
(“Not your monster” – The Dark Element)
Quella era stata una
giornata particolarmente faticosa per Alfonso, e non soltanto perché Juan
l’aveva preso e posseduto come se non ci fosse un domani! Il ragazzo aveva
dovuto affrontare i Baroni di Napoli e le loro insinuazioni, aveva dovuto
tenere loro testa fingendo di non esserne turbato e poi, come se non bastasse,
aveva discusso con il giovane Borgia a proposito di ciò di cui era stato
accusato. Si era reso conto che, alla resa dei conti, quello che lo turbava
veramente era pensare che Juan avesse desiderato quel ragazzo che aveva
torturato, che avesse fatto qualcosa con
lui e poi, per essere sincero fino in fondo, anche il pensiero che frequentasse
abitualmente i bordelli gli causava delle punture al cuore che non riusciva a
spiegarsi.
In realtà Juan non
aveva del tutto smentito le voci su di lui, anzi, per non doverne parlare più
di tanto lo aveva preso, baciato e poi… e poi Alfonso non aveva capito più
niente e non era stato in grado di ragionare lucidamente. Stremato e sconvolto
aveva finito per addormentarsi tra le braccia del giovane Borgia come se non
avesse dubbi su di lui, come se quelle maldicenze fossero state del tutto false, cosa ancora da
dimostrare.
Tuttavia la mente del
Principe aveva continuato a lavorare anche mentre lui dormiva e si era
concentrata principalmente sull’argomento delle torture. Sì, Juan aveva
dichiarato di non essersi divertito a seviziare il giovane Sforza e di averlo
malmenato solo ed esclusivamente al fine di costringere sua madre ad
arrendersi. Alfonso gli aveva creduto, ma questo non era bastato a fugare dalla
sua testa le atroci immagini delle torture che invece lui stesso aveva subito,
ad opera di un Re crudele che non voleva ottenere niente, ma solo godere nel
sentirlo urlare disperatamente fino a farsi sanguinare la gola… E, quella
notte, in un incubo spaventoso, si era ritrovato nelle segrete, incatenato ai
peggiori strumenti di tortura, mentre arnesi orribili e incrostati di ruggine e
sangue gli straziavano le membra e le parti più delicate del suo corpo, senza
fine, senza fine.
Si era svegliato con
un grido terrificante che aveva fatto sobbalzare anche Juan. Il Borgia lì per
lì non aveva nemmeno capito bene dove si trovasse e nel letto di chi (e questa
era una cosa che gli era capitata un sacco di volte…), ma poi si voltò verso
Alfonso e lo trovò raggomitolato su se stesso, che si allacciava le ginocchia
con le braccia e piangeva, gli occhi immensi a fissare il buio della stanza.
“Alfonso, cosa c’è?
Che ti succede?” gli domandò, ancora mezzo assonnato.
Il ragazzo non parve
riconoscerlo, o forse nemmeno lo vedeva, perduto nel suo incubo.
“Non mi fate del male…
basta, no, per favore, basta, lasciatemi andare…” mormorò, la voce spezzata dal
pianto.
Juan adesso era
sveglio e non ci mise molto a capire quello che era accaduto: tutto quel
parlare di torture e il confronto piuttosto serrato con i nobili Baroni di
Napoli avevano provocato un altro incubo al Principe, uno di quelli legati alle
atroci esperienze nella stanza delle torture. Non era molto esperto nel
consolare e confortare la gente, tuttavia si avvicinò ad Alfonso e cercò di
attirarlo a sé.
“Era solo un incubo,
Alfonso, non c’è nessuno che voglia farti del male” gli disse. Il ragazzo
continuava a tremare, ma non lo respinse e Juan lo strinse più forte. “Non sei
più solo, ci sono io, non permetterò che ti facciano del male, lo sai che sono
qui per difenderti.”
Il giovane Principe
cedeva, si lasciava abbracciare e ad un certo punto, timidamente, ricambiò l’abbraccio,
rifugiandosi nella calda e sicura stretta delle braccia di Juan. Adesso
cominciava a rendersi conto di aver sognato, ma la paura non lasciava la sua
presa su di lui e gli impediva di smettere del tutto di piangere e tremare.
Tuttavia il tremito, adesso, era più leggero e il pianto si placava. Ben presto
Alfonso non seppe più dire se stava tremando ancora per il terrore indottogli
dal sogno… o perché stava nell’abbraccio protettivo e avvolgente di Juan!
“Stai tranquillo, non
c’è più niente da temere ormai e gli incubi pian piano se ne andranno” continuò
a tranquillizzarlo il giovane Borgia e si sentiva strano nel farlo. Era vero,
lui non aveva mai consolato nessuno, non era il tipo, non sapeva nemmeno come
si dovesse fare, ma adesso sembrava tutto così facile e naturale. Anzi, tenendo
Alfonso stretto tra le braccia e dicendogli parole affettuose e di conforto si
sentiva meglio anche lui, si sentiva forte, indispensabile, importante per
qualcuno e un calore buono gli si diffondeva nel petto.
“Non lasciatemi solo
anche voi, Gonfaloniere…” lo pregò il Principe in un sussurro.
“Non vado da nessuna
parte, sono qui con te e ti proteggerò sempre” rispose Juan, “e non ti sembra l’ora
di smetterla con la storia del Gonfaloniere?
Mi sembra che siamo diventati abbastanza intimi, ormai, puoi darmi del tu e
chiamarmi per nome, no?”
“Io… veramente… sì,
penso di sì…” mormorò Alfonso, che ora decisamente
tremava per la vicinanza di Juan e non più per l’orrore dell’incubo, ormai già
dimenticato.
Il giovane Borgia,
tuttavia, non aspettò la sua risposta. Stringerlo tra le braccia lo aveva
dapprima intenerito, però poi la tenerezza si era trasformata in desiderio, un
bisogno diverso da quello che provava prima, non era più legato esclusivamente
all’atto sessuale ma lo coinvolgeva totalmente, corpo, cuore e anima. Era un
desiderio che nasceva dall’attrazione fisica e dai sensi, certo, ma per la
prima volta si arricchiva e si intensificava con i sentimenti che Juan provava
per il Principe: tenerezza, istinto protettivo, voglia di restargli accanto, di
non separarsi mai più da lui. Lo strinse forte a
sé, affondandogli una mano nei capelli e cingendolo con l’altro braccio;
premette le labbra sulle sue e iniziò a baciarlo sempre più profondamente, con
passione e intensità, esplorando la sua bocca con la lingua. Lo sospinse
delicatamente sul letto e continuò a baciarlo, mettendosi sopra di lui,
premendogli una mano sulla sua nuca per attirarlo sempre più contro di sé; con
l’altra mano, intanto, lo accarezzava su tutto il corpo. Si fece strada dentro
di lui lentamente e languidamente per non perdersi niente di quel contatto che
lo emozionava tanto, che gli incendiava il sangue nelle vene e lo portava a
desiderare di non staccarsi mai da Alfonso, di unirsi a lui, annullarsi nella
passione e nell’estasi. Juan Borgia aveva avuto tante amanti, ma la maggior
parte di loro non aveva lasciato nemmeno l’ombra di un ricordo. Aveva goduto di
esperienze piacevoli e soddisfacenti, sì, ma il suo cuore non ne era mai
rimasto coinvolto. Invece quella notte, già dalla prima volta in cui aveva
preso Alfonso e lo aveva fatto suo, aveva sentito che una parte di sé era
legata indissolubilmente a quel giovane Principe spocchioso e adorabile allo
stesso tempo.
Si
sarebbe potuto dire che quella notte, per la prima volta, Juan Borgia aveva
compreso il significato dell’espressione fare
l’amore e che somigliava solo lontanamente al sesso che aveva praticato
come una sorta di gioco e di appagamento fisico. E non riusciva a placarsi, ad
accontentarsi. Un solo amplesso non gli era bastato, sentiva la necessità di
perdersi ancora e ancora in Alfonso, di fondersi con lui fino a dimenticare i
confini tra il proprio essere e il suo, entrargli sotto la pelle e nel sangue,
diventare una parte di lui, riempirsi del suo sapore e del suo odore, farlo
diventare un naturale prolungamento di se stesso. Voleva essere il suo mondo,
il suo sole e il suo respiro. Desiderava portarlo più e più volte all’estasi
totale e prendersi e dargli piacere per ore e ore, fino allo stordimento dei
sensi, fino a confondere gemiti e sospiri.
Per tanti
anni aveva vagato alla ricerca di qualcosa che nemmeno lui sapeva, sempre
insoddisfatto, cercando nei vizi quello che gli mancava e che lo faceva sentire
vuoto dentro. Adesso, per la prima volta, sperimentava la soddisfazione di
sentirsi completo, integro, assaporava la meravigliosa sensazione di appartenere
a qualcuno e di avere qualcuno che gli apparteneva e non aveva la minima
intenzione di perdere tutto questo, anzi. Voleva che Alfonso fosse suo, sempre
più suo, solo e soltanto suo. Avrebbe conosciuto ogni centimetro del suo corpo,
si sarebbe insinuato in ogni fibra del suo essere, avrebbe cancellato ogni
confine tra di loro per diventare una sola cosa con lui.
Gli assalti amorosi
si susseguirono, a volte più appassionati e ardenti, a volte più languidi e
lenti, mentre il tempo non aveva più limiti e si dilatava all’infinito, le ore
potevano diventare secoli o secondi, nient’altro più esisteva se non l’unione
dei due corpi che si cercavano e che non potevano restare separati. Juan
continuò a baciare Alfonso, a invaderlo e a seppellirsi in lui, ad annegare nel
suo corpo più e più volte, sfiorando l’apice del piacere per poi ricominciare,
e andò avanti così finché non si sentì del tutto stremato e soddisfatto.
Tuttavia, anche alla fine di tutto, Juan non volle
staccarsi da Alfonso, non riuscì a separarsi da lui. I loro corpi erano rimasti
allacciati e incatenati l’uno all’altro e trovarono riposo in un dolce languore
mentre i loro respiri tornavano regolari. Il giovane
Borgia si divertiva ad accarezzare i capelli e le guance morbide del ragazzo e
a giocherellare con i suoi ricci scompigliati sulla fronte e sulla nuca. Anche
quella era una cosa insolita per lui: quando mai gli era accaduto di rimanere a
coccolare una delle sue amanti occasionali una volta soddisfatto il desiderio
sessuale? Non gli era mai neanche passato per l’anticamera del cervello, ma si
rendeva conto con stupore che quei momenti di tenerezza con Alfonso lo
riempivano di calore e soddisfazione quasi come i piaceri della passione in cui
si era perduto poco prima e che quell’abbraccio spontaneo e affettuoso era
probabilmente la cosa più bella che gli fosse mai capitata. E non voleva
perderlo, no.
Alfonso era l’unico che lo facesse sentire
davvero vivo, accettato, completo e integro. Era buffo che tutto quello che
aveva cercato inutilmente per l’intera sua vita fosse così facile da trovare.
Adesso tutto ciò che aveva sempre voluto era lì, nel letto, abbandonato e
affidato a lui, ancora completamente esausto e sopraffatto per le emozioni
intense e mai provate prima, con la testa appoggiata al suo petto: sembrava
essersi addormentato in pace e dimentico dell’incubo che lo aveva tormentato.
Juan si trovò ancora una volta a riflettere
su quanto fosse diverso ed enormemente più piacevole sentire il calore e la
tenerezza del ragazzo che gli restava abbracciato e completamente affidato
rispetto alle tante esperienze di amore fisico che gli avevano appagato i sensi
ma lasciato freddo il cuore, di come ormai non potesse più farne a meno, altro
che la dipendenza dall’alcool o dall’oppio!
Nulla
sarebbe stato più lo stesso, ma Juan Borgia doveva stare bene attento a non
commettere i suoi soliti errori e a non compromettere tutto. Aveva voluto il
Principe Alfonso, lo aveva posseduto e aveva invaso ogni fibra del suo essere,
ma ora, proprio come aveva marchiato quel ragazzo e lo aveva fatto totalmente
suo, doveva sigillare e marcare una volta per tutte la sua posizione nel Regno
di Napoli. Avrebbe dovuto trovare un modo. Questa volta non avrebbe perso ciò
che aveva cercato per tutta la vita.
Quella
era la sua casa e accanto ad Alfonso si sentiva felice, accolto e amato.
Perso in
questi pensieri, anche Juan si addormentò, cullato dolcemente dal respiro
regolare del giovane Principe che dormiva già da un po’…
La mattina dopo,
però, quando si svegliò non trovò Alfonso accanto a sé. Sorpreso, Juan si alzò
e si preparò in fretta per andare a cercarlo e lo trovò nella Sala del Trono,
impegnato e concentrato nella consultazione di antichi tomi e pergamene.
“Buongiorno, Principe,
non ti facevo così mattiniero” gli disse scherzosamente, con quel suo mezzo
sorriso che lo imbarazzava e lo faceva arrossire.
“Beh, mi sono
svegliato presto e mi è venuta in mente una cosa, così non ho voluto aspettare
e sono venuto qui” rispose il ragazzo, cercando di riprendere una parvenza di
contegno. Ricordava molto vagamente cosa fosse successo in tutta quella notte
appena trascorsa, ma sapeva di non aver dato certo uno spettacolo edificante di
sé. Aveva perso totalmente ogni controllo, ogni concezione dello spazio e del
tempo e aveva permesso a Juan di fare di lui tutto ciò che voleva, in totale
balia di emozioni che lo stravolgevano anche solo ripensandoci!
“Gonfaloniere…”
“Avevamo detto Juan” lo corresse subito il giovane
Borgia.
“Sì, è vero… dunque…
Juan” mormorò Alfonso, arrossendo di nuovo solo a pronunciare quel nome, “mi
sono reso conto del fatto che voi… che tu, insomma, che la tua posizione qui
dipende soltanto dal fatto che sei stato inviato da tuo padre, Papa Alessandro
VI. Ma che cosa succederebbe se accadesse qualcosa a tuo padre? So che ha molti
nemici e questi vorrebbero di sicuro fare del male a tutta la vostra famiglia.”
Il giovane Borgia non
ci aveva mai pensato prima, ma dovette ammettere che Alfonso aveva
perfettamente ragione. E se non lo sapeva lui! Era il legittimo erede del trono
di Napoli eppure, morto suo padre, era stato catturato dai Francesi e gli era
accaduto di tutto. Cosa sarebbe successo a un Borgia qualsiasi se il Papa fosse
morto? Nessuno di loro aveva una posizione sicura. Juan era il Gonfaloniere e
Capitano Generale dell’esercito papale, ma quale esercito papale avrebbe avuto se il Papa non fosse stato più suo
padre?
Era una bella domanda…
“Dunque mi sono
venute alcune idee” spiegò il Principe, con maggior disinvoltura. “Si tratta di
cose che dovremo iniziare a fare al più presto e io credo di avere l’autorità
per farle, no? Dopotutto, adesso sono io il sovrano del Regno di Napoli.”
“Così sembrerebbe, sì”
commentò Juan, divertito da quell’Alfonso così preso dal suo ruolo.
“Per prima cosa,
stamattina ho inviato una lettera al vostro… al tuo amico, quel Don Hernando de Caballos, affinché venga a Napoli
al più presto. Quando sarà qui lo nominerò Generale dell’esercito di Sua Maestà…
il mio, in parole povere.”
“E’ davvero un’ottima
idea” esclamò il giovane Borgia, soddisfatto. Era esattamente ciò che lui
stesso avrebbe voluto suggerire al Principe. “In questo modo l’esercito di
Napoli avrà una guida valorosa ed esperta, ti avevo detto che Don Hernando è
stato anche uno dei conquistadores
nel Nuovo Mondo? E potrà schierarsi in difesa del Regno accanto all’esercito
papale che è ai miei ordini.”
“Esattamente.
Tuttavia voglio anche che voi… che tu,
insomma, abbia una posizione più sicura in questo Regno. Il ruolo che occupi
adesso è del tutto dipendente dalla figura di tuo padre, al quale noi tutti
auguriamo un lungo e felice pontificato, ovvio” fece Alfonso, con un guizzo
negli occhi e un sorrisetto da birbante. “Ed è per questo che ho deciso di
nominarti mio successore, erede al trono di Napoli e Duca di Calabria, che era
il mio titolo quando mio padre era ancora in vita.”
Fu la volta di Juan
di rimanere sbalordito.
“Come? Aspetta, tu
vuoi che sia il tuo erede? Ma… è una
cosa un po’ buffa, non trovi? Insomma, pensi di adottarmi?”
Alfonso scoppiò a
ridere e fu bello sentire di nuovo il suono della sua risata squillante e
argentina.
“Ma no, non ce n’è
bisogno! I sovrani nominano spesso un loro successore quando non hanno figli.
Io non ho figli e nemmeno parenti ancora in vita, * se si esclude mia sorella Sancha che, comunque, è illegittima” spiegò,
“quindi ho il diritto di nominare chi voglio come mio erede. Del resto è ciò
che ha fatto lo stesso Re Carlo quando è tornato in Francia per motivi di
successione: nemmeno lui ha figli o fratelli e per questo ha nominato suo erede
il Duca d’Orléans Luigi II.”
“E tu hai intenzione
di nominare me?” Juan era
completamente spiazzato e non sapeva come prendere quella notizia. Da un lato era
contento perché quel titolo gli avrebbe consentito di mantenere una posizione
salda e sicura sul Regno di Napoli anche dopo la morte di suo padre (e a
dispetto delle trame dell’infido Cesare…), dall’altro, però, era anche
profondamente turbato. Alfonso si fidava tanto di lui da nominarlo suo erede
senza nemmeno pensare che, se avesse voluto, lui avrebbe potuto eliminarlo per
prendere il trono e nessuno avrebbe potuto dire o fare niente, poiché era stato
Alfonso a volerlo. Ovviamente Juan non aveva la minima intenzione di fare del
male al ragazzo, ma questo Alfonso non poteva saperlo per certo, era pur sempre
un Borgia… Cosa aveva fatto per meritarsi una simile illimitata e
incondizionata fiducia da parte di quel Principe?
“Naturalmente. E’ il
modo più sicuro per consolidare definitivamente la tua posizione nel Regno di Napoli”
ribadì Alfonso, deciso. “Preparerò un editto reale in cui ti nominerò
ufficialmente Duca di Calabria ** e,
quindi, legittimo erede al trono se dovesse accadermi qualcosa.”
“I Baroni di Napoli
avranno ancora più da ridire, la tua non sarà una mossa ben vista dagli Stati
Italiani, tuttavia…” Juan avrebbe voluto scherzare sull’argomento e sulle
insinuazioni (tra l’altro verissime!) che ci sarebbero state sulla sua nomina,
ma fu attraversato da un brutto presentimento che gli fece gelare il sangue.
Prese la mano di Alfonso e la strinse forte. “Perché dici se dovesse accadermi qualcosa? Non ti succederà niente, te l’ho
promesso, io continuerò a proteggerti sempre, il titolo di Duca di Calabria e
tuo erede è solo una sorta di assicurazione per me, perché possa mantenere la
mia posizione comunque vada, non è così?”
Alfonso fece un
sorriso che, però, non gli arrivò fino agli occhi.
“Sì, immagino di sì”
rispose con semplicità. “Nei mesi dopo quello che… insomma… le torture… mi
ammalavo spesso, con febbri altissime e debolezza. Il dottore disse che
probabilmente gli strumenti con cui mi avevano… disse che potevano avermi
avvelenato il sangue.”
Juan si avvicinò
ancora di più ad Alfonso e lo prese per le spalle.
“Questo non significa
niente, anche a me il dottore ha detto che ho rischiato di perdere la gamba, ma
non è successo” protestò, improvvisamente spaventato. “Le infezioni possono
capitare, ma tu adesso stai bene e io sto bene. Non ci accadrà niente e
governeremo insieme questo Regno, se è ciò che vuoi. Sarò il Duca di Calabria,
suona anche bene, tanto ero già il Duca di Gandia… ma sarà soltanto per rafforzare
la mia posizione. Io non prenderò mai il
tuo posto, governeremo insieme, sono
stato chiaro?”
Strinse a sé il Principe e lo baciò a lungo,
profondamente, chiudendolo nel cerchio protettivo delle sue
braccia, unendo il respiro al suo, perdendosi nel suo sapore e nel suo dolce
tepore, comprendendo che niente al mondo avrebbe mai più avuto senso se lo
avesse perso e deciso a fare in modo che questo non avvenisse mai, qualunque
cosa gli fosse costata. Ogni ambizione, ogni desiderio di gloria e potere si
dissolveva ed era come polvere ai suoi occhi e nel suo cuore.
Niente poteva essere più prezioso per lui del
suo divertente, altezzoso e adorabile Alfonso.
Fine capitolo ottavo
* In questo seguo, ovviamente, la versione della
fiction The Borgias, secondo cui il Principe Alfonso era molto giovane e non
aveva figli né fratelli, a parte la sorella illegittima Sancha d’Aragona. Nella
realtà storica il Regno di Napoli passò prima al figlio di Alfonso, Ferdinando
II (che per la fiction e la mia ff non esiste), che morì giovane e senza figli
lasciando il trono allo zio Federico I (che per la fiction e la mia storia non
esiste), tuttavia entrambi regnarono solo per pochi anni, dopo di che il Regno
venne conquistato di nuovo dalla Francia, poi dagli Asburgo di Spagna. Per cui
la dinastia Aragonese si estinse davvero molto presto… tanto vale che io faccia
nominare Juan Borgia come erede di Alfonso! XD
** Era il tradizionale titolo dell’erede al trono del Regno di
Napoli.