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Autore: Ori_Hime    15/07/2020    0 recensioni
Con questa fan fiction voglio raccontare come Roy Mustang e Riza Hawkeye si sono conosciuti, dalla loro adolescenza fino a diventare colonnello e tenente, tenendo conto dell'anime Brotherwood e in parte del manga. A inizio capitolo inserisco pezzi di canzoni che descrivono le scene oppure che parlano di fiamme e cicatrici, simboli di Roy e Riza.
Ecco un piccolo stralcio del primo capitolo, Roy dal punto di vista di Riza: "Notai fin dalla prima volta che varcò la soglia di casa il suo sguardo determinato, deciso e impaziente di apprendere i segreti che solo mio padre conosceva: l'alchimia di fuoco. Era già alto come tutti oggi lo conosciamo, ma non ancora abbastanza muscoloso, mentre il portamento di chi era sicuro di sé, che puntava già in alto, non era stato l'esercito a plasmarlo così, lo era già di natura, come il fascino che esercitava attorno a sé."
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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They say before you start a war
You better know what you're fighting for
Well baby, you are all that I adore
If love is what you need, a soldier I will be

I'm an angel with a shotgun
Fighting til' the wars won
I don't care if heaven won't take me back
I'll throw away my faith, babe, just to keep you safe
Don't you know you're everything I have?
And I, wanna live, not just survive, tonight


 

Angel with a shotgun – The Cub

 

 

Pov Riza Hawkeye

 

Da quando Roy Mustang se n'era andato dalla mia vita per la seconda volta non potevo aspettare ancora che tornasse da me: gli avevo dato io stessa materiale per avere una vita migliore, perché sarebbe dovuto rimanere? Era il sogno della sua vita diventare alchimista di stato e io lo avevo aiutato a realizzarlo. Non ero nient'altro che un mezzo, per lui, per mio padre... e la conferma l'avevo trovata anche la mattina dopo la notte d'amore che avevo trascorso con lui: non si era degnato nemmeno di svegliarmi per dirmi addio e mi aveva lasciato una lista di elementi alchemici e dei nontiscordardime, come se avessi mai potuto scordarmi di lui.

Trascorse qualche giorno sentendomi sola, triste e arrabbiata allo stesso tempo, visto come i giorni precedenti mi avevano decisamente scossa, ma ritrovai il buon umore quando compresi che il messaggio che mi aveva lasciato si trattava di “I love you” e il cuore cominciò a battere all'impazzata. Felice cercai l'indirizzo che mi aveva dato il giorno del funerale di mio padre, con il desiderio di raggiungerlo e non voler più separarmi da lui... Ma lui mi avrebbe voluto? In fondo sapevo che non ero certo stata l'unica donna della sua vita e poi... Non volevo che mi chiamasse Elizabeth!

Riflettei a lungo sul mio senso della vita, ora che mio padre non c'era più non avevo più nessuno a cui badare e non avevo più nessuna sicurezza economica. Ero libera di essere quello che volevo e non ero mai stata nelle condizioni di poter scegliere fin'ora. La mia mente continuava a vagare nei giorni trascorsi con il signor Mustang, alle sue parole, in particolare sulla sua proposta di entrare nell'esercito e ai suoi sogni legati ad esso. Aveva detto che mi ci vedeva... Poteva avere ragione? Non mi ero mai conosciuta prima di incontrarlo e solo con lui avevo iniziavo a conoscermi davvero. Amavo renderlo felice, essere utile, aiutarlo con l'alchimia perché era anche nel male parte di me, ma soprattutto volevo proteggerlo. La sua vita era più importante di qualsiasi amore potessi provare e se volevo che fosse al sicuro l'unico modo che conoscevo era entrare all'accademia militare. E così feci.

Scoprii che avevo un'ottima mira, così mi specializzai nelle armi da fuoco, fatto ironico, visto che avevo impressi i segreti dell'alchimia di fuoco sulla pelle della schiena: mio padre si sarebbe rivoltato sicuramente nella tomba. Non mi importava più cosa avrebbe pensato e io avevo ormai un obiettivo: proteggere chi amavo. E se non potevo proteggere lui avrei protetto tutto il paese, com'era di suo desiderio.

La guerra civile di Ishval era già iniziata da sei anni quando fui mandata anch'io sul campo: l'aria era pregna di morte e polvere da sparo. La sabbia era rossa, intrisa di sangue*: se dovessi descrivere l'inferno lo paragonerei a quei giorni. Fu lì che misi per la prima volta le mie abilità di tiratrice scelta sul campo. Non avevo idea di cosa stessi andando incontro e non ero mai stata così lontana da casa o da East City: mi sentii persa perché tutto ciò che sapevo era che l'alchimia serviva a far felice la gente, non ad ucciderla, e le parole di mio padre ricominciavano a perseguitarmi nella mente, sentendomi più in gabbia che mai.

La prima volta che uccisi qualcuno mi sorpresi della facilità con cui avevo preso la mira e premuto il grilletto: ero stata addestrata a questo, era diventata la mia nuova quotidianità. Ero diventata un'assassina e più la guerra continuava più quelle morti non mi facevano più effetto: erano solo gli ennesimi corpi senza vita che vedevo. Quando me ne resi conto fui terrorizzata da me stessa e mi promettevo di non sparare più, ma ad ogni ordine io obbedivo, ormai troppo assuefatta dal fatto che mirare da lontano mi permettesse di avere un atteggiamento distaccato nei confronti delle mie vittime.

In un raro momento di pausa dei soldati io ero ancora sulla mia torre di vedetta e vidi da lontano un ishvaliano che stava per avvicinarsi a due maggiori dalla chioma corvina, così imbracciai il mio fucile, presi la mira e nel mirino vidi che uno dei due uomini era... sì, proprio lui: Mustang! Ebbi un mancamento, ma in un attimo ritrovai la concentrazione e sparai al nemico. Dopodiché non resistetti: scesi dal punto di osservazione e mi mossi nella sua direzione, portando con me quello che era ormai diventato il mio compagno: il mio fucile, avvolto in una stoffa bianca, come se quel colore potesse renderlo più innocuo. Era lui, non mi ero sbagliata, non era la stanchezza o il mio desiderio di rivederlo che mi ingannava: -Brutto posto per rivederci, maggiore Roy Mustang, si ricorda di me, vero?- mi annunciai a lui, abbassandomi il cappuccio perché potesse riconoscermi. Lui sgranò gli occhi e mi fissò incredulo. Mi chiesi se sapesse che ero entrata nell'esercito, in tutto quel tempo non ci eravamo più rivisti, mentre io sapevo del suo grado di maggiore e che fosse riuscito a diventare l'alchimista di fuoco: sapevo avrebbe fatto senz'altro strada con il suo carattere determinato e, diciamocelo, la sua buona dose di fascino.

-Ah, Hawkeye, quanto tempo! Non mi aspettavo di trovarla qui, ne tanto meno che potesse salvarci in questa circostanza... Ti presento il mio più caro amico, il tenente Maes Hughes.- mi rispose provando ad accennare ad un sorriso, cosa assai difficile in quei tempi.

-Hughes, lei è Riza Hawkeye, figlia di Berthold Hawkeye, il mio insegnante di alchimia.- come presentazione avrei desiderato qualcosa di meno formale e più personale, ma cosa dovevo aspettarmi? Non ero certo la sua ragazza e da quando ero entrata nell'esercito non potevo nemmeno più ambire a diventarlo, soprattutto perché lui era superiore a me di grado.

-Grazie, maggiore, ma ho fatto solo il mio dovere.- gli risposi, poi strinsi la mano al maggiore Hughes e fui invitata a rimanere con loro per quelle poche ore libere che ci erano state concesse. Mi sentii libera di potermi sfogare con Mustang e gli raccontai le mie perplessità riguardante il collegamento tra alchimia e felicità che lui stesso mi aveva esposto, ma anche lui a riguardo si dimostrato sconcertato. Mi dispiacque un po' aver reso il nostro incontro dopo anni così gravoso, ma avevo tante domande e solo lui avrebbe potuto dare una risposta, essendo stato colui che mi aveva ispirato ad entrare nell'esercito e a credere di poter rendere il nostro paese migliore, ma il maggiore non mi diede risposta. I suoi occhi li vedevo vuoti, avevano perso quel fuoco che li vivacizzava e li rendeva magnetici e intriganti. Improvvisamente mi resi conto che, alchimista di fuoco o meno, era un uomo, come tanti altri: lo avevo idealizzato così tanto che avevo fatto diventare miei i suoi sogni e ora comprendevo che non avrebbe potuto dare risposta ai miei dubbi, tanto meno confortarmi dalla situazione che spaventava pure lui.

Quando Kimbly si intromise nei nostri discorsi facendomi sentire proprio uno di quei cani dell'esercito senza cervello come li chiamava mio padre, Mustang si lanciò su di lui per zittirlo. Gliene fui grata, ma forse l'alchimista cremisi aveva ragione e se non avevo reagito era probabilmente perché ero un mostro, uccidevo gente innocente senza pietà, incapace di sbagliare un colpo, era il mio dovere, esattamente come diceva lui. Fu nelle sue parole che compresi che la guerra non sarebbe mai finita per me: mi sarei ricordata di tutte quelle persone a cui avevo sparato, tutti quei corpi senza vita abbandonati e il sangue versato. Questi pensieri tormentarono me, il maggiore e il suo amico, tanto che Mustang gli chiese perché combatteva, prima che se ne andasse e ci ridividessimo: -È semplice, perché non voglio morire. Tutto qui. Le ragioni sono sempre più semplici di quello che si crede.- purtroppo anche quella era una triste verità.

Alla fine della guerra non mi sentii sollevata o felice: gli altri soldati si mettevano in posa per scattare delle foto da vittoriosi, ma io non mi sentivo un'eroina per aver combattuto. Mi sentivo una sopravvissuta, una che la vita non la meritava e qualsiasi buona azione avrei potuto compiere da quel giorno in poi non avrebbe mai potuto espiare le mie colpe. Stavo seppellendo un bambino di Ishval trovato abbandonato sul ciglio della strada quando Roy Mustang mi incontrò: mi riportò alla realtà, che dovevo sbrigarmi ad andar via o mi avrebbero lasciata indietro. Sebbene fosse lui, i suoi discorsi mi passarono attraverso, fin quando sembrò interessarsi a quello che stavo facendo, allora gli rivolsi la parola, spiegandogli il mio stato d'animo. Gli chiesi infine un ultimo favore: liberarmi almeno dal tatuaggio che aveva fatto mio padre, perché non esistesse nessun altro alchimista di fuoco. Lui pose resistenza e potevo comprenderlo, ma lo supplicai almeno di togliermi il peso che mio padre mi aveva dato sulle spalle... finché acconsentì, anche se a malincuore: -D'accordo, ti brucerò lasciando meno segni possibili- e strinse i pugni e i denti, facendosi coraggio per proteggermi... perché, come mi aveva detto lui, il coraggio si trovava così.

-Non so davvero come ringraziarla.- accennai finalmente un sorriso dopo anni.

Rientrati a East City lo invitai nel mio appartamento, ricordandogli di stare attento e passare inosservato, non potevamo avere appuntamenti romantici e nessuno doveva nemmeno sospettare che ci fossero o sarebbero stati dei problemi per entrambi. Lo attesi sulla porta, pronta ad aprirgli, con una bottiglia di vino in mano, perché un po' di alcol avrebbe senz'altro fatto bene ad entrambi. Lui entrando estrasse dalla sua giacca elegante un giglio: lo presi, ringraziandolo, e lo misi in un vaso. Era stato veramente galante a presentarsi di tutto punto e con un fiore, ma quello non era un appuntamento e sperai se lo ricordasse.

-Vino, maggiore?- lo richiamai al suo stato e al nostro rapporto lavorativo, oltre al motivo per cui era venuto.

-Grazie, anche se penso dovremo chiamarci presto con altri appellativi, siamo diventati eroi di Ishval, nonostante tutto... Ho sentito dire che mi promuoveranno a colonnello. Dovrò cercare una squadra tutta mia e un tenente al mio fianco...- mi raccontò serio, guardando il vino e facendolo roteare nel bicchiere.

-Congratulazioni, allora, colonnello!- gli sorrisi, contenta per lui, anche se non dimostrava particolare soddisfazione e ne capivo il motivo: essere eroi di Ishval non era per noi motivo di orgoglio, anche se ci aveva fatto ritrovare e incontrare quella sera. -Un brindisi!- proposi, fingendo che andasse tutto bene e ricalò il silenzio. Tra un bicchiere e l'altro Mustang fece complimenti per il mio appartamento, perché, anche se piccolo era funzionale, comodo e ben arredato. Annuii ringraziandolo e non sapendo più che dirgli, bevvi un ultimo bicchiere e mi tolsi il dolcevita nero, inginocchiandomi sul pavimento dandogli la schiena. Mi levai anche il reggiseno dello stesso colore e aspettai che lo studente di mio padre mantenesse la sua promessa.

Lo sentii avvicinarsi a me, accucciandosi verso la mia schiena, ma improvvisamente lo cominciò a singhiozzare e per sdrammatizzare gli ricordai che le lacrime, come la pioggia, non avrebbero potuto far funzionare la sua alchimia di fuoco, ma non servì a nulla. Mi girai, coprendomi con un braccio e gli accarezzai il viso, supplicando, prima o poi, di sollevarmi da quel peso che portavo in groppa. Lui inizialmente bloccò la mia mano sul suo volto, poi mi scostai per dargli di nuovo le spalle. Lo sentii infilarsi i guanti, mi avvertii di dove avrebbe bruciato il mio tatuaggio per prepararmi, schioccò le dita, e subito dopo provai un grande dolore lancinante vicino alla scapola sinistra. Mi trattenni dall'urlare per non spaventarlo, ma non potei non piangere e mi incurvarmi in avanti, stringendomi ancor più il petto. Mustang mi circondò con le sue braccia i fianchi, continuando a ripetermi “scusa” straziato, bagnandomi con le sue lacrime.

Quando ricominciai a respirare regolarmente, mi alzai e andai in bagno per rinfrescare la schiena sotto l'acqua fredda. Avrei avuto presto delle nuove cicatrici, proprio frutto delle altre sulla mia schiena. I due uomini della mia vita mi avevano lasciato segni ben visibili, segni di fuoco, uno mi aveva marchiata come un animale per lasciare le sue memorie, e l'altro mi aveva bruciata proprio per cancellarle. Nessuno poteva sapere quanto interiormente mi avevano segnato, certe cicatrici non si potevano vedere a occhio nudo e nessuno avrebbe mai dovuto scoprire cosa si nascondeva nel mio cuore.

Appena uscii dalla doccia e mi avvolsi attorno ad un asciugamano, lasciando la schiena però scoperta per lasciarla respirare, Roy Mustang entrò nel bagno. Stava ancora singhiozzando, disperato, e si fiondò su di me, continuando a scusarsi e mi strinse a lui, abbracciandomi e cercando poi le mie labbra.

Non avrei mai ceduto in altre circostanze, prendevo seriamente il mio lavoro, ma non riuscii a respingerlo: risposi al suo bacio, dicendogli che andava tutto bene, lasciandomi trascinare dalla passione. La sua lingua mi catturò e non mi mollò se non per riprendere fiato, e mi strinse a tal punto da graffiarmi sulle sue stesse bruciature. Gemetti per il dolore sulle scapole, mordendogli un labbro per errore, allora lui riprese a scusarsi, cadendo a terra e versando altre lacrime. Lo raggiunsi sedendomi sul pavimento e gli accarezzai i capelli folti, perché la smettesse di sentirsi in colpa, poi lo strinsi al mio petto. Quando alzò lo sguardo mi guardò con intensità negli occhi poi ripuntò alle mie labbra e riprendemmo a baciarci, senza più pensare a niente. Mi stesi, mentre lui aveva iniziato a dominarmi, togliendomi l'asciugamano di dosso, accarezzandomi tutto il corpo prima con delicatezza e poi con sempre più foga. Di risposta lo spogliai anch'io, trattenendolo vicino a me tirandolo per i vestiti, fin quando completamente nudo mi fece nuovamente sua. Nonostante l'eccitazione che raggiungemmo, quell'amore sapeva di lacrime, di sudore e di bagnato... La passione si spense presto, facendo strada al dolore, alla paura e alla solitudine. Quando il maggiore tornò in sé, consapevole delle sue azioni efferate, fu come attraversato dal rimpianto, rivestendosi velocemente per poi lasciare il mio appartamento sconvolto e incapace di dire una parola.

Rimasi nuovamente sola e anche se avevo ottenuto quello che desideravo, non riuscii a sentirmi sollevata. Isvhal ci aveva cambiato nel profondo e avevamo cercato nell'altro un conforto che non avremmo potuto trovare in altri... ma era troppo presto perché le nostre anime potessero riappacificarsi così facilmente. Il giorno seguente ricevetti a casa una serie di fiori: giacinti viola, peonie, anemoni, calendole... erano tutti suoi messaggi per chiedermi scusa, ma li aveva indirizzati ancora a Elizabeth e, nonostante avessi capito che era il suo modo criptico per chiamarmi, li rifiutai. Non doveva scusarsi, lui mi aveva liberato, gli dovevo solo gratitudine.

Come mi aveva accennato, ricevetti la nomina di tenente e fui convocata nell'ufficio del colonnello Roy Mustang. I nostri nuovi ruoli riponevano ancor più le distanze tra di noi, non avremmo mai dovuto sgarrare d'ora in poi e i suoi occhi fermi e determinati lo sapevano. Non erano più quelli di qualche notte prima dove mi aveva fatto conoscere le sue tenebre: avevano ritrovato il coraggio e la speranza di quando era giovane, sebbene portasse anche lui le cicatrici di Ishval.

Mi manifestò le sue perplessità nel vedermi ancora nell'esercito, nonostante quello che avevamo vissuto in guerra, ma io mi dimostrai decisa a rimanerci, in fondo credevo ancora in lui, volevo continuare a sperare in un futuro migliore, dove l'alchimia potesse aiutare la gente. Non lo avevo ancora dimenticato, dentro di me il suo fuoco ardeva ancora e andandomene non avrei mai potuto proteggerlo.

Mi propose di diventare la sua assistente, facendogli da guardia del corpo e non esitando a sparargli se mai avesse sbagliato qualcosa. Capii che non era un semplice compito e che non mi voleva accanto a sé solo per farsi perdonare, ma che stava mettendo nelle mie mani la sua stessa vita, consapevole che solo io potevo porle fine, io che conoscevo le sue ambizioni più segrete e le sue debolezze più oscure: ero stata il suo strumento per arrivare fin lì, ma sarei stata anche l'unica che lo avrebbe fermato e rimesso in riga, se occorreva. Era il suo modo per ringraziarmi e avermi sempre accanto e io accettai il suo incarico: pur di proteggerlo lo avrei seguito all'inferno, ancora e ancora.

 

 

Note:

*citazione di Riza nell'anime Brotherwood

Eccomi con il penultimo capitolo, la canzone scelta è proprio un richiamo al capitolo scorso “Angel”, anche se questa l'ho pensata dal punto di vista di Riza dicendo infatti “Sono un angelo con un fucile da caccia”. Ammetto che non conoscevo la canzone se non l'avessi trovata prima in un video su youtube dedicato proprio a Roy e Riza, ma l'ho trovata troppo azzeccata per loro due così ve l'ho riproposta.

Per quanto riguarda i fiori, adoro dare un significato ai fiori che uso nelle mie storie e Giglio significa “regalità”, secondo Il linguaggio segreto dei fiori” di Vanessa Diffenbaugh, mentre su internet ho trovato come significato quello di “purezza”, di richiesta di scusa e in fondo Mustang la vede in entrambi i modi: la reputa nel corso dell'anime la sua Regina e nella mia storia l'ho sempre resa ai suoi occhi pura e intoccabile, quindi il giglio lo vedo molto come fiore che rappresenti Riza, trovando anche una fan art che lo dimostra (a fine pubblicazione qui su Efp posterò sulla mia pagina facebook “Fairy Floss” un album che conterrà diverse fan art a tema con la mia storia inclusa quella.)

Per quanto riguarda i giacinti viola, peonie, anemoni e calendole ho trovato su internet come indicati per chiedere scusa. I giacinti inoltre sono anche visti nell'anime, così li ho trovati azzeccati anche per una citazione... Viola in particolare, secondo Vanessa Diffenbaugh, significano “perdonami, ti prego!”.

Le calendole ho letto sempre su internet che significano pentimento (per V. D. Dolore), le peonie invece timidezza e vergogna e gli anemoni riconciliazione e la voglia di voler fare il primo passo per riconquistare la fiducia dell'altra persona (da http://www.piano17.com/generalista/quali-fiori-regalare-per-chiedere-scusa/ )

Grazie per aver letto questo penultimo capitolo e tutta questa solfa sui fiori, spero possa esservi interessata!

Alla prossima settimana con l'ultimo capitolo!

Bacioni,

Ori_Hime

  
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