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Autore: MauraLCohen    16/07/2020    2 recensioni
Qualche anno dopo il trasferimento dei Cohen a Berkeley, sulla città si abbatte un violento temporale, che obbliga Sandy, Kirsten e Sophie Rose a rimanere a casa.
La pioggia, però, per Sandy ha un significato oscuro, che lo obbliga a ripensare a momenti infelici.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kirsten Cohen, Sandy Cohen, Sophie Rosie Cohen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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One shot scritta per la Uno, due, tre... One Shot! Challenge del gruppo Facebook Better than Canon.
***
PromptPioggia, lunedì, troppo tardi.



Un giorno di pioggia
 

Sandy si rigirò tra le lenzuola per diversi minuti prima di decidersi ad aprire gli occhi. Fuori dalle finestre il cielo era grigio e furioso, chiuso da pesanti nuvole che opprimevano la luce del sole e scatenavano su Berkeley uno dei peggiori temporali degli ultimi tempi. Probabilmente il TG locale stava già annunciando l’allerta meteo e questo significava che né lui né Kirsten avrebbero dovuto lavorare quella mattina. Si girò su un fianco, dando le spalle alla finestra, per guardare il viso rilassato della moglie che dormiva profondamente, cullata dal tepore delle coperte. 

Non la sveglierebbero neanche le cannonate – ridacchiò lui, seguendo con l’indice la linea della sua tempia, portandole alcune ciocche bionde dietro l’orecchio. Lei arricciò il naso leggermente, rilassandosi sotto il tocco delicato di Sandy, che intanto le sorrideva amorevolmente. Era talmente adorabile quando dormiva che le perdonava tutte le volte in cui riusciva a  russare pure più forte del temporale fuori dalla finestra. In fondo, quella era una cosa di lei che aveva sempre amato, fin dai tempi del college, quando Kirsten era l’unica persona che riusciva a metterlo in soggezione; era intelligente, la migliore del suo corso, costantemente divisa tra mille impegni e, nonostante ciò, non si lamentava mai. Era quasi impossibile starle dietro e quell’aspetto di lei, nel tempo, non era cambiato: per quindici anni si era occupata del Newport Group e della famiglia senza battere ciglio ed ora faceva lo stesso districandosi tra la galleria d’arte e Sophie Rose. 

Sì, è incredibile, ma almeno russa. – scherzò Sandy, tra sé e sé, voltandosi verso il comodino dove  la luce verde della sveglia segnava le 6:30 del mattino. 

« Oggi niente surf » sbuffò, mentre un lampo inondava di luce la camera da letto, facendolo sobbalzare. Il brutto tempo era qualcosa che Sandy odiava con tutto se stesso e non solo perché lampi e tuoni gli impedivano di andare in spiaggia all’alba; se c’era una cosa che aveva imparato nella vita, era proprio che non arrivava mai niente di buono con la pioggia. Mai

Ma il mondo non poteva fermarsi per qualche goccia d’acqua e nemmeno Sandy Cohen, così si mise in piedi, stiracchiando le braccia e la schiena verso l’alto, prima di avvolgersi nel suo caldo accappatoio blu scuro. Legò la cintura di stoffa all’altezza della vita e si riavvicinò alla parte del letto in cui Kirsten era sdraiata per baciarle la fronte. 

« Mamma-aa? Papàà-àà? » Una vocina femminile decisamente troppo acuta per le sette del mattino coprì il ticchettare incensate della pioggia che cadeva sulle strade. 

Sandy si rimise dritto, sentendo Sophie Rose chiamare a squarciagola, ma continuò a guardare l’espressione rilassata della moglie. 

« Vado a sfamare la peste, prima che divori il tavolo » continuò a scherzare, come se lei lo stesse ascoltando. 

« Alla peste non piace il tavolo, papà, ma i pancakes sì, tanto. » La voce di Sophie Rose fece voltare il padre di colpo, che la vide in pigiama, con le manine strette ai fianchi in segno di protesta, mentre lo guardava ferma sulla porta. Sandy sorrise, vedendo la figlia così. 

« Mi sa che devo farmi perdonare » disse ad alta voce, muovendo le mani a mezz’aria e facendola ridere. 

« Allora inizia a preparare i pancakes! » annuiva, soddisfatta.

« Agli ordini, piccola peste! » Sandy si sporse in avanti, e sogghignando in direzione della figlioletta ancora ridente, si mise a correre per pizzicarle le gambette protette dai pantaloni del pigiama. 

« Papà, smettila! » lo rimproverò lei mentre la sollevava per i fianchi, portandola sopra la propria spalla e lasciandola ciondolare con i riccioli biondi e le braccia sottili che puntavano il pavimento. 

Lasciarono Kirsten in camera da letto a dormire ancora per un po’, staccando anche la sveglia per evitare che la disturbasse, mentre loro si diressero in cucina per preparare la colazione. 

Appena arrivarono al piano di sotto, Sandy mise a terra la piccola Sophie Rose che schizzò via in direzione del soggiorno come un panetto di burro, attirata dal divano e dalla televisione, che parevano averla richiamata come per magia. L’uomo la lasciò fare, osservandola tuffarsi tra i cuscini e afferrare con decisione il telecomando per cercare su Netflix qualche film da vedere. Lui e Kirsten ignoravano completamente il funzionamento dello streaming, per loro Hastings e Randolph avrebbero dovuto continuare a inviare i dvd a casa tramite posta, ma Seth aveva insistito tanto per far scoprire a Sophie Rose la libreria digitale con i suoi film e cartoni preferiti, che alla fine i genitori avevano ceduto e gli avevano dato carta bianca per l’acquisto di una nuova televisione. 

Sicuro che la piccola fosse tranquilla, Sandy girò su se stesso, lasciandosi alle spalle il soggiorno per dirigersi in cucina. Lì iniziò a frugare tra i vari pensili, disposti ordinatamente sopra il piano da lavoro e lungo una linea retta immaginaria, per reperire la padella antiaderente e qualche contenitore trasparente dalla forma concava; passò, poi, ai cassetti dei mobili sotto al lavello e al piano cottura, dai quali prese gli utensili mancanti, tra cui mestolo e frusta. Sandy dispose tutto ordinatamente sul tavolo così da trovare ogni cosa velocemente e senza nemmeno il bisogno di alzare gli occhi dal composto. Cucinare era una di quelle attività che aveva sempre apprezzato fin da bambino. Sophie, la madre, non era quasi mai a casa e, perciò. preparare i vari pasti della giornata per sfamare Jackson e Linda, i suoi due fratelli più piccoli, toccava a lui, specie dopo che il padre se n’era andato. 

Sandy scosse il capo per allontanare il ricordo dell’uomo. Si voltò verso il frigo e lo spalancò con un colpo secco, afferrando alla cieca gli ingredienti. Era difficile tenere sopita l’immagine del padre quando fuori dalle finestre tuoni e lampi tenevano in scacco tutta la California meridionale. 

Erano passati quarant’anni dalla mattina in cui, in un piccolo appartamento del Bronx, un ragazzino di otto anni correva in cucina per preparare la colazione con il padre, ma trovò solo la madre accasciata sul tavolo, con un pezzo di carta accartocciato tra le dita strette a pugno, mentre faceva di tutto per impedire alle lacrime di fuggire dagli occhi. 

« Devo andare a lavoro. Ci pensi tu qui, Sandy? » Furono le uniche parole che la donna rivolse al piccolo, che, intanto, realizzava a fatica ciò che stata accadendo. Il padre se n’era andato. Lo aveva abbandonato, lì, da solo, a prendersi cura di tutti. 

Sandy non ricordava se avesse pianto oppure no, non era più nemmeno sicuro di ricordare cosa aveva detto a Jackson e Linda quando si erano svegliati; l’unica cosa che aveva impressa di quel giorno nella mente era il rumore della pioggia contro l’asfalto, i tuoni violenti che succedevano all’intensa luce dei lampi; ricordava il freddo di quei momenti, i vetri rigati dall’acqua e la natura che piangeva e gridava per quel povero bambino che avrebbe tanto voluto farlo, ma non poteva, perché da quel momento in poi spettava a lui prendersi cura della madre e dei fratelli. 

« Maledizione! » L’urlo di Sandy gremì la cucina. 

Sul piano in cui stava aprendo le uova l’albume aveva formato una pozzanghera appiccicosa, mentre tutto il tuorlo era colato sulle dita dell’uomo che ancora tenevano stretto il guscio rotto. Scuotendo rapidamente le mani su e giù, Sandy lasciò schizzare il liquido giallastro da una parte all’altra della lastra di marmo, cercando di afferrare il rotolo della carta assorbente con gli avambracci.

Dall’uscio della porta due occhi azzurri, ancora un po’ addormentati, avevano osservato silenziosi tutta la scena, cogliendone immediatamente il sotto testo. Sandy era bravo a mascherare le sue emozioni, a dimostrarsi sempre imperturbabile, ma dopo quasi trent’anni di matrimonio, Kirsten aveva messo appunto le sue tecniche per leggere attraverso i silenzi e i comportamenti insoliti del marito.      

« Aspetta, aspetta! Faccio io » lo rassicurò, avvicinandosi alla grande isola, che occupava gran parte della stanza, per prendere il rotolo di carta bianca e tirare via qualche strappo per pulire il macello che le uova avevano creato per tutta la superficie di marmo. 

« Grazie » disse Sandy mentre Kirsten gli apriva il lavello per permettergli di risciacquare le mani. 

Per un momento, in tutta la casa si udirono solo il suono dell’acqua che si infrangeva tra le dita laboriose di Sandy e le battute di un film che Sophie Rose guardava con attenzione in soggiorno. 

Sandy abbassò la leva d’acciaio e bloccò il getto d’acqua, scuotendo le mani per asciugarle un poco ed evitare di gocciolare il pavimento. Kirsten, intanto, teneva gli occhi puntati su di lui, aspettando di incontrare i suoi. 

« Sta guardando di nuovo Bolt? » osservò l’uomo, evitando il contatto visivo con la moglie e tornando ad armeggiare con uova e frusta. « Sarà... quanto? La nona, forse la decima volta che lo guarda. Insomma, ha un’intera collezione di titoli a portata di telecomando e continua a guardare sempre lo stesso? »

« Sandy… » Kirsten provò a mettere fine allo sproloquio infinito del marito, ma lui continuò ad ignorarla. 

« Dico solo che potrebbe provare a guardare qualcos’altro, prima o poi dovrà farlo. » Intanto che parlava teneva gli occhi bassi e continuava a mescolare vigorosamente il composto a cui aveva aggiunto il latte e il burro fuso. « Anche Seth faceva così quando era piccolo, ti ricordi? » sorrise al pensiero del figlio bambino, con il naso all’insù, seduto all’indiana sul tappeto proprio sotto il mobile della televisione. « Si fissava con un film, un videogioco e rimaneva per ore e ore davanti allo schermo  insieme a Capitan Avena senza battere ciglio. Te lo devo dire: ogni tanto dubitavo che fosse umano. »

« Uh-uhm » rispose Kirsten, senza smettere di osservarlo setacciare il lievito e la farina, mentre restava seduta dal lato opposto dell’isola. Sapeva che cosa stava cercando di fare Sandy: sviare il discorso, ubriacandola di chiacchiere, così da distrarla e impedirle di chiederle come stesse. Così decise di assecondarlo. Il discorso del padre, per il marito, era sempre stato una sorta di tabù e non le andava di forzarlo. Bastava accennare a quell’uomo per vedere il viso di Sandy incupirsi e le sue labbra chiudersi per non emettere più nemmeno un fiato. 

Nessuno, a parte lei, conosceva l’intera storia, né a Berkeley né a Newport; per Sandy quel capitolo della sua vita faceva decisamente troppo male per poter essere tirato fuori con semplicità e raccontato. Per anni aveva sentito dentro il desiderio di sfogarsi e parlare di quel male che gli chiudeva lo stomaco, ma non era facile riscoprirsi così vulnerabile e mostrarlo agli altri lo era ancora meno. Così, quando Sandy doveva parlare del padre, liquidava la questione con una frase: mi sono alzato una mattina e lui non c’era più. Anche con Rebecca e Max aveva taciuto ogni altro particolare e, se allora non capiva perché fosse così difficile parlare con le due persone a cui credeva di tenere di più in assoluto, quando qualche anno dopo conobbe Kirsten, la risposta gli fu chiara: non si era mai sentito abbastanza al sicuro con nessuno prima di lei. Per quello nessuno a parte lei conosceva la storia di Ben Cohen e mai l’avrebbe conosciuta.

« Dammi, faccio io. » 

Sandy non si era nemmeno accorto che ora Kirsten era in piedi accanto a lui, con le mani tese in direzione della torre di contenitori, fruste e utensili vari, tutti impiastricciati di pastella.  In quel momento l’uomo non poté fare niente per evitare gli occhi di lei, che gli stavano sorridendo amorevolmente. 

« Grazie » rispose lui, porgendole la piccola struttura traballante. Facendo attenzione a non sporcare il pavimento, Kirsten la dispose nel lavello per un rapido prelavaggio prima della lavastoviglie. Un’abitudine – probabilmente inutile – che aveva ereditato dalla madre: anche Rose sciacquava sempre i piatti prima di metterli in lavastoviglie e pure Ryan si era abituato a fare lo stesso. Cosa che, poveretto, gli era costata parecchi anni di prese in giro da parte di Seth. 

Kirsten sorrise al ricordo e Sandy colse immediatamente i pensieri della moglie. 

« Ora ucciderebbe per avere Ryan con lui » scherzò, abbandonando la padella con la pastella che si stava dorando, per avvicinarsi a lei. 

Kirsten scoppiò a ridere. « Pagherebbe per avere chiunque ad occuparsi delle faccende. Avremmo dovuto metterlo ai lavori forzati qui in cucina un po’ più spesso. »

Rise anche Sandy mente le cingeva la vita con entrambe le braccia. « Beh, è diventato il re del barbecue, qualcosa di buono gliela abbiamo insegnata » osservò, muovendo leggermente la testa di lato con fare allusivo. 

« Ha imparato a Portland ad usare il barbecue » puntualizzò Kirsten, arricciando il naso in una smorfia di incertezza. 

« Hhn, Seth è un Cohen, ha il grill nel sangue. Il fatto che la sua vocazione sia venuta fuori a Portland rappresenta solo uno spiacevole incidente » continuò a scherzare Sandy, cercando di mantenere un’espressione seria che fece scoppiare Kirsten a ridere. 

« Fidati di tua moglie, lascia perdere le rivendicazioni su nostro figlio e preoccupati di – » Con l’indice puntò la nuvoletta di fumo che stava avvolgendo la padella « – beh, qualsiasi cosa sia diventata ora » concluse e Sandy si voltò immediatamente, fiondandosi sul fornello. Spense la fiamma e tolse il pezzo di carbone dal tegame, per poi scaraventare quel ferro bollente nel lavandino e aprire l’acqua; si inalzò, così, una nuova nuvola di fumo, accompagnata dal rumore che ricordava le patatine quando vengono immerse nell’olio bollente. 

« Oggi non ne combino una giusta » sbuffò Sandy, appoggiandosi al bordo della superficie accanto al lavello. Kirsten si avvicinò a lui, sorridendogli, gli accarezzò i capelli che gli ricadevano sulla fronte e spostò qualche ciocca di lato. 

« Non sei tu, è questo lunedì che non ne fa una giusta » lo confortò, portandogli le braccia al collo. Sandy sapeva che stava alludendo al padre e le fu grato di non aver insistito sull’argomento. Non gli andava di farsi avvelenare il sangue da un codardo che era scappato quarant’anni prima, facendo perdere completamente le sue tracce. Non voleva che il ricordo di quel miserabile gli rovinasse l’umore, non quando poteva passare tutto il resto della giornata con Kirsten e Sophie Rose. Così scosse leggermente il capo, rispondendo al sorriso della moglie. Chinò di poco il proprio viso sul suo e la baciò, lei lo lasciò fare e affondò le dita tra i suoi capelli, esortandolo a continuare. Sentì le sue braccia stringerle la vita, facendo aderire i loro corpi languidamente, mentre assaporavano l’uno il sapore dell’altra, approfondendo pian piano. Kirsten gli morse il labbro inferiore, beandosi del sapore di caffè sulle labbra di Sandy e invitò la sua bocca a schiudersi. Le loro lingue ora avevano iniziato a cercarsi frenetiche, instancabili. Entrambi erano completamente persi in quel momento, dimenticandosi di tutto ciò che li circondava. Non c’erano più la tempesta fuori dalla finestra, il rumore della televisione in salotto; c’erano solo loro due, ora, e quella sensazione di estasi e sicurezza che li avvolgeva. 

Sulle labbra di Sandy nacque un sorriso spontaneo.

« È troppo tardi per la colazione? » chiese, ridacchiando. 

Lei scosse il capo. « Dubito che nostra figlia abbia un troppo tardi per i pancakes. »

« Temo tu abbia ragione » rispose lui, poggiando la fronte sulla sua spalla in segno di resa. Kirsten sorrise e posò il capo su quello di Sandy, accarezzandogli la nuca. 

« Ci penso io qui, perché non vai di sopra a fare una doccia calda? »

Sandy accolse di buon grado la proposta della moglie, le diede un ultimo bacio innocente e se ne andò, lasciando Kirsten a combattere contro la colazione. In soggiorno Sophie Rose era ancora impegnata a saltellare su e giù seguendo i personaggi del cartone, il padre le posò un bacio sul capo e poi si diresse sulle scale, percorrendo il corridoio del secondo piano fino alla camera da letto. Si sfilò la maglia del pigiama e dai cassetti prese una felpa e un paio di jeans, poi si diresse finalmente in bagno. Aprì l’acqua e la lasciò scorrere per un po’ mentre il vapore acqueo riempì la stanza e opacizzò tutte le superfici. Sandy sospirò, lasciandosi beare dal tepore dell’acqua e piano piano sentì i muscoli di tutto il corpo rilassarsi, così come la sua mente. Aveva faticato a tenere a bada il ricordo del padre nelle ultime ore, c’erano momenti in cui ancora vedeva davanti agli occhi l’immagine della cucina deserta e lui che rimaneva lì da solo a fissare la madre andare a vestirsi; sentiva ancora nelle orecchie il silenzio di quell’istante e lo scrosciare della pioggia sulle strade di New York. E quell’immagine, quei rumori, gli facevano ancora male e forse avrebbero continuato a farlo per sempre, perché il tempo non cura le ferite, ti insegna a conviverci, ma se sei fortunato – e Sandy sapeva di esserlo – ti permette di andare avanti e di conoscere le persone che di quelle ferite si sarebbero prese cura. 

Lui aveva Kirsten.    

La prima volta che le aveva raccontato la storia del padre erano al college e uscivano da qualche mese: avevano passato insieme il primo Natale, il primo compleanno di lei, San Valentino – per cui Kirsten nutriva uno strano entusiasmo secondo Sandy -  e presto si sarebbero separati per la pausa estiva. Nessuno dei due sembrava entusiasta all’idea di stare lontani per tre mesi, ma negli ultimi giorni prima della partenza Sandy sembrava più nervoso del solito, più cupo e distante. Inizialmente Kirsten credette che fosse a causa del ritorno a causa: sapeva che il ragazzo non aveva un bel rapporto con la madre e il clima di New York lo esasperava, ma non poteva credere che nemmeno una piccola parte di lui desiderasse di tornare a casa. Indagò con Paul per cercare di capire cosa gli stesse passando per la testa, ma l’amico non sapeva molto più di lei, così decise di lasciar perdere, pensando che stesse diventando paranoica. 

La notte prima della partenza, Paul era uscito con Helen, perciò Sandy decise di andare da Kirsten e farle compagnia mentre ultimava i bagagli. 

Seduto sul letto della ragazza, Sandy non riusciva a smettere di tormentarsi. Tornava a casa solo una volta l’anno, per qualche giorno, ma ogni volta che metteva piede in quel luogo sentiva qualcosa bloccargli lo stomaco a tal punto che i conati di vomito avevano la meglio su di lui. 

« Mi dici cos’hai? » gli chiese Kirsten, abbandonando la maglia che aveva in mano per raggiungerlo sul letto. Si sedette accanto a lui e gli accarezzò una guancia con il dorso del pollice. « Se c’è qualcosa che non va, con me ne puoi parlare » lo rassicurò, ma Sandy abbassò lo sguardo, lasciandosi cadere con la schiena sul materasso. Kirsten rimase seduta, girando il busto per poterlo guardare in faccia. 

« Sandy… » riprese lei, abbozzando un sorriso blando. 

Il ragazzo tese un braccio per invitarla a sdraiarsi su di lui. « Non è nulla » provò a giustificarsi, ma Kirsten non gli credette. 

« Con me non attacca » lo canzonò, poggiando il mento sul suo petto. « Perché ti spaventa tanto tornare a casa? » A quella domanda gli occhi di Sandy parvero velarsi di lacrime e lei rimase interdetta: non si aspettava una reazione simile. Lui sospirò e il respiro parve tremargli dentro. 

« Quello che ti sto per dire non l’ho mai detto a nessuno. Né a Paul, né a Max, nemmeno a Rebecca e non dovrà mai uscire da questa stanza. » Sandy parlò senza fermarsi neanche a pensare. La strinse a sé e iniziò ad accarezzarle la schiena con il dorso della mano. 

Kirsten non disse nulla, non ce n’era bisogno, Sandy sapeva che poteva fidarsi di lei e infatti iniziò a raccontare senza aspettare nemmeno la risposta. 

« Ti ho già detto che mio padre se n’è andato quando avevo otto anni, no? »

Lei annuì. 

« Si chiamava Ben. Ben Cohen. Lavorava con i servizi sociali, insieme a mia madre. Tutti dicevano che ci somigliavamo molto e per quanto mi costi ammetterlo, più passa il tempo, più sembriamo simili. Anche se lui portava la barba, lunga. Orribile. Però a lui piaceva e nessuno si è mai azzardato a suggerirgli di tagliarla. Per anni è stato il mio eroe. Il padre che ogni bambino avrebbe voluto. Giocavamo a baseball insieme, andavamo a vedere le partite insieme. È stato lui ad insegnarmi a cucinare. Mia madre era spesso fuori per lavoro e lui, beh…   » Sandy si zittì per un secondo, reclinando il capo all’indietro per ricacciare dentro le lacrime e Kirsten gli strinse la mano, cercando di dargli conforto. 

« Non ne dobbiamo parlare per forza » gli disse « Non credevo che fosse questa la ragione, se l’avessi saputo, non - »

« Va tutto bene » la interruppe Sandy « Voglio parlartene. È stata una parte importante della mia vita, voglio che tu la conosca. »

« Okay » rispose lei con un filo di voce, tornando a poggiare la testa sul suo petto, mentre lui riprendeva il racconto. 

« Ben lavorava, ma non quanto la mamma. Lui trovava il tempo di stare con me, Jackson e Linda. Sapeva dire basta, a differenza di lei, suppongo. Il problema è che un giorno ha deciso di dire basta anche alla sua famiglia. Era un lunedì. Non me lo scorderò mai. La sveglia aveva iniziato a suonare presto, perché eravamo in cinque, con un solo bagno. Se volevamo uscire di casa in orario, bisognava organizzarsi. Mi trascinai giù dal letto, stanco. Il lunedì avevo sempre due ore di storia e le odiavo, finivo sempre con l’addormentarmi. – immaginandosi Sandy bambino che ronfava sul banco di scuola, Kirsten sorrise – Mio padre si alzava poco prima di me e mi aspettava in cucina così potevamo preparare insieme la colazione. Era il nostro momento e io ci tenevo molto. Non tutti avevano la fortuna di avere un super papà, ma io sì. Fino a quella mattina, almeno. Quando andai in cucina quel giorno lui non c’era. Il tavolo non era apparecchiato, i fornelli erano spenti e il banco su cui preparavamo le cose era in ordine. Al loro posto, però, c’era mia madre, seduta su una sedia, mentre stringeva tra le mani un pezzo di carta stropicciato. Non ce la faccio più ad andare avanti così. Non cercatemi. Addio. Tre fottute frasi del cazzo. Se n’è andato lasciando tre fottute frasi del cazzo. Io ero impietrito. Volevo urlare, rivoltare la cucina e rompere tutto, ma non lo feci. Riuscivo a sentire solo il rumore della pioggia fuori dalla finestra, solo quello. Rimasi fermo lì a guardare mia madre che, vedendomi, si alzò in piedi, si sistemò i capelli dietro l’orecchio e mi disse: ci pensi tu qui, Sandy? Solo questo. Mio padre se n’era appena andato e lei mi disse solo quello. Uscì di casa poco dopo, lasciandomi lì a fare i conti con Jackson e Linda che si sarebbero svegliati presto, chiedendo dove fosse papà. Dovetti dirglielo io. Jackson ha solo un anno meno di me, capì al volo la situazione, ma Linda aveva solo tre anni. Era così piccola, così… Innocente. Venerava nostro padre e pianse come non aveva mai fatto quando le dissi che se n’era andato. Col senno di poi avrei potuto rimandare, aspettare che tornasse mia madre o dirle che non sapevo dove fosse, forse sarebbe stato meglio per lei, ma in quel momento non ero in grado di pensare a nulla. Continuavo a ripetermi le parole con cui ci aveva lasciati. Non cercatemi. Non aveva scritto non cercarmi, per mia madre; aveva proprio scritto non cercatemi. Non voleva che i suoi figli lo cercassero. Non voleva noi. Quale padre non vuole i suoi figli? Poi così, di punto in bianco. Il giorno prima era il papà migliore del mondo e il giorno dopo ci diceva che voleva starci lontano, iniziare una nuova vita senza di noi? Ti giuro che ancora non capisco cosa possiamo avergli fatto di male per meritare una cosa del genere. Sapeva che nostra madre non ci sarebbe stata, che avrebbe continuato a preferire il lavoro a noi, ma se n’è andato comunque. Sapeva che ci avrebbe lasciati da soli e lo ha fatto comunque. Non ha mai tenuto davvero a noi, non ci ha mai voluto bene, perché altrimenti non ci avrebbe mai fatto una cosa del genere. Da quel giorno Jackson e Linda sono diventati una mia responsabilità. Mi sono preso cura di loro, sempre. Aiutavo Jack negli sport, andavamo insieme agli allenamenti e alle partite, poi aiutavamo Linda con le cose di scuola, ogni tanto la vestivamo anche… È un miracolo che ci parli ancora. – Sandy accennò un sorriso – Siamo andati avanti così fino ai miei sedici anni. » 

« Quando ti sei trasferito qui? » lo interruppe lei, sollevando lo sguardo sul suo viso. 

Sandy annuì. « Quella borsa di studio era la mia occasione, la mia possibilità di fare qualcosa di concreto nella vita. Venire qui in California era sempre stato il mio sogno. Imparare ad andare sul surf, studiare legge… Fino a quel momento mi ero dedicato alla mia famiglia completamente, ma quando ricevetti quella chiamata, non riuscì a rinunciare. Avevo bisogno di andarmene. Avevo bisogno di costruire la mia vita. Avevo solo sedici anni e responsabilità che nessun ragazzo dovrebbe avere. Mi meritavo quell’pportunità. » La voce del ragazzo tremava, insicura, lasciando trapelare il senso di colpa che si celava in quelle parole. Kirsten sentì il cuore spezzarsi nel vedere Sandy così. Era la prima volta che piangeva davanti a lei e non ne era abituata. Lui era sempre quello allegro, quello positivo, che riusciva a tirare su il morale di tutti e a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. E se amava quel lato di lui, ora, nel vederlo così fragile accanto a lei, sentì di amarlo anche di più. Gli sorrise, asciugando le lacrime che gli stavano solcando le guance e gli prese il viso tra le mani, avvicinandosi a lui per baciarlo. 

« Nessuno potrebbe biasimarti per aver accettato quella borsa di studio. Ti sei dovuto far carico dei tuoi fratellini e di responsabilità che non sarebbero mai dovute essere tue. Nessuno più di te poteva meritare l’occasione di realizzare i suoi segni, e Jackson e Linda lo sanno. Sono sicura che loro sono contenti per te e ti sono grati per tutto ciò che hai fatto per loro. » 

Sandy abbozzò un sorriso, anche se poco convinto. L’abbracciò, grato di averla con lui in quel momento. Si sentiva come se si fosse liberato da un enorme macigno che gli impediva di respirare. 

« E che mi sembra di averli abbandonati. Me ne sono andato e per anni non sono più tornato e anche adesso, se torno, lo faccio una volta all’anno. Ero la loro unica famiglia e me ne sono andato. »

« Tu non sei tuo padre, Sandy. Non hai abbandonato i tuoi fratelli e il solo fatto che tu ti senta ancora responsabile per loro, lo dimostra. Li hai cresciuti e ti sei dedicato completamente a loro. Hai messo da parte te stesso ed hai aspettato che loro fossero pronti a camminare con le loro gambe per decidere di intraprendere la tua strada. Non so quante altre persone avrebbero fatto ciò che hai fatto tu. Jackson e Linda sono stati fortunati ad avere un fratello come te. » Kirsten gli accarezzò i capelli, sistemandogli le ciocche ribelli che gli infastidivano gli occhi.

« Lo pensi davvero? » le chiese, senza smettere di guardarla. 

Lei annuì. « Davvero » gli rispose, chinandosi su di lui per baciarlo ancora. 

 

Il ricordo di quella sera fece sorridere Sandy, che intanto si rese conto di essere rimasto in doccia per quasi un’ora, cullato dal tempore dell’acqua e dal piacevole massaggio del getto contro la sua pelle. Uscì dalla doccia e si avvolse in un accappatoio bianco. Ormai Sophie Rose e Kirsten dovevano aver già finito di mangiare e probabilmente la piccola aveva costretto la madre a guardare con lei qualche vecchio cartone della Disney, proprio come faceva Seth alla sua età. 

Quando scese in soggiorno, infatti, trovò Sophi sdraiata sul divano con la testa poggiata sulle gambe di Kirsten, che le accarezzava i riccioli biondi, mentre guardavano Anastasia

« Ehi! » mormorò lei, vedendo Sandy avvicinarsi a loro « Va meglio? »

L’uomo annuì « Molto meglio » aggiunse, chinandosi sulla moglie per baciarla, ignorando accuratamente le proteste di Sophie Rose che non riusciva a vedere la televisione perché il papà le copriva la visuale. Entrambi i genitori scoppiarono a ridere e Sandy si mise di lato al divano, continuando a guardare Kirsten negli occhi. 

« Hai fame? Ti abbiamo lasciato i pancakes migliori » suggerì lei, indicando la cucina con lo sguardo.

« Beh, se sono i migliori, come posso rifiutare? » scherzò Sandy, facendola ridere. 

« Shh! » protestò ancora la bambina, voltandosi verso i genitori, che però non riuscirono ad impedirsi di ridere. Sophie Rose era adorabile quando, tutta infagottata dalle coperte, faceva le sue smorfie arrabbiate. 

« Vieni, siediti qui. Te li porto io » disse Kirsten, battendo delicatamente la mano nel posto accanto a lei e Sandy si lasciò coccolare, raggiungendo la figlia sul divano, mentre la moglie andava in cucina per tornare qualche secondo dopo con un piatto da cui spuntava una piccola torre di pancakes ricolmi di sciroppo d’acero. 

Si fece fare un po’ di posto, sedendosi accanto a Sandy che prontamente l’accolse tra le braccia. Sophie Rose, intanto, non si era mossa dalla sua posizione, rimanendo sdraiate sulle gambe dei genitori; sarebbe stata molto più comoda sul divano accanto a quello in cui stavano tutti insieme, ma la bimba preferiva rimanere con la mamma e il papà. Amava quei giorni in cui loro non dovevano lavorare e lei non doveva andare a scuola, così potevano stare tutti insieme a guardare un film e giocare. Anche Sandy amava i giorni così tranquilli, soprattutto quando pioveva, perché mentre la tempesta fuori casa gli ricordava tutto il male che aveva vissuto, Sophie e Kirsten, accanto a lui, allontanavano ogni brutto pensiero, ricordandogli quanto fosse fortunato ad averle entrambe.

E Sandy mai e poi mai sarebbe stato così folle da abbandonarle, di questo non dovevano mai dubitare. 


 


Note dell'autrice: bentrovati, lettori! Come state? Come procede l'estate? Io sono a tanto così (e quel così è uno spazio molto sottile) dall'esaurimento nervoso; devo prepararmi per il test di medicina e per quello di ingegneria biomedica, ma non sto combinando nulla di buono. Motivo per cui non credo che questa storia sia abbastanza valida da essere pubblicata, però, considerando che in questi giorni non sono nel pieno delle mie facoltà, rimetto il giudizio a voi. Fatemi sapere.

   
 
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