Anime & Manga > The Seven Deadly Sins / Nanatsu No Taizai
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Autore: NonLoSo_18    17/07/2020    1 recensioni
[Percy Jackson AU!][Presenti personaggi dell'opera di Riordan]
I nostri personaggi preferiti nei panni dei semidei del Campo Mezzosangue.
Una raccolta di Oneshot in esploreremo i loro comportamenti... in un contesto già strambo di suo come quello del Campo Mezzosangue!
Tra risate, fluff, divinità assurde e ambrosia a colazione, le avventure dei Seven Deadly Sins vi aspettano!
1: Non tutti i figli di Ade sono cattivi (MeliodasxElizabeth)
2: Un giorno ti farò mia (BanxElaine)
3: Ciò che voglio dirti (MonspeetxDerieri)
4: Il semidio non riconosciuto (Arthur)
Genere: Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Ciò che voglio dirti

 
Monspeet… sapeva di non essere popolare al campo Mezzosangue.
Per carità, non che fosse oggetto di bullismo o cose simili, e nemmeno emarginato, solo… parlava poco, in giro, e in generale erano pochi quelli con cui se la faceva.
Gli amici stretti, poi, ancora meno.
 
Anche le ragazze preferivano andare dietro a ragazzi molto più attraenti, tipo Gilthunder della casa di Zeus, sebbene lui avesse un certo fascino –quei baffetti facevano senza dubbio charme, mica come quelli di Deathpierce-
E, da figlio di Atena qual era, aveva anche ricevuto il dono di una discreta intelligenza. Avrebbe potuto parlare con chiunque volesse… se solo avesse potuto.
 
Il fatto era che Monspeet, a dispetto dell’apparenza, era una persona davvero, ma davvero timida, una di quelle che si sentono a disagio ad avere a che fare con gli sconosciuti, e che preferiscono starsene nella loro zona comfort.
Soprattutto, si sentiva a disagio nell’esprimere sentimenti.
Certe volte, avrebbe solo voluto essere più estroverso.
 
Sospirò e si appoggiò al famoso Pino di Thalia, bevendo un the freddo, viste le alte temperature. Quel giorno, Monspeet stava aspettando una delle poche persone in grado di farlo uscire dalla sua zona comfort, e sarebbe arrivata a breve.
 
Poco dopo, sentì dei passi di corsa.
Gli si fermò il cuore nel petto: anni di frequentazione gli avevano insegnato che non poteva essere altri che lei. Quanto stava male, ormai la riconosceva dal rumore dei passi.
 
Poco dopo gli si palesò davanti, i capelli biondi perennemente scarmigliati e l’espressione dura: Derieri, della casa di Ares.
Quel giorno, aveva la maglietta tutta spiegazzata, un vistoso livido sulla guancia sinistra e l’aria ancora più inferocita del solito.
«Clarisse?» Le chiese lui.
«Clarisse» Fu la risposta.
 
Certe volte, Monspeet si chiedeva come facessero quelle due a volersi ancora bene, nonostante tutto, e per quanto ci provasse non riusciva a darsi una risposta.
Anzi, forse una risposta ce l’aveva: le due avevano molto legato dopo la sua morte…
«Tu, piuttosto, stanno guarendo i graffi sulla guancia?»
«Vanno meglio, sì… Gli artigli di quel pazzo hanno scavato in profondità…»
Subito dopo, la ragazza scosse la testa, con aria seccata, mentre si avvicinava a lui.
«Il centro di addestramento è libero, andiamo?»
 
Lo comandava a bacchetta lei, ma l’amava lo stesso.
Era questo il suo problema: essere follemente e totalmente innamorato di lei.
E, a causa del suo essere introverso, non riuscire a trovare un modo per dirglielo.
 
Era la sua migliore amica, come poteva anche solo pensare che lei volesse una relazione? Dichiarandosi, l’avrebbe solo messa in imbarazzo, ed era una cosa che non avrebbe mai potuto accettare.
Del resto, era anche la prima persona che lui aveva incontrato anni prima, al campo…
 
Era arrivato che aveva… quanto? Dieci anni, forse, anche meno.
I mostri avevano sterminato la sua famiglia, i suoi fratelli.
Grazie alla sua natura semidivina, era sopravvissuto solo lui. Era arrivato al campo contando solo sulle sue forze, ma era solo. E muto.
Il trauma l’aveva reso incapace di parlare.
Era rimasto lì, in completo silenzio, con i capelli spettinati, ignorato da tutti, sperando di non farsi notare da quelli che gli sembravano così tanto spaventosi.
 
Poi, era arrivata. Accompagnata da una ragazza più grande, forse sua sorella, e con dei corti capelli color oro, gli si era avvicinata sorridendo.
Monspeet, in realtà, nemmeno l’aveva notata, all’inizio, fin quando la bimba, porgendogli la mano, non gli aveva detto «Che ci fai qui tutto solo? Non ti senti triste?»
Colto di sorpresa, si accorse di lei. E la guardò: ad occhio, non poteva avere più di otto, nove anni al massimo. Sorridente e con la maglia del campo tre taglie più grande di lei, l’aveva avvicinato, senza paura.
«Ti hanno tagliato la ligua?» Proseguì lei, incurante del suo silenzio «Perché non parli?»
«Derieri» La ragazza con lei, che sembrava invece avere la sua età, la rimproverò «Non dargli fastidio. Ti chiedo scusa, la mia sorellina a volte tende ad essere iperattiva»
In realtà, Monspeet non la stava nemmeno più ascoltando, continuava solo a fissare la bambina. Era stata l’unica ad avvicinarglisi, nonostante l’avesse visto così.
Ed ecco com’era cominciata la loro amicizia, insieme avevano affrontato gioie e dolori –come la morte della sorella di Derieri, partita in missione e mai più tornata- , insieme avevano ricevuto la loro prima missione, insieme la loro prima corsa con le bighe, la loro prima caccia alla bandiera.
Erano una squadra, da sempre.
E, poco alla volta, quel sentimento di cameratismo era diventato qualcosa di più profondo… Almeno da parte sua.
 
«Devi stare più attenta, Derieri» Le disse, mentre la trascinava in infermeria «Prima o poi, a furia di fare così riporterai danni gravi.»
La pelle della ragazza era infatti costellata di chiazze scure, lividi e tagli.
In arena, tendeva a scatenarsi e a perdere il controllo: spesso non usava neanche spade per combattere, no: si gettava direttamente addosso ai nemici, in feroci corpo a corpo.
Spesso lui le aveva rimproverato di essere troppo irriflessiva ed impulsiva, di agire senza pensare, insomma… Motivo in più per avere un figlio di Atena sempre pronto a darle aiuto e razionalità, o almeno così gli aveva risposto lei.
 
«E allora? Che ci vuole? Un giretto in infermeria, un po’ di ambrosia e passa tutto» Gli rispose con semplicità. Era anche per questo che l’amava.
Certo, dire che aveva una mente semplice poteva suonare offensivo, ma lei era oltre avere una mente semplice.
 
Lei era pura, come acqua di fonte.
 
Poco dopo, fu lei stessa ad applicarsi il disinfettante sulle ferite, sdraiata sul letto in infermeria, insieme ad una della casa di Apollo, Elizabeth, riconosciuta da poco ma con cui aveva fatto subito amicizia. Monspeet spesso si stupiva di come due caratteri così diversi avessero potuto legare, ma poi si era ricordato che anche loro due non potevano essere più diversi, e aveva accettato la cosa.
 
La guardò da lontano, i capelli biondi spettinati, i lividi, gli occhi furbi, il sorriso… E l’amò con tutto sé stesso.
 
 
Verso sera, la ragazza lo portò a vedere le stelle.
«Okay» Disse lui «Ma non violiamo il coprifuoco» Forse era troppo responsabile.
 
La volta celeste era uno spettacolo: un blu scuro punteggiato da una miriade di puntini color argento. Più stelle di quanto fosse possibile contarle.
Ma il vero spettacolo era la figlia di Ares di fianco a lui: i capelli biondi in disordine, le braccia incrociate dietro la testa, la muscolatura definita, Derieri era uno spettacolo, e Monspeet l’amava più della sua stessa vita.
E in quel momento realizzò il vero motivo per cui non le si era mai confessato: era un semidio.
Lo sapevano tutti che loro morivano presto, troppo presto. La maggior parte di loro non arrivava a vent’anni.
Relazioni, manco a parlarne. Non avrebbe mai potuto farle una cosa del genere, darle un barlume di felicità, poi magari morire e abbandonarla, rendendola infelice.
Sposarsi, fare figli, poi? Come avrebbe potuto lasciarla a crescerli da sola?
 
No, non avrebbe potuto. Derieri, lei… Meritava di meglio di qualcuno come lui, qualcuno che potesse essere al suo fianco e renderla felice per sempre.
Magari qualcuno umano, qualcuno che non dovesse rischiare la vita ogni giorno. Qualcuno magari… Anche più popolare di lui.
 
Lui si sarebbe limitato a proteggerla, sempre e comunque, anche a costo della sua vita, custodendo gelosamente per sé le parole che avrebbe voluto dirle.
 
Amandola in silenzio.


Angoletto di Elly
Buonsalve, gentaglia. So di essere stata assente a lungo, ma il mio computer si era crashato e ci ho messo un po' per recuperare il tutto. Spero di farmi perdonare con questa coppia così bella ma così sottovalutata (Ho visto poche fanfiction su di loro)
Non potendo usare gli effetti del Comandamento della Reticenza (Non esiste) ho pensato di riciclare un mio vecchio pensiero: ma i semidei come fanno ad amarsi, pensando di avere poco da vivere. La mia risposta è stata: proprio perché hanno poco da vivere.
Ma questo Monspeet non l'ha capito.
Anyway, di chi volete che parli prossima volta?
Baci,
Elly

 
   
 
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