Io
e Dante ci rimettiamo in cammino e, dopo poco, ci
viene incontro l’angelo della misericordia, che ci indica la
via da seguire e
cancella la seconda P dalla fronte del mio protetto. Dante mi chiede
dei
chiarimenti riguardanti l’origine dell’invidia e io
cerco di spiegargli che i
beni terreni, essendo limitati, finiscono per essere posseduti da pochi
e
l’invidia nasce dal fatto che si vorrebbero più
ricchezze di quelle che si
hanno. Al contrario, i beni celesti e l’amore di Dio si
moltiplicano quanto più
sono condivisi. So che probabilmente la mia spiegazione non
sarà sufficiente per
lui, ma per saperne di più dovrà parlarne a
Beatrice. Mi spiace di non potergli
essere più utile di così, ma come pagano ho una
conoscenza limitata delle
verità cristiane.
Improvvisamente
Dante rallenta il passo e, guardandolo,
vedo che ha lo sguardo perso nel vuoto. Quando torna in sé,
gli domando
cos’abbia e lui mi racconta di aver avuto delle visioni di
esempi di
mansuetudine. Questo perché siamo passati alla terza
Cornice, quella degli
iracondi, e la mansuetudine è la virtù contraria
a questo peccato. Poco a poco
vediamo comparire attorno a noi un denso fumo nero. È questa
la pena degli
iracondi: come in vita sono stati accecati dalla rabbia,
così ora sono immersi
nel fumo che impedisce loro di vedere. Mi avvicino a Dante e gli faccio
appoggiare la mano sulla mia spalla per non rischiare di allontanarmi
troppo da
lui e, lentamente, avanziamo in mezzo al fumo. La voce di
un’anima ci fa
sobbalzare entrambi. Dice di chiamarsi Marco Lombardo e si offre di
guidarci
fino alla fine di questa Cornice. Con lui, Dante parla
dell’origine della
corruzione nel mondo e la individua nella mancata separazione tra il
potere
imperiale e quello del Papa. Oltre a questo, riflettono anche sul
libero
arbitrio e su come, nonostante la maggior parte di coloro che sono in
Terra
attribuisca tutto quello che accade alla volontà divina,
l’uomo sia chiamato a
scegliere autonomamente tra ciò che è giusto e
ciò che è sbagliato.
Nel
mentre, io ripenso ai miei compagni del Limbo, in
particolare al mio amico Orazio. Se solo fossimo nati qualche anno
più tardi,
avremmo avuto la possibilità di salire il monte per
purificarci dai nostri
peccati, e credo che lui avrebbe passato molto tempo in questa Cornice.
In
fondo, lui stesso si era definito “incline
all’ira”, ma allo stesso tempo
“facile al perdono”. Ci sono però molte
persone che, a differenza sua, oltre ad
adirarsi facilmente, serbano rancore. Sarebbe veramente impossibile
elencarle
tutte, perciò mi limito ad un esempio legato ancora una
volta al mondo dello
sport: di qui passerà un atleta piuttosto noto agli
italiani, un calciatore
famoso per essere spesso coinvolto in episodi controversi, come litigi
e risse,
dentro e fuori dal campo. Alla fine della sua vita, si
pentirà del suo
comportamento, e ciò gli permetterà di accedere
al Purgatorio.
Una
volta usciti dalla nube di fumo che ci aveva avvolto
per tutto questo tempo, ci accorgiamo che il sole sta tramontando e che
presto
dovremo fermarci. Proseguiamo il cammino fino ad arrivare
dall’angelo della
mansuetudine, che in un battito d’ali fa sparire la terza P.
Ora si è fatto
buio e siamo costretti ad interrompere la salita. Ne approfitto per
parlare a
Dante dell’ordinamento morale del Purgatorio: ognuno dei
peccati che si
scontano qui ha origine dall’amore, ma quest’amore
può essere sbagliato perché
troppo forte, troppo debole o diretto a un oggetto indegno. Le Cornici
che
abbiamo già attraversato sono quelle in cui viene punito
l’amore verso il male,
mentre quelle successive riguardano l’eccessivo amore verso
il bene. La Cornice
in cui ci troviamo ora, al contrario, punisce coloro che hanno provato
scarso
amore verso il bene, ossia gli accidiosi. Costoro sono gli unici
penitenti a
non fermarsi durante la notte ed espiano la loro colpa correndo e
gridando
esempi di accidia punita.
Ormai
è notte fonda e Dante decide di dormire per
recuperare le forze dopo un’estenuante giornata di cammino.
Io, intanto, guardo
gli accidiosi correre lungo la Cornice e penso al peccato che ha fatto
sì che
venissero puniti in questo modo. “Accidia” non
significa solo indifferenza o
disinteresse, ma corrisponde anche al non voler compiere il bene, per
pigrizia,
o perché ciò non procurerebbe alcun vantaggio
personale, e perciò si preferisce
ignorare le difficoltà anziché affrontarle. Una
delle problematiche ricorrenti della
storia sarà senza dubbio la guerra, ma nonostante gli
innumerevoli esempi di
Paesi devastati dalla violenza, molti capi politici si comporteranno
come se
nulla fosse. Non mi riferisco ai grandi conflitti mondiali, ma alle
guerre che
verranno ignorate dagli altri Stati, come ad esempio quelle presenti in
molti
Paesi africani e nel vicino Oriente, perché ritenute lontane
dalla propria
realtà quotidiana. Accidiosi sono coloro che, oggi come tra
settecento anni,
decideranno di non fare nulla per aiutare i Paesi in
difficoltà nonostante
abbiano la possibilità di farlo.