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Autore: thewickedwitch    23/07/2020    3 recensioni
Era una giornata orribile.
Davvero, era una delle giornate più orribili che Emma Swan avesse mai vissuto, e ne aveva vissute tante, di giornate orribili.
Era iniziata con una discussione col suo capo per un pagamento mancato, continuata con una lite col suo fidanzato, una delle tante, da quando aveva avuto la grandiosa idea di trovarsene uno, e ora finiva con una potente pioggia che la beccava in pieno, con giacca di pelle e ovviamente senza ombrello, sulla spiaggia di Santa Monica.
E ci stava pensando, al fatto che era davvero una giornata orribile, quando vide quell'insegna luminosa poco più avanti sul marciapiede dove stava camminando. La sua luce gialla si irradiava sulla pietra circostante, evidenziando le lettere che formavano il nome del bar: "Second chance"
Così decise di abbandonare quell'aria sempre più umida e soffocante e, sperò, parte dei pensieri distruttivi, rabbiosi e malinconici che le affliggevano la testa, entrando nell'edificio e avviandosi per la scalinata trasparente e illuminata che avrebbe dovuto portarla al bar all'ultimo piano.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Era una giornata orribile.
Davvero, era una delle giornate più orribili che Emma Swan avesse mai vissuto, e ne aveva vissute tante, di giornate orribili.
Era iniziata con una discussione col suo capo per un pagamento mancato, continuata con una lite col suo fidanzato, una delle tante, da quando aveva avuto la grandiosa idea di trovarsene uno, e ora finiva con una potente pioggia che la beccava in pieno, con giacca di pelle e ovviamente senza ombrello, sulla spiaggia di Santa Monica.
Fantastico, davvero fantastico
Aveva sperato di potersi distrarre, andando a passeggiare sulla spiaggia, guardando le onde e lasciando che i suoi pensieri corressero via con loro nel vento ma, a quanto pareva, si era sbagliata, perché non era passata che una scarsa mezz'ora da quando era arrivata prima che il cielo si oscurasse e un potente tuono risuonasse nell'atmosfera, subito seguito da una scarica di pioggia degna di un'ondata di maltempo invernale, nonostante fosse solo Settembre.
Era dovuta correre via, e ora vagava per le strade di Los Angeles sul far della sera alla ricerca di un rifugio, non provando neanche a tornare ad una casa troppo lontana e dove sarebbe rimasta sola e avrebbe avuto ancora più tempo per pensare alla sua condizione, che a pensarci bene era alquanto disperata, e alla discussione avuta con Killian, quel suo fidanzato.
E ci stava pensando, al fatto che era davvero una giornata orribile, quando vide quell'insegna luminosa poco più avanti sul marciapiede dove stava camminando.
Non sapeva con esattezza dove si trovasse, aveva camminato a lungo senza meta, cercando solo una tettoia più larga delle altre sotto cui ripararsi, prima di arrivare a quel lungo marciapiede coperto dove aveva potuto finalmente rallentare, però quell'insegna circolare la attirò inspiegabilmente, quasi fosse un faro nell'oscurità della sera imminente. La sua luce gialla si irradiava sulla pietra circostante, evidenziando le lettere che formavano il nome del bar: "Second chance"
-Che nome, per un bar- pensò, avvicinandosi sempre di più.
L'insegna riferiva si trovasse all'ultimo piano di quel grattacielo relativamente basso, e che offrisse una "vista mozzafiato" di sera. Praticamente quello che si diceva di un bar ogni due.
Ma ad essere sinceri non le importava granché, se quel posto avrebbe potuto offrirle un po' di fresco artificiale e un buon drink o due.
Così decise di abbandonare quell'aria sempre più umida e soffocante e, sperò, parte dei pensieri distruttivi, rabbiosi e malinconici che le affliggevano la testa, entrando nell'edificio e avviandosi per la scalinata trasparente e illuminata che avrebbe dovuto portarla al bar all'ultimo piano.
 
L'atmosfera ambrata e vellutata la accolse come un guanciale di piume su cui si fosse lasciata cadere. Le diede un lieve impatto, all'inizio, essendo così differente da ciò da cui veniva, ma presto vi si sentì sprofondare e non fece assolutamente nulla per evitarlo. Era piacevole.
La sala era molto grande, circondata da vetrate che mostravano un grosso sole tremolante, ai limiti dell'abisso notturno, che ora iniziava a lasciar fuoriuscire la sua luce arancione da quella spessa coltre di nuvole grigie e temporalesche che lo avevano oscurato fino ad un momento prima.
Ovviamente. Non appena lei si metteva a riparo dalla pioggia, il tempo migliorava.
Non era neanche una novità.
Con un sospiro, si addentrò nel locale, prendendo alcuni passi esitanti sul pavimento di marmo nero, leggermente intirizzita dall'acqua che le impregnava gran parte degli abiti e che iniziava ad essere fredda sulla pelle, nell'ambiente dotato di aria condizionata.
Si passò una mano tra i capelli bagnati dirigendosi al bancone, lanciandosi intorno occhiate per studiare il locale.
Era un bel posto, strano non ne avesse mai sentito parlare prima. Piuttosto tranquillo, a differenza di tanti altri, o forse era solo l'ora.
Raggiunto il bancone, non ebbe da pensarci prima di chiedere un Jack Daniel's e farlo scomparire dal bicchiere più o meno alla stessa velocità con cui era comparso, guadagnandosi una strana occhiata dal barista. Si voltò, dandogli le spalle: non aveva alcuna intenzione di essere giudicata per come beveva, almeno non in una giornata simile.
Dannazione.
Aveva bisogno di calmarsi, decisamente. Così prese un respiro profondo ed iniziò a sondare con lo sguardo l'ambiente circostante, questa volta con calma e perizia, cercando di soffermarsi su dettagli che avrebbero eventualmente potuto distrarla da...da tutto quello da cui aveva bisogno di essere distratta, mentre il liquore appena ingerito le scaldava piacevolmente lo stomaco.
Cerano alcuni tavoli bassi, disposti vicino alle pareti di vetro, trasparenti anche loro, e molto spazio era lasciato al centro della sala, probabilmente affinché potesse trasformarsi in una pista da ballo a tarda serata, anche se non credeva ci sarebbe stata poi così tanta gente da riempirla. Insomma, guardandosi intorno la maggior parte degli avventori sembravano essere soli come lei...e cosa stava facendo poi lì lei, sola in un bar a riflettere su quanto male conducesse la sua vita, e a guardarsi intorno senza nemmeno bere?
Chiese un altro bicchiere che andò giù liscio come il primo.
Ma, inaspettatamente, qualcosa catturò il suo sguardo attraverso il fondo di vetro. Per quanto distante e sfocato, qualcuno, attirò la sua attenzione.
Così posò il bicchiere, per focalizzarsi interamente su di esso, o meglio...su di lei.
Il magnete che la stava tanto prepotentemente attirando infatti, non era altro che una donna, alta e slanciata su tacchi a spillo su cui camminava con invidiabile disinvoltura, percorrendo la sala, in un tubino bianco che contrastava con le tornite gambe dalle sfumature caramello e con i capelli neri che le superavano di poco le spalle in lunghezza.
Si aggirava per l'ambiente lanciandosi nervose occhiate intorno, come fosse alla ricerca di qualcuno, ma con grazia e discrezione, quasi non volesse farlo notare.
Per un attimo, il suo scuro sguardo scrutatore la accarezzò, no, su di lei si soffermò, e quel momento fu sufficiente per far credere ad Emma di non aver incontrato molte volte prima di allora uno sguardo talmente profondo.
Restò a fissarlo scivolare via, restò a fissare lei, avvicinarsi all'altra parte del bancone e poggiarvisi con noncuranza, ordinando qualcosa al barista, probabilmente  un Sapphire, a giudicare dal colore della bottiglia da cui l'uomo lo versò.
Un giorno qualcuno, forse uno dei suoi padri affidatari, non lo ricordava, le aveva detto che la vita è fatta di momenti, belli e brutti, ma tutti meritevoli di essere vissuti. Era certa che quello in cui aveva incrociato lo sguardo della sconosciuta fosse uno di quelli. Non era certa se uno bello, la situazione non lo era in generale, ma di sicuro meritevole di essere vissuto.
Si poggiò al bancone a sua volta, restando a guardarla. Aveva davvero un che di magnetico, quella donna, una sorta di finezza insita in ogni suo movimento, nel modo in cui si scostava i capelli dal viso, nei torpidi movimenti delle dita intorno alla base del bicchiere, mentre ne consumava il contenuto a piccoli sorsi, quasi fosse in attesa di qualcosa o qualcuno. Sicuramente lo era, su questo Emma non aveva dubbi.
E non aveva dubbi neanche sul fatto che fosse bella, davvero bella.
Era innegabile, d'altronde.
Restando a guardarla, sebbene a distanza, aveva potuto cogliere la fisionomia del suo viso, e forse il colore delle sue iridi, a giudicare da come la luce vi si rifletteva.
Che le donne esercitassero un potente ascendente su di lei non era certo un mistero, d'altronde quello che aveva era il primo fidanzato di una serie di ragazze, che a pensarci bene ora non sapeva neanche perché avesse poi accettato nella sua vita. Era carino, gentile si, almeno lo era stato all'inizio, ma non particolarmente intelligente. Forse si sentiva solo troppo sola, concluse.
E nel frattempo, scoprì, era calata ormai la sera intorno a lei.
Sospirò, distogliendo lo sguardo dalla sconosciuta e preparandosi a chiedere un altro bicchiere di un qualcos'altro, quando il suo telefono squillò.
Lo estrasse dalla tasca a malavoglia e lo guardò accigliata, quasi stesse rovinando un momento importante.
Era Killian, a chiamarla.
 Killian.
Sorrise ironicamente.  Non si era neanche sforzata di trovargli un appellativo più affettuoso, quando lo aveva salvato in rubrica. E soprattutto, non aveva voglia di parlare con lui, non in quel momento.
Chiuse la telefonata e fece scivolare nuovamente il telefono nella tasca della sua giacca di pelle rossa.
Probabilmente voleva scusarsi, ma a lei non interessava.
Tornò a poggiarsi al bancone con un sospiro, quando una voce alla sua sinistra la fece sobbalzare.
"Avete del sidro di mele?"
Si girò in quella direzione. Chi chiedeva un sidro di mele in un bar di quel tipo?
Ma quando vide a chi apparteneva la voce, e a quale minima distanza da lei si trovasse, sussultò e si sforzò di assumere un'espressione neutra quanto prima.
Era lei, era proprio quella donna. Non avrebbe saputo dire quando si era avvicinata così tanto, d'altronde, aveva distolto l'attenzione da lei solo per quei pochi secondi che aveva dedicato al suo cellulare.
Cercò di guardare altrove e di sembrare indifferente, ma trovò il compito molto più arduo del previsto.
Avendola ad una così breve distanza, le era praticamente impossibile non degnare neanche di uno sguardo la sua persona, e ancora più difficile le fu quando percepì il suo profumo: un'essenza tropicale che le riportava alla mente scenari soleggiati e tramonti infuocati, su distese d'acqua cristallina e dietro ombre di palme.
Doveva avere davvero qualcosa di speciale, quella donna.
Si voltò verso il barista, pronta ad ordinare qualcosa, obbligata a farlo, per avere almeno qualcosa da guardare e a cui rivolgere la sua attenzione che non fosse lei, e chiese una vodka. E allora, per la prima volta, lo sentì. Sentì lo sguardo della donna addosso, percorrere il suo viso, studiarlo per un istante, mentre lei si sforzava di restare perfettamente immobile, scendere sulla sua spalla e lungo il suo braccio, lentamente, fino al bicchiere che nel frattempo dinanzi a lei era stato posto, per poi annegare nel liquido trasparente prima di cambiare traiettoria e tornare sulle sue.
Emma si accorse di aver trattenuto il respiro per tutto il tempo. Lo lasciò andare e prese un sorso della fresca bevanda, non più di uno, restando poi ancora immobile.
Cosa doveva fare, presentarsi? Chiederle qualcosa? Magari offrirle, qualcosa. E perché poi avrebbe dovuto farlo, per essere meno sola? Magari per far sentire lei, meno sola, anche se dubitava che lo fosse. Pareva più...in attesa, leggermente annoiata, forse turbata persino, poteva dirlo dalle rughe che si formarono sul suo viso quando... quando si accorse di starla fissando nuovamente e senza alcun pudore, e quando anche lei si accorse di essere fissata e si girò, incrociando il suo sguardo.
Restarono immobili, per un momento, due sconosciute a fissarsi nell'eterna dimensione di notti alcoliche di un bar del centro.
Poi Emma si affrettò a distogliere lo sguardo, gettandosi sul bicchiere e trangugiandone in un sorso solo l'intero contenuto, non curandosi minimamente di sembrare un'alcolizzata di pessimo livello  ma solo con l'intenzione di far credere di essere unicamente interessata a quel drink e a cancellare i suoi problemi personali nell'oblio alcolico.
Ma, inaspettatamente, l'altra parlò. Invase, d'improvviso, la sua dimensione di inadeguatezza e autocommiserazione.
"Così assetata già a quest'ora? E dopo aver già bevuto un drink per giunta..."
Non era troppo gentile, il suo tono. Né simpatico. In altre circostanze, se avesse avuto a che fare con qualcun altro, Emma le avrebbe probabilmente sbraitato di farsi gli affari suoi. Però c'era una sorta di indifferenza di fondo, nella sua voce, quasi non stesse realmente pensando a ciò che diceva, o non ne fosse realmente interessata. E questo la intrigò. Accennò un sorriso.
"Dopo due drink, in verità..." la guardò e guardò il suo sidro di mele: "forse è lei a dover prendere qualcosa di più forte"
La donna sorrise ironicamente, distogliendo lo sguardo.
Era bello il suo sorriso, anche se non del tutto sincero.
Non l'aveva mai vista sorridere prima, avrebbe voluto vederla ancora.
"Scusi io...avevo solo bisogno di sfogarmi" ammise, continuando a tenere lo sguardo puntato altrove
"Brutta serata?"
"Già..."
Emma studiò la sua espressione ancora per un secondo, poi, con un lieve sospiro, tornò a far roteare il bicchierino vuoto tra le dita
"Beh, ad ogni modo dicevo davvero, perché non prova con qualcosa di più forte di un semplice sidro di mele? Di solito aiuta..."
"Perchè aspetto qualcuno, e non vorrei farmi trovare già ubriaca"
"E questo qualcuno..." fece per chiederle, ma lei non la lasciò finire.
"Doveva essere qui già un'ora fa. Ammesso che venga"
-Oh dovrebbe farlo. Io lo farei sicuramente.-
Pensò Emma, badando bene a non lasciar scappare quel pensiero oltre i limite delle sue labbra.
Improvvisamente, una bruciante curiosità la spinse a parlare. Non c'era nulla di male nel fare un po' di conversazione, no?
"Primo appuntamento?"
"A dir la verità è il mio fidanzato"
"Oh..."
Oh.
Rimase in silenzio, non sapendo più come continuare quella conversazione, ma quel silenzio dovette diventare piuttosto pressante per l'altra, che decise invece di spezzarlo.
"Mi ha mandato un messaggio mezz'ora fa, dicendomi che avrebbe fatto ritardo...Sa bene che non lo sopporto..." masticò tra i denti
Emma la guardò senza dire niente. Poi si girò nuovamente, stringendosi nelle spalle.
"Fidanzati. Io ho litigato con il mio poche ore fa"
"Oh...mi dispiace" disse. Ma non si poteva dire che fosse molto sentito.
"Già. Non è la prima volta. Forse se litigassimo davvero non mi dispiacerebbe così tanto." e non seppe perché lo aveva detto, ma si accorse di pensarlo davvero.
Si, se avessero litigato al punto da lasciarsi, non le sarebbe dispiaciuto poi così tanto.
Era terribile pensarlo, ma purtroppo era vero.
Accusò tuttavia all'alcol quella improvvisa presa di coscienza e successiva dichiarazione e guardò ancora una volta la bruna. Insomma, non trovava niente di meglio da fare che affliggere lei con i propri problemi sentimentali,  che chiamare sentimentali era già un'iperbole?
"Scusi, non intendevo..."
Ma lei la fermò con un gesto della mano
"Non si scusi. Suppongo che ognuno abbia i propri problemi, no?"
"Già..." fece per bere ancora per accorgersi solo dopo di avere il bicchiere vuoto e lasciarlo ricadere sul bancone.  Percepì l'altra donna ancora immobile al suo fianco, e poté quasi affermare di vedere una sorta di...tristezza nel suo sguardo. Si sentì in dovere di dire qualcosa, senza sapere bene perché.
"...io non farei aspettare una donna come lei"
La bruna si voltò a guardarla sorpresa
"Cosa?"
"Cosa? "
Sul serio, cosa?
"No, intendevo...sapendo che non sopporta i ritardatari...avrei paura a farla aspettare e...arrabbiare. Non sembra una persona granché gentile quando si arrabbia, o sbaglio?"
Chiuse la bocca accorgendosi di star peggiorando esponenzialmente la situazione. La donna restò a fissarla senza parole per qualche istante per poi scoppiare a ridere, sebbene non ancora in maniera del tutto sentita.
"E così lei avrebbe paura di me? Signorina..."
"Swan. Emma Swan"
Lei le tese la mano e Emma si affrettò a stringerla.
"Regina Mills... devo dire che la sua concezione di me non mi dispiace affatto."
Emma cercò di evitare il suo sguardo
"è bello incutere timore, non crede anche lei?"
Allora trovò il coraggio di guardarla in viso. La vide sorridere, così annuì
"Suppongo di si. Mi dia del tu però, la prego"
Lei annuì
"Vale anche per te”
Si accorse allora Emma di avere la mano ancora stretta alla sua e si affrettò a tirarla indietro. Era davvero strano, pensò, come quella donna riuscisse a metterla in una tale soggezione con un solo sguardo. Si, se fosse stata il suo fidanzato avrebbe decisamente fatto molta attenzione a non farla arrabbiare.
Guardò il suo bicchiere, pieno ancora per metà di sidro.
"Permettimi di offrirti qualcosa di più forte, almeno finché lui non arriva"
E non seppe spiegarselo ma sentì una punta di amaro in bocca nel pronunciare quelle parole.
Ma Regina scosse la testa
"Di solito...beviamo molto con lui. E ho già bevuto. Se dovessi bere ancora temo che non reggerei fino alla fine della serata"
Emma si strinse nelle spalle: "e che problema c'é? A volte lasciarsi andare è utile"
Ma l'altra scosse la testa e rispose vagamente: "No. Non mi ubriaco mai del tutto..."
"Tanto c'é il tuo fidanzato a proteggerti, no?"
Tirò un sorriso visibilmente falso, mentre i suoi occhi si persero improvvisamente nel vuoto.
" No. Non mi fido."
Ed Emma fu sicura che ci fosse di più dietro quelle parole, e dietro quello sguardo improvvisamente pieno di oscurità e perso in chissà quali ricordi, ma in fondo, per quanto sentisse l'improvviso bisogno di saperlo, ed una stana morsa allo stomaco, quasi una necessità di poter fare qualcosa, non era nessuno per immischiarsi nel suo passato,così lasciò cadere la questione.
"Beh, per quello che vale... ho intenzione di restare in questo bar fino a notte fonda e finire tutte le riserve di whisky che ci sono quindi... posso tenere un occhio puntato nella tua direzione, in caso volessi lasciarti andare"
E Regina la guardò con un sorriso divertito ed uno sguardo sorpreso e scettico allo stesso tempo, alzando un sopracciglio
"Quanta cavalleria signorina Swan. Sono colpita."
Emma arrossì e chinò lo sguardo
"Tuttavia mi chiedo come possa una ragazza che ha intenzione di -finire tutte le riserve di whisky che ci sono- riuscire a tenere un occhio aperto, tanto per cominciare, e per di più puntato nella mia direzione"
Emma rialzò lo sguardo su di lei  con un sorriso di sfida.
"Mettimi alla prova. Faccio la cacciatrice di taglie, non hai idea di cosa sono capace. "
L'altra alzò ancora di più le sopracciglia
"La cacciatrice di taglie? Sono colpita, ribadisco."
Emma non rispose, giocando con il suo bicchiere. Un leggero senso di orgoglio a farla sentire, e sorridere, come una stupida.
"E sentiamo, cosa spinge una giovane ragazza..." gli occhi della bruna la scrutarono da capo a piedi
"...in forma e in salute come te a fare un lavoro rischioso come questo? Sono sicura che le possibilità non ti manchino..."
Emma si strinse nelle spalle: "penso di essere -in forma e in salute- a causa del mio lavoro in verità. Ci vuole qualcuno che lo faccia. Per altro, non direi di avere tutte queste possibilità. Non ho neanche una famiglia alle spalle, quindi..."
Lo sguardo di Regina parve farsi improvvisamente più serio
"Mi dispiace...non lo sapevo" aggiunse a bassa voce
L'altra sospirò: "Già. Abbandonata in fasce sul ciglio di una strada, fuggita a quindici anni dall'ultima casa famiglia. Il mondo offre davvero infinite possibilità, se sai dove cercarle. "
Non ricambiò lo sguardo che sentiva ancora puntato su di lei. Erano parole che risvegliavano ogni volta ricordi dolorosi, non era abituata a parlarne, non sapeva neanche perché lo aveva fatto, con una sconosciuta, ma...fascino del rischio, dopotutto,no?
"Idioti"
Emma la fissò perplessa: "cosa? Chi?"
"I tuoi genitori, che ti hanno abbandonata. Idioti."
La fissò per qualche secondo senza dire niente, sentendo però un lieve calore diffondersi nel petto a quelle parole: in pochi si interessavano alla sua vita, i più cercavano di evitare l'argomento appena ne avevano possibilità.
Sorrise. Forse però dopotutto era lei, a voler evitare per prima l'argomento. Distolse lo sguardo e accennò una risata: " li ho definiti in tanti modi nella mia vita, idioti non è certo uno di quelli"
Regina si strinse nelle spalle: "ma senza dubbio lo sono, non sanno cosa hanno perso"
Emma la guardò di nuovo e sorrise, questa volta sinceramente: "grazie"
Ma, per quella sera poteva bastare. Si affrettò a trovare un nuovo argomento di cui parlare.
"Invece tu? Perché una donna bella come te perde il suo tempo sola in un bar ad aspettare un fidanzato ritardatario? Sono certa che le possibilità non manchino neanche a te" sorrise maliziosamente
L'altra rise, e questa volta davvero la risata parve leggera. Forse non così tanto per il cuore di Emma, che ne risentì leggermente
"Credimi, non mi conosci, sono una persona più complicata di quanto tu immagini."
Ma si accorse in quell'istante che avrebbe voluto davvero tanto conoscerla, Emma. Ovviamente non si preoccupò di dirlo.
"Non siamo forse tutti complicati?"
"Forse" concesse la bruna: "Se non altro..." puntò lo sguardo su di lei: "al momento non sono sola"
Si fissarono per un istante. Avevano infinite sfumature, gli occhi di Regina, e meandri di profondità.
Parlò ancora, quando il silenzio si fece imbarazzante.
"I miei sono imprenditori industriali. Abbiamo passato la vita trasferendoci di città in città per nuove aziende da aprire o altri loro impegni. Mi facevo amici con difficoltà e quando ci riuscivo andavamo via, quindi...non sono mai diventata molto brava a farmeli.  Suppongo sia questo il problema"
"Magari devi solo trovare la persona giusta"
"Magari" acconsentì : " ma nel frattempo devo approfittare di quello che posso avere"
"No, io non credo che dovresti accontentarti" cercò di tirare dal bicchiere l'ultima goccia i vodka rimasta, nonostante lo sguardo di Regina non la abbandonasse per un momento
"Tu non ti stai forse accontentando? Di quel fidanzato con cui vorresti litigare?"
Emma rise. Touché.
"Io non sono una ricca e bellissima donna che può avere chiunque ai suoi piedi"
"Non lo sono neanche io"
"Oh invece si" smise di ridere e restò a fissarla: "lo sei "
E fu certa di aver solo immaginato il rossore sulle sue guance nel momento in cui distolse lo sguardo e cercò di evitare di rispondere
"E dovresti saperlo" finì Emma girandosi verso il bancone a sua volta.
Rimasero in silenzio per un minuto all'incirca, poi Regina parlò di nuovo.
"Perché non lo lasci?"
Una scrollata di spalle: "sono troppo pigra, e al momento non ho partiti migliori per cui valga la pena farlo. Succederà. "
Proprio in quel momento sentì il telefono squillare di nuovo e sbuffò, profondamente turbata per l'interruzione di quella che, sebbene non era una grande conversazione, le stava piacendo fin troppo a causa della persona con cui la stava avendo
"Chi diavolo..."
Guardò lo schermo.
Di nuovo lui.
Chiuse la telefonata e quasi lanciò via il telefono prima di rimetterlo in tasca prendendo un respiro profondo
"Sai che ti dico? Hai ragione, lo lascio"
Regina si voltò a guardarla: "era lui?"
"Si. Per la seconda volta stasera. Direi che ha già detto abbastanza per voler dire ancora" borbottò in risposta
"Almeno ti chiama. Il mio non si fa sentire..." guardò un piccolo orologio argentato che, notò solo allora Emma, le ornava deliziosamente il polso
"Un'ora e mezza di ritardo...mi chiedo persino perché io sia ancora qui"
Emma si tirò su con un sorriso
"Per bere, mi pare ovvio. Scusi!" chiamò il barista "due Jack Daniel's, uno per me e uno per la mia amica"
Regina scosse la testa con un sorriso piacevolmente divertito che Emma fu ben contenta di essere riuscita a causare
"Te l'ho detto Emma, non bevo, è inutile che ci provi...e poi il bourbon non mi piace nemmeno"
"Certo come no..." le rispose, lungi dal crederci, prendendo tuttavia il suo bicchiere
"Ad ogni modo, quello è tuo" lo scontrò leggermente con il suo ancora posato sul tavolo "alle nostre vite sentimentali...travagliate" portò il bicchiere alle labbra e bevve un sorso per poi poggiarlo nuovamente e girarsi verso di lei, priva di quel velo di malinconia che l'aveva per un momento coperta, ostentando una sicurezza probabilmente superiore a quella che realmente provava
"Allora, raccontami di più di te. Una vita da...imprenditrice, eh?"
Regina sorrise nuovamente, e Emma si accorse di star davvero iniziando a lottare con il tempo perché le concedesse ancora un altro di quei sorrisi
"Non mi è mai piaciuto il lavoro dei miei genitori. Intendo...a me interessava solo potermi fare degli amici, vivere in un posto da poter chiamare la mia città, paese ancora meglio ma..." scosse la testa lievemente e una ciocca più corta di capelli scuri le cadde sul viso oscurandolo per un momento prima di venir spostata rapidamente dalle sue dita. Emma, che la stava fissando, la trovò bellissima, dietro quella nuova nebbia ambrata.
"...la ricchezza non mi è mai interessata più di tanto. Mio padre faceva il possibile per rendermi felice, quando ero piccola...amavo andare a cavallo. Era lui a portarmi a lezione di equitazione e fare in modo che in ogni posto in cui andassimo potessi frequentarle. "
Il suo sguardo era di nuovo perso, il suo sorriso, questa volta, sincero.
" Una volta ci fermammo a Canberra per tre anni. Sapevamo fin dall'inizio che sarebbe durata a lungo, la nostra permanenza, così fece in modo di comprarmi un cavallo che fosse tutto mio. "
Emma si trovò a sorridere di riflesso, alla dolcezza e alla gioia insita nel suo tono, ma non la interruppe.
"Sono stati i tre anni più belli della mia infanzia, forse della mia vita"
"Davvero?" le chiese sorridendo, in un sussurro, quasi con la paura di infrangere quella sfera di serenità che la donna si era costruita intorno e che la stava mettendo così a suo agio.
"Si..." rispose lei sorridendo ancora di più, senza guardarla, totalmente trasportata nella sua personale dimensione
"lui era un amico. Il mio migliore, amico. Il più vero che abbia mai avuto"
Ma, improvvisamente, si rabbuiò e Emma ebbe un doloroso spasimo quando lo vide
"Ma poi andammo via e...niente, non potevamo di certo portarci un cavallo dall'Australia all'America. "
"Mi dispiace..."sussurrò
"Mia madre insistette così tanto affinché corressimo a cogliere la - meravigliosa occasione che il destino ci offriva- che dovemmo farlo"
"Tuo padre non...si oppose?"
La bruna sorrise amaramente: "oh si, lo fece, tentò anche di spiegarle il motivo ma...lei si mise a ridere e mi disse che un cavallo non era niente rispetto a quello che avrei avuto in America. Non eravamo mai stati in America, prima. Da allora non l'abbiamo mai lasciata."
Emma chinò lo sguardo, non sapendo cosa dire di fronte all'ennesima dimostrazione di una vita vissuta e sofferta sulle decisioni altrui.
"Scusami io...non so cosa mi sia preso." la sentì improvvisamente giustificarsi, più che a disagio. Si passò una mano tra i capelli: "Dio, non devo davvero avere nessuno con cui parlare se vengo a raccontare ad una sconosciuta incontrata in un bar la storia di una bambina e di un vecchio cavallo"
Emma si affrettò a scuotere la testa: "No, no..." poggiò la mano sul suo braccio e lei si voltò a fissarla.
Sorrise dolcemente:" mi interessa, continua. Mi fa piacere conoscerti"
Ma lei, dopo aver indugiato per qualche momento nei suoi occhi smeraldo, ritirò il braccio senza rispondere e parve improvvisamente distante anni luce da lei. Ma Emma non si scoraggiò e riprovò ad attirare la sua attenzione.
"Come si chiamava?"
"Chi?"
"Il tuo cavallo"
La bruna esitò un momento , poi rispose: "Rocinante"
Emma annuì: "mi sono sempre piaciuti i cavalli. Da piccola... ho vissuto per strada, per un periodo. Avevo un vecchio libro di fiabe che avevo trovato vicino ad un cassonetto e...sapevo leggere per fortuna, quindi  quando faceva freddo, di notte, e ogni dannata cosa pareva ricordarmi la mia... alquanto triste, condizione, leggevo e rileggevo quelle fiabe. Le ho lette così tante volte che..." sbuffò una risata: "...le ricordo ancora a memoria quasi tutte. E c'erano principi che cavalcavano cavalli bianchi, nelle illustrazioni, e andavano a salvare principesse e... prima di dormire mi divertivo ad immaginare che mio padre fosse uno di quelli, che un giorno sarebbe venuto a prendermi e poi avrebbe insegnato anche a me ad andare su un grosso cavallo bianco. " sorrise tristemente e si strinse nelle spalle: "suppongo sia stato allora che ho capito che i principi non esistono, almeno, non esistono tanti principi quante principesse che avrebbero bisogno di essere salvate, e che queste, se si salvano, si salvano da sole."
La guardò e la trovò a fissarla, con una strana sofferenza negli occhi. Sorrise e afferrò il bicchiere, sentendo di aver stretto troppo il cappio intorno al proprio collo. Lo sollevò leggermente: "a tutte le principesse che si salvano da sole" mandò giù gran parte delle bevanda, svuotandolo quasi del tutto.
Regina sospirò e guardò il suo bicchiere, nei suoi occhi era chiaro il desiderio di afferrarlo, secondo Emma, ma non le disse niente. Si affrettò a riprendersi invece, e a tornare in sé.
"I tuoi genitori...sono qui a Los Angeles? Lavori ancora con loro?"
Regina scosse la testa: "Li ho lasciati a New York tre anni fa, appena ho potuto. Non li vedo da allora."
"Neanche tuo padre?"
"Neanche mio padre"
Emma annuì, senza fare altre domande a riguardo. Le era persino fin troppo chiaro, quello che l'altra doveva provare.
"E tu cosa fai qui?"
"Lavoro negli uffici di dirigenza di uno studio legale"
"Segretaria?"
"Capo"
"Oh...complimenti"
Si strinse nelle spalle: "almeno ci sono arrivata da sola. Non mi conosceva nessuno, qui"
"Sai una cosa?"
Regina la guardò
"Io credo che tu abbia molte più potenzialità di quante non te ne riconosca tu stessa. "
Restò a scrutarla per un momento, poi un sorriso si delineò lentamente sul suo viso: "grazie, sei gentile a dirlo"
"è la verità" affermò risoluta: "E non dovresti lasciare che nessuno ti faccia credere il contrario, neanche quel...fidanzato" fece una smorfia disgustata dicendolo, che percepì dentro di sé addirittura più appropriata al suo stato d'animo del previsto, che fece ridere di cuore Regina.
E anche Emma si sciolse in un sorriso guardandola: le brillavano gli occhi, quando rideva, il che la rendeva ancora più bella, e dolce, ed... ed era assurdo si sottovalutasse così.
"Sei una di quelle principesse che si sono salvate da sole"
L'altra smise di ridere e la guardò negli occhi, forse più seriamente di quanto avesse immaginato avrebbe mai fatto, ma c'era una sorta di..affetto, in fondo ai suoi occhi.
"Anche tu lo sei" disse piano. E rimasero in silenzio perse in una danza di sguardi ballata al ritmo di tintinnii di bicchieri e di un soffuso chiacchiericcio, e fu come se stesse crescendo qualcosa, come se stesse per sbocciare, come se la donna di fronte a lei stesse per...
Furono interrotte da un suono. Un suono così fastidioso da far raccapricciare Emma.
"Regina!"
Qualcuno la chiamò, dall'altra parte del bar. Ed Emma si sentì come se un sogno fosse appena stato infranto dal trillo di una sveglia.
La donna si voltò verso la voce, colta alla sprovvista quanto lei, e i suoi occhi si soffermarono su un soggetto che ad Emma non piacque sin dal primo momento.
Era un ragazzo alto e muscoloso, dai capelli castani, con baffi e barba dello stesso colore.
Ma, cosa che Emma notò prima di ogni altra, non era solo. C'era una giovane ragazza bruna al suo fianco, che camminava svelta accanto a lui, verso cui lui si girò mentre si avvicinava, per dirle qualcosa e condividere con lei una risata che agli occhi di Emma aveva un che di sbronzo, prima di tornare a guardare Regina. Anche lei la guardò. Aveva sul viso un'espressione dura, che non aveva niente a che vedere con quella che Emma aveva appena visto, molto più simile invece a quella di quando l'aveva conosciuta, con le labbra serrate in una linea sottile e gli occhi intenti a studiare, anzi, a dissezionare , la ragazza appena arrivata.
"Regina!" ripeté l'uomo appena le fu abbastanza vicino da poterle parlare : "amore, eccomi!"
Decisamente, pensò Emma, l'uomo non doveva essersi trattenuto dal bere fino ad allora come lei invece aveva fatto.
"Alla buon ora..." sibilò la bruna al suo fianco, senza lasciar trapelare dal viso nulla che non fosse durezza ed indifferenza
"Scusa, scusa, è che... Regina, ti presento Marion. Lei è una mia...cugina, nuova in città. Sai, le ho fatto fare un giro e...e siamo venuti subito qui"
"Ciao" fece quella, in un modo che fece storcere la bocca di Emma.
Dio, se fosse stata nei panni di Regina, avrebbe già dato uno schiaffo ad entrambi e abbandonato il locale.
"Ciao" le disse solo Regina, squadrandola, ed Emma si meravigliò che non fosse fuoriuscito veleno dalle sue labbra, insieme a quel saluto.
"Bene, bene!" disse l'uomo, più entusiasta di chiunque in quella sala. "Sono contento vi siate conosciute. Senti ora...le faccio bere qualcosa e magari dopo balliamo un po', sai, non conosce nessuno, non posso lasciarla sola. "
Regina non disse nulla, ma Emma poté sentire la tensione del suo corpo da dove era. Vibrava, Regina, e non in modo positivo.
Ad ogni modo, l'uomo non sembrava intenzionato, né interessato, ad attendere la sua risposta
"Bene allora...a dopo" le sorrise per l'ultima volta e, praticamente tirato da lei, avvinghiata al suo braccio in modo scandaloso, a parere di Emma, andò a fermarsi al bancone poco più giù ordinando subito dopo da bere per entrambi.
Emma alzò un sopracciglio con una smorfia disgustata.
"Se quella è sua cugina io sono la figlia di Biancaneve"
Lanciò poi un'occhiata a Regina, non sentendola rispondere, e la vide ancora immobile. Desunse si stesse trattenendo con forza dall'esplodere lì e subito. E come poteva biasimarla?
Sospirò e le parlò, senza tuttavia azzardarsi a toccarla: "hey, tutto bene?"
Quella per tutta risposta si girò di scatto e afferrò il bicchiere di whisky ancora intatto sul tavolo, buttandolo giù tutto in un sorso e poggiandosi al bancone ad occhi chiusi, lasciando che avesse il suo impatto sulla sua gola e sul suo cervello.
Emma la guardò preoccupata per un momento, distogliendo velocemente lo sguardo quando la vide riaprire gli occhi.
"Faccio pena, non è vero?"
Disse con voce roca dal sorso non ancora del tutto smaltito. Emma la guardò di nuovo
"Assolutamente no. Ti invidio, invece. Avessi io una capacità di controllo come la tua...avrei evitato almeno la metà dei guai in cui mi sono cacciata nella mia vita"
Regina fece una smorfia e non rispose.
"Perché non gli hai detto niente?" le chiese ancora. Insomma, lei era Regina Mills, una donna bellissima a capo di uno studio legale, perché si lasciava trattare così?
"Perché non mi abbasserò mai a livello tale da fargli credere di essere gelosa di lui"
Emma la fissò a lungo, forse soppesando l'adeguatezza delle sue prossime parole, optando infine per pronunciarle
"è uno stronzo. Non ti merita"
Lei non rispose, ma Emma poté dire che forse quelle parole avevano avuto un effetto, perché almeno furono in grado di cancellare la piccolissima, minuscola, traccia di una ferita che c'era in lei.
Non si azzardò a pronunciarne altre, tuttavia. Ordinò invece altri due bicchieri di whisky, certa che l'altra non avrebbe disapprovato, questa volta.
 
Passò un po' di tempo, non seppe dire quanto. Restarono lì, in silenzio, semplicemente a farsi compagnia a vicenda con la loro reciproca presenza. Emma lanciava occhiate furtive all'uomo, di tanto in tanto, vedendolo ridere e conversare allegramente con quella ragazza, quella Marion, e provando una voglia crescente di raggiungerlo e di spaccargli la faccia anche solo per la specie che rappresentava.
Poi, improvvisamente, Regina parve uscire da quello stato pensieroso e leggermente assente in cui era caduta con un sospiro e, lungi dall'abbassarsi al punto da guardare quello che avveniva alle sue spalle, la guardò.
"Allora, questo tuo fidanzato che hai deciso di lasciare... perché avete litigato?”
Emma sbuffò. Non che fosse esattamente l'argomento che aveva voglia di affrontare.
"Penso che non dovremmo parlare di fidanzati in questo momento"
"Smettila di scappare"
Alzò due occhi verdi, sgranati, su di lei. Come aveva potuto leggere così in profondità? Perché era come se in quell'unica frase avesse racchiuso tutto il senso della sua esistenza.
"Io non..." sospirò profondamente: "...lui è così...superficiale e...mi vuole bene però... mi chiede probabilmente più di quanto io sia disposta a dargli. Insomma, non sono brava con le relazioni, o non sarebbero finite tutte. è anche colpa mia, non lo nego, ma... sono cresciuta da sola e... ho imparato a diffidare di tutti, e ora mi viene...difficile, dare fiducia a chi me ne chiede troppa"
"Beh, non dovrebbero chiederti più di quanto tu sia disposta a dare. Dovresti essere tu, se vuoi, a darglielo spontaneamente" rimase per un momento in silenzio: "Però... è anche vero che...se vogliono darti qualcosa, dovresti provare ad accettarla senza...avere paura. Magari un domani...dare di più ti verrà spontaneo. Non tirarti indietro solo perché sei convinta che non ne sarai in grado"
Emma la fissò, senza sapere bene come rispondere. Poi lei si voltò.
"Sai, magari merita una seconda possibilità. Dopotutto, la meritiamo tutti, no?"
"Tutti tranne il tuo fidanzato" bofonchiò Emma. Regina non rispose , fuggendo per un attimo con lo sguardo sul resto della sala.
"Magari dovresti richiamarlo. Almeno provarci. " e, per la prima volta da quando quell'uomo riprovevole era entrato nel locale, le sue labbra si stirarono nuovamente in un sorriso, sebbene leggermente forzato
"Sei una brava persona, Emma. Meriti qualcuno che possa, o voglia, darti qualcosa."
Emma la fissò, un'ombra di dubbio ad attraversare il suo sguardo, per poi chinare il capo, cedendo.
"Ok, ci proverò"
"Ti conviene uscire, qui non sentiresti niente..." constatò Regina guardandosi intorno, notando la musica a volume sempre più alto.
Emma fece un cenno con il capo. "Torno subito, ok? " disse, come se ce ne fosse bisogno. Dopotutto non c'era niente, a legarla a lei. Niente, ad assicurarle che quando sarebbe tornata quella donna misteriosa sarebbe stata ancora lì. Però ci sperava, ci sperava davvero.
Regina annuì.
Emma la guardò ancora per un momento, quasi preoccupata
"Non fare follie, ok?"
L'altra rise, ironicamente, per poi guardarla con quell'affetto di poco prima nuovamente celato nel suo sorriso
"Non ne farò, signorina Swan"
Lei annuì un'ultima volta prima di uscire dal locale.
 
Il telefono di Killian suonò a vuoto, una, due, tre volte. Alla quarta rispose.
Istantaneamente, un caos infernale risuonò nell'orecchio di Emma, che rapidamente allontanò il telefono, avvicinandosene poi di nuovo con cautela
"Killian...dove sei?"
"Hey, Swan...ti ho chiamata centinaia di volte!"
Solo due, in verità.
"Ero...impegnata. Cosa volevi dirmi?"
"Cosa volevo dirti? Volevo...mh, dirti che capisco perché te la sei presa, prima. Ma insomma...hai frainteso perché non intendevo quello"
Non poté evitare che un'ondata di rabbia le percorresse il corpo al ricordo della loro litigata. Si impose di mantenere un minimo di calma, nonostante l'alcol ingerito le suggerisse ormai tutto il contrario.
"Mh, e cosa intendevi dicendo che visto che sono cresciuta come una fuggitiva e senza soldi dovrei essere abituata a fare "favori" agli uomini, poichè ne ho sicuramente dovuti fare per sopravvivere?"
Dio, quelle parole le facevano così schifo persino nella sua bocca, che sentì il sapore dell'ultimo liquore bevuto risalirle dalla gola.
"Ok senti, poteva suonare male, ma...non intendevo dire che dovresti, intendevo dire che non dovrebbe essere una cosa che ti lascia così... disgustata"
"Come scusa?"
Non poteva crederci. Davvero, non poteva crederci.
"Cosa? Emma, non ti sento bene..."
Riuscì allora a distinguere il rumore proveniente dall'altra parte: musica, da discoteca.
E riuscì a distinguere anche un'altra cosa, voci femminili, una in particolare, che suonò persino più chiara di quanto suonava la sua, per quanto era stridula.
"Killian dai, torna da noi!" delle risate seguirono, e per un istante Emma davvero non ci vide più dalla rabbia.
"Si Killian, torna da loro, e sta ben attento a non farti più vedere da me perché la prossima volta non te ne andrai intero, te lo posso assicurare"
"Aspetta Emma io..."
Chiuse il telefono non intendendo ascoltare una parola di più.
-Qualcuno che possa, o voglia, darti qualcosa- un corno! Pensò, trattenendosi con tutte le sue forze dal ridurre in frantumi la vetrata alla sua destra con un pugno. Almeno la lucidità per quello la aveva ancora.
Ma aveva bisogno di bere, tanto, e subito. Tornò all'interno.
 
Per un attimo, sondando con lo sguardo la sala che senza che lei se ne accorgesse, nelle ore, si era andata riempiendo di gente, dalla nube nera di rabbia ruggente nel suo cranio, si era affacciato il raggio della preoccupazione di non trovare più lì Regina ad aspettarla. Sarebbe stata davvero la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso.
Passò davanti all'uomo con quella Marion al bancone, ancora a ridere e a bere, e fu davvero sul punto di sferrargli un pugno per il puro gusto di farlo, ma un richiamo da lontano e una mano alzata la fermarono in tempo.
Regina era ancora lì, e la stava chiamando. Questo calmò il temporale in lei, almeno per un po'.
Non disse niente tuttavia, raggiungendo il balcone. Si limitò ad emettere ciò che era a metà tra un ruggito di rabbia e un gemito di sofferenza, per poi ordinare subito un altro bicchiere della cosa più forte che avessero in quel posto.
Regina la stava fissando, lo sapeva, ma non voleva rischiare di rovinare tutto anche con lei solo per la rabbia dirompente che aveva nel petto, aprendo bocca e dicendo qualcosa di spiacevole, così rimase in silenzio. E apprezzò molto che Regina facesse lo stesso, capendo.
Solo dopo che entrambe ebbero mandato giù un altro bicchiere Regina parlò.
"è andata male?"
"mh..."
Regina prese un respiro profondo
"a quanto pare...neanche lui ti merita"
Emma si strinse nelle spalle: "non che mi interessi, ormai. Può andare all'inferno"
Regina annuì: "beh...mi dispiace"
"A me no. Assolutamente."
Rimasero di nuovo in silenzio per diversi minuti, lasciandosi avvolgere dalla musica e dai loro pensieri. Era piacevole, nonostante tutto, pensò Emma, stare lì accanto a lei. Impensabilmente, era piacevole non essere soli. Era...curativo, in qualche modo.
Si voltò a guardarla e la trovò ancora una volta persa nei suoi pensieri, lo sguardo fisso su qualcosa di lontano, le labbra socchiuse e leggermente lucide... era bellissima, Regina Mills. Lo aveva pensato da quando l'aveva vista per la prima volta, ma ora... ora lo sapeva davvero. Ora vedeva che c'era qualcosa, dietro quegli occhi scuri, c'era qualcosa nel modo in cui rilucevano quando le luci colorate vi si riflettevano, c'era qualcosa in quella sua risata che amava così tanto ascoltare, in quei sorrisi che, in un modo o nell'altro, l'altra cercava sempre di nascondere.
E no, non era giusto che  qualcuno potesse permettersi di trattarla nel modo in cui quel suo fidanzato aveva fatto. Insomma, non si era neanche preoccupato di dare una spiegazione decente, aveva continuato a divertirsi e ad ignorarla per tutta la sera.
E poteva non conoscerla, Emma, perché in fondo non la conosceva, ma quello che per certo sapeva era che non meritava un trattamento del genere. Non lo meritava affatto. E che se aveva capito qualcosa di lei, nonostante tutto quello che diceva e che faceva, una parte di lei stava soffrendo per questo.
Le sfiorò il braccio, volendola richiamare dalla sua trance pur senza urlare, cosa che sarebbe stata indispensabile per sovrastare il rumore crescente.
Lei si voltò, e di fronte ai suoi occhi lucidi di alcol e chissà quale dolore, il cuore di Emma sussultò
"Come stai?" le chiese solo. Ma lei non tardò a rispondere, senza apparente traccia di esitazione
"Bene"
"Bene?"
Lei annuì : "Perché ho capito cosa devo fare. Lasciarlo."
Emma sorrise. Si, le dispiaceva, ma era contenta che lei lo avesse capito. Meritava molto di più.
"Sai era...diverso. Gentile. Non ho avuto sempre...belle esperienze, con le persone. Tanto tempo fa qualcuno di cui mi fidavo...mi ha tradito. E mi ha causato un sacco di guai. Da allora non ero riuscita più a fidarmi davvero di nessuno, fino a lui. Non siamo stati insieme per molto, ma all'inizio è stato bello. Era...sincero. Ma forse lo era solo per me, a quanto pare non ho mai significato nulla più che qualche notte di piacere"
Emma scosse la testa: "sei molto più di questo. E lui è uno stronzo se non se ne è mai accorto"
Regina sorrise amaramente: "No, va bene. Ora mi è chiaro. Mi è servito."
Ma ad Emma non piacquero quelle parole, e quel sorriso: "No, Regina, non va bene per niente. Sai cosa si meriterebbe? Che qualcuno gli spaccasse quella faccia da gradasso. E anche qualcos'altro..."
Regina rise, e per un momento il peso delle sue parole si alleviò.
"Dico sul serio, troverai qualcuno prima o poi, devi solo aspettare la persona giusta" disse dolcemente.
Regina continuava a sorridere, ma scosse leggermente la testa e non disse nulla. Ma serviva allentare quella tensione, Emma lo percepì, così sorrise
"Hey, posso farti una domanda? Sei mai stata con una donna?" chiese di getto per arrossire subito dopo, forse a causa dell'alcol, pensando a quanto controversa potesse sembrare quella domanda, ma ormai il dado era tratto. Regina la guardò per un momento, poi scoppiò a ridere. E cercò di fare di tutto, Emma, per sopprimere quella lieve delusione che si stava espandendo nel suo petto. Perché ovviamente non poteva essere fortunata al punto da incontrare qualcuno, come lei, a cui piacessero le donne, come lei.
Eppure, prima che arrivasse quell'uomo, anche se per un solo momento, era stata certa che lei fosse sul punto di...
"è una proposta, signorina Swan?"
E fu forse quella carica di adrenalina imbottigliata che ora scorreva nelle sue vene a farle decidere di giocare. O forse solo il fatto che una risata può voler dire molte cose, e che la sua era solo necessità di sapere.
"Se lo fosse?" le disse, con un sorriso probabilmente più carico di malizia di quanto avrebbe immaginato.
Regina divenne seria, tutto ad un tratto.
Ecco, ora sarebbe fuggita. Tentativo fallito.
Ma Regina non fuggì. Qualcosa cambiò, nei suoi occhi; una nuova profondità, vi si rivelò. SI staccò dal bancone e si avvicinò a lei ancora di un passo, poggiando le braccia ai suoi lati, costringendola a stare ferma. Ma non c'era alcun pericolo, perché Emma non avrebbe potuto muoversi comunque. Perché quello sguardo traboccante sensualità l'aveva inchiodata sul posto sin dal primo istante.
Regina era immobile e la scrutava, a labbra socchiuse. Ubriaca, ma non tanto da non sapere cosa stesse facendo. D'altra parte lo aveva detto lei stessa: non si ubriacava mai del tutto.
Poteva sentire il suo respiro, lievemente, ma avrebbe detto deliziosamente, alcolico sfiorarle il viso, per quanto era vicina, il suo profumo offuscarle la mente e l'olfatto, mentre il suo corpo, leggero come una piuma, la sfiorò. E non importava dove, lei era ovunque intorno a lei, nella sua testa.
Vi giunse in quel momento: era tossica, Regina Mills.
"Se lo fosse..." iniziò, con una voce bassa che elettrizzò ogni cellula di Emma che stesse ancora dormendo. La guardò ancora, lasciandola in un attesa straziante, appesa a quelle succulente labbra carminio e a qualsiasi cosa da esse fosse uscita.
"...ci penserei"
Ed era una droga di cui sarebbe morta volentieri, Regina Mills.
Che forse aveva già avuto la meglio su di lei, perché a quella frase non seppe proprio cosa rispondere, Emma. La vide allora sorridere, e per la prima volta in vita sua si sentì una preda. E per di più, una preda già catturata.
L'avrebbe uccisa, Regina Mills.
Ma poi si allontanò nuovamente, probabilmente più soddisfatta di quanto mostrasse, ed Emma non sentì di avere la benché minima forza di dire qualcosa, cercando alla ceca il bicchiere alle sue spalle alla ricerca di un aiuto che fosse intossicante, anche se non quanto lei.
Ma la sua attenzione, la loro, attenzione, fu attirata dal fidanzato di Regina che, ormai impegnato in, sempre secondo il modesto parere di Emma, indecenti, danze con la sua..."cuginetta", alzò la mano nella loro direzione puntando Regina con lo sguardo e invitandola a raggiungerli.
Regina si irrigidì per un momento, poi scoppiò a ridere, ed Emma pensò che l'alcol stesse iniziando ad avere la meglio su di lei. O forse, era lei che lo stava lasciando credere.
Scosse la testa: "Se non altro, devo dire che ha fegato".
Ma quando riportò lo sguardo sui due in lontananza, la cosa le fece un tale ribrezzo e una tale, improvvisa, rabbia, che sbatté la mano sul bancone, attirando l'attenzione di chi era vicino a lei e di Regina, che smise di ridere e la guardò stupida.
"Che schifo..." sibilò : "...quello stronzo si merita una lezione"
Regina la fissava sempre più incuriosita.
Al diavolo!
Pensò Emma.
Al diavolo i maschi ed il loro stupido orgoglio, al diavolo le implicazioni e le conseguenze!
Regina non meritava quello, lei non meritava quello.
Si staccò dal bancone e si voltò verso Regina.
Le tese la mano.
"Diamogli quello che vuole. Balla con me. Facciamogliela pagare."
Regina fissò la sua mano per un momento, e vide nel suo sguardo tanta incertezza come non ne aveva mai vista. Ma poi dovette mandare tutto al diavolo anche lei, perché sorrise e afferrò la sua mano con un ghigno quasi pericoloso sul volto.
"E sia, signorina Swan. Facciamogliela pagare."
E ad Emma, mentre camminava verso il centro della sala, parve impossibile che lei, Emma Swan, stava per ballare con Regina Mills. Ma si ricordò di doversi sforzare di tenere a mente, qualunque cosa fosse successa, che Regina era una donna appena tradita, vulnerabile ed al tempo stesso in cerca di vendetta, e di dover tenere a mente il perché di tutto quello: per l'appunto, vendetta. Non ballava con lei perché voleva, ballava con lei per vendicarsi. Ed era triste, ma se era tutto quello che poteva avere, si disse, se lo sarebbe preso. E si sarebbe presa anche la propria, di vendetta.
Fecero in modo di posizionarsi dove lui potesse vederle, non troppo vicino ma non troppo distante, e anche se inizialmente non le degnò di uno sguardo, iniziarono a ballare.
La musica era forte, stordente, o forse non lo era così tanto, ed era piuttosto il corpo di Regina a mandarla fuori di testa. Perché ora lo vedeva, vedeva ogni curva fasciata da quell'abito bianco, vedeva ogni singola ombra che le pieghe del tessuto vi proiettavano, e lo vedeva ondeggiare, con grazia, avrebbe detto, cavalcando le onde della musica, trasmettendo le sue ai suoi capelli che, gentili, le accarezzavano la schiena, soprattutto quando reclinava la testa all'indietro ed esponeva ai suoi occhi un collo sinuoso e pulsante di vita, che accendeva in lei una fame comparabile a quella di un vampiro. Solo che non era fame di sangue, era fame di carne viva. Fin troppo viva.
E non era certa neppure di starsi muovendo a sua volta, il suo stesso corpo dimenticato e messo in un angolo di fronte a quello spettacolo di bellezza divina.
La vide sfiorarsi con le dita il mento, scivolando poi lentamente sul collo e sul petto ad occhi chiusi, mandando brividi sulla sua pelle pur senza toccarla. Poi aprì gli occhi e la vide. E qualcosa cambiò. Forse vi vide la fame, quella stessa fame che fu certa di vedere nei suoi, mista alla rabbia e al desiderio di vendetta. Una vendetta che si sarebbe presa lentamente, a spese di tutti loro. Ma ad Emma non importava, non quando la vide avvicinarsi, impercettibilmente, trapassandola con occhi di braci roventi. Non quando sentì il suo corpo sfiorare il proprio, ondeggiando. Deglutì, ma la saliva aveva lasciato la sua bocca da tempo ormai.
Per pura curiosità, lanciò uno sguardo all'uomo oltre la spalla di Regina. Ora le aveva viste, eccome, se le aveva viste. E improvvisamente non sembrava più tanto interessato a quella Marion che ancora ballava con lui. Ghignò di soddisfazione e sorprese Regina e anche sé stessa, quando si avvicinò al suo orecchio scostando leggermente i suoi capelli. Dovette fermarsi un momento, perché il loro profumo di mela era inebriante. Poi parlò
"Ci sta guardando…”
Ed ebbe come l'impressione di sentir Regina tremare, ma poi la guardò e lei sorrise, pericolosamente.
Si voltò di spalle ed in un attimo fu contro di lei, il suo corpo pressato contro il suo, ed Emma credette di morire. Asfissia ed autocombustione istantanee. Regina era troppo. Decisamente troppo, persino per lei.
Una mano della bruna si ancorò al suo collo, e la sua testa si poggiò alla sua spalla.
Dio, non poteva farle questo.
Sentì il suo respiro sul collo, sull'orecchio quando le sussurrò qualcosa
"Stringimi..."
E in quell'istante Emma perse davvero l'ultima scintilla di lucidità che le era rimasta. Il suo raziocinio se ne andò al diavolo, insieme alle sue precauzioni e alle sue auto-raccomandazioni.
Le cinse la vita con le braccia affondando il viso nel suo collo ed inspirando profondamente il suo odore, quel misto di carne e di vita che l'avrebbe portata all'inferno, se non fosse stata attenta.
Regina continuava a muoversi contro il suo corpo, e ad ogni movimento lei la stringeva di più, come se ne andasse della sua stessa vita, facendola sorridere.
Certo, questo per lei era solo un gioco. Lei era così fortunata da non star bruciando dentro.
Ma Emma voleva di più, e se non poteva avere nulla al di fuori dal gioco, avrebbe giocato anche lei.
Portò una mano al suo viso e le sfiorò la guancia, girandolo verso il proprio. Le sfiorò le labbra con le sue, solo per un momento, ad occhi chiusi, e le parve la cosa più vicina al paradiso che avesse mai sperimentato.
Allora, Regina aprì gli occhi. La guardò in modo indecifrabile, e poi guardò l'uomo poco distante, profondamente e a lungo.
Si, pensò Emma, meritava anche lui di morire per questo. Lui che il privilegio di averla l'aveva avuto, e l'aveva buttato via come fosse nulla.
Quando la sentì allontanarsi da sé pensò di aver sbagliato tutto, ma si disse che, in fondo, non le importava. Per quel paradiso, ne era valsa la pena.
Ma Regina non aveva ancora smesso di giocare. Continuò a muoversi di fronte a lei, di nuovo di spalle all'uomo, e con grande sorpresa di Emma lasciò che le mettesse le mani sui fianchi, accompagnandola nei suoi movimenti. Poi puntò gli occhi nei suoi, incatenandola. E per Emma il mondo sparì, non poté guardare nient'altro, pensare, a nient'altro. Lei era appena diventata il suo tutto. E il suo tutto le stava sorridendo.
Per questo non si accorse dell'uomo che spuntò alle sue spalle all'improvviso. Che, con prepotenza, le avvolse la vita con le braccia come lei aveva fatto poco prima, e la tirò a se, via dalle sue mani.
"Adesso tocca a me" lo sentì dire, la voce quasi distorta da qualsiasi cosa gli scorresse nelle vene, e per un attimo, un crudele attimo in cui rimase immobile, Emma temette davvero che lei avrebbe ceduto. Ma poi la vide cercare di allontanarsi, perfettamente in sé, e fu tutto ciò che le servì. Fece un passo verso di lui e, ben attenta alla mira, gli sferrò un pugno in pieno viso.
"Sta lontano da lei..." sibilò.
Lui fece un passo indietro, barcollando, prima di cadere a terra sotto lo sguardo allibito di Regina.
Emma perse solo un secondo nell'autocompiacimento prima di prenderle la mano e tirarla via verso il bancone. E non vi arrivarono neanche, che Regina iniziò a ridere. Prima piano, poi sempre più forte, ed Emma la seguì a ruota.
Afferrarono, tra le risate, i bicchieri ancora pieni che avevano abbandonato lì poco prima, ed in un sorso ne svuotarono il contenuto. Si voltarono verso la sala e videro un gruppo di persone radunate intorno all'uomo disteso a terra, compresa, ovviamente, una ridicolamente preoccupatissima Marion. Ripresero a ridere. Emma si accorse di non sapere neanche come si chiamasse, e questo la fece ridere ancora di più. Ma dovevano andare via da lì, e subito. Così strinse di più la sua mano e, lasciati tutti i soldi che aveva sul bancone, si avviò velocemente verso l'entrata, cercando di non farsi notare, cosa alquanto difficile, con Regina che continuava a ridere a crepapelle.
In qualche modo, riuscirono ad uscire e scendere le scale cercando disperatamente di trovare fiato tra le risate.
"Gli hai davvero spaccato la faccia!" Regina sembrava entusiasta come una bambina, e questo in qualche modo...stava riempiendo il cuore di Emma di gioia, alimentando le sue risate.
"Ora voglio proprio vedere chi vorrà più andare con lui" e ridendo come due pazze uscirono per strada.
E lì furono colpite in pieno dalla pioggia fredda e torrenziale di cui, dall'interno, non si erano neanche accorte. Fu l'unica cosa in grado di zittirle, in verità, ghiacciarle letteralmente, per un momento. Ma poi ricominciarono a ridere più forte di prima, mentre le loro mani si stringevano ancora.
Regina, in tutto quello, con gli occhi socchiusi per la pioggia, riuscì a guardarla, e quello sguardo, insieme malizioso ed innocente, le sciolse il cuore.
Poi le si avvicinò all'orecchio, e affievolendo le risa le sussurrò
"Portami a casa..."
Il cuore di Emma saltò un battito, ne fu sicura. Se fosse sopravvissuta a quella serata, era certa che sarebbe vissuta a lungo.
Mise la mano in tasca solo per trovarla vuota. E scoppiare a ridere nuovamente, con una punta di isteria.
"Ho finito il soldi, non posso neanche prendere un taxi"
Regina scoppiò a ridere nuovamente ma riuscì in qualche modo ad estrarre dalla borsa dei soldi, mentre Emma ne approfittò per togliersi la giacca e cercare di coprire l'altra donna con quella e con il proprio corpo come poteva, mettendogliela sulla testa e avvolgendole le spalle con un braccio. Regina, sorpresa, alzò la testa per guardarla, e le sorrise dolcemente sussurrando un grazie e stringendosi nel suo abbraccio.
E fu in quell'esatto momento che Emma, per la prima volta, si sentì la persona più potente del mondo, il principe sul cavallo bianco che trova finalmente la sua principessa, o forse la principessa salvatasi da sola tempo prima, che finalmente trova la sua compagna di destino.
Perché non serve essere principi, per essere salvatori, e non serve essere principesse, per essere salvati.
 
Il viaggio in taxi riuscì a calmare entrambe, un po' perché si imposero di mantenere un minimo di decenza, ubriache fradice e fradice di pioggia come erano,  un po' perché il silenzio della notte che scorreva dietro il finestrino diede loro tempo per pensare.
Certo, calmare era forse un' termine un po' azzardato per Emma, visto che a Regina era venuta la brillante idea di poggiare la mano sulla sua coscia dal momento in cui erano salite a bordo del veicolo e non pareva avere alcuna intenzione di toglierla, e nonostante la calma apparente Emma era certa che una parte di sé forse non così profonda stesse scalpitando e urlando, ma, se non altro, non fecero nulla che facesse decidere al tassista di scaricarle sotto la pioggia nel bel mezzo di una strada qualsiasi, dopo la sospettosa, e vagamente compassionevole, occhiata iniziale che aveva rivolto loro appena le aveva viste.
E nonostante l'alcol e l'adrenalina e qualsiasi gas distruttivo circolasse nella sua testa in quel momento, Emma non riuscì neanche per un secondo a smettere di pensare a quelle parole.
Portami a casa...
Perché, all'atto pratico, non riusciva a capirne il significato.
Regina Mills era una donna così straordinaria e particolare, che con una frase del genere avrebbe potuto voler dire tutto e niente. E Emma era tremendamente tormentata tra il credere a quel tutto o a quel niente.
Magari lei voleva solo un'amica, aveva solo bisogno di qualcuno che le stesse accanto mentre si asciugava dalla pioggia in una notte solitaria, e che potesse consolarla quando, nonostante tutta l'allegria e la follia che aveva mostrato fino a qualche minuto prima, sarebbe scoppiata in lacrime per l'ennesimo tradimento.
Ma a dir la verità, dubitava fosse una persona così fragile, Regina Mills.
D'altra parte, dubitava anche che una persona come lei potesse avere la fortuna tanto grande di essere invitata a casa di Regina Mills di notte per fare...altro.
E allora quale era il compromesso? Magari avrebbero parlato ancora come avevano fatto fino ad allora, di loro, o più probabilmente di qualche stupidaggine, visto il loro stato di ebbrezza. Poi Regina l'avrebbe accompagnata alla porta con un sorriso dei suoi, uno di quei suoi meravigliosi sorrisi, e forse, e solo forse, Emma sarebbe stata coraggiosa abbastanza da provarci davvero e chiederle di rivederla. No, invitarla ad un appuntamento, perché le era ormai chiaro che non sarebbe mai riuscita ad essere solo amica, di Regina Mills, e non intendeva ingannarla, non credeva lo meritasse.
Ma il tocco leggero dell'altra donna, che pareva nuovamente distante, con lo sguardo perso nei notturni meandri della città fuori dal finestrino, non aiutava affatto la sua concentrazione, e prima che potesse giungere ad una conclusione l'auto si fermò dinanzi ad un vialetto.
Pagarono il taxi e, appena scese, corsero fino al portico, riparandovisi sotto.
Ma, appena mise piede a terra, Emma fu presa dal panico. Ed era sicuramente colpa di tutti quei drink, si disse, ma era comunque troppo potente la sua morsa perché potesse scapparvi.
Avrebbe davvero accettato di non rivederla più solo perché era incapace di resistere ai suoi sentimenti...no, ai suoi istinti, e non poteva essere per lei una semplice amica?
E se Regina avesse davvero avuto bisogno di un'amica, avrebbe avuto forza d'animo necessaria ad infliggerle un nuovo tradimento?
Diamine, non si meritava Regina, affatto.
E poi, che amica sarebbe potuta essere? Non avrebbe neppure saputo consolarla se...no, non avrebbe pianto davvero, vero? Non poteva mettersi a piangere, lei non sapeva che fare, con le persone che piangevano, lei non avrebbe saputo trattenersi davanti alle sue lacrime...
E la sua espressione doveva trasmettere così tanto panico che persino Regina se ne accorse e la guardò stranamente. Le sfiorò il viso, quasi studiandolo.
"Stai....bene?"
Emma deglutì e annuì
"Certo...certo"
Rimasero ferme davanti alla porta a guardarsi ancora per un momento.  E poi, Emma, fedele come sempre al suo stile di vita, capì che, come sempre, le offriva la scelta migliore.
No, più facile.
Scappare.
Deglutì ancora
"Dovresti..." fece un cenno allusivo ai suoi abiti "...cambiarti, sai, o prenderai un malanno"
Regina annuì, ma non sembrava star prestando molta attenzione alle sue parole, e non accennava a distogliere lo sguardo dai suoi occhi verdi, riflettenti schegge ambrate di luci notturne di strada, cosa che non faceva che aumentare il suo disagio e le sue difficoltà già notevoli ad andarsene e rinunciare forse ad una delle occasioni migliori della sua vita.
"Bene io...adesso vado, torno a casa"
Quelle parole, sebbene dette con tono leggermente esitante, parvero svegliare Regina dalla sua trance
"che cosa? Non esiste, non vai da nessuna parte!"
Emma sgranò leggermente gli occhi ma non disse nulla, lasciandole il tempo di spiegarsi. La donna infatti chiuse gli occhi traendo un profondo sospiro e stringendosi la radice del naso tra le dita per un momento, prima di guardarla e parlare nuovamente
"Sta diluviando, Emma. Dove credi di andare con questa pioggia? E poi se non ti asciughi prenderai un malanno anche tu"
Emma si morse il labbro ma scosse la testa
"Ti ringrazio ma...non posso restare"
"Perché?" la sua replica fu imminente, e lo sguardo che le rivolse decisamente sconvolgente.
Poche cose, nella vita, avevano sconvolto Emma Swan come Regina Mills aveva fatto in una sola notte.
La fissava con gli occhi grandi persi in una strana espressione di abbandono, evidenziata dalle labbra socchiuse, tremanti, avrebbe detto Emma, se si fosse data il permesso di guardarle, che la fecero improvvisamente sembrare una sorta di...bambina. Sola e abbandonata dal mondo.
Dal mondo tranne lei.
Lei che era lì a guardarla, a cercare in quegli occhi sgranati la ragione di quella sofferenza, si, di tutta quella sofferenza che vedeva in lei, decisamente un sentimento troppo profondo per un qualcosa destinato a nascere e sfiorire in una breve notte di passione, e che pure c'era, e pulsava, rovente come quella passione stessa, come erano state le sue membra tutte in quei momenti infiniti in cui l'aveva stretta sulla pista da ballo, ma che bruciava lasciando cicatrici profonde, che forse ne avrebbe lasciate di ancora più profonde nel suo stesso cuore, se non fosse stata attenta, se si fosse lasciata andare a quella follia imperversante nella sua testa e a quell'istinto fin troppo umano scalpitante nelle sue ossa. E forse era solo l'alcol a farle avere quei pensieri, così simili a qualche strana illazione sui fulmini e sull'amore di cui aveva sentito parlare in qualche film, mentre un fulmine vero comparve nel cielo su di loro, illuminando i loro volti per un istante di luce nuova prima di scomparire,  rincorso da un boato che sentì scuoterle la carne.
Ma mentre il cielo si frantumava in lacrime di idrogeno, e la città sembrava spenta, rinchiudendo nelle case quella vita che aveva in sé, lei era ancora lì, immobile e noncurante del freddo e dell'acqua, ad aspettarla, ad aspettare la ferita che lei stava per infliggerle con l'enorme lama della sua codardia, o forse...
O forse, per una volta, Emma Swan avrebbe potuto salvare qualcuno. E sarebbe stata davvero chi aveva un giorno anelato ad essere, per poi cacciare quella obsoleta illusione nel fondo di una vecchia tasca.
Regina fece un passo verso di lei ed afferrò il bavero di quella giacca di pelle che si era rimessa poco prima, restando ferma a guardarla, e la sua vicinanza la sconvolse ancora, annullando ogni possibile reazione il suo cervello potesse aver elaborato in quel lasso di tempo.
Non aveva più inibizioni, Regina, tuttavia non c'era traccia di ebbrezza negli occhi che la guardavano. Vi era piuttosto una sincera, disperata, supplica, quando chiese ancora
"Perché?"
E fu solo un sussurro, ma scosse Emma nel profondo.
Perché?
Non lo aveva un perché, Emma Swan. Non che lei ricordasse in quel momento.
Perché, aveva paura. Perché conosceva il suo nome e si stava illudendo di conoscere il suo cuore. Perché semplicemente, non sentiva di essere abbastanza. 
E poi, gli occhi di quella sconosciuta si riempirono di lacrime.
"Perché!?" le urlò, facendola sobbalzare, una presa febbrile sulla sua giacca.
Perché, quello che Regina Mills le stava chiedendo era esattamente quello che voleva lei.
Ed era forse troppo irraggiungibile per entrambe, ma avrebbero potuto almeno provarci.
Poggiò le mani sui suoi pugni in silenzio, raggiunse i suoi polsi con una carezza, li strinse con decisione.
La spinse contro il muro alle sue spalle con un indecifrabile sguardo, ve la inchiodò con una nuova intenzione. La baciò come se fosse l'unica cosa da fare, dando fuoco alla pioggia.
E sapeva di liquore e della serata da ubriaca che vuoi dimenticare, Regina Mills, ma le sue labbra erano il sogno che la mattina ti sforzi di ricordare.
Ed era bello, era dolce, forse un po' selvaggio, se non altro passionale.
Terribilmente umano.
Le liberò i polsi solo per sentirla unirli sulla sua schiena, per portare ancora più vicino a lei quel suo corpo.
Erano fradici, i suoi vestiti, ma Emma non sentì il freddo. La sentì pulsare contro di sé, calda e viva, nella sua mente delineata ogni curva, e la sensazione la mandò fuori di testa.
Allacciò a sua volta le braccia intorno al suo busto inarcato e la strinse nutrendosi ancora di quel sogno.
Cosa stava per perdere, quanto aveva già perso!
Era insopportabile.
Si allontanò, ansimante, e la fissò. Vide quella lacrima che si era formata poco prima percorrere il suo viso e non esitò un momento ad asciugarla con il pollice, lasciando poi la mano poggiata sulla sua guancia.
Era quasi sorpresa, Regina, ed insicura. Ed Emma odiò in quell'istante chiunque avesse fatto in modo che lei, lei, si sentisse così.
"Vuoi ancora andare via?"
Ed erano così flebili quelle parole, nel frastuono della pioggia, che avrebbe potuto non sentirle, ma lo fece, e la loro intonazione le lacerò il cuore. E la volontà.
Nessuno lo aveva mai fatto prima.
"No. Non sono mai voluta andare via"
Un suo sguardo fu tutto quello che bastò. Il sollievo che le disegnò un sorriso sul viso ciò che mosse ogni sua azione per tutto il tempo che seguì.
La baciò ancora, e il tempo perse importanza.
E il mondo, e il passato.
E francamente, pensò Emma mentre la sollevava, portandola in casa, casa sua, e chiudendo con poca cura la porta alle loro spalle, non le importava di averla appena conosciuta, perché la stava per conoscere meglio di quanto molti, quasi tutti, avessero fatto.
E non le importava, di quelle famose implicazioni e possibili conseguenze che avevano reso da sempre la sua vita una continua battaglia combattuta in difesa.
La stava attaccando, quella sua vita maledetta, per una volta. E se avesse dovuto perdere, poco importava: con la sconfitta, ci avrebbe fatto i conti dopo, come d'altronde era abituata a fare.
Perché, realizzò perdendosi solo pochi minuti dopo nel suo corpo, in quella distesa di pelle vellutata e priva di imperfezioni, con quel sentore di mela e di sogno estivo che emanava, quel qualcuno aveva ragione, tutto quello che importava era davvero il momento.
Il momento in cui assaporò le sue labbra nell'illusione di sentirla davvero sua, nuda contro di lei, stretta tre le sue braccia, il momento in cui sentì graffi sulla schiena e le sue mani tra i capelli, a eternare di dolore evanescenti percorsi di piacere, il momento in cui la sentì dare un senso al suo nome, nel buio della stanza e di quella notte di pioggia, mentre un lampo le immortalava nella sua luce e un tuono ruggiva con lei.
Si, il momento, quello per cui vale la pena di essere umani, quell'unico, fuggevole momento, che si incontra tante volte nella vita, ma in fondo mai abbastanza, e che dalla miseria di essere umani, risolleva.
 
 
Quando aprì gli occhi, quella mattina, ciò che vide la disorientò, e spaventò, per due secondi abbondanti, prima che potesse capire e ricordare dove realmente si trovasse.
Si tirò su a sedere, forse troppo velocemente, e la sua testa glielo ricordò con una dolorosa fitta che cancellò ogni altro pensiero per un secondo, facendole serrare gli occhi.
Quando li riaprì, però, la vide.
Dormiva ancora, accanto a lei, e le sue membra erano alabastro racchiuso nell'ambra del primo mattino, smosse da regolari respiri, correnti di vita.
Un torpore di bianche lenzuola scarmigliate celava le sue curve, la avvolgeva,ancora immobile in quel principio di giorno, pur lasciando geometriche forme di pelle esposte alla brezza lieve che si avventurava, con la luce sua compagna, nella stanza silente.
Era bellissima, lo era davvero.
E, per la prima volta dopo un risveglio in un letto che non era il suo, Emma si ritrovò a sorridere di fronte a quello spettacolo di bellezza e tenerezza, vedendola stringere al petto quel lenzuolo.
Scivolò piano dal letto, per non svegliarla, e recuperò i propri vestiti sparsi in giro, o meglio, parte di essi, il resto non aveva idea di dove fosse, probabilmente sparso per la restante casa.
Non lo ricordava proprio, il resto della casa. Non che se ne sorprendesse: non vi aveva posto poi molta attenzione la sera prima, a parte il fatto che, oltre che impegnata, era stata anche piuttosto ubriaca.
Si rimise gli indumenti intimi e si girò a guardarla ancora una volta.
Si, poteva essere stata ubriaca e non ricordare il resto della casa, ma ogni altro ricordo lo aveva eccome, e la colpì con la potenza di un treno, destabilizzandola.
Sbatté le palpebre, una, due volte.
Poi, il suo telefono vibrò. Lo trovò in un angolo del pavimento insieme ai jeans e lo prese, affrettandosi ad uscire dalla stanza e a chiudersi la porta alle spalle per non svegliare l'altra.
Dio, non aveva neanche idea di che ore fossero. Ma dopotutto, era Sabato, almeno da che ricordava.
Guardò accigliata il telefono che vibrava ancora.
Killian.
Dannazione, cosa aveva da chiamarla, Killian? Alle...nove di mattina di Sabato per di più, lesse sullo schermo. Credeva di essere stata sufficientemente chiara, la sera prima. Rispose solo per assicurarsi di eliminarlo dalla sua vita una volta per tutte.
"Senti, Killian, io non voglio più neanche..." ma lui la interruppe
"No no, Emma ascolta. Sono stato stupido ieri e mi dispiace. è colpa mia, ok? Posso passare da casa tua, così ne discutiamo e vedrai che..."
Su una cosa aveva ragione: era davvero stupido.
"No Killian. Non puoi venire a casa mia, non voglio vederti e basta. E, prima che tu lo dica, no, non è per oggi o per una settimana, è per sempre, ok? Semplicemente, è evidente che non siamo fatti per stare insieme"
Lui suonò sinceramente stupito: "Ma Emma, cosa dici, noi..."
"Non c'é nessun "noi", lasciami in pace. Finisce qui."
Chiuse il telefono non intendendo perdere con lui un secondo di più della sua vita, ne tantomeno rovinarsi la mattinata dando ascolto alle sue assurdità.
Un momento dopo, sentì la porta cigolare alle sue spalle e si voltò.
Regina era sull'uscio, i capelli portati su un lato e il lenzuolo ad avvolgerla dolcemente.
Emma sorrise, sperando lei facesse lo stesso, sentendo ogni insicurezza, dubbio e paura della sera prima tornare di fronte a quella visione. Perché si, Regina Mills era decisamente troppo, per lei.
E forse era pentita, e la voleva solo fuori dai piedi e da casa sua, e...
Ma Regina sorrise, come se fosse normale.
E il suo cuore andò bellamente a farsi una passeggiata fuori dal suo petto. O almeno, così le sembrò.
"Buongiorno" disse solo.
Il canto di un angelo.
"Hey...scusa, mi disturbano già a quest'ora di Sabato" accennò una risatina nervosa occhieggiando il telefono nella propria mano.
Ma Regina non smise di sorridere.
"Caffé?"
"Darei l'anima"
 
E fu così che in una normale mattinata di Settembre, a seguito di una giornata iniziata nel peggiore dei modi e finita forse nel migliore, Emma Swan si trovò a far colazione nella cucina di Regina Mills.
E, Emma doveva ammetterlo, fu una delle colazioni migliori che avesse mai fatto. E non solo per il paradisiaco caffé italiano che l'altra, scoprì grazie alle sue origini, sapeva fare, o per i pancake che erano tra i più buoni e soffici che avesse mai assaggiato, ma perché era radiosa come in un primo momento non aveva neanche immaginato potesse mai essere, Regina, e le riempiva le orecchie del suono allegro della sua voce, e gli occhi della sua bellezza, e il cuore di gioia alla sola, remota possibilità, che l'origine di tutto quel buonumore potesse essere la sua presenza.
E non seppe neanche lei perché ma, di punto in bianco, le disse di aver lasciato Killian.
E l'altra si zittì, si fece seria e la guardò, per poi chinare lo sguardo e prendere il telefono, cercando il numero del suo fidanzato che, Emma lo scoprì in quel momento, si chiamava Robin.
Avviò la chiamata senza dire una parola, ma lo sguardo insicuro e fragile che le lanciò fu abbastanza per farle allungare la mano oltre il bancone per stringere una delle sue.
Forse, dopotutto, sarebbe potuta essere persino quell'amica di cui aveva bisogno, se ancora ne avesse avuto bisogno.
E strinse la sua mano finché lei non chiuse il telefono, dopo una serie di urla più che motivate, a giudicare dalle accuse provenienti dall'altra parte che aveva sentito , e vide una lacrima ribelle rigarle la guancia.
La mano della bruna schizzò a cancellarne ogni traccia il prima possibile, ma lei la bloccò e la raggiunse, aggirando il bancone. Perché ora sapeva cosa fare, se lei piangeva, lo aveva già fatto, in fondo.
Le asciugò la lacrima e la baciò, ancora e ancora, scoprendosi già assetata di quel contatto dopo poche ore dall'ultima volta che lo aveva avuto, e le sfilò la vestaglia, e si trovò di nuovo nuda, e scoprì che i divani erano sottovalutati.
Tutto, entro le dieci di un Sabato mattina di Settembre.
E quando ebbero finito restò a guardarla respirare, con il petto accarezzato dai suoi capelli ad ogni respiro, sul ristretto spazio in cui entravano a malapena, un' opera d'arte, e quel forse si tramutò in realtà.
Le chiese se volesse pranzare con lei, per quel giorno, o magari cenare, quella sera.
E si, decisamente, non c'era niente che rendesse la vita più degna di essere vissuta dei momenti come quello in cui lei la guardò, le sorrise, e le disse si.
 
 
/Salve a tutti e grazie per essere arrivati fin qui!
Questa storia nasce da un'iniziativa di scrittura fatta con alcune amiche durante la quarantena, quindi il prompt proviene da loro ed era proprio per una storia ambientata in un bar.
Giusto per divertirsi un po', eccoXD
Spero che la storia vi sia piaciuta e vi ringrazio per l'attenzione.
Ogni critica è ben gradita;)

Eleonora
   
 
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