Anime & Manga > Fairy Tail
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Autore: Ray Wings    23/07/2020    0 recensioni
Non c'era al mondo persona che non conoscesse Fairy Tail. La gilda simbolo di Magnolia vantava tra i suoi membri alcuni dei maghi migliori dell'intero continente. Ma ogni medaglia ha due facce e se Fairy Tail ne aveva una sublime, abbagliante, dall'altro lato portava solchi indelebili, segreti che mai sarebbero dovuti uscire da quelle mura. Fairy Tail era nata anche per quello: proteggere, curare, perché la felicità, talvolta, non è altro che una maschera di ferro fusa sulla carne.
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«Sai cosa significa il mio nome?»
«Conoscendo tuo padre, penso non sia qualcosa come "fiore di campo", vero?»
«Sai bene che non ha mai avuto tutto questo riguardo nei miei confronti. Priscilla... è un nome così freddo».
«Qual è il suo significato?»
«Prova a pensare a qual è il mio significato»
«Che ne dici se invece io ti chiamassi Pricchan?»
Una risata candida e timida, gli occhi adornati di una dolce malinconia, imbrattata di un amore che neppure il tormento di quegli anni era stato in grado di sradicare.
«Sembra il verso di un animaletto».
~ Priscilla deriva dal latino Priscus il cui significato è: "antico" ~
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luxus Dreher, Mistgun, Nuovo personaggio, Wendy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incest
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Cos’è una Pricchan?




La carrozza si fermò proprio di fronte ai cancelli di Fairy Tail. Fried aprì la portiera e uscì per primo, seguito dai Raijinshuu, un'allegra Priscilla e infine Laxus. Pagarono il cocchiere, che se ne andò pochi istanti dopo, e infine rientrarono alla gilda. Priscilla corse davanti a tutti e fu la prima a spalancare le porte, urlando un allegro: «Siamo a casa! Mira-san, ti è rimasta un po' di torta?» chiese repentina alla ragazza che le stava passando davanti con un vassoio. 
«Bentornati» sorrise Mirajane, aprendo la strada alla ragazza fino al bancone. 
«Com'è andata la vostra missione?» chiese servendo alla ragazza una fetta di torta alle fragole. 
«Alla grande!» esclamò Priscilla, sedendosi sullo sgabello per mangiare. «Nessun intoppo, ovviamente. In fondo stiamo parlando di Laxus e i Raijinshuu» ridacchiò orgogliosa. «A proposito! Dov'è il nonno? Devo parlargli».
«È successo qualcosa?» chiese Mirajane, curiosa.
«Beh...» mormorò lei, timida e un po' intimorita. «In realtà sì... ma vorrei prima parlarne con lui».
«Capisco» sorrise Mirajane comprensiva. «È fuori per alcune faccende burocratiche, ma dovrebbe tornare nel pomeriggio».
«Ho capito» sorrise Priscilla. «Allora lo aspetterò».
«Priscilla-nee!» una timida e squillante voce al suo fianco la fece voltare. «Sei tornata anche tu!»
«Wendy-chan!» esclamò Priscilla, felice di vederla. «Com'è andata la tua missione?»
«È successa una cosa incredibile! Abbiamo conosciuto Warrolt-sama, uno dei fondatori di Fairy Tail. E abbiamo scoperto di un villaggio di giganti! Era tutto congelato e noi dovevamo trovare il modo di liberarli» Wendy saltò sullo sgabello di fianco al suo e cominciò a raccontarle con emozione e incredulità l'avventura che avevano vissuto e da cui avevano fatto ritorno solo quella mattina. Priscilla silenziosa l'ascoltò per tutto il tempo, giocherellando con la propria fragola nel piatto, assorta e pensierosa. I Raijinshuu si sparpagliarono, avvicinandosi a chi volevano salutare, bevendo e mangiando per festeggiare il loro ritorno e furono un po' meno vaghi e misteriosi sulla scoperta della gilda Olympos. Mantennero la voce bassa, pensando che per Priscilla sarebbe stato bene trovare il proprio modo di raccontare la faccenda, ma misero già alcuni dei loro compagni al corrente di quella incredibile scoperta. Laxus invece, fin da quando avevano messo piede nella carrozza per tornare a casa, non aveva ancora aperto bocca nemmeno per fiatare. Più cupo del solito, silenzioso e assorto, non aveva nemmeno avuto voce per salutare. Si era seduto non troppo lontano, a bere, e sottecchi continuava a fissare Priscilla con uno strano sguardo assorto. Probabilmente ancora preoccupato per lei, visto quello che era successo, o forse altrettanto turbato all'idea che al mondo esistessero altre persone che condividevano con lei la stessa natura. Era ovvio che tutta quella faccenda lo turbasse enormemente, non aveva fatto che restarsene corrucciato fin dall'incontro con Ares nella foresta e, anche se aveva provato durante la cena ad allentarsi un po', l'umore rabbuiato continuava a permanere nel suo petto. 
«Sembra stare molto meglio» disse Evergreen, sedendosi dopo un po' vicino all'uomo e guardando a sua volta Priscilla che ascoltava il racconto di Wendy.
«Già» mormorò lui, senza distogliere gli occhi dalla ragazza che ancora giocherellava con la fragola nel piatto. «Perché non la mangia?» mormorò, fissando il frutto ormai ricoperto di panna residua della torta che ancora rotolava qua e là spinta dalla sua forchetta. Non era da lei temporeggiare sul cibo, senza divorarlo.
«Eh?» mormorò Evergreen, non capendo invece di cosa stesse parlando.
Una strana sensazione, una fastidiosa e irritante percezione proprio all'interno del suo cuore. Da ore non faceva che punzecchiarlo, ma non ne comprendeva il significato. Non c'era niente di strano, tutto era normale, il viaggio era stato tranquillo e il rientro sereno. Ma forse proprio per quello era così turbato... era tutto anche troppo normale. E un fastidioso mal di testa non faceva che rimbombargli nelle orecchie. 
«Niente» sbuffò alla fine, alzandosi. «Sono solo un po' nervoso, probabilmente è perché non ho dormito molto bene questa notte. Vado a casa a riposare» disse e si allontanò rapidamente, senza dar tempo a Evergreen di replicare o indagare su cosa avesse. Lo sguardo di Priscilla, dal bancone, si spostò momentaneamente su di lui e lo vide uscire dalla gilda. Solo un attimo, per poi tornare subito a guardare e ascoltare ciò che Wendy aveva da raccontarle. Allegra come sempre, per niente diversa dal solito, se non per quella fragola con cui continuava a giocare piuttosto che mangiarla. 


Era tornato a casa, si era steso sul proprio letto e si era messo le cuffie alle orecchie lasciando che fosse solo la musica a farsi sentire. Occhi fissi al soffitto, cercava tutti i modi per riuscire a domare quella sensazione che nel petto diventava sempre più pesante e irritante. Tante cose gli vennero in mente, ricordi, parole, suoni e odori... i suoi. Olympos poteva voler significare tanto, anche se ammetterlo per lei non era semplice, lui non poteva dimenticare.
"Volevo tanto essere come voi... essere come te" la sua supplica in un pianto. 
"Mi insegnasti a essere un'umana" certi desideri, certe parole, non erano superate, lo sapeva bene. Il suo desiderio di appartenere a qualcosa, di avere un posto in cui stare, il desiderio di non essere ciò che era solo per poter avere qualcuno da chiamare famiglia. 
"Guardami... sono un mostro" i singhiozzi quando di fronte a Natsu, nella cattedrale di Caldia, aveva ammesso la sua natura che odiava e ripugnava. Col tempo aveva fatto pace con se stessa, si era accettata, ma solo di fronte alla convinzione che non fosse diversa da loro. Invece lo era, Olympos glielo aveva sbandierato di fronte al volto, loro erano diversi e lei poteva non essere più sola. Eppure non aveva fatto che sorridere per tutto il tempo, da quando era tornata dalla passeggiata con Ares e i gemelli nella foresta. Non aveva fatto... che evitare il suo sguardo. Era come se avesse tirato su un muro, si fosse corazzata, avesse fatto un passo indietro. La sua mano, poggiata sulla sua testa mentre cercava di aiutare la sua chinetosi, era sembrata così fredda e immobile. Il tocco che gli aveva destinato era sembrato così diverso. Il suo sorriso, il suo sguardo, il rossore delle sue guance, nei suoi ricordi ce n'erano a bizzeffe e nemmeno troppo lontani. La delicatezza del suo tocco contro il proprio collo la sera che a Crocus avevano ballato sul balcone del palazzo, il sorriso con cui gli aveva dato il pacchetto con le proprie cuffie in regalo, l'armonia della sua voce quando chiamava il suo nome, il suo odore...
...
il suo odore...
«Laxus» la sua voce rotta dal pianto rimbombò nella propria testa, scuotendolo tanto da costringerlo a riaprire gli occhi e scoprire solo in quel momento che si era addormentato. E in un sonno privo di sogni, immerso nel buio che aveva susseguito quegli ultimi pensieri, aveva chiaramente sentito nella sua testa la voce disperata di Priscilla che lo chiamava. Il cuore in petto pulsava furiosamente, come se avesse appena affrontato un incubo, di cui però non aveva ricordi. La fronte sudata, le mani tremanti, fece solo qualche profondo respiro per cercare di calmarsi. Spostò lo sguardo fuori dalla finestra, attirato dal rumore della pioggia che ora cadeva da un cielo nero come la pece. Non sapeva quanto aveva dormito, che ore erano, ma certamente era passato molto tempo visto che il cielo aveva avuto tempo di annerirsi di nuvole. E ripercorrendo rapidamente tutti i pensieri che l'avevano accompagnato prima e durante il sonno, trovò subito ciò di cui aveva bisogno.
Il suo odore.
Come aveva fatto a non notarlo prima? Turbato dai suoi pensieri e sensazioni, egoisticamente incentrato su di sé aveva probabilmente attribuito istintivamente quel cambiamento alla sua passeggiata tra alberi e fiori. Non gli aveva dato importanza, ed era stato uno sciocco perché tutta quella superficialità ed egocentrismo l'avevano accecato e non gli avevano dato modo di capire da subito che quello non era l'odore di Priscilla. Si alzò rapidamente dal letto, strappandosi via le cuffie dalle orecchie, e corse fuori dal suo appartamento lanciandosi a perdifiato lungo la strada, sotto una scrosciante pioggia che non lo risparmiarono dall'inzupparsi dopo solo tre passi. Corse  verso la gilda che, rincuorato, trovò ancora al suo posto, senza percepire niente di strano. Le voci dei suoi compagni venivano dall'interno, rumorose e allegre come sempre, e questo gli suggerì che era arrivato in tempo. Entrò, sotto lo sguardo sorpreso di chi venne attirato dalla furia con cui spalancò la porta, e si guardò rapidamente attorno. La vide: Priscilla era ancora ferma al bancone, che parlava con suo nonno, entrambi con un boccale tra le mani. Si corrucciò, ricordandosi della prima domanda che lei aveva fatto entrando alla gilda: cercava il master. Non sapeva il motivo, ma non gli importava. Si corrucciò, sapendo del pericolo che stava correndo non solo lui ma anche il resto dei suoi compagni e agì rapidamente, seguendo solo il suo istinto. Mescolandosi a uno dei suoi fulmini, scattò alle sue spalle prima che lei potesse sentirlo, e l'afferrò. La spinse con tale violenza in avanti che sfondarono il bancone e si schiantarono entrambi al muro, pochi passi da Mirajane che indietreggiò spaventata. 
«Laxus!» esclamò Macao, alzandosi in piedi.
«Che ti prende?» gli diede corda Wakaba, alzandosi di fianco al suo amico con altrettanto vigore, pronto a intervenire in difesa della ragazza che ora restava premuta contro il muro, tenuta per la gola. 
«Ohy...» ringhiò Gray, altrettanto turbato da quella scena ma Fried, al suo fianco, allungò una mano e gliela mise davanti al petto, per fermarlo. Il volto serio, per niente spaventato come gli altri, come se sapesse benissimo cosa stava accadendo.
«Avevamo ragione allora a preoccuparci» disse Fried.
«Abbiamo fatto bene a restare qui per tenerla d'occhio» si accodò Evergreen.
«Tenerla d'occhio?» mormorò Lucy, confusa.
«Quei tipi non mi sono piaciuti fin dal primo momento in cui li abbiamo incrociati» disse Bickslow, altrettanto serio e torvo e Fried annuì, concordando con lui.
«Di che parlate?» balbettò Lucy, non capendo e tornando a guardare Laxus che teneva ben ferma per la gola una Priscilla che si dimenava e lo guardava terrorizzata. 
«Dov'è lei?» ringhiò Laxus a voce bassa e roca. Priscilla afferrò con entrambe le mani il polso di Laxus, cercando invano di allentare la sua presa, e continuò a guardarlo a lungo con terrore. «Laxus...» provò a mormorare, ma non vide in lui nemmeno un accenno di tentennamento. Guardò i suoi occhi a lungo, scavando in essi, esaminandoli fino in fondo, e trovò infine l'inutilità della sua insistenza. L’uomo aveva capito e nessun giochetto lo avrebbe ingannato ancora. 
Sogghignò. 
«Abbiamo sopravvalutato la vostro stupidità, umani» disse con una voce che chiaramente non era la sua. «Credevo non l'avreste capito nemmeno nell'istante in cui ponevamo fine alle vostre vite».
«C'erano degli spiriti nella nostra stanza ieri notte che ci osservavano, ci stavate tenendo d'occhio, era ovvio che nascondavate qualcosa» disse Bickslow.
«Il sesto senso femminile non sbaglia mai, avevate una strana aura» incrociò le braccia al petto Evergreen. 
«Sapevate che eravamo a Borwatt, ci stavate palesemente seguendo eppure avete aspettato che fossimo ben lontani prima di intervenire. Oltretutto vi siete comportati come se foste sorpresi di vederci lì, quando voi stessi avete detto che ci tenevate d'occhio. C'era qualcosa di strano in quella faccenda fin dall'inizio» disse Fried.
«Perciò non vi fidavate di noi, capisco» sogghignò Priscilla. «Dev'essere stato questo l'errore di Athena. Ma avete comunque perso» ridacchiò.
«Perso?» mormorò Fried, corrucciandosi.
«Non siete riusciti a smascherarmi prima, quando avreste potuto fermarmi» insisté lei.
«Che significa?» mormorò Fried. 
«Sono a dire il vero comunque sorpresa che siate riusciti a scoprirmi, anche se dopo così tanto. Avevo mascherato persino la mia anima» ridacchiò ancora lei e Laxus le disse: «L'olfatto di un Dragon Slayer è superiore a quello degli altri. Era una sfumatura minuscola, tant'è che nemmeno Wendy ci ha fatto caso, ma comunque non eri perfetta».
«Non ha importanza» sogghignò la falsa Priscilla, assumendo un'espressione inquietante.
«Dove l'avete nascosta?» chiese Laxus, sempre più furioso ma la falsa Priscilla, per niente intimorita, rispose repentina: «È troppo tardi, ormai».
«Master!» gridò Mirajane in quel momento e Laxus si voltò appena in tempo per vedere suo nonno crollare in avanti, verso il pavimento. 
«Sono qui» sussurrò la falsa Priscilla e in un istante l'intera gilda venne riempita da una fitta e lugubre nebbia, tanto spessa che nessuno di loro fu più in grado di vedere oltre il proprio naso. Si guardavano attorno, confusi, cercandosi, senza riuscire a trovarsi. Laxus tornò a guardare di fronte a sé: anche se non poteva vederla, la sentiva, era ancora tra le sue mani, e si preparò a minacciarla, farle del male se necessario. Un pugno improvviso sbucò dalla nebbia e lo colpì in pieno sul fianco con una tale potenza da togliergli il fiato. La mano cedette e poté sentire il collo della ragazza che aveva tra le dita scivolare via, scappare, approfittando del suo cedimento. Cadde in ginocchio a terra, tremante, ma strinse i denti e cercò di riprendersi il prima possibile. Un altro colpo arrivò però dall'alto, prima che riuscisse a tornare anche a respirare e lo stese definitivamente a terra con tale forza da spaccare le assi del pavimento. Sentì la voce del suo assalitore, grossa e sadica, divertita di quel massacro: la voce di Ares che rideva soffusamente, nascosto dalla nebbia. Dietro di lui altre voci arrivarono alle sue orecchie e riuscì a riconoscerle tutte, mischiate a quelle della propria gilda che urlava per i colpi inaspettati che arrivavano a ciascuno di loro. Poté sentire le voci di tutti i membri di Olympos. 
Un piede arrivò sulla sua testa e lo schiacciò ancora a terra con una forza bruta e sovrumana, mentre il ghigno di Ares restava impermeabile nell'aria e rideva a ogni colpo. 
«Figlio... di...» mormorò Laxus, tremante e dolorante. 
«Ma che succede?!» ruggì Natsu, esasperato, cominciando a sputare fuoco in giro senza una logica. La voce dei suoi compagni arrivò poco dopo, che lo brontolavano e lo rimproveravano perché nella furia colpiva anche loro. Teso e altrettanto furioso, Laxus lasciò andare tutta la sua rabbia e anche se non riusciva a muoversi da terra, continuamente colpito, poté almeno utilizzare la propria magia. Si caricò di elettricità che sparò in ogni direzione intorno a sé, sapendo che ovunque Ares fosse l'avrebbe comunque colpito, ma alle sue orecchie non arrivò nessun segnale che gli dimostrassero la riuscita del suo attacco. 
«Che credevi di fare, eh, biondino?!» ruggì Ares improvvisamente e un altro calcio arrivò al suo fianco. Il fiato ancora gli mancò, probabilmente addirittura una delle sue costole venne incrinata, e nell'impatto venne lanciato via, contro un tavolo e un paio dei suoi compagni di gilda.
«L-Laxus?!» sussultò Droy, guardando il ragazzo apparentemente privo di sensi sopra di lui.
«Hanno sconfitto Laxus?!» urlò Jet, pallido in volto.
«Che succede?! Chi sono queste persone?!» gridò Lisanna, prima di urlare per un altro colpo ricevuto da chissà dove.
«Ora mi sono stancato!» ringhiò Elfman. «Take Over: Beast Souls!»
«Wendy!» disse Charle e la ragazzina rispose repentina: «Sì!»
«Vi aiuto anche io!» disse Lucy e chiamò pochi istante dopo Scorpio.
«Solid Script: Air!» si unì anche Levy e tutti insieme, ognuno con la propria magia, generarono delle correnti d'aria tali da riuscire a dissipare finalmente la terribile nebbia che impediva loro di guardarsi attorno. 
Jet e Droy urlarono terrorizzati quando, potendo finalmente vedere, videro l'enorme stazza di Ares fermarsi proprio di fronte a loro. L'uomo si chinò, scrutando entrambi con i suoi macabri occhi rossi, e afferrò Laxus per la camicia sollevandolo da terra. 
Bickslow stava in quel momento terminando un attacco, tirando un pugno in avanti dove aveva visto l'anima di una persona e sapeva era suo nemico, ma si bloccò improvvisamente quando invece si trovò davanti Evergreen. 
«Ever!» esclamò, evitandola e preoccupandosi che per colpa di quella nebbia per poco non aveva colpito un'amica. Evergreen sgranò gli occhi, sorpresa e spaventata da quello scontro evitato per un soffio, ma quando lui fu ormai vicino e distratto sogghignò. Roteando su se stessa colpì Bickslow in faccia con un calcio e lo stese a terra. Solo mentre cadeva, Bickslow notò una seconda Evergreen -quella vera probabilmente- più lontano rispetto a loro due e capì di essere stato ingannato da una copia. 
A terra, vicino al bancone, Eirene era seduta. Tra le braccia teneva il corpo di Makarov, come fosse un bambino, e stesi intorno a lei c’erano anche Mirajane e altri due membri della gilda. Non erano feriti, probabilmente non erano stati colpiti se non da qualche incantesimo. Non si muovevano, ma avevano gli occhi vitrei, spalancati, e respiravano pigramente come fossero addormentati. 
Natsu, al lato opposto della gilda, aveva appena tirato un pugno laddove aveva sentito la presenza di un estraneo ma questo non ebbe l'effetto sperato. Il pugno penetrò in un corpo ardente e liquefatto, un corpo di lava pura dalle temperature tanto esponenti che il legno intorno a loro era nerastro e bruciato. In tutta la gilda volavano decine di inquietanti spettri, lamentosi, mentre sul terreno si stendeva pian piano del fango da cui erano già usciti, e continuavano a uscire, mostri umanoidi costituiti di quello stesso materiale. 
Dioniso era in piedi su un tavolo, brandendo la sua chitarra, si divertita a tirare calci alla faccia di Gajeel messo fuori gioco da una nausea stordente più di qualsiasi attacco di chinetosi che gli fosse preso prima di allora. Hermes correva per tutta la gilda a una velocità tale da essere quasi invisibile e tirava pugni a destra e a manca, scappando prima che il colpito avesse potuto reagire. 
Dalla finestra un esercito di formiche continuava a entrare e avevano già colpito e assediato Levy, Cana e Erza, disperate nel dimenarsi per togliersele di dosso inutilmente. Vicino all'ingresso infine, Eunomia, Ebe e Nemesi restavano momentaneamente da parte insieme a un Apollo che entusiasta gridava: «Morite, umani!»
Dike prese forma dalla nebbia residua proprio accanto a loro e guardò la gilda che aveva di fronte.
«Ohy... ma chi diamine siete?!» ruggì Gray, facendo un passo in avanti. Eunomia mosse una mano nella sua direzione e apatica disse, in un ordine: «Siedi».
Una scritta luminosa comparve sulla fronte di Gray e un istante dopo una forza misteriosa lo costrinse a sedersi a terra, lasciandolo per un po' lì immobile non tanto per la forza della magia quanto per l'incredulità di quanto appena successo. 
«Ascoltatemi, umani» parlò Nemesi, facendo qualche passo all'interno della gilda. «Siete condannati a morte con l'accusa di essere deboli e inutili. Servirete la gilda Olympos, verrete sterminati per l'ultima finalità di evocare il grande Zeref e così compiere il nostro destino. Oggi morirete per un bene superiore e noi, dei immortali, porremo fine alle vostri insulse vite. Questa è la vostra sentenza».
«Zeref?» mormorò Lucy, terrorizzata nel sentire di nuovo quel nome.
«Perciò era questo il vostro obiettivo fin dall'inizio» ringhiò Fried. 
«Dove... avete messo... Priscilla?» digrignò i denti Laxus e afferrando la mano di Ares, che ancora lo teneva sollevato, riuscì ad aprire un occhio e guardarlo.
«Oh, allora sei ancora vivo» sogghignò lui. «Meno male, temevo di aver esagerato. Così mi sarei perso tutto il divertimento».
«Che l'esecuzione abbia inizio» decretò Nemesi e a quell'ordine il caos scoppiò all'interno della gilda. I fantasmi di Persefone si lanciarono contro i primi, trapassandoli si aggrapparono alle loro anime e la tiravano via, come se avessero voluto strappargliele. Coloro che ne venivano colpiti soffrirono come se fossero state portate via dal loro corpo interiora stesse, ma riuscirono disperatamente a resistere nonostante i solleciti di Persefone. Bickslow intervenì appena in tempo. Si tolse l'elmo, riuscì a prendere possesso di un paio di loro con il potere celato nei propri occhi e li usò per attaccare le altre e proteggere così i suoi compagni di gilda. Dioniso ancora in piedi sul tavolo colpì tutti quelli che aveva attorno con la magia sull'equilibrio e la dissociazione corpo-mente, la stessa magia che aveva immobilizzato Priscilla nel bosco e che sembrava funzionare particolarmente su Wendy e Gajeel. Natsu, sputando fuoco dalla frustrazione, cominciò a colpire Efesto sempre più rabbioso ma il suo corpo di lava non ne risentiva minimamente. Iniziò così tra i due un furioso corpo a corpo che pian piano incenerì gran parte della gilda stessa. Dike si tramutò nuovamente in nebbia e restò bassa, all'altezza delle caviglie, emergendo solo di tanto in tanto per colpire ora uno e ora l'altro. Ilizia creò dei soldati di fango che si lanciarono all'attacco contro il resto della gilda, Artemide chiamò a raccolta altri insetti che diedero loro grandi difficoltà, Apollo lanciava frecce avvelenate che quando centravano il bersaglio portava loro dolori e malesseri tali da renderli inoffensivi. Nemesi si lanciò a suo volta nel combattimento e si ritrovò faccia a faccia con Cana, ma la prima la bloccò puntandole semplicemente un dito contro. 
«Leggo nel tuo passato» disse. «Sei colpevole di aver abbandonato una tua compagna al pericolo su un'isola durante un combattimento, per perseguire il personale scopo di vincere una sfida» in poco tempo era riuscita a leggere nel suo cuore, scavare le sue colpe e trovare la più grande: la volta che aveva abbandonato Lucy, durante l'attacco di Grimoire Hearts a Tenroujima. «Colpevole! La tua pena sarà il tuo braccio destro!» e fece un semplice gesto della mano. Il braccio destro di Cana le trasmise un dolore lancinante, come se fosse esploso, e lei se lo afferrò, urlando, mentre questo violaceo e ricoperto di lividi e contusioni diventava inutilizzabile. 
«Che razza... di magia...» sibilò, troppo dolorante persino per parlare.
«Magia del giudizio. Scovo nei vostri cuori le vostre colpe più vili e infliggo su di voi la giusta punizione. E nessun uomo è senza colpa» sogghignò, prima di tornare a parlare con voce solenne: «Colpevole di ubriachezza e atti osceni in luogo pubblico! Pena: Alluce destro!» e il suo alluce subì la stessa terribile sorte del braccio, implodendo, disintegrandosi dall'interno. Viola e livido, rotto probabilmente, la portò nuovamente a urlare di dolore e strazio. 
«Cana!» urlò Lucy e corse in soccorso della sua amica, lanciando contro Nemesi uno dei suoi spiriti stellari. Nemesi saltò via e schivò il colpo, prima di puntare gli occhi su Lucy ed esclamare: «Leggo il tuo passato! Sei colpevole di abbandono verso il proprio genitore! Pena: il fianco destro!» e anche Lucy cadde a terra, tenendosi il fianco ora nero e livido ma non si arrese e chiamò a raccolta un secondo Spirito Stellare. Tauros si unì a Virgo e insieme provarono a colpire Nemesi, che saltando e schivando abilmente, diede ai due la stessa sorte.
«Colpevole di molestie sessuali! Colpevole di masochismo!» e anche a loro inflisse le proprie severe pene. 
Gray, poco lontano, provò a tornare all'assalto di Eunomia assistito di Lluvia ma anche loro ebbero le loro difficoltà con la maga dell'ordine e della legge. Imprimeva su ciascuno di loro un ordine, semplice e conciso, a cui però non riuscivano a sottrarsi e questo li portò persino a tirarsi un paio di colpi tra loro.
Jet tentò di rendersi utile partendo all'inseguimento di Hermes, che ancora correva, colpiva e scappava. Anche se non era particolarmente forte, la sua velocità gli permetteva di mettere in difficoltà i membri della gilda facendo loro perdere la stabilità o distraendoli appena in tempo per dar modo ai suoi compagni di colpirli. Ebe lottava con una lancia, con agilità e abilità incredibile, ma la sua temibile magia trasformò Kinana, Laki e Lisanna in poppanti e impedì loro di continuare a combattere. Si lanciò su tutte e tre, per dar loro il colpo di grazia, ma Elfman, Macao e Wakaba intervennero per difenderle. Macao e Wakaba vennero improvvisamente trasformati in vecchi, ma questo non impedì loro di usare comunque la propria magia e riuscire a difendere le ragazze. Su Elfman invece la magia di Ebe non funzionò, probabilmente perché il Take Over sulle bestie in qualche modo lo proteggeva. Afrodite, benché avesse una magia abbastanza inutile al combattimento, riuscì lo stesso a tenere testa a Evergreen con il corpo a corpo e anche se veniva colpita e ferita in pochi istanti si rimarginava. Anche se Fairy Tail si trovò comunque in svantaggio, in un primo momento, qualche colpo riuscirono a tirarlo ma tutti poterono presto notare come questo fosse inutile. Le ferite dei loro nemici si rimarginavano in pochi secondi, con la stessa luce bluastra che ben conoscevano grazie a Priscilla. 
«Ma che hanno questi tizi?» lamentò Droy, guardando terrorizzato Ebe rimettere a posto il proprio collo dopo un brutto colpo. 
«Sono come Priscilla!» urlò Fried, impegnato a lottare contro le copie di fango di Ilizia. «Sono stati creati con la magia, possono rigenerarsi!»
«Cosa?!» urlò Levy, spaventata.
«Ma allora sconfiggerli è impossibile!» piagnucolò Jet, fermandosi per riprendere fiato mentre Hermes ancora correva in giro senza sosta e con molta più energia e velocità sua. 
«Un attimo...» si fermò Gray un istante. «Ma se quella non era la vera Priscilla... lei dov'è?»
Non terminò nemmeno la domanda, i fulmini di Laxus esplosero all'interno della gilda, sfondando il tetto e gran parte del muro. Lui e Ares avevano cominciato a combattere non appena Laxus aveva riaperto gli occhi, pugno contro pugno, forza contro forza, e più erano andati avanti più il loro potere aveva fatto tremare il pavimento. Laxus, tenendo ben fermo Ares per il collo, lo trascinò con sé dentro uno dei suoi fulmini fin fuori dalla gilda, sfondando il muro. Atterrò al suolo e lo trascinò su di esso per decine di metri, prima di saltare via, finito lo slancio. Ansimando per la fatica, si pulì il sangue dalla bocca e guardò furioso Ares che ancora una volta si rialzava sghignazzante. Nonostante la sua forza fosse estrema e certamente al di fuori della portata di un umano, amplificata dalla sua magia, non era comunque riuscito a uscire del tutto indenne dalla furia del mago più forte di Fairy Tail. Graffi e ferite su tutto il corpo erano intente a rimarginarsi, ma comunque erano state procurate.
«Niente male» ridacchiò Ares, rialzandosi. «Era quello che speravo».
«Ti piace farti prendere a calci? Posso andare avanti tutto il giorno, se ci tieni» ringhiò Laxus, caricando uno dei suoi pugni con l'elettricità e Ares scoppiò a ridere prima di urlare: «Dio, quanto mi stai sul cazzo!»
«Mi sembravi più furbo e intelligente quando fingevi di essere buono» disse Laxus e ancora caricò contro di lui con tutta la rabbia che aveva in corpo. Pugno contro pugno, l'aria stessa vibrò per l'incredibile potenza che i due uomini si riversavano addosso. L'elettricità di Laxus si diffondeva sul corpo di Ares, portandolo comunque a irrigidirsi e risentirne, ma la forza fisica di Ares era superiore alla sua e anche Laxus ne risentiva a ogni colpo. Ciò nonostante nessuno dei due sembrava intenzionato a mollare.
«Dimmi dove l'avete nascosta!» urlò ancora Laxus, prima di lanciare su di lui uno dei suoi attacchi migliori: la morsa del drago del fulmine. 
«Neanche vi siete accorti che era un falso e ora pretendete di averla per voi? Ipocriti!» urlò Ares, rialzandosi e colpendo l'uomo al mento. 
«Non vi permetterò di farle del male!» urlò Laxus, roteando a mezz'aria e fermando la sua caduta con mani e piedi contro il terreno. Aprì la bocca e lanciò il ruggito del drago contro il suo avversario, che riuscì con un salto a schivare il colpo. 
«Farle del male?» scoppiò a ridere Ares. «Siamo la sua famiglia, non preoccuparti, ci prenderemo cura di lei».
«La sua famiglia?»  Laxus tremò per la rabbia. «Siamo noi la sua famiglia» digrignò i denti. «Sono io la sua famiglia!»
«Tu?!» ruggì Ares, atterrando su di lui con un piede e approfittando dello slancio per dargli un calcio. Laxus riuscì a proteggersi con un braccio ma ancora una volta il colpo fu carico di una potenza tale che il terreno ai suoi piedi si incrinò.
«Tu non hai fatto altro che farla soffrire per tutta la vita! E ancora non riesci ad accettarlo...» urlò tornando a tirare pugni contro di lui. «Non riesci ad accettare che sia diversa! Distogli lo sguardo dalle sue ferite, non è forse così?»
E quella verità fece più male di quei colpi da cui si stava difendendo con rabbia e tenacia. Era vero, riuscire ad accettare che per tutta la vita aveva vissuto una menzogna, che aveva vissuto accanto a qualcuno che non conosceva appieno, ancora non era facile. Ma non per lei, per se stesso. Sapere che per anni non era mai stato in grado di accorgersi, di ricordare, chi e cosa fosse realmente... che razza di fratello era? Che razza di uomo pretendeva di essere? Odiava le sue ferite, ne distoglieva lo sguardo, perché continuavano a ricordargli quanto vile e bastardo, quanto cieco ed egoista, era stato in passato. 
«Non pensi forse che sarebbe stato molto meglio se fosse stata umana? Se fosse stata come voi?» urlò Ares, caricando l'ennesimo pugno, ma con sua estrema sorpresa quello di Laxus arrivò prima del previsto. Lo colpì dritto in faccia, sfondando con rapidità la sua guardia, ma fu soprattutto il suo sguardo a ferire di più il suo orgoglio, ad animare quel misero sentimento della paura e della sconfitta. Quell'uomo... quel misero, debole e sciocco umano era in grado di tenergli testa e forse poteva addirittura sconfiggerlo. Lui, l'immortale dalla forza sovrumana… poteva davvero essere schiacciato da un essere umano?
«Come osi dire una cosa del genere?» ringhiò Laxus dando a quel pugno la forza necessaria ad atterrare il suo avversario. Dietro di lui le pareti della gilda tremarono e infine il muro stesso venne sfondato da un soffio di fuoco inarrestabile. I membri di Olympos volarono allesterno, chi più o meno bruciato, mentre la voce di Natsu si faceva sentire nel suo furioso: «Ridateci indietro Priscilla!»
Dalle fiamme di Natsu, chi più o meno ferito, almeno metà dei membri di Fairy Tail uscirono e raggiunsero i loro avversari ora stesi nel cortile. Sul volto avevano lo sguardo furioso di chi non si sarebbe arreso nemmeno alla morte e non gliene importava niente se ancora una volta le ferite dei loro nemici erano tornate a rimarginarsi. Avrebbero lottato ancora e ancora, fino a che non si sarebbero stancati persino di rialzarsi. 
«Avete rapito una nostra compagna» Erza strinse i pugni. «E avvelenato il nostro Master. Vi faremo pentire di essere immortali, pregherete affinché la morte possa portarvi via da tutto questo».
«Avete scelto gli avversari sbagliati» gli diede corda Gray, schioccandosi le dita delle mani. Ares, di fronte a Laxus, tornò nuovamente ad alzarsi anche se ansimante e ricoperto di ferite. Sogghignò ancora, pulendosi del sangue dal naso con una strusciata di polso. «Adesso comincio veramente a divertirmi» confessò, puntando nuovamente gli occhi a Laxus.
«Ares» l'improvvisa voce imperativa di Athena lo sorprese e lo costrinse a voltarsi, cercando la donna. Di fianco a lei camminava, ora dritto e senza nessun problema apparente, anche Zeus dimostrando così che anche la faccenda del vecchio in fin di vita era tutta una finta. Dietro di loro Eris camminava con le mani nelle tasche e infine, ancora dietro, Priscilla avanzava a testa bassa e gli occhi coperti dall'ombra dei propri capelli. 
«Pricchan!» chiamò Laxus, sorpreso e felice di vederla tutta intera.
«Priscilla... stai bene?» chiese anche Erza avanzando di un passo.
«Ares...» chiamò ancora Athena. «Adesso basta. Hanno detto che rivogliono la loro compagna». 
Ares sputò a terra, contrariato, ma si alzò e lentamente si allontanò da Laxus.
«Che scocciatura» mormorò infastidito, mentre Eris e Zeus si facevano da parte per permettere alla ragazza alle loro spalle di passare. Priscilla alzò la testa e si guardò attorno come se avesse aperto gli occhi solo in quell'istante, sorpresa e anche un po' spaventata. 
«Dove... come...?» mormorò confusa.
«Ti abbiamo riportata a Fairy Tail, Priscilla» disse Zeus, permettendo alla ragazza di avanzare.
«Priscilla-nee!» chiamò Wendy, correndo rapidamente verso di lei. 
«Cosa le avete fatto, si può sapere?» ruggì Gray furioso, mentre anche Lucy e Cana correvano verso la ragazza insieme a Wendy. 
«A... Fairy... Tail?» mormorò ancora Priscilla, camminando lenta verso le tre che le correvano incontro. «Ah già» disse infine con una nuova e strana luce negli occhi. 
«Aspettate! Lucy!» gridò Erza, ma non fece in tempo. Un'enorme folata di vento colpì tutte e tre le ragazze di Fairy Tail e le scaraventò via, spingendole a terra. 
«Ma che...?» chiese Evergreen, ma non fece in tempo a terminare la frase che l'aria intorno a loro iniziò a rombare furiosa con tale forza che costrinse tutti ad aggrapparsi a qualcosa e proteggersi il viso da ciò che veniva sollevato da terra e lanciato loro contro. 
«Fairy Tail...» mormorò ancora Priscilla, mentre il suo viso si scuriva sempre più. Gli occhi accecati di una strana follia e la rabbia manifestata in quel tornado che ora avvolgeva sia lei che la gilda. «La mia vecchia casa» disse con una voce quasi spettrale. «La casa che non mi ha voluta. La casa che mi ha abbandonata e sempre disprezzata per quel che sono».
«Ma che dice? Noi non l'abbiamo mai disprezzata!» disse Lucy, aggrappata a Natsu per evitare di essere trascinata via.
«Priscilla-nee, torna in te, ti prego! Siamo la tua famiglia!» urlò Wendy, inutilmente.
«Me la pagherete, me la pagherete cara!» ruggì lei, aumentando l'intensità del proprio vento. Sentì, nonostante tutto, dei passi al suo fianco e si voltò appena in tempo per veder arrivare Laxus verso di lei. Correva, combattendo contro la forza del suo vento, e la stava per raggiungere. Allungò un braccio verso di lui e gli sparò contro bolle di aria compressa che non solo lo colpirono violentemente, ma lo allontanarono nuovamente. «Io volevo solo essere come voi» digrignò i denti. «Ma non mi avete mai accettata. Non mi mettevate mai al vostro stesso piano!» insisté sempre più furiosa e accecata dall'ira. L'urlo di Natsu arrivò di fronte a lei e vide anche il secondo Dragon Slayer correrle incontro, con un pugno infuocato. «Torna in te!» ruggì, preparandosi a colpirla, ma il vento gli soffiò contro e spense il suo fuoco. Si piegò, schivando il colpo, e dandosi slancio con un piccolo tornado colpì Natsu con un pugno in pancia. Lo sbalzò via, facendolo rotolare per terra, e Efesto corse nuovamente verso di lui. Un calcio, un pugno e tornò ad assorbire completamente la sua attenzione. 
«La fermo io!» annunciò Gray preparandosi a congelare il terreno, ma uno spirito di Persefone sbucò da sotto ai suoi piedi e lo colpì, tramortendolo. Bickslow intervenì nuovamente, l'unico che avesse qualche speranza di vincere contro degli spiriti, e di nuovo anche Dike, Nemesi e tutti gli altri tornarono in piedi, pronti a combattere. 
«È stata Eris, Laxus!» gridò Fried, prima di tornare a impegnarsi nella battaglia.  «Può manipolare le emozioni! Ha usato le paure di Priscilla» disse.
Erza, non appena sentì nominare la ragazza e capì che la colpa era sua, si lanciò verso di lei iniziando a schivare gli attacchi degli altri membri di Olympos. Eris sghignazzò, imbracciò la propria gigantesca spada e corse incontro al nemico temeraria e per niente intimorita. La spada di Erza e quella di Eris si scontrarono provocando scintille nell'aria, ma nessuna delle due ebbe la meglio in quel primo colpo e fecero un salto indietro prima di tornare a lottare. Spada contro spada, ad armi pari, le capacità spadaccine di Eris erano veramente incredibili e questo diede ad Erza qualche difficoltà.
«Perciò sei tu la causa?!» ringhiò Erza, all'ennesimo colpo.
«Non ho fatto altro che liberare la gabbia del suo Nirvana, è tutta opera sua in realtà» sghignazzò Eris, schivando l'ennesimo colpo. «Rabbia, paura, gelosia, pazzia, invidia, passione... tutta la sua oscurità era rinchiusa dentro la bolla di Nirvana, mi è bastato poco per farla esplodere. Ora è completamente nera, nera come la pece, accecata dalla follia e l'odio» sghignazzò. 
«Falla tornare normale!» ordinò Erza.
«Impossibile! Ormai è una dei nostri!» disse Eris, per niente intimorita. «Non esiste colore al mondo che sia in grado di sopraffare il nero. Una volta macchiata, un'anima non tornerà mai come prima. È la legge dei colori!»
«Pricchan!» chiamò Laxus, spostandosi di dosso una trave e cercando di rimettersi in piedi. «Ascoltami, devi calmarti!» tentò di dirle, ma restò inascoltato e il vento di Priscilla si fece tanto intenso che pezzi della gilda vennero risucchiati verso l'alto, smantellati, distrutti e fatti sparire nel cielo. Lisanna, Laki e Kinana, ancora infanti, vennero quasi trascinate anche loro ma fu Elfman a prenderle al volo ed aggrapparsi a qualcosa per evitare di perderle anche se con gran fatica. Droy si aggrappò a una trave, Jet prese il suo piede, Gajeel piantò i propri piedi di ferro al suolo e tenne stretta Levy a sé per evitare che subisse la stessa sorte. Happy, Charle e Lily provavano inutilmente a lottare contro quella forza usando la propria magia, con grande sforzo. Evergreen tenne stretta a sé Mirajane, ancora moribonda per la magia di Eirene, mentre Fried teneva il Master svenuto e ancora ammalato. 
«Pricchan, fermati!» disse ancora Laxus e provò nuovamente a correrle incontro. «Sono Laxus, sono io!» provò a chiamarla, nella speranza che sentir pronunciare il suo nome avrebbe sortito qualche effetto. Priscilla finalmente mosse lo sguardo e lo puntò su di lui, ma ciò che vi lesse dentro non fu niente di piacevole. Odio, profondo odio e follia. 
«Laxus» sibilò. «È colpa tua. È tutta colpa tua...» disse con voce rotta dal dolore e dalla rabbia. Il vento cessò improvvisamente, lasciando finalmente andare i membri della gilda e macerie che cominciarono a schiantarsi pericolosamente al suolo. Si lanciò infine contro di lui, spinta dal suo vento, e gli ruggì contro un attimo prima di colpirlo con un pugno: «È colpa tua se sono venuta al mondo!»
"Sono stata creata per te" nonostante avesse fatto pace da tempo ormai con quel passato, tornò lo stesso a fare male più del pugno da cui Laxus si fece colpire. Piantò i piedi a terra e nonostante il dolore del colpo, restò lo stesso in piedi.
«È colpa tua... la mia condanna. Sei la mia condanna» ringhiò lei.
"Sei la mia ragione di vita, il motivo per cui sono venuta al mondo" era esattamente la stessa storia, ma con parole molto diverse. Priscilla caricò ancora, si avvolse nel vento e tornò a colpire, furiosa e impazzita, con pugni e calci potenziati dal vento. Laxus cercò semplicemente di pararli, ma non reagì a nemmeno uno di questi e finì lentamente col cedere. All'ennesimo calcio cadde addirittura a terra, tremante. 
«E a te non importava...» ruggì lei, ancora più nera di rabbia. «Non importava mai niente. Sorridevi... sorridevi sempre come se niente fosse. E poi mi colpivi con tutta la furia che avevi e mi facevi male. Mi hai sempre fatto un gran male, maledetto!» insisté e tornò a colpirlo con calci sempre più forti, mentre Laxus, lamentoso per il dolore, non faceva che subire e starsene immobile. 
«Maledetto!» ringhiò ancora e colpì con tutto ciò che aveva. Pressione, ascensione, discensione, ogni sorta di magia in grado di infliggere ferite le usava e le riusava. «Ma ora te la farò pagare» sogghignò e tenendolo alzato a mezz'aria, facendolo volare, cominciò a colpirlo con forza e insistenza con pugni e calci caricati all'inverosimile dalla potenza della propria aria. «Ti ucciderò come tu hai sempre ucciso me. Vedrai cosa si prova a morire, Laxus. Morire lentamente, per mano di chi ami, ogni singolo giorno. Ti ucciderò...» un altro sorriso e inutili furono le voci di supplica dei suoi amici alle sue spalle, ancora impegnati e trattenuti dal resto della gilda Olympos. 
«Laxus!» chiamò Fried, disperato.
«Perché non contrattacca? Che lo scontro con Ares l'abbia stremato?» chiese Bickslow, altrettanto preoccupato di vedere il loro amico e leader non alzare nemmeno un dito se non per provare a difendersi.
«No, lui...» mormorò Evergreen, mordendosi un labbro per il dolore. «Non vuole farle del male».
«Che?!» sussultò Bickslow.
«Non mostra emozioni, ma le parole di Priscilla lo stanno ferendo realmente. Anche se è acqua passata, non riesce a dimenticare» mormorò Fried, preoccupato.
«Tu... tu sei mortale» disse Priscilla, con una strana euforia e follia negli occhi. «Perciò puoi morire. Tu puoi morire» sghignazzò. «E io ti ucciderò» ancora dei colpi di aria compressa lo travolsero con tale forza da creare in più punti del suo corpo lividi e contusioni. Lo sentì lamentarsi, ma il volto ancora coperto dalle braccia per proteggersi banalmente nascosero la sua espressione di sofferenza. 
«Laxus devi fermarla!» urlò Fried, prima di trovarsi nuovamente coinvolto nella battaglia contro Ilizia.
Laxus venne ancora lanciato via, sbattuto per terra più e più volte e infine lasciato sull'asfalto. Piantò le mani a terra e tremò mentre cercava di rialzarsi, tanto affaticato da ansimare e perdere gocce di sudore dalla fronte. 
«Laxus! Fa' qualcosa!» gridò anche Evergreen, prima di essere colpita da una sghignazzante Afrodite.
«Ci sto provando!» ruggì lui, furioso. Le braccia continuamente tenute contro il volto per proteggersi, nessuna parola detta, e solo in quel momento, all'ennesimo richiamo, era riuscito a manifestare ciò che stava accadendo in lui in quell'istante. Ciò che provava... era solo rabbia e terrore. «Lo so bene... lo so bene che devo fermarla. Ma tutte le volte che provo a...» la voce gli morì in gola e i muscoli tremarono ancora di più. «Vedo quel sorriso» sibilò con quel poco di voce che riusciva a usare. Si accasciò lentamente, fino a poggiare la fronte a terra e tutto ciò che riuscì ancora a pronunciare fu un disperato: «Maledizione...»
Quel sorriso, il sorriso di una Priscilla morente mentre veniva uccisa dai suoi colpi finali. Il sorriso che, a volte rigato di sangue, gli diceva "sta' tranquillo". Come poteva stare tranquillo? Come poteva trovare pace nel cuore, quando scopriva cosa le faceva? Come poteva accettarlo e amarlo nonostante tutto? Aveva ragione, la Priscilla folle che continuava a sfogare la sua rabbia in pugni e calci aveva perfettamente ragione. Lui non era la ragione della sua vita, lui era da sempre la sua condanna. Lo era sempre stato. Eppure...
"Mi insegnasti a vivere, a provare dei sentimenti".
Priscilla lo sollevò da terra, chiudendolo in una bolla d'aria. 
"La magia nasce dal cuore e la magia è ciò che mi da la vita".
Lo fissò con quei suoi occhi ora colmi di una follia che non le apparteneva, ma di cui era accecata. Tutti i dolori di una vita, le sofferenze, ogni cosa era riemerso come un sottomarino portando con sé tutto ciò che aveva celato fino a quel momento. Le onde che ne aveva provocato, non facevano che investirlo e affogarlo. 
Eppure...
"Ce l'hai fatta... mi hai liberato".
Eppure se al mondo c'era qualcuno che poteva dire di averle veramente dato il dono della vita, per ciò che era realmente, quello era lui. Suo padre aveva creato una macchina, lui l'aveva resa umana. E non gli importava niente se in lei scorreva magia bianca, nera, o un'anima vera o finta. Lei era Pricchan. Solo... Pricchan. 
«Ti ucciderò» decretò lei infine e avvolse la bolla d'aria in cui aveva chiuso Laxus con un incantesimo, il più pericoloso che avesse mai imparato. Il controllo molecolare, la deprivazione dell'ossigeno, che avrebbe portato chiunque intrappolato all'interno della sua bolla a morire soffocato, senza via di scampo. 
Ma Laxus sorrise. 
A braccia aperte, bloccato nella sua presa, di fronte al suo attacco peggiore... semplicemente sorrise. Come aveva sempre fatto lei. Quel sorriso delicato, amorevole, che non recriminava niente e che semplicemente sussurrava delicato "sta' tranquilla". Perché alla fine non era colpa sua. E ora lo sapeva, sapeva cosa significava trovarsi dall'altra parte, essere colpito a morte dalla persona che più si amava. A lungo si era chiesto cosa avesse spinto Priscilla a non odiarlo, per quello, e finalmente trovava risposta perché ora che toccava a lui... non riusciva a fare altro che sorriderle, rassicurarla. Sarebbe andato tutto bene, sapeva che non era colpa sua. 
"Mi occuperò io di te".
E i suoi demoni scomparvero mentre lentamente sentiva l'aria mancargli, i polmoni bruciare, il petto gonfiarsi sempre più, disperato, in cerca di un'aria che lei aveva deciso di togliergli definitivamente. La vista si annebbiò, cominciava a perdere i sensi, non riusciva a respirare e questo lo faceva impazzire ma riuscì comunque a restare calmo... e guardarla, fino a quando avrebbe avuto possibilità di farlo.
Sorrise. Semplicemente.
Così che quando lui sarebbe morto e lei sarebbe magari tornata in sé avrebbe saputo, avrebbe avuto la certezza, che lui non l’aveva mai odiata, che non l’aveva colpevolizzata. Che l’aveva amata fino all’ultimo istante.
Priscilla si toccò una guancia, sorpresa, sconvolta a dir il vero. Trovò le dita umide, come le proprie guance, ma non riuscì a comprenderle. Da dove arrivavano quelle lacrime, adesso?
«Piangi? Per me?» ridacchiò Laxus con quel poco di forza che gli restava. 
"Pricchan... se io dovessi morire, almeno in quell'occasione, riusciresti a versare una lacrima?" una voce, un ricordo, un pensiero. Di chi era? Da dove arrivava?
«Dunque sei ancora... la mia piccola Pricchan» mormorò e la testa infine gli cadde in avanti, mentre alle sue spalle i suoi compagni gridavano disperati il suo nome. 
«Pri...» mormorò Priscilla, ma la voce le morì in gola mentre un'improvvisa ondata di immagini e parole le travolsero la mente. I temporali da cui si nascondeva, chiusa nell'armadio, insieme a Laxus che la stringeva e la rassicurava. Le storie, i libri che lui comprava sempre solo per lei, per portarglieli. Le sere stesi di fronte al camino, mentre lui leggeva e le insegnava a distinguere le lettere. Le sue lacrime, quando scopriva la verità, un attimo prima che dimenticasse ancora. Le visite continue che faceva in camera sua, quando sapeva che lei aveva l'influenza. I giochi, le storie, gli abbracci, le innumerevoli volte che si metteva di fronte a lei a braccio teso per proteggerla da qualcosa, che fossero animali o qualche stupido bulletto. E un funerale, sotto la pioggia, quando nascosti dietro a una Mirajane e un Elfman in lacrime non avevano fatto altro che stringersi la mano, come a volersi supplicare di non lasciarsi mai. 
«Vieni Pricchan, ti porto a vedere il nido che ho trovato ieri!» la sua voce di bambino, mentre saltellava in una foresta. Da un sasso a un altro, era ancora tanto piccolo che rischiava di cadere ad ogni passo, e lei non aveva ancora imparato granché della vita. Però lo seguiva volentieri, era piacevole, lo faceva già da così tanto tempo.
«Laxus...» un dubbio, che da tempo la tormentava e che finalmente aveva deciso di chiedere. «Che cos'è una Pricchan?»
«Che cosa...?» aveva mormorato Laxus, divertito da quella domanda, quasi derisorio. Aveva fatto un passo indietro e le si era avvicinato, per poi darle un tenero buffetto sul naso. «Sei tu, stupidina!» Aveva riso.
«No...» aveva mormorato confusa. «Io sono Priscilla, non una Pricchan».
«Lo so bene!» aveva riso ancora. «Ma... ecco... Ho sentito un amico di papà dire una volta che il nome Priscilla ha un significato così crudele. Non so quale sia, a dire il vero, ma non mi piace. Priscilla... è così freddo... e triste. E tu non devi essere triste, mai! Questa è la mia promessa!» 
«Che cosa significa essere triste?» aveva chiesto lei, ancora ingenua e curiosa.
«Essere triste...» ci aveva riflettuto qualche istante per poi spiegare, diligente e attento a rispondere ad ogni sua curiosità: «Essere triste significa che ti fa male il cuore, che ti bruciano gli occhi e che ti escono le lacrime! Quando succede vuol dire che sei triste. Ti è mai capitato?»
Il cuore in fiamme, gli occhi brucianti e le lacrime che uscivano incontrollate. Non solo l'aveva provato decine di volte, quando da piccola suo padre aveva avuto il pieno potere e controllo sulla sua vita, quando aveva combattuto contro suo fratello, ma tornava ancora... a distanza di anni. Si era dimenticata di nuovo cosa significasse essere triste. Dunque quelle lacrime che ora, di fronte a un Laxus morente, le erano uscite dagli occhi senza apparente motivo, avevano in realtà un significato. Lei era... triste.
«La mia piccola Pricchan non è mai triste, ma sorride sempre! Ed è sempre felice! Per questo ti ho dato questo soprannome: trasmette allegria perché sembra il verso di un animaletto».
Il verso di un animaletto.
«Allora... ti piace? Vuoi essere la mia piccola Pricchan?»
«Pri… chan» mormorò tremante e si premette ancora le dita sulle guance fradice di lacrime, mentre dal suo volto spariva ogni cenno dell'espressione furiosa che l’aveva accecata fino a quel momento. 
"Se io morissi..."
«Laxus» sibilò con un filo di voce, strozzata.
«Che succede?!» gridò Eris, voltandosi improvvisamente verso di lei. Il nero della sua anima, quell'oscurità pece che aveva rilasciato dal Nirvana residuo che aveva trovato, si ritirò improvvisamente e spontaneamente. Qualcosa di incredibile, che mai avrebbe potuto nemmeno immaginare. Non esisteva al mondo colore capace di sovrastare il nero, eppure, in quel momento, il miracolo stava avvenendo. Un'esplosione di colori, un vero e proprio arcobaleno, e il Nirvana color pece si restrinse immediatamente tornando ad essere la bolla piccola, quasi invisibile, che era stata all'inizio. La bolla d'aria in cui Laxus era imprigionato si dissolse all'istante e lui cadde nel vuoto, ora libero di respirare ma privo di sensi. Priscilla lo accolse tra le braccia e lo sorresse, inginocchiandosi a terra per lo sforzo. Lo strinse a sé e rovesciò su di lui urla, lacrime e singhiozzi incessanti.
«Non va» commentò Ares allarmato, facendo un passo avanti.
«Si è liberata dall'incantesimo di Eris!» disse Athena, sistemandosi gli occhiali sul naso e evocando un paio di libri da cui lesse rapidamente informazioni. «Com'è possibile una cosa del genere?»
«È lo stesso potere usato per liberarsi dal controllo di Ivan» commentò Zeus, aggrottando le sopracciglia. 
«Che razza di potere è?» chiese Athena, irritata e per la prima volta agitata. Il non avere risposte, il non sapere, la rendeva inquieta e nervosa. 
«Un potere che non si impara dai libri, a quanto pare» mormorò osservando Priscilla inginocchiata a terra, col corpo esanime di Laxus appoggiata a sé, alla sua spalla, contro cui continuava a piangere disperata mentre lo stringeva e lo accarezzava. «Ares!» chiamò lui. «Il piano è cambiato, farla dei nostri è stato un errore. Distruggi lei e questi schifosi umani».
«Ricevuto» commentò lui e a passi pesanti si avvicinò alla ragazza, ma un'improvvisa folata di vento lo colpì. Non cedette, la sua forza fisica era superiore a ogni cosa e mentre almeno l'elettricità di Laxus poteva perlomeno scalfirlo, il vento di Priscilla non gli avrebbe fatto che il solletico. Sogghignò, per niente intimorito e proseguì verso di lei, ma improvvisamente si bloccò colto da uno strano timore. Gli occhi di Priscilla si erano riaperti e ora lo fissavano con una furia che mai aveva visto in nessun'altro. Una bolla d'aria compressa gli esplose all'altezza dello stomaco e per quanto Ares vantasse la forza muscolare degna di un Titano quel misero colpo riuscì comunque a togliergli il fiato e destabilizzarlo. 
«Che... cazzo...?» sibilò, respirando ad ampie boccate.
«Come avete osato?» ringhiò Priscilla a denti stretti. «Come avete potuto usarmi per far del male alla mia famiglia?» centinaia di piccoli tornadi cominciarono a scendere dal cielo e uno a uno colpirono tutti i soldati di fango di Ilizia, decimandoli in poco tempo. Un altro raccolse la nebbia di Dike, risucchiandola al suo interno, e così intrappolò anche lei. Altri scesero contro Nemesi, Eunemia, Dioniso, Ebe ed Efesto, colpendoli e intrappolandoli. Un urlo dopo l'altro, i membri di Olympos venivano sottratti alla loro battaglia, bloccati e immobilizzati. Alcuni riuscirono a sfuggirle, Hermes con la sua grande velocità ad esempio, Eris per la sua prestanza e agilità, Persefone in quanto Spettro o Eunomia riusciva ancora a imprimere ordini nonostante la sua difficoltà, usando i membri stessi di Fairy Tail come soldati contro il resto dei loro compagni, ma comunque il suo intervento fu decisivo. Fairy Tail tornò a combattere più furiosa e decisa di prima, ignorando le ferite dei loro nemici che continuavano a rigenerarsi, aggrappandosi all'evidenza che prima o poi avrebbero consumato del tutto la loro magia e si sarebbero arresi. Fried e Evergreen riuscirono a liberarsi dai loro scontri e corsero verso Priscilla, preoccupati per Laxus che ancora non accennava a muoversi o aprire gli occhi. Ares, ora furioso più che divertito, tornò a caricare, deciso a stendere lei e Laxus una volta per tutte, ma altri tornadi scesero dal cielo e puntarono con la propria punta verso di lui. Ne schivò due, poi tre, poi quattro ma il quinto lo centrò in pieno e per quanto si trattasse solo di aria lo crivellò comunque come fosse stato un trapano.
«Che... diamine?» si chiese, guardando la propria ferita al braccio perdere sangue. Diede uno sguardo più attento al tornado che lo aveva colpito e notò al suo interno infinite schegge di ghiaccio che roteavano e che sulla punta si concentravano formando una vera e propria punta aguzza. 
«Che cos'è? Ghiaccio?» chiese, confuso.
Priscilla lasciò delicatamente andare Laxus, affidandolo a Fried, e si avvicinò al proprio avversario avvolta lei stessa dal un vento furioso che le faceva svolazzare in maniera sinistra capelli e vestiti. Contrasse il braccio sinistro e lo distese con un colpo secco, come se avesse dato un colpo di frusta, e in quel gesto lo strato superficiale di pelle parve sparire come polvere lasciando il posto a un braccio completamente di ghiaccio.
«Il dono di un amico» rispose lei. «Il desiderio di salvare una vita, l'affetto che lega le persone. Hai idea di cosa io stia dicendo... Ares?» chiese provocatoria, prima di muovere ancora il braccio di ghiaccio in linea orizzontale. Una bufera si scatenò al suo gesto, un vento talmente gelido da congelare l'acqua presente nell'aria e renderla brina, neve e grandine che lanciò violentemente contro il suo avversario. Ares alzò le braccia per cercare di difendersi, ma i proiettili formati erano tanto piccoli e affilati che riuscirono ad aprire decine di squarci nella sua pelle. Anche se li rigenerava, altri, costantemente, ne venivano aperti da quella bufera che non sembrava avesse avuto intenzione di fermarsi. Avrebbe probabilmente continuato a colpirlo fino a che lei sarebbe rimasta in piedi. Digrignò i denti, irritato, e infine furioso tirò indietro il braccio. Il bicipite si gonfiò mostruosamente, mentre urlando caricava uno dei colpi più forti che avesse mai scagliato, e infine tirò il proprio pugno in avanti colpendo l'aria stessa. Fu solo l'onda d'urto a essere sprigionata, ma fu tale da contrastare quella bufera di grandine e arrivare fino a Priscilla, colpendola. Venne scagliata all'indietro, ma restò comunque tesa nella sua posizione difensiva e usando ancora il proprio vento riuscì a fermarsi e rimettere i piedi a terra.
«Non hai usato questo potere poco fa» ringhiò lui, accecato dall'ira.
«Mi avete macchiata, mi avete accecata, ma il mio cuore è sempre rimasto al suo posto e non ha mai smesso di battere in modo corretto, anche se sigillato. Per questo ho pianto e per questo non ho usato nemmeno un briciolo della mia vera forza per colpire i miei amici» spiegò Priscilla, prima di rialzarsi e cominciare a correre verso di lui urlando: «Non lo capisci, Ares?».
Saltò, si diede lo slancio col vento e arrivò contro l'uomo col pugno avvolto da un piccolo tornado caricando così il proprio colpo. Pugni e calci, cominciò a colpirlo con tutto ciò che aveva con una velocità incredibile e una potenza via via crescendo, ma nessuno di quei colpi scalfì nemmeno un po' l'uomo che aveva di fronte. 
«È questa la vita! Nasce dal cuore, si ciba dei sentimenti, è così che io mi sono liberata dalle catene di mio padre» continuò a urlare, intenta a colpirlo. 
«Sei solo debole!» ringhiò Ares, infine, stufo. Un solo pugno, gli bastò un solo pugno e Priscilla cessò la sua scarica di colpi e cadde in ginocchio senza fiato, tenendosi la pancia ora livida. Ares  la guardò solo qualche istante, dall'alto al basso, per poi sogghignare vittorioso. Mosse la gamba, le diede un violento calcio in pieno viso e Priscilla cadde a terra. Il vento intorno a lei e soprattutto i tornadi che avevano intrappolato alcuni dei membri di Olympos si dissolsero, come effetto della sua coscienza annebbiata per il colpo subito. Svenuta, o almeno così era sembrata. Non appena Ares passò oltre, diretto verso Laxus con chiari intenti omicidi, venne in realtà afferrato. La tremante mano di Priscilla, ancora stesa a terra ma ancora forte abbastanza da non arrendersi, afferrò la sua caviglia e gli impedì di proseguire oltre. 
«Che stai facendo?» sibilò Ares, furioso. Tutto quell'accanimento, quella determinazione... era inspiegabile. Si voltò nuovamente verso di lei e le piantò un altro calcio dritto nella schiena, schiacciandola a terra e facendola urlare per il dolore delle ossa sicuramente frantumate. Tornò ancora sui propri passi, intenzionato ad andare a dare il colpo di grazia a Laxus, ma ancora una forza lo trattenne per il piede. Un piccolo tornado gli si era attorcigliato alla caviglia e lo teneva ben fermo a terra, mentre dentro di lui continuavano a nascere schegge di ghiaccio che lo ferivano in continuazione. Solo graffi, fastidiosi e infiniti graffi che continuavano sempre a rimarginarsi. Con rabbia tirò via il piede, consapevole che la sua forza sarebbe bastata a liberarlo, ma con sorpresa questo non avvenne. Priscilla, ricoperta di ferite e sveglia per miracolo, alzò la testa e sghignazzò. 
«Sei molto più duro di me» disse. «Ma non per questo diverso. Rimarginare le tue ferite consuma la tua magia, prima o poi la finirai. Ti stai indebolendo e se continuerò a ferirti pian piano cadrai dalla fatica».
Ringhiando come un animale furente, Ares roteò su se stesso restando con la caviglia impiantata nella trappola di Priscilla, e tentò di colpirla con l'altro piede. Il colpo attraversò una foschia, la sua immagine che venne immediatamente dissipata dal colpo, e scoprì solo in quel momento che era appena stato ingannato da un’illusione. Colpi di aria compressa gli esplosero dietro la schiena e ancora ghiaccio e schegge si unirono, a creare di nuovo quei minuscoli tagli che non gli facevano niente ma che portavano la sua magia a consumarsi sempre di più. Tentò di voltarsi, di cercarla per colpirla, ma non trovò altro che aria e vento, freddo e ghiaccio, a imprigionarlo, a ferirlo e indolenzirlo.
«Il freddo intorpidirà i tuoi muscoli» disse ancora Priscilla, nascosta dal proprio Mirage, invisibile agli occhi. «Arrenditi, Ares. Più passa il tempo più ti indebolisci e se non puoi muoverti, non puoi colpirmi».
«Ti stancherai anche tu, prima o poi» sogghignò Ares. «Credi di conoscere i miei punti deboli perché siamo uguali, ma dimentichi che questi sono anche i tuoi. Chi credi cederà prima? Questa è una battaglia di logoramento perché sei ben consapevole che se mi affrontassi a viso aperto perderesti. Ma anche tu sei stanca, Priscilla. Hai immobilizzato solo un piede, in fondo» ridacchiò e in tutta risposta altro vento e altro freddo si abbatté su di lui, che nonostante il respiro pesante continuava a restare sempre ben fermo e dritto. Si guardò attorno, attento e preciso, cercandola senza trovarla.
"Sa che i miei pugni possono creare onde d'urto tali da colpirla anche a distanza, per questo si è nascosta" rifletté, ma non si sforzò nemmeno di trovare un modo per sopperire alla mancanza. Sapeva che Olympos aveva in realtà un grande vantaggio.
Zeus alzò semplicemente un dito, verso il cielo, e dalla sua punta nacque l'oscurità. Fu come se tutta la luce della zona fosse stata assorbita e risucchiata da quel dito, di loro non ne restò che ombre più o meno definite. E senza luce, il Mirage di Priscilla non poteva funzionare. Ares la vide, una sagoma nera che però era perfettamente riconoscibile, sollevata da terra dal proprio vento per evitare di fare rumore, tremava per la fatica ma era ancora in forza abbastanza da combattere. Tirò indietro il pugno, caricò tutta la forza che aveva e di nuovo colpì nient'altro che l'aria generando un’onda d'urto che, avanzando rapida, la colpì in pieno. La luce tornò appena in tempo per vedere Priscilla ancora una volta cadere a terra, urlante per il dolore.
«Adesso mi sono stufata, non mi importa se sei più forte di noi» urlò Evergreen, correndo verso Ares. «Non ti lasceremo uccidere così i nostri compagni!» 
«Ever, no!» urlò Priscilla, guardandola mentre preparava il suo attacco. Ares tirò nuovamente indietro il pugno e con un sorriso sadico si preparò a colpirla con tutta la forza che aveva. Il vento soffiò sotto Priscilla e le diede lo slancio per arrivare in tempo, spinse via la sua amica e il colpo di Ares centrò nuovamente lei. Ma questa volta non cadde a terra. Il braccio di ghiaccio era teso davanti al proprio viso, incrinato, cadeva a pezzi in più punti. Le ossa rotte, ma la sua magia era ciò che la teneva in vita e ciò su cui avrebbe fatto affidamento per restare in piedi. Il vento la teneva dritta, guidava i suoi movimenti, la muoveva come una bambola e la teneva in piedi. 
«Avresti potuta ucciderla con un colpo simile» ringhiò, notando un pezzo di ghiaccio del suo braccio cadere a terra in frantumi. 
«Era quello che speravo» ridacchiò Ares. «La morte... per un immortale come me che mai ne conoscerà il sapore è qualcosa di tanto affascinante, quanto esilarante. Bramo vederla sul volto dei miei nemici, scoprire ciò che essa ne comporta, non è curioso?»
«Sei ancora solo un bambino» disse Priscilla, irritandolo per il velato insulto. «Giochi a uccidere le formiche per sentirti onnipotente, per scoprire il significato di qualcosa che è infinitamente lontano da te. Tuo padre... tuo padre è stato anche più crudele del mio».
«Tch» sputacchiò Ares e sempre più furioso cercò di colpirla con un pugno, per farla stare zitta, ma lei con una velocità sorprendente viste le sue condizioni riuscì a schivarlo. 
«Non hai mai avuto paura di morire» continuò lei, schivando altri dei colpi di Ares ora incredibilmente rallentati visti la quantità di magia spropositata che aveva usato fino a quel momento. «Credi che sia qualcosa che non ti appartenga e se non sai cosa significa morire allora non sai cosa significa vivere. È per questo che voi non siete ancora liberi, mentre io sì. Non siete immortali, Ares... non siete immortali perché non siete nemmeno vivi. Siete solo marionette».
«Sta' zitta!» ruggì lui provando disperatamente a colpirla, senza riuscirci.
«Burattini» sussurrò lei, schivando l'ennesimo colpo. Un tornado scese dal cielo, il rumore di un ruggito, il rombo di un tuono. Nuvole addensate sopra la loro testa le avevano portate a scontrarsi e generare, con quel gioco di atmosfera e umidità, un freddo e affilato temporale. Le gocce di pioggia che scendevano dal cielo erano vere e proprie schegge di ghiaccio che continuavano a cadere su di loro e un tornado scese proprio sopra Ares, portando con sé la potenza di un tuono che aveva raccolto ed era riuscito a direzionare proprio nella sua direzione. La combinazione ghiaccio, vento e tuono fu fatale e Ares cadde a terra, ferito come mai lo era stato prima di allora. 
«Io non volevo uccidervi» confessò infine Priscilla, con un filo di voce. «Volevo liberarvi, volevo aiutarvi, ma la verità è che voi non volete essere aiutati e io mi sto accanendo nel voler salvare dei giocattoli troppo pericolosi. Voi non siete vivi, non posso salvarvi in nessun modo».
«Non essere stupida» digrignò i denti Ares, sollevandosi da terra. Alzò improvvisamente la testa e volgendole uno sguardo furioso le urlò contro con rabbia: «Tu sei esattamente come noi, lo vuoi capire o no? Salvare questa gente non ti renderà come loro, non sono la tua famiglia! Dici che con noi hai preso un abbaglio ma ti sbagli, sono loro il tuo errore, Priscilla! Guardaci... guarda le nostre ferite, guarda la magia che scorre dentro noi. Se noi siamo burattini, lo sei anche tu... un burattino che crede di essere un umano, un burattino che crede di essere vivo, una bambola di pezza convinta che la bambina che chiama sorella non si dimenticherà mai di lei e giocheranno per sempre insieme. In quale ridicola storia i bambini non crescono mai e continuano a giocare per sempre con le stesse bambole, eh?! Loro moriranno Priscilla, che tu lo voglia o no! E vivranno! Si dimenticheranno di te, come le bambine che troppo cresciute smettono di giocare con le bambole. Siamo immortali, io e te, e mentre le nostre strade non muteranno mai e proseguiranno per sempre, loro, in un modo o in un altro, spariranno dalla tua vista. Aggrapparti al desiderio di appartenergli non cambierà la realtà e tu stai combattendo ora le uniche persone che possono veramente darti un futuro».
Priscilla restò in silenzio, ad ascoltarlo, per tutto il tempo. Paroli forti, parole piene di un significato che non poteva negare e lei lo sapeva. Sapeva che Ares aveva ragione... ma non le importava.
«Conosco una storia in cui una bambola è infine diventata umana» disse lei, severa. Aprì il palmo della mano destra e lo puntò contro Ares, mostrando con orgoglio il simbolo giallo che primeggiava sulla sua pelle. «Ho imparato a provare dei sentimenti, a dormire, a mangiare, a sognare e desiderare, ho imparato a provare paura, a soffrire, ho imparato a combattere e soprattutto ho imparato ad amare. Ho imparato a vivere... posso imparare anche a morire. Che io sia una bambola, un gatto o un essere umano, fintanto che questo simbolo resterà su questa mano io sarò sempre e solo Pricchan, una maga di Fairy Tail. Niente di più e niente di meno. E in questo momento sto combattendo le uniche persone che stanno cercando di portarmi via tutto ciò che ho e che sono. Sinceramente del futuro me ne frego, per il momento. Non è la fine del percorso che conta, ma i passi che facciamo per arrivare ad esso. Io e te... siamo completamente diversi, Ares. Io non sono come voi, neanche un po'».
«Stronzate!» urlò Ares cercando di alzarsi e tornare a colpirla, ma un altro tornado ricolmo di fulmini e ghiaccio lo atterrò nuovamente. 
«Ho pietà di voi, perché è ciò che sono stata anche io in passato. Vi darò un'opportunità... una sola. Andatevene, adesso, e non toccate più la mia famiglia» minacciò, severa, ma Ares non si lasciò intimorire nemmeno un po'. Sogghignò, orgoglioso, e i suoi muscoli cominciarono a gonfiarsi. «Ci minacci? Credi che immortali come noi possano provare qualcosa come la paura? Priscilla... cosa credi di fare? Come ci fermerai? Noi non possiamo morire» sghignazzò.
«Sì, invece» e una pallida ombra nei suoi occhi fece per la prima volta venire i brividi all'uomo che aveva davanti a sé. «Voi potete morire... esattamente come me. Vi farò capire che significa avere paura della morte, vi farò provare lo stesso terrore che ha strozzato me per vent'anni... Ares, vi insegnerò la vita e lo farò uccidendovi».
   
 
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