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Autore: elev    24/07/2020    2 recensioni
Liam e Daniel sono amici fin dalle elementari.
Riflessivo e leale il primo, festaiolo e scansafatiche il secondo, seppur caratterialmente opposti si conoscono come le proprie tasche e sono legati da una stretta amicizia in cui condividono tutto: passioni, speranze, drammi, le corse spericolate in moto e il loro sogno più grande: correre fianco-fianco in un vero campionato.
Quando però la vita si mette di traverso rivoluzionandone i piani, coinvolgendo sentimenti imprevisti e mettendo in discussione anche un forte legame come il loro, improvvisamente rincorrere il sogno diventerà più complicato. Starà ai due ragazzi saper riconoscere il cammino giusto per sé senza dover rinunciare ad un’amicizia per la vita.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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A picture in grey
Dorian Gray
Just me by the sea
And I felt like a star
I felt the world could go far
If they listened
To what I said, the sea
Washes my feet
Washes the feet
Splashes the soul of my shoes
(the ocean - U2)
 
***
Nina
 
Quando mi sveglio la casa è vuota.
Anche a me piacerebbe sapere dove è finito Liam, spero che non gli sia successo nulla: non è da lui non farsi trovare. Mi sta salendo l’ansia e non va affatto bene. Gratto nervosamente l’orecchio al gatto che si appoggia alla mia gamba felice e butto un'occhiata di sbieco all'orologio che ticchetta appeso ad una parete. Sospiro scoraggiata: gli spedisco l’ennesimo messaggino a vuoto e decido di andare a controllare a casa sua.
“Nina! Tesoro, che bello che sei tornata! Ma che ci fai qui?” Mi chiede sua madre affacciandosi alla porta d’ingresso. A differenza del padre, lei è veramente una donna simpatica e gentile. A volte mi chiedo cosa possa avere avuto in comune con uomo come suo marito.

“Veramente cercavo suo figlio…è da ieri che lo chiamo ma ha il cellulare staccato! Sa per caso dov’è andato?” Le chiedo. Ora la sua espressione passa al preoccupato. La guardo bene e noto che ha delle profonde occhiaie, gli occhi rossi e il viso tirato.
La donna scuote la testa in segno di negazione, afferra un fazzolettino e si asciuga gli occhi.
“È da ieri che non lo sento, ha detto che aveva da fare ma non è nemmeno tornato a casa stanotte!” Annuncia affacciandosi alla stanza del figlio, indicandomi il letto ancora intatto.

Non ero stata molte volte dentro casa sua, mi guardo attorno in cerca di un segnale o un indizio ma non c’è nulla di significativo perché tutto mi ricorda lui. “Oh, era così felice del tuo ritorno…non lo vedevo così da tanto tempo!” Aggiunge carezzandomi una guancia.
Faccio un respiro profondo e annuisco cercando di sorridere prima di uscire.


***
Liam, 12 settembre

Sono sveglio da quasi due giorni. Non so perché sono qui. Forse è perché questo posto mi ricorda mio padre. La sera che abbiamo litigato per colpa mia è stata l’ultima volta che l’ho visto vivo. Dopo la sua morte il mondo ha cominciato a crollarmi addosso assieme alle mie certezze. Non credevo mi potesse fare questo effetto, infondo negli ultimi tempi era sempre stato molto duro con me. Forse perché, a suo modo, voleva risparmiarmi le delusioni che inevitabilmente nella vita si incontrano.
È come se, venendo qui potessi tornare indietro, ricominciare, annullare tutto, chiarire quello che è successo e rimediare ai miei sbagli. So benissimo che è impossibile. Avrei tanto voluto potergli chiedere scusa se mi sono comportato da ragazzino. Se fosse qui in questo momento mi guarderebbe con quell’espressione particolare che gli si dipingeva sul volto quando gli avevo definitivamente rotto i coglioni, scuoterebbe la testa, mi tirerebbe uno sberla sul collo e mi direbbe “Liam! La vogliamo smettere di fare il bambino? È ora che diventi uomo e impari a far funzionare la baracca, tua madre ed io mica siamo eterni!”.
Eterni.
Mi trovo a sorridere anche se sento le lacrime pungermi gli occhi. Ho bisogno di aria, di respirare. Pensare che ventiquattro ore fa ero così felice! Ora mi sento una merda.

Mi lascio cadere sulla sabbia, do un’occhiata al mare piatto come una tavola e chiudo gli occhi per un istante. Il livido sulla faccia mi tira la pelle e ogni movimento mi provoca una smorfia di dolore. “Forse non è solo il pugno che ho preso che mi provoca dolore” penso.

Mi odio perché non riesco a non ripensare alla faccia di Daniel mentre gli confesso che intanto che lui era impegnato a correre dietro a Maureen io mi innamoravo di Nina. Mi odio perché forse è davvero per colpa mia che si sono lasciati. Mi odio perché gli ho fatto del male senza volerlo e ora non mi vuole più vedere, ce l’ho con me stesso perché stamattina io da Nina ci sono andato.
Ci ho pensato tutta la notte e volevo parlarle, ma prima che potessi raggiungerla ho visto Daniel uscire da casa sua.

“E tu che cazzo ci fai qui?” Esclamo bloccandogli il passaggio.
“Potrei chiederti la stessa cosa” Dan ride sarcastico.
“Devo parlarle e non credo che siano cazzi tuoi!” Rispondo.
“Invece sì!” Obietta lui.
“Credi ancora che ti dia un’ennesima possibilità?” Ribatto.
“Beh non penso che tu possa ancora avere il diritto di metterti in mezzo dato che…. abbiamo passato la notte assieme!” Annuncia. “E adesso levati dalle palle!” Daniel mi supera con una spallata ed io rimango di sasso, in piedi in quel cortile senza dire nulla.

Non riesco nemmeno ad essere arrabbiato con lei. Sono scappato da vigliacco e non è da me. Ho frainteso tutto e la realtà è proprio questa: io devo farmi da parte anche se mi rifiuto di togliermela dalla testa.

Fisso la risposta dell’iscrizione all’accademia militare che ho infilato nelle pagine del mio quaderno e il macigno che ho nel petto si fa ancora più pesante.
Mi viene anche voglia di fumare, tanto per farmi ancora più male, così accendo una sigaretta, volto le pagine su una parte bianca e comincio a scrivere.
Ripenso a noi bambini quando giocavamo alle gare in piedi su una sedia, a Dan che corre veloce con la sua prima moto, ai suoi primi trofei, ai suoi occhi che si illuminano quando mi parla dei suoi progetti, al mio stupido incidente e alla mia stupida cicatrice e poi anche a lei.
La penna scorre veloce su quel piccolo rettangolo bianco appoggiato di sbieco sulle mie ginocchia. Mi appare il suo viso e mi sembra di sentire ancora il suo profumo su di me.

Ho staccato il telefono, adesso non ho voglia di sentire nessuno. Mi sto comportando da coglione. Se avessi fatto questa cosa tempo fa mi sarei dato del deficiente: scappare dai problemi non è una soluzione e, soprattutto, non è da me. Ho sempre cercato di essere sincero con me stesso e con gli altri.
Prima o poi dovrò chiarirmi con Daniel, anzi forse lo dovrei chiamare.

Fisso il monitor del cellulare per un attimo poi lo butto a terra accanto a me.
L’aria fresca mi fa rabbrividire. Mi stringo nella felpa e mi addormento profondamente.




***
Bell'atmosfera decadente vero? Forse il motivo è da ricondurre al fatto che mentre rileggevo il capitolo sentivo "I threw a brick trough a window" degli U2, anche se, se volessimo puntualizzare secondo me la musica ideale per questo pezzo sarebbe "The ocean" sempre degli u2 (quella della citazione che trovate all'inizio). Qualcuno sostiene che sono troppo cattiva con i miei personaggi... ma c'è tempo e vedrete che non lo sono poi così tanto ;)
E niente, ecco la seconda parte.... anche se un po' corta alla fine. Non mi piaceva legarla alla prima subito!
A giovedì prossimo con il 6° capitolo di cui posso dirvi soltanto che può darsi rideremo un po' (magari a voi non farà ridere) e che "è il mio preferito!"
Non vedo l'ora!
-Elev
  
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