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Autore: persanellaradura    25/07/2020    1 recensioni
Tratto dalla storia:
Più ripensava alla donna che riusciva a scaldargli il cuore con un semplice sguardo, con un semplice sorriso, più si convinceva che era una frase troppo banale per una bellezza del genere. E cancellava, eliminava ogni traccia di semplicità come un forsennato. E poi riscriveva quelle parole, e la dolcezza si figurava davanti a lui con le sembianze della sua amata.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La fine della giornata si faceva vicina, la stanchezza sempre più opprimente. Erano le nove di sera e lui ancora si trovava nella Sala numero Due di incisione, con la chitarra sulle gambe e un foglio scarabocchiato davanti. Le parole, emblema dei poeti più introspettivi. Come poteva usare al meglio quelle parole? Parlavano, e come se parlavano. Ma cosa dicevano, esattamente? Cosa voleva realmente trasmettere quel bassista notturno e solitario, stanziato negli Abbey Road Studios a quell'ora della notte? La sua donna lo aspettava, ma egli aveva perso la percezione del tempo. La penna si muoveva velocemente sul foglio, scriveva, lettera dopo lettera, versi armoniosi e puri, e subito, come erano apparsi dal nulla, venivano cancellati da una linea decisa, e poi da segni spessi e frenetici, simboli di eccessivo stress. Le ho dato tutto il mio amore, è quel che diceva la prima riga, ma era vero? Lo era, era la cosa più reale che gli fosse capitata in tutta la sua vita. Era una frase semplice e perfetta, proprio come lei. Ma allora perché non lo convinceva del tutto? Più ripensava alla donna che riusciva a scaldargli il cuore con un semplice sguardo, con un semplice sorriso, più si convinceva che era una frase troppo banale per una bellezza del genere. E cancellava, eliminava ogni traccia di semplicità come un forsennato. E poi riscriveva quelle parole, e la dolcezza si figurava davanti a lui con le sembianze della sua amata. Era, quella, definibile una dea? Perché se non lo era, di certo peccava di ubris. Sopprimeva brutalmente ogni parola, ogni lettera che gli si mostrava davanti, fino a strappare il foglio in due parti asimmetriche. Era quello il ritorno della razionalità? Non lo sapeva neanche lui. Non sapeva più nulla, perché i suoi sentimenti erano molti e di certo non semplici da capire e da esternare. Partivano tutti da quella fragile ragazza incontrata sul treno per Londra. Egli ritornava dalle vacanze natalizie a Liverpool, aveva un giornale in mano, ma non per leggerlo. Gli serviva solo un pezzo di carta su cui scrivere un nuovo verso di una sua possibile futura canzone. Aveva la carta, dunque, ma nessuna penna con cui scrivere. La cabina era vuota e fredda, e doveva ammettere che era troppo pigro per alzarsi dal posto che aveva scaldato dopo ore su quel treno. Ma ecco che la porta si aprì, e da dietro essa sbucò il visetto curioso di una ragazza appena salita a bordo, in cerca di un posto su cui sedersi. I suoi occhi castani si puntarono su quelli del musicista e lo salutò con un sussurro, poi, timidamente, gli chiese se quel posto davanti al suo fosse libero. E lui, seppure nella maggior parte dei casi non sarebbe stato concorde a causa dell'eccessivo attaccamento delle ammiratrici, non seppe rispondere di no, ammaliato da quella buffa e mite figura, tanto ordinaria quanto rara. Ella si sedette e accese una sigaretta, per poi fissare il suo sguardo fuori dal finestrino e ammirare i paesaggi che si estendevano oltre quella cabina che, alla fine, tanto fredda non era. Il bassista la guardò per qualche attimo, nel quale pensò di essere stato stregato, ma poi impose al suo cervello - o al suo cuore - di riprendersi da quella piacevole trance. Schiaritosi la voce, iniziò a parlare a quella ragazza dai capelli color del sole. «Sono Paul» si presentò, porgendole la mano, che per la prima volta tremava davanti ad una presenza femminile. La giovane donna la guardò e la strinse debolmente, poi iniziò a ridere sommessamente. «Perché ride?» chiese confuso Paul, con un piccolo sorriso ebete in volto. Stava ridendo di lui? Non lo aveva capito. L'unico pensiero che riusciva a formulare era che quella risata era magnifica, e che avrebbe voluto ascoltarla per attimi interminabili. Ma essa si fermò, e al suo posto comparve la sua voce melodiosa. «So chi è lei, signor McCartney» spiegò la ragazza, che subito ritornò a guardare fuori dal finestrino. Sapeva chi era, ma non gli era saltata addosso urlando. Cosa aveva di diverso dalle altre? Era per questo che era rimasto colpito? No, non riusciva a spiegarselo, e mai ci sarebbe riuscito. «Io invece non so qual è il suo nome, signorina...» azzardò il musicista dopo un po'. Ella si voltò e, con quel magnifico e semplice sorriso, pronunciò le due parole che Paul le aveva chiesto. Non avrebbe mai immaginato che la seconda, dopo qualche anno, sarebbe stata cambiata in McCartney. Paul continuò ad osservarla anche dopo la sua risposta; guardò le sue mani che giocherellavano con l'impugnatura della borsetta nera, i suoi denti che catturavano il labbro inferiore e poi di nuovo la mano destra, che si era mossa per portare dietro l'orecchio una ciocca di capelli. «Perché mi guarda così?» chiese ad un certo punto, mentre le sue gote si tingevano di rosso. «Mi chiedevo se avesse una penna» rispose Paul con la prima cosa che le passò per la testa. Avrebbe fatto di tutto pur di non fare una figuraccia davanti ad una ragazza come quella che aveva davanti. Non avrebbe riempito una creatura così timida di complimenti affrettati. Ed ella sorrise ancora, e gliela porse. Non era stato un semplice prestito, era stato un regalo; involontario, ma lo era stato. Paul e quella ragazza scesero a Londra, e quando il cantante si voltò per riportare la penna alla sua vera padrona, quella era sparita tra le persone che popolavano la stazione. Si sedette su una panchina al di fuori della stazione e riprese il giornale in mano, poi, riempì gli spazi bianchi di bozzette di una possibile canzone, le cancellò, e infine scrisse con un sorriso quel verso che ora, dopo anni dal loro primo incontro, stava cercando di rielaborare con parole più raffinate. Guardò il pezzo di carta spezzato e lo buttò via nel cestino. Ripose la penna nel taschino della sua giacca, mise la chitarra nella custodia e ritornò a casa. Di punto in bianco aveva deciso che non avrebbe mai cambiato quelle parole, perché erano state le prime ad esprimere i suoi sentimenti per quella donna, proprio in quel treno diretto a Londra anni prima. Entrò in casa e ritrovò sua moglie indaffarata a preparare la cena. Le sue labbra rosee formavano una linea piatta e le sue sopracciglia erano aggrottate. Era arrabbiata per l'enorme ritardo di Paul. Era il loro anniversario e lui non si era fatto vivo per l'intera giornata. Gli urlò contro tutte le sue preoccupazioni vane, ma il bassista sorrise. «Ti ricordi il giorno in cui ci siamo conosciuti?» le chiese d'un tratto, lasciandola senza parole. «Non provare a fare il dolce, McCartney» disse seria la donna, adirata con quell'uomo tanto amabile quanto folle. «Ti ho chiesto una penna e tu me l'hai prestata. Ci ho scritto una cosa, sai?» concluse lui, mentre si toglieva la giacca per poi posarla sull'attaccapanni all'ingresso. Lei lo guardava senza capire, ma lui non le chiarì niente. Non a parole, almeno. Si avvicinò a lei silenziosamente, la prese per i fianchi e le lasciò un bacio sulla fronte. Tolse dalla tasca dei pantaloni quel pezzo di giornale, che teneva con sé da cinque anni, e lo diede alla sua amata. Poi, stanco di quella giornata piena di lavoro e pensieri, se ne andò a letto.
   
 
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