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Autore: BellaLuna    25/07/2020    2 recensioni
[ Skam Italia ] [ Edoardo POV ] [ Incantava ]
Natale 2019. Edoardo ritorna dall'America portandosi dietro un segreto doloroso e una promessa stretta sotto la pioggia battente quando era solo un bambino. Una promessa che ha a che fare con New York e che non può rivelare a Eleonora. Grazie a un bizzarro gioco del destino (altrimenti conosciuto come Filippo Sava), stavolta a tenerlo a distanza dai fantasmi del suo passato ci penserà il neonato gruppo musicale dei "Contrabbandieri di Porri" o di "Luchini", questo particolare non è ancora stato deciso.
[Questa storia partecipa alla Challenge "Things you said" indetta da Juriaka sul Forum di EFP e alla "Seasons Die One After Another Challenge Edition!" indetta da Laila_Dahl sul forum di EFP. Inoltre, il Capitolo Quattro si è classificato Sesto al Contest "A Christmas Novel" indetto da Pampa313 sul forum di EFP.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edoardo Incanti, Eleonora Sava, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Quattro

§

Famiglia
(44/45- Things you said when you give me my first present during our first Christmas together)
 
 

 
Come ogni anno da quando ha compiuto quattordici anni, Edo viene invitato a casa Canegallo per la vigilia e il giorno di Natale.
Quell’anno, a Roma non fa molto freddo e non piove né nevica. Eppure, chissà perché, mentre si trova in camera di Fede a sistemare il suo borsone e il letto per dormire, gli ritorna in mente il suo primo Natale a Londra insieme ad Anna (la folle migliore amica punk di sua madre), uno dei ricordi più cari al suo cuore.
Aveva tredici anni e la tempesta di neve aveva bloccato tutto lo staff del Black Tulip dentro il locale, proprio il giorno della vigilia, scatenando il panico e il malcontento fra chi tra loro aveva una famiglia a cui ricongiungersi e un cenone da preparare.
Per fortuna, quelli che avevano fatto il turno del ventitré notte non erano in tanti, e così, più per esasperazione che per altro, Anna aveva risolto ogni discussione e polemica invitando tutti a casa sua, nel piccolo appartamento un po' angusto e dal gusto vittoriano che condivideva con lui e con la sua protetta irlandese Cece, sei piani sopra il suo stesso pub.
L’invito era stato accolto da tutti con sguardi sorpresi e anche un po' diffidenti, visto che fino a quel giorno Anna si era comportata come una sorta di piccolo Grinch con tutti loro, facendo mille e più dispetti persino a Cece ogni qual volta lei decideva di vedersi un film di Natale nella zona comune del loro appartamento, o di cantare una cover di una canzone natalizia durante il suo turno di esibizione al Tulip.
Era dovuto intervenire Yuri (che era stato spedito a Londra da Taki Incanti per assicurarsi che il suo secondogenito fosse ancora vivo e che Anna non lo avesse già soffocato mentre dormiva o con uno dei suoi piatti insipidi) per calmare le acque e rassicurare tutti circa le buone intenzione della padrona di casa.
In realtà, tutto lo staff amava Anna, e aveva da tempo fatto l’abitudine ai suoi scatti d’umore e al suo carattere un pò scontroso e alle volte fin troppo diretto, e stava solo facendo i capricci perché agli inglesi piaceva, sotto sotto, fare i melodrammatici e fingersi i protagonisti di uno dei racconti di Dickens durante le feste di Natale.
Era stata Trix – la bartender e figlia di emigrati neri di seconda generazione – a fargli questa rivelazione, mentre con tutta la carovana carica dei loro effetti personali, avevano iniziato a salire i sei piani per raggiungere la casa di Anna.
Trix sognava di fare la scrittrice e aveva iniziato a lavorare al Tulip perché la madre, Minnie, era la cuoca storica del locale e aveva chiesto la gentilezza ad Anna di assumere la figlia per permetterle di mantenersi al College.
Da lì, Anna e Trix erano diventate grandi amiche (anche perché Trix era molto bella e attirava al pub un sacco di bei mattacchioni, come diceva sempre Simon) e la giovane dalla pelle color caffellatte aveva deciso di rimanere lì a guadagnarsi un’extra fino a quando il suo romanzo non fosse stato pubblicato.
Senza Trix, Edo ci avrebbe messo molto di più a scoprire ciò che accadeva all’interno del Tulip e tutte le relazioni connesse al suo interno.
Questo perché Anna era una tomba, sempre così riservata e laconica, mentre Cece era decisamente poco affidabile, perché era il tipo a cui piaceva fantasticare a occhi aperti e perdersi in mondi tutti suoi in cui succedevano cose senza senso e a cui Edo faticava a credere.
All’epoca, inoltre, Yuri - che era praticamente il suo punto di collegamento con quell’universo londinese - fungeva da suo assistente sociale e veniva a trovarlo soltanto una volta ogni due o tre mesi, per cui, quando lo vedeva far capolino da quelle parti, sempre per una o due settimane al massimo, non avevano mai abbastanza tempo per parlare del passato di Anna o di come fosse nato il Black Tulip o del perché la donna avesse deciso di mollare la capitale italiana per quella inglese.
Erano dettagli che si perdevano fra le lezioni di musica che Edo era stato costretto da Anna a seguire e a impartire, i suoi progressi nella scuola privata in cui Taki l’aveva iscritto per non perdere l’anno a causa del suo trasferimento, e dalle mille notizie che gli giungevano da Roma da parte dei suoi amici.
In quel periodo, a Edo era sembrato di star vivendo due vite completamente separate, due esistenze che nulla avevano a che fare l’una con l’altra.
Da un lato c’era l’Edoardo Incanti cresciuto a Roma e orfano di madre che aveva abbandonato la sua casa e che aveva sperato di essere inseguito fino in capo al mondo da suo padre, dall’altro l’Edoardo che era riuscito a convincere Anna a rimanere lì con lei a Londra, a patto che l’aiutasse a gestire il proprio locale, facendo commissioni e dando lezioni di chitarra a Cece, aiutandola a tirar fuori il suo vero potenziale, qualsiasi cosa ciò significasse.
L’Edoardo che viveva con Anna era un ragazzino orfano e scorbutico, pieno di rabbia e rancore e confusione, che cercava di sopravvivere a una perdita che lo aveva rotto dentro e che aveva iniziato a seminare il gelo nel suo cuore proprio come tempo addietro era successo a un ragazzo chiamato Tancredi Incanti, un ragazzo che, a differenza sua, non era stato salvato da nessuno.
Mentre lui, anche se all’inizio, accecato dal suo dolore, non era riuscito a vederlo, era circondato da un mucchio di gente che gli voleva bene: Yuri, i suoi amici, e poi persino Anna e Cece la cui vita era stata sconvolta dalla sua imprevedibile entrata in scena, e per finire l’intero staff del Tulip, che ormai lo considerava una sorta di mascotte e lo trattava come membro effettivo di quella stramba famiglia allargata.
La casa di Fede, dove Edo passa adesso ogni Natale, è gigantesca e contiene ogni comfort possibile, dalla vasca a idromassaggio, alla televisione di cinquanta pollici in salotto, alla lavanderia con lavatrice e asciugatrice ultramoderne. Persino la cuccia di Annibale, il cane di Fede, è enorme e costosissima.
Nulla a che vedere, quindi, con il piccolo appartamento di Anna che al massimo poteva ospitare al suo interno una quindicina di persone e non di più, e il cui sistema di riscaldamento risaliva probabilmente al periodo post seconda guerra mondiale.
Eppure, nonostante non avesse nessuna delle comodità della casa di Fede, e Anna fosse una pessima oste, al contrario della sempre solare ed energica signora Gaia Canegallo, quel Natale era stato il Natale più bello che Edo avesse mai trascorso dopo la morte di sua madre.
Ancora adesso, ogni particolare di quella sera è impresso nella sua mente con una nitidezza incredibile, forse perché era il primo ricordo felice che stava costruendo dopo tanto tempo e la sua mente e il suo cuore l’avevano assorbito con la stessa necessità di un terreno che dopo lunghi mesi di siccità finalmente riassaggia la pioggia.
Ricorda i fili di luci colorate che lui e Cece avevano attaccato alle pareti e il piccolo alberello sgorbio e magro che Anna aveva dato loro il permesso di allestire qualche giorno prima e che se ne stava in un angolo solo e desolato con palline di vetro che Cece stessa aveva decorato con disegni improponibili, sui quali erano partite scommesse per indovinare cosa fossero (“Quello è un delfino?” “Ma che c’entra un delfino a Natale?”).
Ricorda il berretto osceno con cui Yuri andava in giro e che nessuno era riuscito a fargli togliere perché “mi si gela il cervello a stare qui!”, e la sciarpa a quadri rossa e nera di Anna, abbinata al vestito dello stesso colore e della stessa fantasia che Cece aveva deciso di indossare per quell’occasione così speciale.
Ricorda la faccia di Minnie quando Anna le aveva fatto vedere la cucina e ciò che avevano in frigo e il modo in cui aveva scosso desolata la testa, pensando forse ai bei manicaretti che avrebbe preparato a casa sua alla sua ciurma di nipoti, per poi rimboccarsi le maniche e assoldare volontari che la aiutassero a tirar fuori da quel frigo almeno una cena decente.
Edo era stato fra i primi a proporsi perché le torte di Minnie erano fra le più buone che avesse mai mangiato e aveva intenzione di scoprire qualcuna delle sue ricette per poi farle assaggiare ai suoi migliori amici che, come lui, andavano pazzi per i dolci. Specialmente Fede, che era zucchero dipendente da quando era nato e non si vergognava della cosa.
Per le nove di sera, Minnie e i suoi volontari avevano finito di preparare il tutto, (insalata di pomodori e fagioli, Shepherd’s Pie, Fish and Chips tirati fuori dal congelatore, torta al cioccolato) e per le dieci e mezza il tavolo era già stato liberato per far spazio ai vari giochi da tavola che Cece aveva tirato fuori per l’occasione.
Essendo al tavolo presenti ben quattro italiani (lui, Yuri, Anna e Teo) era stato messo sul tavolo anche un mazzo di carte siciliane e Yuri aveva insegnato agli stranieri presenti come giocare a Trentuno, Scopa, Cucù, Sette e Mezzo e altri giochi tipici del bel paese e che erano un must del periodo natalizio.
Minnie si era rivelata essere la regina dello scopone, mentre Anna era riuscita e entrare nuovamente in gara a Cucù dando il tormento a Simon (l’aiuto cuoco di Minnie), bisbigliandogli vai a vedere cosa all’orecchio fino a quando lui non ne aveva potuto più e le aveva urlato contro trasformandola da un fantasma a nuova giocatrice in gara.
Cece era riuscita a fare Tombola per ben tre turni di fila prima che Anna e Teo controllassero che non ci fosse nulla di strano dentro il sacchetto dei numeri, e poi Edo aveva ripulito le tasche di tutti a Mercante in Fiera, fra le urla di Anna e Trix e Teo che lo accusavano di essere il peggior mercante ladro mai esistito sulla faccia della Terra.
A mezzanotte, Minnie aveva tirato fuori lo spumante dal frigo, Trix era riuscita a trovare nel ripostiglio il karaoke che Anna aveva nascosto a Cece, e quest’ultima aveva indossato il suo cappellino da Babbo Natale e aveva richiamato tutti intorno al loro sbilenco alberello in cui aveva depositato i piccoli pensierini che aveva fatto con le sue mani e con tanto amore.
Mentre li distribuiva a uno a uno, i suoi occhi erano come giada verde che brillava sotto i raggi del sole estivo, ricolmi di pura e sincera gioia natalizia e, proprio per questa ragione, nessuno ebbe il coraggio di dirle che i suoi regalini avevano tutti delle forme strane e irriconoscibili e che il lavoro a maglia non faceva per lei.
Nemmeno Edo, (che per la sua famosa faccia tosta era stato minacciato di tenere la bocca chiusa dallo sguardo assassino di Anna, il quale prometteva una morte lenta e atroce per avvelenamento se solo fosse stato così crudele da spezzare il dolce cuore della loro esuberante coinquilina), se l’era sentita di dire a Cece la verità, e quando quest’ultima era andata da lui per consegnargli un piccolo portachiavi che raffigurava un bimbo dai ricci neri e una bimba dai capelli rossi da folletto che si tenevano per mano, cinguettando un: “Questi siamo noi due! Ti piace?”, si era ritrovato quasi costretto a reprimere una risata e a risponderle “È molto bello, Cece, grazie!” ricevendo in cambio un abbraccio stritolatore da parte della sua eccentrica coinquilina e uno sguardo bieco da parte di Anna che gli aveva fatto venire i brividi, tanto che, quando Cece se ne era andata saltellando a distribuire i suoi regali agli altri, e Anna lo aveva raggiunto, per salvarsi la pelle aveva provato a tirar fuori quel suo sorriso sbilenco e accattivante che di solito con le ragazze (vai a vedere per quale ragione) funzionava sempre.
Ma Anna, invece, gli aveva rifilato un pizzico sul naso e poi gli aveva detto sottovoce in maniera tale che solo lui potesse sentirla: “Ai bambini che dicono le bugie a Natale spetta solo il carbone.”
“Mi piace davvero!”, aveva provato a rimediare, insistendo con il suo sorriso sciogli gambe a cui Anna aveva risposto facendo roteare gli occhi al cielo.
“Certo, ci sto credendo...”
“A te cosa ha regalato?”
Anna lo aveva guardato storto, per poi portare le dita sul cordoncino che le pendeva intorno al collo e a cui era attaccato un portacellulare anch’esso realizzato a mano.
Edo se l’era rigirato fra le dita proprio come poco prima aveva fatto con il suo portachiavi, per poi alzare lo sguardo verso Anna e chiederle: “Che cos’è questa cosa che ha ricamato sopra? Una vanga?”
A quel punto, Anna gli aveva rifilato un’occhiataccia ancora più penetrante, strappandogli l’oggetto dalle mani, “E’ una chitarra, piccolo mostro!”
“E’ un regalo utile, visto che questo è...cosa? Il terzo cellulare che compri in un anno?”
“Non è certo colpa mia, se queste diavolerie moderne sono così fragili!”
“All’ultimo gli hai fatto fare una centrifuga in lavatrice a 90°. Pensavi davvero che sarebbe sopravvissuto?”
A quella frecciatina, lo scappellotto era arrivato puntuale e prevedibile tanto che sia Edo che Anna lo aveva accolto con una risata, prima che la donna gli portasse un braccio intorno alle spalle e gli dicesse, con affetto “Buon Natale, villa boy.”
Quella volta, il sorriso che gli era sorto sulle labbra era più autentico e più raggiante, tuttavia non per questo smise di darle fastidio.
“A me sembra proprio una vanga, comunque.”
“Ti ho detto che è una chitarra!”
Poco dopo, gli altri invitati si erano nuovamente radunati intorno al tavolo per aprire lo spumante e fare il brindisi.
L’onore dello stappo era ovviamente spettato a Yuri, il conciliatore, mentre a gran voce era stato richiesto da tutti che Anna facesse un discorso degno di memorare quell’occasione straordinaria, che li aveva riuniti tutti sotto lo stesso tetto il giorno della nascita del Bambin Gesù.
Anna, allora, aveva strappato dalle mani di Yuri la bottiglia e ne aveva tracannato d’un sorso l’intero contenuto rimasto, prima di salire sopra il tavolo ancora ingombro di carte da gioco, alzare la bottiglia verso il cielo e proclamare ai quattro venti una verità che a Edo sarebbe rimasta incisa nel cuore per sempre.
“Tutti voi qui riuniti siete la dimostrazione vivente che le famiglie tradizionali sono sopravvalutate, e che per essere una famiglia non serve avere lo stesso sangue e lo stesso cognome come molti ancora credono! Perciò, fanculo il mondo e grazie invece a tutti voi! Buon Natale!”
In seguito, mentre gli altri si riempivano i bicchieri per fare un altro brindisi con le lattine di birra, Edo aveva raggiunto Anna che si era messa vicino alla porta finestra della sua stanza per fumare in santa pace.
“L’inverno non mi piace molto” gli aveva confessato solo per avere una scusa per starle vicino e parlarle, rivolgendo lo sguardo sulla tempesta all’esterno, verso la quale anche gli occhi color ambra di Anna stavano puntando, “Ma la neve sì, incidenti a parte, trovo che sia rilassante. Non è strano?”
Anna gli aveva sorriso in quel suo modo enigmatico e un po' malinconico, che poteva significare tutto o niente, e poi dal nulla aveva tirato fuori un pacchetto regalo e glielo aveva dato.
“E’ per me?”
“Domanda cretina, villa boy.”
Dentro c’era una scatolina con una catenina e un ciondolo d’argento in cui era incisa la lettera “E”.
Anna ne portava al collo una uguale in cui era incisa la sua iniziale.
“Se è un modo carino per dirmi che adesso faccio parte della tua stessa setta, no grazie.”
“Possiedi lo stesso spirito di patata di tuo padre.”
In realtà non sapeva che dirle, non sapeva che valore dare a quel gesto, non sapeva se dovesse scoppiare a ridere o a piangere.
Non sapeva se quella incisa su quel ciondolo fosse la sua “E”, o la “E” di qualcun altro, qualcuno che non aveva mai conosciuto, dell’Edoardo che sarebbe potuto essere e che non era mai stato.
“Domanda cretina!” sarebbe stata di nuovo la risposta di Anna, e così Edo si era morso la lingua, aveva afferrato il ciondolo con la catenina e se l’era messa intorno al collo e, per qualche ragione inspiegabile, aveva deciso che non se la sarebbe più tolta, aveva deciso che quello era il legame, il nodo, che lo avrebbe tenuto per sempre legato a quel momento e ad Anna, alle parole che aveva pronunciato pochi secondi prima salendo sopra il tavolo con la bottiglia in mano e affermando, nell’impeto del momento, una verità che da quel giorno sarebbe stata la sua sola e unica ancora di salvezza, il suo solo e unico credo.
“La famiglia non c’entra con il sangue...”
« Frà, sei con noi? »
Con un colpo di cuscino sulla testa, Fede lo riscuote, riportandolo al tempo presente, e lontano dai fantasmi del Natale passato.
Edo si ritrova a passarsi una mano fra i capelli e ad annuire, mentre abbozza un sorriso poco convincete che, naturalmente, non sfugge all’occhio ben allenato di Federico.
« Tu non me la conti giusta, bro! » altro colpo gratuito di cuscino sulla testa, e non sono nemmeno le tre di pomeriggio, a fine serata o si sarebbe trovato con un bernoccolo o senza cuscino per dormire, « C’hai una faccia da quando sei tornato da New York! Me lo dici che cazzo è successo o ti devo per forza fare ubriacare? Che poi cominci a fare il filosofo della situazione peggio dello zio Pino! »
« Senza offesa, ma tuo zio Pino anche quando è sobrio spara cazzate. »
« Appunto! »
Quello sarebbe stato il momento giusto per parlare e svuotare il sacco, dire a Fede tutta la verità, sui suoi genitori, su Anna, su Yuri, su Miki, su quello che era successo durante la sua ultima notte a New York (“Se sei a New York... allora dovresti fare un salto in un locale che si chiama Sweet Poison.”), ed Edo è quasi sul punto di farlo, perché quello che ha di fronte è Federico e sa che Federico capirà, capirà e gli resterà a fianco come ha sempre fatto, Federico non starà lì a giudicarlo e non gli rinfaccerà la scelta che ha deciso di prendere.
Probabilmente, lo prenderà ancora a cuscinate, ma il giorno dopo sarà ancora lì a guardargli le spalle e a commentare ogni momento imbarazzante della vigilia che hanno appena trascorso nuovamente insieme.
« Ho parlato con Anna... » gli dice, sedendosi sul letto, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e lo sguardo basso.
Fede sospira pesantemente e si siede accanto a lui a gambe incrociate.
« Ritiro tutto. Se si tratta di Anna, allora è meglio se questo discorso lo facciamo dopo che ci siamo sfondati di brutto! »
Nonostante il casino in cui si trova, Edo ride di gusto alla battuta idiota del suo migliore amico e Fede lo segue, spezzando in un attimo la tensione che pochi secondi prima gli ha fatto irrigidire le spalle, i muscoli, il cuore.
Prende fiato e fa per dirglielo, per dirgli tutto, a cominciare dall’inizio, ma l’attimo dopo la porta si spalanca e Carolina, la sorella minore di Federico, fa irruzione nella stanza, correndo verso di loro sulle sue gambe da bambina e facendo oscillare il cerchietto con le molle a forma di alberi di Natale che porta sulla testa.
« Ma come ti sei vestita?! » la percula subito Fede, buttandosi sul letto e ridendo a crepapelle.
Carolina gli fa una linguaccia, prima di rivolgersi timida verso di lui.
« Ti piace il mio vestito, Edo? »
Per quell’anno, chissà per quale sadico motivo, la signora Gaia Canegallo ha pensato bene di far vestire la sua bambina come una piccola assistente di Babbo Natale, con un vestitino verde pino di velluto, abbinato a delle calze bianche a pois rossi.
È bruttissimo.
« Sei molto carina.»
Mentre Fede continua a contorcersi dalle risate, la sorellina fa una piroetta su se stessa e gli sorride raggiante, per poi voltarsi furiosa verso il fratello maggiore e rifilargli un calcio non così amorevole nello stinco.
« Delia ha detto che dovete sbrigarvi perché è l’ora “dei film di Harry Potter”, e che, se non ci sbrighiamo, non finiremo prima del cenone! »
La maratona dei film di Harry Potter è una delle tradizioni natalizie più importanti fra i fratelli Canegallo, i quali, per l’occasione, sono soliti preparare tonnellate di pop-corn e tirare fuori dagli armadi felpe, cappellini e sciarpe del colore della loro casa di Hogwarts da indossare con assoluto rispetto e orgoglio.
Anche Edo ha messo in borsa la sua felpa verde e argento dei Serpeverde, sotto lo sguardo confuso e divertito di Eleonora che non ha perso l’occasione per prenderlo in giro, piegata in due dalle risate.
Fede continua a fingere che la cosa lo annoi e che quella sia una tradizione da bambini, ma poi è quello che più si incazza alla fine del primo film perché: “Potter è un raccomandato di merda! La coppa era nostra quell’anno e quel piccoletto ce l’ha fregata solo perché è il cocco di Silente!”, e a cui vengono gli occhi lucidi ogni volta che guarda la morte di Sirius Black e la scena finale della Battaglia di Hogwarts.
Anche per questa ragione, il momento delle maratone è da sempre uno dei preferiti di Edo, forse per via dei numerosi siparietti comici fra Fede e le sue sorelle o delle luci spente del salotto con tutti loro seduti vicini sul divano sotto il plaid a mangiare pop-corn e a dimenticarsi del mondo reale, o forse, semplicemente, perché in quei momenti Edo può fingersi un Canegallo anche lui, dimenticare di essere un Incanti e solo immaginare di essere davvero il fratello di sangue di Federico. Immaginare che quella sia la sua casa, calda e accogliente e rumorosa, e che quella sia la realtà che ritrova ogni volta che ritorna a Roma.
E’ una fantasia che ha accarezzato più volte nel corso degli anni, e che non ha mai avuto il coraggio di svelare nemmeno al suo migliore amico.
« Edo? » lo chiama Carolina che, per via della cotta infantile che ha sviluppato nei suoi confronti, arrossisce sempre quando gli parla.
« Dimmi.»
« Ma i tuoi genitori sono volati in cielo come quelli di Harry Potter? »
Prima che Edo abbia il tempo di formulare una risposta e capire il reale significato di quella domanda, Fede è già intervenuto a rimproverare la sua sorellina per quella sua piccola domanda ingenua.
« Carolì! Ma che dici?! Ma come ti vengono in mente certe cose?! »
Edo vede la bambina stringersi nelle sue spalle magre, imbarazzata e confusa dal rimprovero del fratello, « Harry passa tutti i Natali dai Weasley perché non ha i genitori, proprio come Edo...»
Il suo ragionamento infantile fila a pennello, più di molti ragionamenti senza senso che Fede è solito fare di tanto in tanto.
Stavolta, Edo anticipa la possibile rispostaccia di Fede, tirando affettuosamente una delle due codine bionde della bambina.
« Hai ragione, Caro. La mia mamma è volata in cielo qualche anno fa, proprio come quella di Harry.»
« E il tuo papà? »
« Lui è vivo, ma lavora fuori e non può venire per le feste.»
« E non hai dei fratellini o delle sorelline come noi? »
Edo pensa ad Andrea, per un attimo si chiede dove sia, che cosa stia facendo, se stia bene o se stia come al solito annegando le sue angosce da qualche parte fino a distruggersi, poi però ricaccia tutto indietro e cerca di convincersi che la cosa non gli importi. Non più. Ricorda a se stesso che Andrea ha tirato troppo a lungo la corda tesa del loro legame fino a strapparla, e che quello strappo adesso è impossibile da ricucire, forse da entrambe le parti.
« Siamo noi i suoi fratelli e le sue sorelle! »
La risposta sentita di Fede fa sbarrare gli occhi alla piccola Carolina e sciogliere frammenti di ghiaccio siderale dal cuore di Edo, che lo ringrazia con uno sguardo riconoscente e un sorriso carico d’affetto.
« Ma non abbiamo gli stessi genitori...» cerca di capirci qualcosa la bambina, fissando entrambi con espressione confusa e con il sospetto che la stiano entrambi prendendo in giro.
« E allora? Quando sarai grande, anche tu sceglierai degli amici come nuovi fratelli e sorelle. »
« Ma quindi, quando sarò grande, io e Edo potremmo sposarci come Harry e Ginny? »
Quella domanda così innocente e diretta riesce a soffocare Federico con la sua stessa saliva e a mettere in imbarazzo lo stesso Edoardo, che pure è abituato a ogni sorta di dichiarazione d’amore da parte delle ragazze che costantemente gli vanno dietro.
Dopo essersi ripreso dall’attacco di soffocamento, Fede afferra la sorellina per le spalle e con fare esagitato le dice: « NO! Carolì, proprio no! Edo non è Harry, Edo è... lui è... VOLDEMORT! È brutto e cattivo! Ma come ti vengono certe idee?! Che schifo! Vuoi sposare Voldemort!? »
Il broncio di Carolina torna a gonfiarle le guance paffute, e la bambina salta su come una molla gridando ai quattro venti e sbattendo i piedini a terra di fronte alla reazione esagerata del fratello maggiore: « Tu sei brutto e cattivo! Ti puzzano i piedi e anche le tue scorregge sono puzzolenti! »
La faccia di Fede è impagabile, lo hanno chiamato in tutti i modi possibili e immaginabili a scuola (CaneCazzo, PazzoCane), ma nessun commento sembra averlo offeso e ferito nell’orgoglio più delle parole della sua sorellina di sei anni e mezzo.
« Non è vero! »
A quel punto, perché non riesce più a trattenersi dal ridere, Edo decide di intervenire a favore del cervello della situazione – Carolina, naturalmente – e ad avvalorare la tesi secondo la quale i fratelli si danno sempre man forte l’un con l’altro.
« Carolina ha ragione! Sei un esemplare di Canegallo puzzolente! »
« Sei un traditore del cazzo! Ti prendo a calci in culo da qui a-! »
« Federico! »
Dal corridoio che porta alla sala da pranzo, interviene urlando la voce perentoria della signora Canegallo, probabilmente perché ha sentito gli strepiti del figlio maggiore.
A quel punto, approfittando della distrazione generale, Carolina fa uno scatto verso la porta della camera, e Fede riesce ad agguantarla un secondo prima che esca e raggiunga la madre: « Mamiii! Fede ha detto una parola brutta! Ha detto ca-! »
« Canaglia mia! », strilla Federico, tappando la bocca alla sorellina e caricandosela in spalla come un sacco di patate, « Adesso ti porto in salotto a dare fastidio a Delia e Ileana! », ma prima di essere del tutto a sicuro dall’orecchio della madre, Carolina si libera e inizia nuovamente a urlare: « Cazzo! Cazzo! Fede ha detto cazzo! »
Edo, a cui ormai fa male la pancia per le forti risate, si sente allora nuovamente in diritto di intervenire per chiarire un punto importante della questione, « E fa gli scorreggi puzzolenti! »
« FEDE HA DETTO CAZZO E FA GLI SCORREGGI PUZZOLENTI! »
« SIETE DELLE MERDE TUTTI E DUE! »
« FEDERICO! »
« TUTTO APPOSTO, MÁ! CI VOGLIAMO BENE! »
 



FINE#4
 
 
 
 
 
 
 


N/A: Ben ritrovati a tutti! Questo quarto capitolo è stato di sicuro quello più difficile da scrivere fino ad oggi (forse perché siamo di molto fuori periodo, ed è difficile pensare al Natale quando fuori si superano i 35°!), ma anche quello in cui si tocca uno dei temi principali della storia di Edo.
Avrete senz’altro riconosciuto, infatti, la frase “La famiglia non c’entra con il sangue”, che è la stessa che Edo dedica a Ele nella nona puntata della terza stagione.
Inoltre, in questo capitolo troviamo anche il personaggio di Federico, il quale è uno dei “Chris Penetrator” dell’universo SKAM che mi piace meno, perciò sto cercando un po' di delinearlo a modo mio, andando oltre la semplice etichetta di “puttaniere guastafeste” e sperando comunque di non risultare OOC.
L’amicizia fra Edo e Fede è un’altra delle cose che avrei tanto desiderato vedere nella serie e che spero di riuscire a esplorare all’interno di questa mia storia, insieme ad altri personaggi come Chicco Rodi, Rocco Martucci ecc...
Il Prompt che ho usato in questo capitolo è il numero 45 (things you said during our first Christmas together) e il numero 44 (things you said when you give me my first present).
Come sempre, spero che la storia vi stia ancora appassionando e di poter ricevere una vostra opinione a riguardo.
Alla prossima,
BellaLuna 
  
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