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Autore: Lacus Clyne    26/07/2020    5 recensioni
Una notte d'inverno. La città che non dorme mai.
Un'ombra oscura al di là della strada, qualcosa di rosso. Rosso il sangue della piccola Daisy.
Kate Hastings si ritrova suo malgrado testimone di un efferato omicidio.
E la sua vita cambia per sempre, nel momento in cui la sua strada incrocia quella di Alexander Graham, detective capo del V Dipartimento, che ha giurato di catturare il Mago a qualunque costo.
Fino a che punto l'essere umano può spingersi per ottenere ciò che vuole? Dove ha inizio il male?
Per Kate, una sola consapevolezza: "Quella notte maledetta in cui la mia vita cambiò per sempre, compresi finalmente cosa fare di essa. Per la piccola Daisy. Per chi resta. Per sopravvivere al dolore."
Attenzione: Dark Circus è una storia originale pubblicata esclusivamente su EFP. Qualunque sottrazione e ripubblicazione su piattaforme differenti (compresi siti a pagamento) NON è mai stata autorizzata dall'autrice medesima e si considera illegale e passibile di denuncia presso autorità competenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Quando giunse la fine del turno, trovai Jace ad attendermi sulla soglia del Dipartimento. Aveva messo la tracolla e armeggiava col telefono.

– Lucy? –

Il suo sorrisone mi servì di risposta. – Davvero? Sappi che non sono ancora convinta di voi due, eh? – dissi, abbottonando il Lafayette.

– Sono un bravo ragazzo, sai? E tu signorina, sei la regina dei colpi bassi. –

Ridacchiai. – Il fatto che tu senta il bisogno di giustificarti con me e subito dopo mi attacchi mi fa pensare che non sia particolarmente certo su come porti. –

– Strizzacervelli. –

– Da quanto non esci con una ragazza, Jace? – domandai, facendogli l’occhiolino.

Si accigliò. – Ohi, che stai insinuando? –

Gli pizzicai la guancia e sorrisi. – Fammi indovinare. Hai passato la vita dietro a un pc e ora non sai come gestire certi rapporti? –

– Non è così… ho avuto una fidanzata. Alle medie. Ok, in realtà era una cosa platonica più che altro… però avrei voluto… è che non mi considerava… aaaah, uffa. Non siamo tutti come te e Trevor, sai? –

– Come me e Trevor? –

– Vi siete conosciuti a un concerto, no? Insomma, già mi chiedo che ci facesse lui a un concerto di Katy Perry… –

Ignorai la voglia di agguantare Lucy. – Era con sua sorella e con degli amici. –

– Ecco… io i concerti li vedevo solo online. Non quelli di Katy Perry. Preferisco più il metal. –

– Stiamo girando sui gusti musicali? –

– Com’è andata col capo? –

– Certo che a rigirare la frittata non ti batte nessuno... Ok, hai la mia benedizione con Lucy. E comunque… nulla di che, si trattiene ancora un po’, il vampiro. Ma quindi quella donna… Elizabeth… –

– La moglie di Alexander. Anzi, da oggi definitivamente ex. Ci hanno messo un bel po’ per ufficializzare, ma a quanto pare, Wheeler vuole sposarla e così… –

Sgranai gli occhi. – Frena, frena. Aspetta, a questo non ci ero arrivata. Non avevo capito che Graham fosse sposato… cioè, lo avevo anche immaginato, in realtà, ma cavoli… certo, si spiegano un po’ di cose… – riflettei, mentre lasciavamo insieme il Dipartimento.

– Eh già. Quando Graham ha scoperto che quei due avevano una tresca non ci ha visto più. Ah, Katie, avresti dovuto esserci e vedere quel momento… ti ricordi che erano in squadra insieme, no? Beh, sappi solo che non ricordo una scarica di pugni tra lui e Wheeler come in quell’occasione. Ci siamo dati un gran da fare per fermarli. –

Sobbalzai. – Si son limitati a quello? Conoscendo Graham mi sarei aspettata di peggio. –

Jace puntò verso la fermata dell’autobus. – Un’esecuzione? –

– A sangue freddo, scontro per l'onore. Sai, tipo… “Ti sei portato a letto mia moglie. Laverò l’onta nel sangue”. –

– Ehi Miss Vendetta, stiamo parlando di Graham. –

– E quindi? – domandai, mentre il bus si faceva più vicino.

– “Ti sei portato a letto mia moglie. Spero che ti sia piaciuto, perché ti farò fuori prima che tu abbia una seconda possibilità, stronzo!”, e giù a darsele di santa ragione. –

– In effetti… – commentai, immaginando la scena tra me e me.

Le porte del bus, intanto, si aprirono davanti a noi, quando mi accorsi di non avere con me il cellulare. Dovevo averlo lasciato in ufficio. Jace salì, ma si accorse della mia espressione. – Tutto ok? –

– Ho dimenticato il cellulare in ufficio. Vado a prenderlo. –

– Vengo con te? –

– No, vai. Prendo il prossimo. E se vedi Lucy, dille che le voglio bene, anche se mi tartassa di messaggi. –

Jace si mise a ridere. – Riferirò tra poco. E ti aspettiamo a casa. –

– Non mi dire… – lo salutai mentre l’autista ci chiedeva di muoverci e quando fu ripartito, tornai velocemente in Dipartimento. Mi affacciai in ufficio, ma di Graham nemmeno l’ombra. Pensai che fosse andato da Selina, così ne approfittai per riprendere lo smartphone, che avevo effettivamente lasciato sul divanetto.

– Che figura… come diavolo ti vengono certe idee, Kate? – borbottai tra me e me. Poi guardai la scrivania di Graham. In fondo, dovevo ammettere che metteva tristezza l’idea che fosse così solo. Quando uscii, sentii dei rumori ovattati provenire dai bagni. Probabilmente doveva trattarsi di lui, ma la parte del mio cervello che diceva di pensare agli affari propri parlava a voce troppo bassa per ascoltarla. Mi avvicinai prudente, cercando di capire che stesse succedendo. Magari si era sentito male. O peggio, aveva deciso di sfogare la rabbia prendendo a calci il WC. Oppure… sbirciai dalla fessura della porta principale rimasta semiaperta e ciò che vidi fu sufficiente a farmi vorticare l’orizzonte. Aprii di getto e corsi a fermarlo. Appoggiato al muro, stava armeggiando con uno spinello.

– Che diavolo fa?! – sbraitai, afferrando la mano che stava per compiere il misfatto. Graham scansò la presa, con uno sguardo diverso dal solito. Lo conoscevo poco, ma era evidente che dietro ad apatia, talvolta rudezza, ira, c’era un uomo arrabbiato con la vita. Ora, davanti a me, c’era un uomo che con la vita ci stava giocando pesante.

– Fuori dai piedi! –

– Se lo scordi! Si è bevuto il cervello? Che diamine spera di ottenere così?! Bravo, davvero. È così che pensa che le cose si sistemeranno?! Una canna e via?! Qui poi?! – urlai, facendo presa per fargli mollare il tutto.

– Che cazzo vuoi tu da me, eh?! Mi vuoi denunciare, per caso? Dai, accomodati. –

Strinsi i denti, poi mollai la presa e il suo braccio ricadde all’indietro, sbilanciandolo.

– Come se denunciarla servisse a qualcosa. Getti quella roba o gliela faccio ingoiare. –

Sgranò gli occhi per un istante e poi ghignò. – Divertente. –

– E lei è... – feci una fatica incredibile per non chiamare il mio capo cazzone. – Vuole sballarsi? –

Affilò lo sguardo, poi guardò lo spinello. – Ti sembra che voglia sballarmi? –

– No. Mi sembra che lei non abbia capito un accidente. La paternale alla banda di teppisti… come fottere la Polizia, la tiritera da sbruffone… è così che risolve le cose lei? –

– Sta' zitta. – mi fece eco, rialzandosi e gettando tutto via. Sostenni il suo sguardo più che potei, quando mi venne in mente una soluzione. Aspettai che finisse, poi mi sforzai di assumere quanto più possibile un’espressione risoluta.

– So io come può sfogarsi. –

Mi guardò seccato. – Sparisci dalla mia vista. –

Inarcai il sopracciglio, poi sospirai quanto più profondamente potevo e lo guardai di sottecchi. – Alexander Graham, il leader del Dark Circus, l’uomo più temuto e rispettato delle confraternite universitarie di Boston ha lo spavento facile? –

Mi rivolse lo stesso, identico sguardo, poi sospirò a sua volta. – Avanti, fai la tua magia e poi a dormire, bimba. –

Ricacciai volutamente indietro il vecchio stronzo che mi stava risalendo in gola e presi il cellulare. Era ora di fare la mia magia.


 *


Dopo aver tentato, senza successo, di convincere Graham ad affidarsi a me e a lasciarmi guidare la sua auto, ero riuscita infine a trattare sulla meta. E così, nonostante la sua perdurante perplessità, ci eravamo ritrovati ad Harvard. L’ultima volta che ci avevo messo piede era stato per accompagnare Trevor a ritirare la documentazione relativa alla sua carriera accademica. Chiesi a Graham da quanto tempo non vi si recasse e ottenni in risposta uno sguardo annoiato. Perfetto, la mia terapia d’urto cominciava sotto i migliori auspici.

– Che vuoi fare? – mi domandò invece, mentre mi sinceravo che non ci fossero occhi indiscreti nei paraggi. Mandai un messaggio rapido sia a Trevor che a Lucy, avvisandoli di un extra per cui mi sarei giustificata non appena ne avessi avuto l’occasione. Sapevo che soprattutto con Trevor, avrei dovuto essere convincente, ma speravo che la nascente affinità tra lui e il mio superiore sarebbe stata sufficiente.

– Niente domande. Venga con me. – ordinai, puntando a passo svelto verso le zone più interne del campus. Nonostante i mugugni di protesta, Graham mi seguì fino a quando arrivammo sul retro della palestra.

– Hastings. Non hai intenzione di farmi prendere a pugni qualche sacco da boxe, vero? –

Mi misi a frugare nella borsa alla ricerca di una molletta per capelli. – Penso che preferirebbe più prendere a pugni il detective Wheeler, ma sfortunatamente, non conosco il suo indirizzo. –

Mpf. Questa dovevo aspettarmela. Al contrario… – mi precedette, afferrando il pesante lucchetto con cui era sigillata la porta dell’uscita d’emergenza della palestra.

– Eccola! Sapevo di averla… mi di--

Non finii di parlare che mi prese la molletta dalle dita e si mise ad armeggiare con la serratura con maestria degna di uno scassinatore seriale.

– Aveva capito che cosa volevo fare? –

Uno sguardo apatico verso di me e il lucchetto aperto in poche mosse fu la risposta.

– Impara una cosa, ragazzina: se vuoi entrare in un luogo chiuso, devi solo sapere come infilare la chiave. Qualunque essa sia. – sentenziò agitando la molletta, per poi precedermi nella palestra. Sbuffai al pensiero di quanto fosse saccente e gli andai dietro, chiudendo la porta alle nostre spalle.

In realtà, quello che Graham non sapeva, e che scoprì nel momento in cui accesi le luci, era che dove un tempo vi era stata una grande palestra, ora c’era una piscina olimpionica. Ricordavo con piacere le volte in cui avevo visto Trevor farne uso. Sorrisi e corsi verso il bordo, investita dall’odore di cloro che ogni volta mi faceva starnutire, tant’era forte. Tolsi immediatamente scarpe e calzini, sedendomi vicino al bordo più alto, in modo da poter bagnare solo i piedi. Il contatto con l’acqua fredda fu rigenerante. Poi mi voltai verso Graham, che si guardava ancora intorno.

– Allora? Da quanto non veniva qui? –

– Qualche anno. Mi hai portato qui per rivangare vecchi tempi? –

– Mh. Dipende. Se lei ha voglia di farlo… – suggerii, facendogli cenno di raggiungermi.

– No. –

– A cosa? –

Sembrava a disagio. Avrei dovuto insistere un po’. – Prometto che non le farò scherzi da congrega come registrarla di nascosto o gettarla in acqua a tradimento e poi filmarla. Guardi, sto ferma qui. – gli feci notare, sollevando le braccia in segno di resa. Graham aggrottò le sopracciglia scure, poi si decise a raggiungermi. Alzai lo sguardo, notando la sua alta figura slanciata. Aveva infilato le mani nelle tasche del Berlin Coat nero e continuava a osservare la sala. Chissà quali ricordi stavano attraversando la sua mente. Mi alzai, sentendo i piedi leggermente intorpiditi a contatto col pavimento. Solo allora mi rivolse lo sguardo. Quegli occhi stavano ricordando il passato.

– Com’era allora? Prima di diventare un agente? Insomma, quando aveva la mia età, più o meno… –

Inarcò il sopracciglio, poi parlò. – Ero più giovane. Avevo ventun anni quando cominciò. Frequentavo Legge con scarso successo. Non perché non mi piacesse, anzi… ma mi mancava la motivazione. Avevo bisogno di qualcosa in più per capire se quella fosse effettivamente la mia strada. –

– Era indeciso? Non è stata una sua scelta? –

Un’altra esitazione. Dovevo fare attenzione con lui. Incrociai le mani dietro la schiena.

– Quando ho deciso di studiare Psicologia, i miei non erano d’accordo. Pensavano che sarebbe stato difficile farmi carico dei problemi degli altri. Però a me piaceva. –

– Sei una masochista? –

Affilai lo sguardo, punta. – Non tiri la corda. Certo che no. Ma non vedo nulla di male nel voler aiutare gli altri. –

Un sogghigno, mentre valutava le mie parole. Un po’ lui, un po’ io, doveva essere così.

– Eppure c’è gente a questo mondo che non vuole essere aiutata. Anche per via di persone simili facciamo questo lavoro. –

– Ciononostante la motivazione primaria è voler proteggere le persone. Non è così? –

Il riflesso della luce sull’azzurro dell’acqua richiamava lo stesso nei suoi occhi blu.

– Anch’io la pensavo così. Ma nel tempo, ho visto tanto di quel marcio che talvolta, mi viene davvero difficile credere che quello che faccio, legalmente, sia la cosa giusta. Quando creai il Dark Circus, dovevo capire chi fossi e cosa potessi fare. Volevo essere in grado di comprendere cosa spingesse al male. E mi ci immersi. –

Rabbrividii. I suoi occhi puntarono un tempo lontano.

– Fu divertente, all’inizio. Cominciai con fatti di piccolo conto. Qualche furto, sfide, ricatti ogni tanto. Giusto per accelerare la mia carriera accademica. La cosa più eccitante era farla franca e avere la sensazione di poter osare, sempre di più. Non avevo ancora coscienza del limite. Conobbi Selina e cominciammo a frequentarci. All’epoca, lei studiava con profitto, ma diversamente da me, era annoiata. Voleva bruciare le tappe, era impaziente. Ci divertimmo, in quell’anno. Fu lo stesso in cui decisi di fondare il Dark Circus, per sfidare le confraternite preesistenti. E di pari passo con la mia boria, crescevano anche i crimini. Droga, sesso, ricatti sempre più alti. Pestavo i piedi con facilità e ottenevo tutto ciò che volevo, tanto che col tempo finii con l’essere temuto. Ma sapevo bene fin dove potevo spingermi, stavolta, per non incorrere nella Legge che tanto studiavo. Ero incontrastato… e potente. –

Nell’ascoltarlo, mi resi conto che tutto ciò che avevo sempre sentito sul Dark Circus era dunque reale. Selina aveva alleggerito in qualche modo il carico, imputandolo alla spavalderia di un più giovane Graham, ma nel sentire dalla sua bocca quei racconti, non potevo certo affermare di non esserne sconvolta. Com’era possibile che l’uomo che avevo davanti fosse al tempo stesso due persone così diverse?

– P-Perché Dark Circus? Questo nome è inusuale… –

Mi guardò con la coda dell’occhio. – Ricordo ancora quando lo scegliemmo. Allora, eravamo in sei. Passavamo il tempo… come dire… in compagnia, a giocare. –

– Immagino che sia retorico chiederle di che giochi si trattasse, vero? – domandai, senza riuscire a nascondere nel tono l’imbarazzo che quei risvolti mi stavano provocando, mio malgrado. Graham alzò gli occhi al cielo, poi tornò a guardarmi, stavolta con un non so che di divertito.

– Hai mai visto Eyes Wide Shut? –

– Ecco, come non detto. –

– Non mi nascondo. E tu vuoi sapere come sono andate le cose. –

Distolsi lo sguardo, lui attese. Continuò solo dopo che fui in grado di ascoltarlo di nuovo.

– Era un po’ come un circo. Un circo oscuro, in cui giocavamo, l’uno dopo l’altro, partite pericolose. Giocavamo con le nostre vite e con quelle di chi ci stava intorno, ma cadendo sempre più in basso. E più affondavo in quell'oscurità, più l’eccitazione aumentava. Oramai, mi ero crogiolato talmente tanto in quel mondo di decadenza che cominciavo a pensare che mi sarebbe andata bene persino una vita al limite come quella. La sensazione di afferrare un coltello e di lanciarlo contro chi hai davanti, come una sorta di giocoliere, era inebriante. Così come lo era l’idea di un funambolo sospeso a diversi metri dal suolo senza rete di sicurezza. In fondo, era un po’ così. Sempre sul filo del rasoio. Ma non c’era nulla di buono in quello che facevamo allora. Cominciai a prenderne coscienza quando la incontrai per la prima volta. Elizabeth. –

Notai il modo in cui le sue labbra, mentre pronunciavano quel nome, si erano fatte più morbide, così come il tono, nostalgico, affezionato. Elizabeth doveva essere ancora importante per Graham. Posai una mano sul suo braccio, sentendolo irrigidirsi leggermente. Sollevò il viso, tornando a raccontare.

– A quel tempo, anche lei studiava qui, Economia. – sorrise appena. – Ci misi un anno intero per riuscire a convincerla che non ero così male come credeva. Ai suoi occhi, non ero altro che un perdente fallito col complesso del superuomo. –

Mi scappò una risatina. – Oppure uno schiavista mascherato da bel tenebroso? –

Inarcò nuovamente il sopracciglio, rivolgendomi un’occhiata bieca. – Questo ritornello sta cominciando a diventare un cliché. –

Affilai lo sguardo e lo ripresi. – Continui. Sono io a dover emettere una diagnosi. –

Nessuna replica, stavolta. Sospirò. – Un anno. Un anno in cui mi impegnai a dimostrarle che potevo essere la persona giusta per lei. Elizabeth era la sola in grado di tenermi testa. E più mi sfuggiva, più declinava ogni mio tentativo di approccio, più mi rendevo conto di quanto ne avessi bisogno. Oramai il nostro tempo da studenti era terminato, e lo era anche quello del Dark Circus. Poco a poco, Elizabeth era riuscita a tirarmi fuori dal fondo del pozzo. La sua dedizione, la sua testardaggine, e soprattutto, il suo amore, erano stati una lezione di gran lunga migliore rispetto alle mie malefatte. E quando mi disse di essere incinta, fu come se finalmente avessi aperto gli occhi sulla vita, quella vera. Tutto ciò che avevo fatto fino a quel momento, anzi no, tutto ciò che ero stato fino allora, era lontano anni luce, quando potemmo stringere per la prima volta la nostra Lily. –

Fui colpita nel sentirlo pronunciare per la prima volta il nome di sua figlia. Le emozioni che trasparivano dal suo racconto erano molteplici. Alexander Graham aveva un passato difficile, fatto di ombre più che di luci, indubbiamente, ma sentirlo parlare della sua famiglia, di come l’amore per Elizabeth e per Lily l’avessero reso una persona migliore, era straordinario e importante. Anche Jones parlava con orgoglio dei suoi figli, ma sapeva che ogni singolo giorno, concluso il lavoro, poteva varcare la soglia di casa e abbracciarli, sentirli chiamare papà a gran voce. Graham non poteva più farlo. Aveva patito il dolore più grande. Mi resi conto di quanto si sentisse in colpa. L’amore che a suo tempo l’aveva salvato, con la scomparsa di Lily, era diventato la fonte di tormento maggiore. E il passato, forse, gli aveva presentato il conto nel modo peggiore. Si era irrigidito, nel raccontare di come, soltanto pochi anni dopo, quando finalmente aveva la felicità lì, a portata di mano, il Mago avesse distrutto la sua vita come se questa fosse stata un castello di carte. Abbassai lo sguardo, pensando a quanto, in qualche modo, fossi stata superficiale nel giudicarlo. Non che capissi o che giustificassi il suo modo di fare o l’indole autodistruttiva. La mia famiglia e la morte di Daisy davanti ai miei occhi mi avevano insegnato che la vita andava preservata, quantunque difficile essa fosse, ma non potevo non riconoscere, nella voce rotta dall’emozione, mentre raccontava di quei terribili momenti in cui Lily era scomparsa, degli infiniti giorni di ricerca, del suo ritrovamento ad opera di Wheeler, di Selina, a cui spettò l’ingrato compito di eseguire l’autopsia, la disperazione senza fine di un padre che aveva perso la propria bambina. Mai, mai avrei voluto ritrovarmi in una situazione del genere. Non doveva esistere un dolore più distruttivo di quello. Mi chinai nuovamente, cercando di reprimere le lacrime che volevano uscire. Dovevo cercare di estraniarmi e di ricordarmi che eravamo lì per una ragione. Si voltò nuovamente a guardarmi. Dovevo essermi tradita, perché decise improvvisamente di porre fine a quella seduta sui generis.

– Basta così. –

– P-Perché? Stava entrando nel vivo. Insomma, posso aiutar--

Mi interruppe il palmo della sua mano premuto sulla mia bocca. Cercai di protestare, ma mi fece segno di rimanere in silenzio. Sgranai gli occhi, nello stesso istante in cui sentimmo un urlo provenire da lontano. Graham balzò in allerta e controllò l’orologio.

– Detective Graham? –

– Vai in macchina, aspettami lì. – ordinò, lanciandomi al volo le chiavi e correndo verso il portone che dava sui corridoi interni.

– Col cavolo! Così chissà che combina! – esclamai, raggiungendolo non appena riuscii a infilare le scarpe. Si guardava intorno, cercando qualcosa. Considerando che eravamo chiusi dentro, in quel modo, la sola via per accedere ai corridoi era uscire e fare il giro. Ma trattandosi di quel gran testardo, doveva necessariamente trovare un altro modo. E dato che non mi riprese per avergli disobbedito nuovamente, tant’era preso dalla sua ricerca, cercai di darmi da fare a mia volta.

– Che sta cercando? –

– Qualcosa che ho lasciato qui, qualche anno fa. –

– Eh?! Le sembra questo il momento di mettersi a fare ricerche del genere? –

– Abbassa la voce. – mi rimproverò.

– Lei è davvero strano, se lo lasci dire. – sibilai in risposta.

Un paio di colpi sul coperchio di una cassetta della corrente sporgente dal muro e dopo aver scostato dei cavi, che immaginai fossero parte dell’impianto di illuminazione della palestra, recuperò una chiavetta. – Mpf. Certe cose non cambiano mai. –

– E quella chiave? Aspetti… perché accidenti ha messo una chiave là dentro? –

Dovetti accontentarmi di un ghigno divertito. Cos’avevo risvegliato quella sera? Mi mostrò bene la chiave, poi con nonchalance e perfetta padronanza dell’ambiente, dopo aver coperto la mano con un lembo della manica della sua maglia, aprì il portone. Presi fiato, scambiandoci un ultimo sguardo. Avrei dovuto lasciare che se ne occupasse lui, da quel momento in poi.

– Andiamo. – disse, prendendo la Beretta d’ordinanza che fino a quel momento, aveva tenuto in una tasca interna del soprabito. Deglutii, poi finalmente, proseguimmo la nostra improvvisa indagine.

E fu così che ci ritrovammo ad addentrarci tra corridoi vuoti, nel silenzio irreale rotto dai nostri passi. Graham era teso, concentrato. Il poliziotto aveva ripreso il controllo. Del canto mio, cercai quantomeno di non essergli di impiccio. Mi fece segno di ascoltare. Agitata com’ero non riuscii a farcela subito, ma quando fui in grado di focalizzare l’attenzione, anch’io, come lui, sentii un suono ovattato, una specie di rantolo, provenire dal piano inferiore. Mi impedì di sporgermi dal parapetto in pietra delle scale interne, ma riuscimmo ugualmente a vedere di che si trattava. Mi si fermò in gola il respiro nel vedere una donna proprio al centro dell’antro inferiore, scomposta, nel sangue. Aveva fatto un volo da una scala di almeno quattro rampe. Graham fu veloce nel prendermi per mano e nel trascinarmi giù. Tuttavia, arrivammo tardi per poter anche solo fare qualcosa per aiutarla. Aveva battuto la testa e il sangue si stava diffondendo a vista d’occhio tingendo di rosso i capelli biondo scuro sciolti e il pavimento di pietra sotto di lei. Doveva essere nella trentina. La prima cosa che mi venne in mente fu che avesse potuto subire violenza. La camicia nera era strappata, aperta sul davanti, grondante sangue a livello dell’addome, mentre la gonna era abbondantemente sollevata. La sua espressione era terrorizzata. Notai dei lividi violacei sulle gambe nude e sui polsi, ma uno strano segno sul seno destro attirò la mia attenzione. Un tatuaggio, in parte nascosto dal bordo del reggiseno, che rappresentava un pugnale, sulla cui lama erano incise due lettere stilizzate: DC.

Mi voltai verso un meditabondo Graham. Per qualche istante lo percepii assente e dovetti richiamare la sua attenzione scuotendolo.

– Graham! –

Espirò, poi mi poggiò una mano sulla spalla e mi oltrepassò, prendendo l'Iphone. Fece in fretta, guardandosi intorno. Non capivo il motivo per cui si stesse comportando in quel modo. Dovevamo cercare aiuto, era la cosa più logica da fare. E quella donna decisamente non era precipitata da sola né tantomeno caduta dalle scale. Alcuni secondi e lo sentii prendere la linea.

– Maximilian. Sono Alexander. –

Sgranai gli occhi.

– Alicia Bernstein è morta. Dobbiamo parlare. Recupera Selina e Marcus. Ti raggiungo. –

Fissai lui, poi la donna. Alicia Bernstein. Una sua conoscenza e a quanto pareva, non solo. Il tatuaggio, quelle iniziali. Graham esitò nel sentire la risposta di Wheeler, poi confermò che l’avrebbe raggiunto presto. E quando chiuse, cercai spiegazioni.

– Ora mi dice che diavolo significa, detective Graham! Chi è quella donna?! Perché tutto questo mistero?! –

Quando mi puntò gli occhi addosso, mi sentii a disagio, ma mi resi conto che se avessi voluto venire a capo del problema, avrei dovuto essere forte. Si voltò appena, abbassando il bavero alto del soprabito.

– Guarda tu stessa. – disse, invitandomi ad aiutarlo. Mi avvicinai titubante, scorgendo il tatuaggio che avevo già intravisto la notte in cui avevamo incontrato il Mago. Sollevai le mani e scostai il bordo del suo maglione antracite, rimanendo a bocca aperta quando scoprii esattamente lo stesso disegno, solo più grande, con le stesse iniziali, tra collo e spalla destra.

– Il Dark Circus… – sussurrai, mollando la presa. Alicia Bernstein doveva essere necessariamente una dei sei membri del gruppo e ora era lì, con quel simbolo esposto a chiunque l’avrebbe trovata.

– Fai ancora in tempo, Hastings. –

Scossi la testa, aiutandolo a sistemare il bavero. – Il mio tempo è finito nel momento in cui il Mago è entrato in scena. Sono con lei, capo. Sono con lei. –

Nessun rimprovero stavolta. Se davvero volevo aiutarlo a venire fuori dal suo inferno personale, allora dovevo essere capace di affrontarlo. Graham assentì, poi si chinò appena verso il corpo esanime di Alicia.

– Troverò chi ti ha fatto questo, Alicia. – bisbigliò. Quando si rialzò, mi sembrò nuovamente determinato. – Wheeler ci aspetta. Andiamo. –

Annuii. Era ora di saperne di più.


 *


Durante il tragitto, approfittando di un silenzioso e meditabondo Graham, ne approfittai per chiamare Trevor. Era sera inoltrata ormai e dato che avevo un’infinità di notifiche e chiamate da quando avevo dato la mia sommaria spiegazione, non potevo più tergiversare.

« Kate, finalmente! Dove sei finita? » fu la prima, legittima cosa che mi disse.

– Ehm… scusami, Trevor. Abbiamo avuto un’emergenza. –

« Emergenza? Perché non sono stato avvisato? Lynch, qui gatta ci cova. Sei col capo, Katie, eh? » la voce sottintendente di un malizioso e presente più del prezzemolo nella minestra Jace.

« Levati di mezzo, tu! Kate?! » di nuovo Trevor. Misi la mano in faccia.

« Kate! Non puoi lasciarmi qui con questi due! Si sono messi a parlare di videogiochi come due nerd qualunque! » la protesta disperata di Lucy. Alzai gli occhi al cielo.

– Ok, voi tre. O la smettete e mi date ascolto o chiudo il telefono e ci rivediamo direttamente domattina, chiaro?! –

Silenzio in aula. Graham ridacchiò. – Vale anche per lei. –

« Con chi parli? Sento rumori di sottofondo. Sei in auto? » mi domandò Trevor.

– Sì, col capitano Graham. Abbiamo ricevuto una segnalazione per un… incidente. Stiamo cercando di capirci qualcosa. –

« Avete bisogno d’aiuto? » domandò Jace.

Guardai Graham, che fece segno di no. – No, non ancora. Ce la vediamo noi ora. Piuttosto, state tranquilli e non preoccupatevi per me, ok? Torno non appena risolviamo questa cosa. –

« Ti aspettiamo per cena? Stavo scaldando qualcosa, ma possiamo ordinare delle pizze. » La mia pazza, ma dolce Lucy. Sorrisi, pensando che nonostante tutto, aveva sempre un pensiero per me. – No, grazie. Ho mangiato al volo. – mentii.

« Kate, passami Graham. » la voce di Trevor, stavolta. Coprii lo schermo con la mano, rivolgendomi a lui. – Trevor vuole parlarle. Può? –

– Mettilo in vivavoce. –

Annuii ed eseguii il compito. – Parla pure, Trevor. –

« Detective Graham. »

– Signor Lynch. –

Cercai di non dare peso al batticuore che mi stava dando il tormento. Speravo che Trevor non facesse innervosire Graham, ma al tempo stesso, provavo un’inusuale sensazione di disagio nel sentire il tono serio e formale con cui si riferivano l’uno all’altro.

« Le affido Kate. Per favore, faccia in modo che non le accada nulla. »

Non mi ero resa conto di aver trattenuto il respiro fino a quando non lo lasciai uscire. Strinsi con più forza lo smartphone. Avrei voluto abbracciare Trevor in quel momento, per rassicurarlo da me del fatto che non aveva nulla di cui temere, ma compresi che quell’appello andava oltre. Aveva bisogno di sapermi al sicuro. E se questo passava anche per Graham, allora andava bene, in qualche modo. Lui sorrise, mentre rallentava nei pressi di una villetta illuminata.

– Assolutamente. È il mio lavoro proteggere le persone. –

Il mio capo dalla faccia tosta e bugiardo. Sospirai, pensando che quando voleva, sapeva bene dove puntare. – Trevor, sta’ tranquillo. Ci vediamo più tardi. – aggiunsi io, mentre Graham parcheggiava dietro a un Classe A.

« Fai attenzione. Ti amo. »

Sorrisi boicottando di proposito i sottofondi di Lucy e Jace. – Anch’io. Sempre. – lo congedai, prendendo fiato e rivolgendomi a Graham, che osservava l’abitazione.

– Cosa c’è? Qualche problema? –

Scosse la testa. – È da un po’ che non vengo qui. –

Guardai la casa, nel quartiere di Cambridge. Una familiare in perfetto e benestante stile americano, con un’ampia veranda sul davanti che ospitava un dondolo e una zona relax con tavolino e sedie in legno.

– Il detective Wheeler ha buon gusto, vero? Insomma, capisco che non sia facile per lei incontrarlo dopo quello che è successo oggi, però… dobbiamo concentrarci su Alicia Bernstein e perciò, i problemi personali… –

– Era casa mia. –

Trasalii. – M-Mi scusi… non lo sapevo. –

Fece cenno di lasciar perdere e scendemmo entrambi. La sua tensione era palpabile, tanto che dovetti ricordargli ancora una volta il motivo per cui eravamo lì. Per giunta, fu proprio Elizabeth ad aprirci. L’avevo giusto incrociata, poche ore prima, ma vederla per bene, in quel momento, fu strano. Aveva l’aria preoccupata dipinta negli occhi azzurri, molto più chiari di quelli del marito. Si avvolse intorno uno scialle a quadri, scostandosi per permetterci di entrare.

– Elizabeth. – la salutò Graham.

– Alexander. –

La freddezza con cui quei due si erano salutati mi fece riflettere su quanto dovessero essere difficili i rapporti tra loro. Mi sporsi nel notare che Elizabeth mi guardava perplessa.

– Signora Graham, sono Katherine Hastings. Lavoro con suo mari--

– Dekker. Elizabeth Dekker. So chi sei, Selina mi ha parlato di te. Piacere di conoscerti, dottoressa Hastings. – mi disse, con un sorriso nervoso sul bel viso.

– Se abbiamo finito con le formalità… – riprese Graham, tagliando corto ed entrando in casa. Elizabeth e io ci guardammo, poi entrai anch’io.

– Mi dispiace esser piombati così di soppiatto… –

La donna fece spallucce, mentre raggiungevamo il soggiorno.

– Non preoccuparti. Alexander è sempre stato irruente. Se c’è una cosa che so bene di lui è che non ama perdere tempo. –

Le sorrisi, convenendo. Ad attenderci trovammo il detective Wheeler, in tenuta molto meno formale rispetto alle occasioni in cui lo avevo precedentemente incontrato, Selina e il procuratore Howell, presenti come da richiesta. Nel vedermi, si rivolsero a Graham, chiedendo il motivo del mio coinvolgimento.

– Hastings sa del Dark Circus. Prima che ve la prendiate con me, è opera di Selina. – spiegò, prendendo posto su una larga poltrona in pelle e invitando tutti a sedersi.

– Non puoi fare come ti pare, Alexander! – protestò Wheeler, mentre Selina soffocava una risatina.

– Ho firmato i documenti del divorzio, ma finché non vengono depositati sono ancora proprietario di questa casa. E anche di questa poltrona. – rispose Graham, con la solita spocchia nei confronti del collega che gli aveva portato via la moglie. E se Wheeler era rigido, palesemente colpito dall’osservazione di Graham, Elizabeth sembrava a disagio. Mi chiesi se la cosa dipendesse dalla discussione che i due avevano avuto nel pomeriggio o se ci fosse altro. Raggiunsi Selina e il procuratore Howell, testimoni, come me, di scene che dovevano essere all’ordine del giorno, per loro.

– Vale ancora l’offerta di spedirli entrambi in Alaska? – domandai al gran capo.

– Probabilmente non basterebbe. – fu la risposta.

– Piuttosto, Kate… eri con Alexander? – mi chiese Selina, sottovoce.

Annuii. – Ho pensato che avesse bisogno di una scossa, dopo quello che era successo oggi… – evitai di raccontare il particolare del bagno del Dipartimento. Non volevo metterlo nei guai più di quanto già fosse, per di più davanti a qualcuno a cui teneva ancora, nonostante tutto. Osservai la fine eleganza di quel soggiorno. Dove c’eravamo noi, un tempo c’era stata una famiglia felice. Sul lussuoso caminetto in pietra, in particolare, tra le diverse foto che li ritraevano, vidi per la prima volta Lily, tra le braccia di mamma e papà. Tempi lontani. Elizabeth aveva i capelli più lunghi ed era bellissima. Con lei un più giovane Graham, decisamente meno scarmigliato di com’era adesso, gli occhi pieni di orgoglio. Entrambi guardavano la loro bimba, nel giorno del suo secondo compleanno. Il sorriso entusiasta di Lily, lo stesso di Elizabeth. I suoi occhi blu notte, gli occhi di suo padre. Era la bambina più bella che avessi mai visto e gli era stata tolta.

– Kate? – la voce di Selina mi riportò alla realtà.

– S-Scusi… cosa stavamo dicendo? –

Selina incrociò le braccia. – Alicia Bernstein è morta. Qual è il problema? –

– Siamo stati Hastings e io a trovarla. Anzi, a dirla tutta, eravamo presenti quando è morta. –

Lo stupore sui volti dei presenti si tramutò in dubbio.

– Eravamo nel campus di Harvard. Abbiamo sentito un urlo e quando siamo andati a controllare, abbiamo trovato il cadavere. – spiegai.

Wheeler affilò lo sguardo. – Tu hai talento nel cacciarti nei guai seguendo quest’idiota, vero? Che ci facevate lì? –

Quella domanda mi indispose e feci per rispondere, ma fui preceduta da Graham, che agitò a mezz’aria la mano.

– Rimpatriata, Maximilian. Ricordi la notte che organizzammo un festino in palestra? Ecco, stavolta c’era anche la piscina. –

Non so a che occasione si riferisse, ma se Wheeler ne parve seccato, Selina si mise a ridere.

– Davvero, Lex? Caspita, avresti potuto invitarci, ingrato. Sappi che mi ritengo ufficialmente offesa. –

– Selina. – la riprese Howell, ricevendo un occhiolino in risposta.

Guardai Elizabeth, che distolse lo sguardo. Graham stava correndo un po’ troppo, persino per me. E dal momento che non avevo alcuna intenzione di fare da oggetto delle frecciatine, intervenni.

– Quello che il detective Graham vuole dire è che la nostra presenza lì non era autorizzata. Ci siamo introdotti di nascosto e mentre eravamo lì, quella donna è morta. Il problema è che non abbiamo visto nessuno in giro e per di più… Alicia faceva parte della vostra confraternita. Per ragioni che ancora ignoro, a quanto pare il fatto che sia morta è un rischio per voi, o non mi spiego come mai uno che delle regole se ne frega abbia richiamato la squadra al completo. E a proposito, sappiate che mi ha lasciata di stucco il sapere che in passato abbiate fatto tutti parte del Dark Circus. – dissi, indicandoli uno per uno, con l’esclusione di Elizabeth.

– Già, Lex… non ho ancora capito il motivo. – ci fece notare di nuovo Selina, prima di tornare a rivolgersi a me. – Comunque originariamente eravamo in sei. Alexander, Maximilian, io, Alicia, Richard e infine si è aggiunto Marcus, dopo che il qui presente l’aveva sfidato alla roulette russa. –

– Oh. Lei è fissato con questa roba, eh? – domandai a Graham, che portò le dita alla tempia, sogghignando. Aveva assunto una posa solenne da fare invidia a un re.

– Marcus, non tarderà molto che il corpo di Alicia sia trovato. Devi fare in modo che l’indagine venga affidata a noi. – disse.

Howell aggrottò le sopracciglia scure. – Ho già abbastanza problemi quando si tratta di indagini congiunte dei vostri Dipartimenti. E sapete entrambi che quella zona non è di vostro appannaggio. –

– Bene. Se vuoi che quegli imbecilli del I trovino tracce della nostra presenza lì e ci colleghino alla morte di Alicia… insomma, non ci vorrà molto poi a fare uscire qualcosa sul Dark Circus. Il problema è che saresti tu a rimetterci di più, no? Almeno in termini di immagine. – replicò.

– Non accetto più i tuoi ricatti, Alexander. Se è competenza del I Dip--

– Non è questo il problema, Marcus. – sopraggiunse Wheeler, a sorpresa. – Una volta tanto sono d’accordo con Alexander. Non possiamo permetterci di saltare ora. Non finché non avremo risolto il caso del Mago. Lo devo a Elizabeth. – continuò, rivolgendole uno sguardo che valeva più di mille parole. Non lo conoscevo bene, ma quel modo di guardarla era inequivocabile. Per quanto se ne potesse dire, il detective Wheeler sembrava genuinamente innamorato di lei. Elizabeth, del canto suo, trattenne a stento un singhiozzo. Al contrario, Graham lo canzonò.

– Ecco il cavalier servente. –

– Alexander, smettila! – sibilò Elizabeth, esasperata. L’attenzione generale si focalizzò su di lei. Anche Graham guardò l’ex moglie, aspettando.

– Sai qual è il tuo problema? Che sei ossessionato. Sei talmente preso da te stesso che non ti rendi conto di quanto ferisci chi ti sta intorno. Abbiamo sofferto. Lo so, lo so bene. Ogni singolo giorno della mia vita, combatto con questo dolore infinito che mi squarcia il petto. E so che anche per te è così. Lily manca a tutti e nonostante tutti questi anni di insuccessi, continuo a sperare che arriverà il giorno in cui finalmente prenderete quel mostro che ce l’ha portata via. Ed è per questo motivo che ti chiedo, per favore, di smetterla di puntare il dito contro chiunque. Sei ancora arrabbiato con me? Bene. Anch’io sono ancora arrabbiata con te. Ma smettila di prendertela con Maximilian. Lui non c’entra niente. Sta facendo il suo lavoro. Ed è esattamente quello che dovresti fare anche tu. Dunque piantala di comportarti come l’arrogante ed egoista capo del Dark Circus e comportati come l’Alexander Graham che lotta per il bene. O cambi atteggiamento o puoi anche andartene ora e non pretendere altro. Chiaro? –

Era chiaro, sì. Ora capivo perché Graham diceva che era l’unica in grado di tenergli testa. Eppure se solo Elizabeth fosse riuscita a guardare oltre quella maschera da clown che aveva indossato, avrebbe visto quanto nonostante tutto, Graham le fosse ancora legato. Nel silenzio, rotto dai singhiozzi e dalle parole forti che gli aveva rivolto, quest’ultimo si alzò, sospirando. Mi accorsi di uno sguardo indugiato sulla foto che anch’io avevo guardato prima, poi si rivolse nuovamente al dottor Howell.

– Marcus. Per favore. Si è trattato di un omicidio. C’erano segni di lotta, a prima vista. Probabilmente, si tratta di un tentativo di stupro finito male, ma abbiamo bisogno di conferme. Se il suo assassino ci ha visti, allora potrà metterci in mezzo. Non voglio ritrovarmi a dover dare spiegazioni quando c’è un caso prioritario. –

Howell guardò altrove, poi storse la bocca. – Si chiederanno perché ho affidato l’indagine a voi. –

– Farò in modo di trovarmi lì domattina. Andrò a parlare col Rettore Chambers per l’indagine su suo figlio e così… –

– E i miei come li giustificherai? – intervenne Wheeler.

– Carenza di personale. Richiederò il tuo aiuto trattandosi di un caso delicato. –

– A proposito… Alicia lavorava lì, non è così? – domandò Selina, che nel frattempo, aveva raggiunto Elizabeth e si era seduta con lei sul divano color crema a tre piazze che dominava la sala. Dovevano essere parecchio amiche.

– Così pare. – rispose Graham.

– Alla fine, è l’unica di noi che ha voluto rimanere nell’ambiente. –

Nel sentirla, mi sovvenne la sesta persona. – E la persona che ha nominato prima? – domandai.

Un momento d’esitazione collettiva. Fu Howell a rispondermi. – Richard è morto in un incidente, poco prima che loro concludessero gli studi. Fu l’atto di chiusura del Dark Circus, in qualche modo. –

Portai la mano al cuore. Graham non mi aveva parlato di questo. Ma era anche vero che non avevo chiesto nulla. – P-Perché sembrate così a disagio nel parlarne? –

Graham mi raggiunse. La sua espressione era terribilmente seria, tanto che mi pentii di averlo chiesto, per un attimo.

– È successo a causa mia. Andiamo, ti riporto a casa. –

Sgranai gli occhi. Quanti scheletri aveva nell’armadio quell’uomo? Evitai di chiedere altro, ma sentivo che presto o tardi, sarebbe giunto il momento di saperne di più.

– Alexander. Un’ultima cosa. –

Ci voltammo entrambi verso il detective Wheeler.

– Evitiamo di coinvolgere troppa gente nei nostri casini. –

Sebbene capissi la motivazione di fondo, quell’invito non mi piacque particolarmente. Avevo capito di non essergli simpatica, e a dirla tutta, mi dispiaceva, essendo stata la prima persona a soccorrermi, quando avevo incontrato il Mago, ma avevamo vedute diverse su troppe cose. Graham fece un cenno col capo, poi mi prese con sé. Era ora di andare.


 * 


Il rientro fu silenzioso per entrambi. Troppi pensieri da rimettere a posto. Domande, da parte mia, che non avrebbero trovato risposta in quel momento, probabilmente. E da parte sua, non sembrava esserci voglia di conversare. Appoggiai la guancia sul palmo della mano, osservando la città in perenne movimento, poi chiusi gli occhi. La stanchezza si era fatta sentire, alla fine.

– Dovresti dormire di più. –

Aprii un occhio soltanto.

– Detto da un vampiro come lei non ci credo. –

Fece una smorfia, io mi stiracchiai. Lasciammo cadere quello scambio di battute così. E quando raggiungemmo il palazzo in cui abitavo, ne approfittai.

– Voglio che mi prometta una cosa. –

Aggrottò le sopracciglia. – Siamo già a questo livello? –

– In quanto sua terapeuta, sì. –

– Non ricordo di averti voluta in Dipartimento per farmi da strizzacervelli personale. –

Quelle parole mi stupirono più di quanto mi aspettassi. – Non… eeeh? È opera sua? Aaah, non mi faccia distrarre. – agitai l’indice davanti al suo viso, ottenendo uno sguardo contrariato in risposta.

– Mi deve promettere che non farà più uso di droghe. –

Batté le palpebre. – Non è una cosa che faccio abitualmente. Almeno non più. –

– Non mi interessa. Che lei ci creda o no, preferisco che stia fuori dalle sbarre. –

– Oh, meno male. Pensavo volessi farmi una ramanzina sulla salute. Niente contro, ma sono autodistruttivo dalla nascita. –

Quelle parole mi strapparono un sorriso. Mi stava sfidando. – Molto bene. Allora le comprerò un sacco da boxe con le fattezze di Wheeler. –

Stavolta toccò a lui ghignare. – Ci vediamo domani. Buonanotte, Hastings. –

Annuii e scesi dall’auto, poi mi venne in mente un particolare che mi aveva incuriosita.

– Avete tutti lo stesso tatuaggio voi del Dark Circus? –

Quella domanda lo stupì, ma non mi dette retta. – Buonanotte. –

Sbuffai. – Buonanotte a lei, capo. –

Ci lasciammo così, ma in qualche modo mi sentii ottimista.

Quando rientrai a casa, nel casino lasciato dai miei tre amici post cena, trovai Trevor addormentato sul divano. Feci attenzione a non svegliarlo e andai a prendere una coperta dalla mia stanza. Prestai orecchio sentendo vociare sommesso nella stanza accanto, quella di Lucy. A quanto pareva, avremmo fatto colazione con Jace, l’indomani mattina. Tolsi giubbino e scarpe e tornai nel soggiorno, accoccolandomi accanto a Trevor e coprendo entrambi.

– Kate… sei tornata… – bisbigliò, con la voce impastata dal sonno, stringendomi a sé.

– Certo, avevi dubbi? Dormi, amore, mh? – sussurrai, baciandolo all’angolo della bocca e chiudendo gli occhi. Mugugnò qualcosa che non capii e lasciando andar via i pensieri su quello che era successo poche ore prima, mi abbandonai anch’io al sonno.

 




**********************************

Buonasera e buona domenica!! Seconda parte (e finale) del IV capitolo. Stavolta, cominciano a complicarsi un po' le cose e comincia a svelarsi qualche altarino in più relativo al Dark Circus. Mi sono divertita a creare qualche accenno alla storia passata dell'ex combriccola e in particolar modo, di Alexander. E intanto, il primo dei casi "impegnativi" che attendono il V Dipartimento è dietro l'angolo ormai. Ringrazio la dolcissima Evee per starmi accompagnando in questo delirio e un grazie a chi leggerà e vorrà darmi un parere. Alla prossima!

 

  
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