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Autore: Soul of Paper    27/07/2020    5 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nessun Alibi


Capitolo 40 - Vite Parallele


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.



 

Il cuore in gola, ogni pensiero svanì in quelle sensazioni nuove, inspiegabili e talmente intense da sconvolgerla. E poi, in un secondo, in un “Vale!” soffiatole sulle labbra ed una leggera spinta sulle spalle, che la fece sbilanciare indietro sul divano, tutto svanì.

 

Riaprì gli occhi e vide quelli azzurri di Penelope, spalancati ed increduli. Ed improvvisamente temette di essersi fatta un film in testa ed avere frainteso tutto. Ma, anche se per pochi istanti, c’era stata pure lei in quel bacio, l’aveva sentita, non era possibile che fosse tutto a senso unico.

 

O no?

 

“Vale… hai… hai bevuto troppo vino. Mi sa che è meglio se ce ne andiamo a dormire e-”

 

“A dormire?” chiese, non volendo credere a quelle parole, perché si sentiva talmente a fuoco, in tutti i sensi, che dormire sarebbe stato impossibile, “non sono ubriaca! Anzi, non sono mai stata così lucida! È… è da un po’ che… che ci penso e… e che quello che provo per te è diverso da… da un’amicizia e basta. E… pensavo che forse anche tu-”

 

“Vale,” la interruppe, decisa, mettendole la mano sull’avambraccio. Valentina sentì una specie di scossa che la lasciò per un attimo senza fiato.

 

Possibile che la sentisse solo lei?

 

Eppure Penelope si affrettò a ritrarre la mano e poi proseguì, più seria, “ti… ti sono sempre piaciuti i ragazzi, lo so. Pure prima di Samuel. Non vorrei che… con tutto quello che è successo negli ultimi mesi con lui... e adesso… che sono settimane che stiamo da sole io e te…. Insomma, non vorrei che tu stessi confondendo un po’ le cose, magari perché ti senti sola o perché hai paura di cosa succederà quando tornerai a Roma.”

 

“Ma secondo te io ti… ti userei perché mi sento sola? Ma non mi conosci?!” esclamò, non potendo credere a quello che stava sentendo, che le faceva molto più male del rifiuto in sé.

 

“Non sto dicendo questo, Vale. Ma… mi è già capitato in passato di avere relazioni con ragazze che stavano ancora… scoprendo il loro orientamento. Ed alla fine hanno capito di preferire gli uomini e l’amicizia intanto si è rovinata, ovviamente.”

 

“A me questa sembra solo una scusa! Se non… se non ti piaccio e non sei interessata puoi dirmelo e basta.”

 

“Vale, non è quello. Tu... tu mi piaci, ma prima di tutto ti voglio bene e ci tengo troppo a te per rovinare la nostra amicizia con un esperimento.”

 

“Quindi se… se io fossi lesbica e basta, per te le cose sarebbero diverse?”

 

“Sì, ma non lo sei, Vale.”

 

“Ma come faccio a capire… a capire cosa sono se non ci provo neanche? Che poi… che c’è da capire! Mica ci vorrà chissà che, per sentire se una persona ti attrae, no? E… baciandoti lo so io cosa ho provato, e non puoi deciderlo tu per me!”

 

“No, non posso deciderlo io per te, ma posso evitarci una cazzata per il troppo vino. Quando sarai del tutto sobria ne possiamo riparlare, Vale, ma non prima,” sentenziò Penelope, decisa, posando il blocco da disegno sul tavolo ed alzandosi in piedi, “dai, che è meglio se ci dormi sopra.”

 

La delusione e l’incazzatura facevano a pugni dentro di lei, “guarda che non sono una bambina. E pensavo di essere io ad avere troppe paure, e che tu fossi quella coraggiosa. Ma mi sbagliavo.”

 

“Vale-” si sentì chiamare mentre, ancora furiosa, andava verso la camera della coinquilina di Penelope, che stava per il momento usando lei.

 

Ma non si fermò e sbattè la porta dietro di sé, alla faccia di Penelope e dei vicini.

 

*********************************************************************************************************

 

“Calogiuri, si può sapere che c’è? Già non hai mangiato quasi niente, e va bene che la mia pasta fredda magari non sarà stata il massimo, ma mo… sei stato talmente silenzioso stasera che, al confronto, quando ti ho conosciuto eri loquace.”

 

Lo sentì sospirare, seduto accanto a lei nel letto, nella stessa posizione in cui era da non sapeva nemmeno quanti minuti. Poi, finalmente, si voltò a incrociare il suo sguardo.

 

“Imma… lo sai che c’è. Ho visto la tua espressione quando… quando hai visto dell’udienza di divorzio. Non hai intenzione di andarci, non è vero?”

 

Lo sguardo deluso di lui era peggio di uno schiaffo, per non parlare del tono di voce rassegnato. Sì, la conosceva decisamente troppo bene.

 

“Calogiuri, se dubito se sia… opportuno andarci tra due settimane è solo perché… c’è di mezzo tutta questa storia di Valentina e dei ricatti. E… finché non ci si capisce qualcosa, non so se sia il caso che me ne vada via da Roma. A Matera, poi.”

 

“E lo capisco, Imma, ma… e se la situazione non dovesse risolversi a breve? Se… se i giornalisti continuassero ancora per tanti mesi… che succederà?”

 

“Calogiuri…” sussurrò, prendendogli una mano e stringendogliela forte, “il problema non sono i giornalisti ma… ma il ricatto ed il fatto che qui non sappiamo nemmeno se si tratti solo di paparazzi e basta. Se… se è solo per due foto sui giornali, non me ne sono preoccupata prima e non comincerò adesso. E poi… che io non sia più legalmente sposata sarà solo un vantaggio, sia per il lavoro, che per l’opinione pubblica. Anche se non è per quello che voglio divorziare.”

 

“Ah no? E per cosa?” le domandò e finalmente gli angoli della bocca gli si risollevarono in uno di quei sorrisi che tanto amava.

 

Per me, Calogiuri, prima di tutto. Quando una cosa è finita, è finita, e non ha senso tenerla in piedi. Non avrebbe senso nemmeno se… nemmeno se non fossi fortunata come sono e non c’avessi te a sopportarmi, nonostante tutti i miei casini.”

 

Si trovò stretta in un abbraccio e tirò un sospiro di sollievo, lasciandocisi andare.

 

Anche se una parte di lei temeva che prima o poi la pazienza di Calogiuri si sarebbe esaurita: ne aveva già avuta talmente tanta in quei mesi, più di quanta ne avesse mai avuta lei in tutta la vita sua.

 

*********************************************************************************************************

 

“Il sospettato ancora non è uscito? Ormai sono due giorni!”

 

“No, dottoressa: i ragazzi sono sempre rimasti in postazione e col maresciallo abbiamo fatto i turni per sorvegliare il feed delle telecamere. Ma niente.”

 

Era molto toccata dal fatto che il procuratore capo stesso si mettesse a fare un lavoro del genere, in un periodo in cui probabilmente avrebbe dovuto essere in vacanza, oltretutto. Ma molti della PG erano in ferie e poi, a parte loro tre, Mariani e Conti, nessuno in procura fortunatamente sapeva di quella storia. Ci mancava solo che lo scoprisse quel maiale di Carminati e a posto stavano!

 

“Siamo sicuri che… che non abbia un altro modo per lasciare quel condominio? Mi sembra molto strano, non crede?” domandò, sedendosi accanto a Mancini, nella sala trasformata per l’occasione in una specie di cabina di regia, con tanto di monitor e cuffie.

 

“Non penso che il sospettato sia ad un livello criminale tale da poter pensare che abbia bunker o cunicoli nascosti sotto casa, dottoressa, e-”

 

Nocche che bussavano alla porta interruppero la spiegazione e, dopo un “avanti!” del procuratore capo, la porta si aprì e comparve Calogiuri che, vedendola lì accanto a Mancini, fece un’espressione indecifrabile ma che non prometteva benissimo. Si rivolse poi al superiore, con un fin troppo professionale, “dottore, sono venuto a darle il cambio come mi aveva chiesto.”

 

“Sono già le diciannove? Qua dentro si perde il senso del tempo. Comunque, stavo spiegando alla dottoressa che il sospettato non si è ancora visto.”

 

“Prima o poi dovrà uscire… quei soldi, se non sono destinati del tutto a lui, li dovrà consegnare a qualcuno, no?”

 

“Già, Calogiuri. A meno che… questo qualcuno non vada a ritirarli. Persone con bagagli sospetti?”

 

“Non mi pare, dottoressa. Solo alcune signore con delle sporte della spesa, ma in entrata. A lei, maresciallo?”

 

“No. Visto l’orario, lo avrei notato sicuramente.”

 

Calogiuri aveva trascorso la notte precedente in procura ed era rientrato a casa mentre lei stava facendo ancora colazione, che per lui era stata praticamente la cena.

 

Pure quella notte le sarebbe toccato passarla in un letto vuoto, senza di lui.

 

Sentiva su di sé gli sguardi sia di lui che di Mancini. Era veramente come essere tra incudine e martello.

 

Non sapendo più bene che chiedere, si voltò verso gli schermi, quando vide un tizio avvicinarsi all’entrata posteriore del condominio.

 

Pareva avere sui trent’anni, forse anche qualcosa meno, un po’ robusto, con una maglietta firmata che gli tirava sulla pancia e dei jeans che, pure dalla telecamera, a distanza, parevano troppo stretti. Occhiali da sole a specchio sul ciuffo da gallo cedrone, i lati della testa rasati, completavano il quadro stranamente familiare.

 

“Io… io questo l’ho già visto da qualche parte!” disse, quasi in automatico.

 

“Come?” domandò Mancini, girandosi di scatto.

 

“Forse… forse anche io, dottoressa,” si inserì Calogiuri, con il tono di quando il forse significava che ne fosse certo al novantanove percento.

 

E fu in quel momento che arrivò l’illuminazione.

 

“Ma certo! La ricerca, Calogiuri! Quella che avevi fatto sui Mazzocca per-”

 

“Per capire chi fossero i camerieri?”

 

“Esatto! Puoi recuperarla?” gli chiese, orgogliosissima sia di come gli era migliorata la memoria, sia di quella famosa ricerca, che era stata un lavoro immane.

 

“Ne dovrei avere ancora una copia sul computer, per fortuna, che la dottoressa Ferrari è in vacanza. Con permesso, vado e torno.”

 

Non appena sparì oltre la porta, la stanza tornò in un silenzio che iniziò a farsi un po’ pesante.

 

“Era venuta qui pensando che ci fosse già il maresciallo e non io, non è vero?”

 

Improvvisamente rimpiangeva il silenzio.

 

“Dottore…” mormorò, sforzandosi guardarlo in faccia, anche se la tristezza che ci leggeva sopra la faceva sentire in colpa.

 

“Mi scusi, è stata una domanda stupida. Ed ingiusta. In fondo è normale, visto che avete una relazione e che lo sa tutto il mondo, ormai.”

 

Le scuse la stupirono ancora più di tutto il resto, ma non sapeva come rispondergli, perché non c’erano le parole adatte in una circostanza del genere.

 

“Non serve che dica niente, dottoressa,” aggiunse, sembrando leggerle il pensiero, e poi si voltò verso il computer, “però… da suo superiore, le consiglio di non passare la notte qui col maresciallo, che ci manca soltanto quel tipo di voci.”

 

Si sentì avvampare e balbettò un “non, non-”, finché realizzò che Mancini intendeva semplicemente a lavorare o a fargli compagnia, ed il viso le si fece ancora più bollente.

 

Mancini per fortuna non lo poteva vedere, dato che continuava a fissare uno degli schermi di fronte a lui.

 

“Ecco- mi.”

 

La voce di Calogiuri le fece fare un mezzo balzo. Stava sull’uscio, col portatile in mano ed un’aria stranita, probabilmente avendo notato la pesantezza dell’atmosfera.

 

“Dà qua, Calogiuri,” ordinò, cercando di apparire il più naturale possibile, e si ritrovò col computer in braccio.

 

Calogiuri era stato come al solito efficientissimo: il tizio che era entrato nel condominio poco prima li guardava da una foto in discoteca, con la mano sulla spalla di-

 

“Ma questo è Kevin Mazzocca!”

 

“Esatto. E questo è Stefano Mancuso. Sua madre è una Mazzocca, cugina del padre di Kevin.”

 

“Insomma… imparentato, pure se più alla lontana. A questo punto…”

 

“A questo punto mi sa che dietro a quelle foto c’è ben altro, dottoressa, e dobbiamo stare ancora più attenti. Sono felice di aver dato una protezione a sua figlia, ma pure lei-”

 

“Dottore, se sono arrivati al ricatto non credo vogliano colpirmi fisicamente ma… o costringermi a lasciarli in pace e a mettermi dalla loro parte, oppure… farmi perdere di credibilità, in vista del secondo grado di giudizio.”

 

“Sì, dottoressa, purtroppo è la cosa più probabile. Ma, con gente come questa, è meglio prevedere pure il peggio.”

 

“E mo che facciamo? Se quello si porta fuori i soldi…”

 

“Ne dubito, al massimo pochi alla volta. Cinquantamila euro per i Mazzocca sono niente, non credo si spingano a rischiare tanto per una cifra del genere. Penso che i soldi siano solo un pretesto, per tenerla in pugno, dottoressa, insieme alle foto.”

 

“Sì, ma… cosa facciamo, dottore? Mia figlia non può rimanere a Milano per sempre. E poi… e poi quelli arrivano pure all’estero, figuriamoci a Milano, e non può stare chiusa in casa all’infinito.”

 

“Lo so, ma… cerchiamo altre informazioni su questo Mancuso e di vedere se troviamo anche l’uomo che ha preso i soldi al parco. In base a questo decideremo il da farsi, va bene?”

 

“Senta… se io controllassi le telecamere, mentre Calogiuri fa la ricerca sui social? Che è decisamente più capace di me, e Conti e Mariani sono già esausti per i turni.”

 

“Va bene… meglio che non torni a casa da sola. Verrò domattina all’alba a darvi il cambio e domani lei, dottoressa, si prende la giornata intera di riposo. Niente scuse!” ordinò, con un’occhiata eloquente, prima di alzarsi in piedi e lasciarli da soli.

 

“Perché all’alba? Doveva venire alle sette a darmi il cambio…” esclamò Calogiuri, stupito, mentre prendeva il posto di Mancini.

 

“Perché non vuole che si sappia che abbiamo passato la notte qui insieme, Calogiuri, per motivi che puoi dedurre da solo.”

 

Le orecchie ed il collo di Calogiuri si fecero leggermente fucsia, ma poi si avvicinò pericolosamente e le sussurrò, “vuoi dirmi che… che non hai mai fatto un pensiero su noi due… in procura? No, perché io l’ho pensato. Anche se più a Matera che qua.”

 

Ma Imma, a parte sentire un brivido, ebbe una visione nitidissima di un sogno che aveva fatto su Calogiuri, dopo il quasi bacio nella Grotta dei Pipistrelli.  Lui che testimoniava per farla mettere in galera per alto tradimento nei confronti di Pietro.

 

“Che c’è? Ti è venuto in mente qualcosa sul caso?” le domandò, tornando serissimo, forse perché aveva riconosciuto e malinterpretato lo sguardo di quando si perdeva nei ricordi.

 

“Non sul caso, no,” mezzo balbettò, dandosi della cretina da sola, perché su una cosa Mancini aveva ragione: ci mancava solo quello!

 

“Mettiamoci a lavorare, Calogiuri, che se mi distrai e mi perdo qualche movimento e quelli escono, stiamo freschi. E tu inizia a cercare vita, morte e miracoli di quel Mancuso sui social.”

 

“Va bene… va bene…” annuì lui, iniziando a muoversi con una velocità impressionante tra diverse pagine internet.

 

Almeno su quello era molto più veloce di lei.

 

*********************************************************************************************************

 

“Ci sono novità, Calogiuri?” chiese, trattenendo a fatica uno sbadiglio dopo la notte in bianco.

 

Un conto era passarla ballando, con l’adrenalina a mille, un conto era cercare di stare sveglia guardando immagini sempre uguali per ore.

 

Non aveva forse più l’età per questo genere di lavori, non che normalmente sarebbero stati di sua competenza.

 

“No, dottoressa. Cioè… ho trovato varie foto con gente del clan, ma-”

 

“Ma?” gli chiese, perché si era interrotto di colpo.

 

“Guarda qua!” esclamò, col tono di quando aveva scoperto qualcosa e pure di grosso.

 

Voltò verso di lei lo schermo del portatile ed Imma per poco non scoppiò a ridere: in una foto di più di un anno prima, c’era Mancuso insieme al mega tamarro che aveva prelevato i soldi nella spazzatura. Era lui sicuramente, sebbene la maggior parte delle foto di Mancuso lo ritraessero con gente al cui confronto lei si vestiva sobria.

 

“Puoi scoprire chi è da questa foto?” gli chiese, trattenendo il respiro.

 

“Sì, sì, l’ha taggato! Cioè… ha messo il link al profilo di lui. Vediamo se riesco ad aprirlo.”

 

Pochi clic e comparve una pagina di un certo BigBoy93. Quel cretino era pure più giovane di Calogiuri, anche se li portava malissimo.

 

E, a parte una sfilza di foto a petto nudo in pose da macho palestrato, che erano a dir poco ridicole, Imma pregò che Calogiuri trovasse anche un nome ed un cognome.

 

“Qui lo chiamano… Nick. Immagino stia per Nicola. Ora controllo i Nicola sull’altro social, che di solito ci sono i nomi veri, se non i cognomi addirittura.”

 

Dopo un’altra sfilza di ricerche di cui lei non capiva nulla, apparve una lista di Nicola e, dai muscoli di una delle foto profilo, il cui proprietario aveva ritratto solo il bicipite, forse erano risaliti a quello giusto.

 

Trattenne di nuovo il fiato, mentre Calogiuri fece scorrere le foto. Ce n’era una in cui era con un altro ragazzo simil palestrato e due ragazzette troppo truccate, ma che difficilmente superavano i diciott’anni, per non dire altro.

 

Pure maiali!

 

“Non ha il cognome ma… ma se guardo tra i suoi amici… ha gente più… più su d’età che fa tutta Giuliani di cognome.”

 

“Cognome di Roma quindi. A parte che… su d’età…. Calogiuri, alcuni di questi la mia età c’avranno!”

 

“Va beh, dottoressa, ma tu te li porti molto meglio! E poi, secondo me, hanno qualche anno in più di te.”

 

“Calogiuri, non serve che mo cerchi di indorare la pillola e-”

 

Il rumore di una gola che si schiariva li fece voltare.

 

Mancini, sulla porta, con in mano un sacchetto di carta e due di quelle specie di bicchieracci di plastica per caffè all’americana, che le facevano orrore da sempre.

 

“Dottore!”

 

“Pensavo di trovarvi esausti ma noto che vi… tenete svegli,” commentò, con un sopracciglio alzato ed il tono un poco amaro, prima di appoggiare il tutto sul tavolo, “vi ho portato la colazione.”

 

Sentì un tuffo al cuore. Non solo per la premura in sé, ma perché erano della panetteria vicino al Pincio da cui l’aveva vista uscire quella mattina, quando quasi li aveva beccati mentre andava a correre all’alba.

 

Guardò l’orologio sul computer: erano le cinque e trenta del mattino.

 

“Ma a che ora si è svegliato, dottore?” chiese, quella sensazione al petto che peggiorò quando aprì il sacchetto e ci trovò i suoi amati bomboloni alla crema.

 

“Come al solito, dottoressa, non si preoccupi, ma per stamattina ho saltato la corsa. Vi conviene fare colazione ed andare prima che arrivino gli altri. Nel frattempo… sbaglio o avete scoperto qualcosa?”

 

“Sì, ma… lei ha fatto colazione, dottore?”

 

“A casa, come al mio solito. Allora? Mi racconta lei, maresciallo, che lasciamo mangiare la dottoressa in pace, che si è fatta il turno doppio?”

 

Calogiuri annuì, cavaliere quanto Mancini, e cominciò a spiegare.

 

“Allora… il sospettato si chiama presumibilmente Nicola Giuliani, o di madre fa Giuliani, giusto?” riassunse Mancini, dopo che Calogiuri ebbe finito di parlare.

 

“Esattamente, dottore. Questi sono i suoi profili, se vuole dare un’occhiata. Su uno, non avendo l’amicizia, purtroppo posso vedere poco.”

 

Mancini si prese il computer, mentre lei si stava finendo il bombolone e Calogiuri cominciava il suo. Aveva appena messo in bocca un sorso di caffè, ustionante per via della famigerata tazza in plastica, quando Mancini si bloccò dal suo clic intermittente e spalancò gli occhi.

 

“Ma questo…”

 

“Conosce qualcuno, dottore?”

 

“Sì, purtroppo sì,” rispose, girando il monitor e mostrando loro un uomo quasi più tamarro di Nick, ma che sembrava aver passato la trentina da un po’. Forse pure i quaranta.

 

“Si chiama Massimo Coraini. Ha un’agenzia fotografica qui a Roma e… non ha una bellissima reputazione.”

 

“Quindi… gestisce un gruppo di… paparazzi?”

 

“Esattamente. Potrebbe esserci di mezzo pure lui, non mi stupirei.”

 

“Possiamo… possiamo rintracciare i fotografi che lavorano nella sua agenzia? Magari riconosciamo qualcuno che abbiamo visto in Spagna.”

 

“Dottoressa… non è semplicissimo, perché molti di questi paparazzi sono freelance. Ma ci possiamo provare. Chiamerò qualche amico. Ora però voi, se avete finito, ve ne andate a riposare. Mi farò vivo io più tardi se ci sono novità.”

 

“Va bene, dottore,” acconsentì, tirandosi in piedi, da un lato felice di togliersi da lì, anche se loro tre insieme, assurdamente, funzionavano bene come squadra.

 

Ironia della sorte.

 

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Uscì dalla stanza, ancora mezza intontita dopo la notte praticamente insonne.

 

“Ti sei svegliata. Pensavo non uscissi più!”

 

Si girò di scatto verso la voce, sorpresa da quelle parole.

 

Non dal loro contenuto, che era pure vero - era quasi l’una del pomeriggio - ma dal fatto stesso che fossero state pronunciate.

 

Era dalla sera in cui l’aveva baciata che Penelope le aveva detto a malapena due parole. Ognuna se ne stava prevalentemente in camera sua. Lei per l’arrabbiatura, mentre Penelope sembrava sempre in imbarazzo.

 

Invece quella mattina, o forse sarebbe stato più corretto dire quel pomeriggio, ormai, la aspettava al tavolo della cucina, apparecchiata con la tovaglietta ed il necessario per prepararsi i suoi cereali preferiti.

 

“Ma… è successo qualcosa?” le chiese, in quella che era più un’affermazione, non tanto per la premura, ma per qualcosa nello sguardo di Penelope.

 

“Sì… mi ha avvisata mio padre, che sa che siamo amiche e…” disse, prendendo il tablet dal tavolo e porgendoglielo.

 

Vide l’immagine di una copertina di una nota rivista di gossip. La fece scorrere e, in uno dei riquadri, c’era scritto “La Pantera ruggisce in vacanza” e c’era un’immagine di sua madre e Calogiuri che si baciavano.

 

Fece scorrere l’immagine successiva ed era l’articolo completo. Non riusciva bene a leggerlo, ma le foto erano inequivocabili: sua madre in spiaggia con Calogiuri, a Maiorca - a giudicare da quanta gente c’era - ripresi mentre lui le spalmava la crema solare sulla schiena, e lei si reggeva il pezzo sopra del bikini fucsia. Sua madre e Calogiuri che si baciavano ad un tavolo di un ristorante, poi mezzi abbracciati davanti ad una nota discoteca ed, infine, una foto di loro insieme a Charles, ancora truccato, anche se vestito in borghese, di fronte al locale gay. Lei e Penelope erano state tagliate dalla foto.

 

“Ma… ma…”

 

“Non sono uscite foto nostre, Vale, almeno al momento. Però pensavo lo dovessi sapere subito,” spiegò Penelope, con aria preoccupata.

 

Non poteva darle torto: quelle foto avrebbero suscitato un casino forse ancora peggiore delle precedenti.

 

E temeva fosse solo l’inizio.

 

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“Fatemi uscire!”

 

Gridava, attaccata alle sbarre di una cella buia. Sentiva una goccia in lontananza che ticchettava, fastidiosa, rompendo il silenzio tombale.

 

“Fatemi uscireee!!!”

 

“Siete sicura che è quello che volete veramente, dottoressa?”

 

Si voltò, di scatto, e cacciò un urlo quando si trovò qualcuno a pochi centimetri dal viso. Ma poi lo riconobbe: era Calogiuri, vestito in alta uniforme, con un sorrisetto che le fece schizzare gli ormoni a mille.


Altro che paura!

 

“Calo-” fece in tempo a dire, perché si ritrovò pressata contro le sbarre della cella, ma non sentiva dolore alla schiena, solo un desiderio che la consumava da dentro.

 

Almeno fino a quando Calogiuri si staccò leggermente, ma tenendola ferma con le braccia, in modo che non potesse staccarsi dalle sbarre.

 

“Allora, confessate?”

 

“Eh?” gli chiese, la frustrazione che andava a mille.

 

“Confessate, dottoressa?” ripeté, continuando a tenersi appena appena al di fuori della sua portata, per quanto lei cercasse di divincolarsi.

 

“E cosa dovrei confessare?”

 

“Tutto,” le rispose, soffiandole sulle labbra, in un modo che la faceva impazzire.

 

“Altro che la convenzione di Ginevra, Calogiuri! Confesso tutto quello che vuoi, basta che-”

 

Fece appena in tempo a sentirlo nuovamente addosso, quando un allarme fortissimo rimbombò per la cella, facendole prendere un colpo.

 

Sentì caldo, troppo caldo, e spalancò gli occhi e vide, oltre le spalle di Calogiuri, fiamme arancioni e rossastre che avevano invaso la cella.

 

“Calogiuri, Calogiuri!” provò a chiamarlo, per avvertirlo, perché i capelli neri cominciavano a prendergli fuoco, ma lui continuò a baciarla, come se non le sentisse nemmeno, a non lasciarla andare, finché-

 

“Imma! Imma!”

 

Spalancò gli occhi di scatto, anche se per un attimo continuò a dimenarsi. Almeno fino a che non sentì una mano sulla spalla ed incrociò il viso di Calogiuri, che però la guardava preoccupato.

 

Non c’era nessun incendio: erano in camera da letto e lei si era intrappolata da sola nelle lenzuola. Era completamente fradicia.

 

“Imma, stai bene?” le domandò, e sentì una carezza su una guancia.

 

“Sì, sì… ho… ho fatto un sogno e-”

 

Ma si interruppe, perché l’allarme antincendio ripartì più forte di prima.

 

“Valentina…” sospirò, provando a liberarsi da quella ragnatela di lenzuola, ma Calogiuri le passò il telefono dal comodino.

 

“Sì, è la terza volta che chiama. Penso sia urgente, ma non riuscivo a svegliarti.”

 

Lo afferrò ed accettò la chiamata, con un “pronto!” che altro che dalla cassa da morto pareva uscito.

 

“Mà? Ma stai bene? C’hai il raffreddore?”

 

“No, è che… mi sono appena svegliata,” spiegò, affrettandosi a chiarire, di fronte al silenzio della figlia, “è che ho fatto il turno di notte con Calogiuri e-”

 

“Sì, immagino in che senso…”

 

“Valentì! E comunque abbiamo fatto veramente il turno di notte, in procura, cercando di beccare quelli che… va beh… sai di che parlo, no?” le chiese, perché non voleva discutere di certi argomenti per telefono.

 

“Sì, che lo so, mà! E appunto ti chiamavo per-”

 

“Ma è successo qualcosa? Tu e Penelope avete problemi o-”

 

“No, mà, io e Penelope al momento stiamo bene. Ma… immagino tu non abbia visto i giornali, allora.”

 

“Oddio, non dirmi che...!”

 

“Non sono uscite foto mie e di Penelope, ma… di voi due sì, purtroppo. Aspetta che te le giro. O è meglio che le mando a Calogiuri, che è più tecnologico?”

 

“Valentì!” sospirò, il cuore che le andava nello stomaco all’idea di quali immagini potessero essere uscite.

 

L’unica cosa che la faceva ben sperare era che Valentina non aveva parlato di traumi, e stavolta non scherzosamente.

 

“Senti… mandale sul telefono di Calogiuri, che almeno io e te possiamo restare connesse.”

 

“Guarda che puoi restare al telefono con me ed aprire le foto contemporaneamente ma… va beh… faccio prima così che a spiegarti come funziona.”

 

Sentì lo squillo familiare della suoneria di Calogiuri e lui prese il telefono e strabuzzò gli occhi.

 

Si mise accanto a lei, facendo scorrere le foto, ed Imma già si immaginava la reazione di Mancini, ma pure quella di tutta la procura, per non parlare dell’Arma. Anche se almeno il peggio, al momento, se lo erano evitati.

 

Una specie di ronzio nelle orecchie, che riconobbe essere la vibrazione del cellulare, ed Imma vide il nome del procuratore capo comparire sul display di Calogiuri, sopra alle foto.

 

“Valentì, ti devo salutare che ci chiama il procuratore capo, presumo le abbia viste pure lui.”

 

“Così la predica la fa a voi stavolta! Va beh… ci sentiamo dopo.”

 

Imma si affrettò a mettere giù e Calogiuri accettò la chiamata e mise il vivavoce.

 

“Dottore…”

 

“Maresciallo. Ho provato a telefonare alla dottoressa, ma era sempre occupato e quindi ho chiamato lei. Ho bisogno di parlare con entrambi.”

 

“La dottoressa era al telefono con la figlia, ora è qui, l’ho messa in vivavoce, dottore.”

 

“Dubito avrete avuto modo di vedere i giornali, ma-”

 

“Dottore, mia figlia mi ha mandato delle foto uscite su una rivista. La solita. Ce ne sono altre o è per queste che chiamava?”

 

“Ce ne mancano solo altre, dottoressa! Lei si rende conto di come saranno, anzi, di come sono già ora le reazioni dell’opinione pubblica? Tra… tra la foto in costume e… e pure con una drag queen!”

 

“E allora?! Al sole mi scotto e da chi dovevo farmi spalmare la crema sulla schiena, mi scusi? E per il resto… la drag queen è stata una delle conoscenze migliori di tutta la vacanza, anzi, di tutta la mia vita. Non mi pare che ci sia nulla di male, no, dottore?” sibilò, perché, pur aspettandosi quella reazione, la infastidiva comunque.

 

“No, dottoressa, non c’è nulla di male. Ma non parlo per me, parlo perché so benissimo la mentalità che c’è nei nostri ambienti, e pure in generale nella popolazione, soprattutto oltre una certa età, e-”

 

“Se la gente è omofoba è un problema loro, non mio, dottore. E la predica se la dovrebbero beccare loro e non io. Ci sono altre novità sul caso, o mi voleva parlare solo di questo?”

 

“Sto ancora facendo domande, dottoressa. Domani quando rientra in ufficio ne parliamo. Maresciallo, l’aspetto alle diciannove?”

 

“Dottore!” intervenì, perché le era appena venuta un’idea, “e se provassi a ricontattare l’uomo che ci ha scritto? Visto che sono uscite foto mie e di Calogiuri, pure dopo averlo pagato. Magari potremmo capire meglio quali saranno le prossime mosse, non crede? Anche perché dubito avessimo dietro uno stuolo di giornalisti: con tutti i vip che ci sono alle Baleari, proprio appresso a me e a Calogiuri, che siamo a malapena conosciuti, dovevano stare? Oltretutto oggi, se questa gente mi tenesse d’occhio, sapranno che non sono in procura, quindi forse è meno sospetto, no?”

 

“Va bene, dottoressa, mi tenga informato. A dopo, maresciallo.”

 

Calogiuri posò il telefono e le chiese, “sei sicura di…”

 

“Ormai qua dobbiamo arrivare fino in fondo, Calogiuri. Non ti preoccupare, prima la finiamo e meglio è.”

 

Lui non sembrava molto convinto, ma Imma, dopo un attimo di esitazione, compose un messaggio.

 

Ho visto le foto. A che gioco stai giocando?

 

Attese per un attimo la risposta ma, visto che non arrivava, si alzò e se ne andò in bagno, decisa a farsi una lunghissima doccia.

 

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“Imma…”

 

Le bastarono quelle due sillabe per capire che la risposta era arrivata, pure prima di notare l’apprensione negli occhi di lui.

 

Si buttò seduta sul letto ed aprì il messaggio.

 

Il gioco lo conduco io. I soldi erano per le foto di tua figlia, non per le tue. Ne ho ancora altre che i giornali troverebbero molto interessanti. Se non vuoi che escano pure quelle, voglio informazioni e scoop in anteprima sui casi, soprattutto sul maxiprocesso. Se sei furba, conviene sia a me che a te.

 

Sentiva, letteralmente, il fiato di Calogiuri sul collo e lo torse fino a poterlo vedere chiaramente, avendo la conferma che avevano avuto entrambi lo stesso identico pensiero.

 

“Bastardi!” lo sentì sibilare e le scappò un sorriso, nonostante tutto.

 

“Se non puoi sconfiggerli… unisciti a loro. O costringili ad unirsi a te. Visto che lo sanno benissimo che non era possibile mettermi a libro paga… hanno trovato un metodo alternativo. O almeno così credono. Prima mi chiederanno solo scoop, poi cercheranno di indirizzarmi per il maxiprocesso, avendo ulteriore materiale su cui ricattarmi per la mia… collaborazione con loro. Hai notato altro dal messaggio, Calogiuri?”

 

Ma lui scosse il capo, confuso.

 

“La grammatica, Calogiuri. La grammatica.”

 

“Che cos’ha che non va?”

 

“Niente! Ed è proprio quello che è strano. I primi messaggi erano brevi, semplici. Ma questo è uno che ha studiato, Calogiuri, o che comunque legge e scrive, che azzecca congiuntivi e condizionali. Non è un ciuccio. Ora, hai presente com’erano scritti i post di Mancuso e Giuliani? Va bene che stavano sui social, ma pure nei messaggi la gente non mi pare si sforzi molto, no? E quei post erano zeppi di errori e non di battitura, ma proprio di grammatica di base. Devi capire se quel Coraini ha studiato, anche se mi dà l’idea di sì. O almeno di essere fin troppo furbo.”

 

Calogiuri le sorrise e scosse di nuovo il capo, “hai un’idea di quanto sei bella quando fai così?”

 

“Quando faccio il mio lavoro, Calogiù?”

 

“Lo sai cosa voglio dire, dottoressa,” rispose, facendole l’occhiolino.

 

“Se… va beh… stupenda, proprio! Comunque mo gli rispondo che ci devo pensare. Poi tu riferisci a Mancini stasera e decidiamo come procedere, va bene? Che, d’accordo capire dove vogliono arrivare, ma non voglio nemmeno tirare troppo la corda, non che questa storia ci scoppi in mano, e poi finisco sì sui giornali, ma come La Corrotta di Matera. Che continuo a preferire la Pantera, sinceramente.”

 

“Pure io, dottoressa, pure io,” le rispose e si sentì stringere in un altro abbraccio del quale aveva veramente bisogno.

 

La sua vita non era mai stata semplice, ma ultimamente sembrava non ci fosse un attimo di tregua. E pure quelli, bellissimi, che aveva, anzi, che avevano avuto, mo toccava pagarli con gli interessi.

 

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“Dottoressa, sempre mattiniera, vedo.”

 

Si erano incrociati all’ingresso ed erano appena le sette e trenta. Ma senza Calogiuri faticava a riposare bene e poi voleva parlare a lui e Mancini appena possibile. E sapeva che il procuratore capo, in teoria, doveva dargli il cambio alle otto.

 

“Posso dire lo stesso di lei, dottore. Volevo ancora ringraziarla per… per i turni di dodici ore che si sta facendo in questi giorni, con tutto l’altro lavoro che ha da smaltire poi.”

 

“Dottoressa, che questa storia finisca bene è anche nell’interesse mio e di tutta la procura e poi… e poi sa, a fare il mio lavoro, un po’ manca il contatto diretto con le indagini. Anche se il suo è fin troppo diretto.”

 

Imma sentì un calore a tutto il corpo, finché realizzo, dall’occhiata del procuratore capo, che pareva più imbarazzato di lei, che i sottotesti su lei e Calogiuri non erano voluti. Evidentemente si riferiva solo alla sua abitudine di giocare all’investigatore, come le rinfacciavano sempre in troppi.

 

“Volevo… volevo parlare con lei e Calogiuri del da farsi, dottore, immagino l’abbia aggiornata.”

 

“Sì, dottoressa. Ed ho i risultati delle ricerche che le avevo promesso. Vedo che ha portato la colazione al maresciallo,” disse, indicando il sacchetto di carta ed il thermos che teneva in mano, “se andassi a prendere due caffè al bar e ne discutiamo con calma?”

 

“Va bene. Ma stavolta offro io, dottore.”

 

“Dottoressa, mi aspetti col maresciallo, è un ordine,” rispose con un sospiro.

 

In certe cose si somigliavano fin troppo. Per fortuna e purtroppo.

 

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“Riconoscete qualcuno?”

 

“Questo!” esclamarono all’unisono lei e Calogiuri, indicando la stessa foto, tanto che le loro dita si scontrarono.

 

“Scusa- temi, vi siete fatta male?” le chiese lui, preoccupato, recuperando in corner con il voi.

 

“Se siamo solo noi tre può pure non dare del voi alla dottoressa, maresciallo, che è quasi ridicolo, vista la situazione,” sospirò Mancini, bevendosi l’ultimo sorso del suo caffè, forse per mascherare l’espressione non esattamente felice, “comunque, quello che avete indicato è un fotografo che si fa le stagioni nelle località turistiche dei vip. Inverno Cortina, estate le Baleari, anche se molte delle sue foto sono state scattate ad Ibiza e a Formentera.”

 

“Dov’è che lo abbiamo visto, Calogiuri? Perché con tutta la gente che c’era mi sfugge, ma sono sicura di averlo visto!”

 

Non potè evitare di intenerirsi un poco quando vide l’espressione concentrata di lui, che improvvisamente si aprì in un sorriso, “quando siamo usciti dal locale con Melita. Mi sono guardato bene intorno e…”

 

“E stava vicino alla fermata del bus. Ci è pure salito!”

 

“Sì, ma non è sceso con noi, per fortuna….”

 

“Melita chi è? La drag queen?” si inserì Mancini, confuso.

 

“No, la drag queen è Charles, in arte Kiki. Melita è una ragazza immagine che era stata aggredita da dei tipi poco raccomandabili di Maiorca. Era in quell’altro locale, ci hanno fotografati all’ingresso però, o meglio, hanno pubblicato foto all’ingresso, non all’uscita. L’abbiamo accompagnata a casa.”

 

“Forse essendo in tre la foto era meno interessante?”

 

“Calogiuri, temo che, essendo in tre, la foto poteva essere pure più interessante, se interpretata in un certo modo.”

 

Fu assordata da un attacco di tosse in dolby surround, perché anche a Mancini doveva essere andata di traverso la saliva.

 

Uomini!

 

Li lasciò sfogare per un attimo, sperando non soffocassero lì, e poi Mancini finalmente ruppe il silenzio, rochissimo rispetto al solito, “ho fatto anche un po’ di domande su Coraini. Ed effettivamente è laureato in giornalismo e comunicazione. Poi ha… scelto un’altra strada, ma la cultura ce l’ha. Ho trovato alcuni suoi pezzi di molti anni fa e non scriveva neppure male. Mancuso si è ritirato in seconda superiore, dopo essere stato bocciato due volte. Giuliani è uscito col minimo da un corso professionale.”

 

“In ogni caso, difficilmente l’hanno mandato loro l’ultimo messaggio. Legami tra Coraini e i Mazzocca? A parte la conoscenza con Giuliani, che conosce Mancuso.”

 

“Dottoressa, quello conosce tutti, brava gente e disonesti. Si sospetta da tempo che abbia un database di nomi e… informazioni sensibili per ricattare la gente. Ma sono sempre state solo voci, che quello era meglio non inimicarselo.”

 

“Quindi potrebbe ricattare altra gente qua in procura?”

 

“Non lo so, dottoressa. Qualche anno fa un assessore si era suicidato, dopo essere finito su tutti i giornali, per essere stato beccato in auto con una prostituta transessuale. E c’erano state varie transazioni bancarie sospette, finché ad un certo punto aveva smesso di pagare, poco prima che uscissero quelle foto, perché la moglie aveva scoperto il conto prosciugato e gli aveva fatto levare la firma. Il suo collega che si occupava del caso, e che ora lavora a Genova, era convinto che c’entrasse l’agenzia di Coraini con quelle foto e con quelle transazioni ma… non è mai stato possibile dimostrarlo. Come vede si affida sempre ad una rete di persone che fanno il lavoro sporco per lui.”

 

“Uno così è un ottimo alleato per una famiglia come i Mazzocca. Ed i Mazzocca sono ottimi alleati per uno così,” sospirò, perché il collegamento era chiaro ma due foto sui social ed un messaggio dalla buona grammatica non erano certo prove schiaccianti, “e mo che facciamo, dottore? Io sono preoccupata di cosa potrebbero combinare. E non parlo solo delle foto.”

 

“Sì, condivido le sue preoccupazioni sul fatto che potrebbero decidere di far uscire questa storia dei cinquantamila euro, per farle perdere di credibilità. Anche se forse a libro paga fa loro più comodo, ma sanno anche che lei non è stupida, affatto. E poi non è un’agente speciale dei ROS, farle fare l’infiltrata non rientra nel suo lavoro ,e non voglio mettere più a rischio lei e sua figlia. Ma ho un piano.”

 

“E cioè?”

 

“Qua l’unico modo per uscirne è con le intercettazioni ambientali. Voglio convocare per interrogarlo Giuliani: sicuramente non parlerà, ma è per mettere la pulce nell’orecchio agli altri senza scoprire del tutto le carte. Prima però, voglio far piazzare delle cimici a casa di Coraini per registrare la sua reazione e quello che farà nei giorni successivi.”

 

“Ma… ma come pensa di fare, dottore?”

 

“Coraini ha un punto debole: le belle donne. De Luca mi ha raccomandato una sua collega, bravissima, oltre che a molto avvenente. Deve farsi abbordare da lui al locale che frequenta di solito e poi… al resto ci pensa lei.”

 

“Ma… ma ci dovrà finire a letto?” chiese, preoccupata, perché non voleva di certo avere un’altra donna sulla coscienza.

 

“Ma no, dottoressa, in questo genere di operazione è più che capace a cavarsela, stia tranquilla. Con le sostanze che girano in certi ambienti… basta poco per stordire qualcuno.”

 

“Sì, ma questo vale pure per l’agente, non solo per il Coraini, dottore!”

 

“Sarà sotto controllo, ovviamente, dottoressa. Sono professionisti, non deve preoccuparsi.”

 

“E quando sarebbe quest’operazione?”

 

“Se riusciamo, già stasera. Se va in porto, domani andiamo a prelevare Giuliani e lo portiamo in procura.”

 

“Ma… e le foto? Come minimo le faranno uscire subito, come sapranno che… che non ho realmente ceduto al ricatto.”

 

Non era tanto per lei e per la sua carriera, ma per Valentina che era preoccupata. Lei quella vita se l’era scelta e sapeva che essere al centro dell’attenzione mediatica poteva esserne una conseguenza, per quanto sgradita, ma sua figlia no.

 

“L’unica cosa è anticiparli noi, dottoressa,” rispose Mancini, serissimo.

 

“Cioè… vuole dire… pubblicarle noi? Ma è impazzito?!” chiese, non potendo credere alle sue orecchie.


“No, dottoressa, ovviamente no, anche se ci sono ragazze dell’età di Valentina che sui social altro che quello pubblicano! Intendo dire che… deve rilasciare una dichiarazione, nella quale spiega la situazione ed il ricatto in corso. Questo servirà sia a prevenire problemi per quei cinquantamila euro, sia a mettere ulteriormente la pulce nell’orecchio a Coraini, sia possibilmente ad evitarci che quelle foto escano.”

 

“E come?” domandò, perché non capiva in che modo ammettere l’esistenza di quelle foto non avrebbe invece scatenato una caccia tra le riviste ad accaparrarsele.

 

“Ieri sera ho messo giù due righe di massima, poi ovviamente ci deve lavorare su lei, perché non devono risultare impersonali,” proclamò, passandole un foglio scritto a mano nella sua solita grafia elegantissima.

 

Spalancò gli occhi, incredula, e poi le scappò una mezza risata. Poteva funzionare, poteva davvero funzionare!

 

“Lei… lei è un genio, dottore!” esclamò, prima di potersi trattenere, e Mancini, che già non si era del tutto ripreso dall’imbarazzo precedente, divenne ancora più rosso.

 

Sentì, ancora prima di vederla, l’occhiata di Calogiuri: molto fastidio ed un po’ di delusione. Forse avrebbe dovuto imparare a contare fino a dieci prima di parlare, ma non poteva non dare a Cesare quello che era di Cesare.

 

“Se ci lavora su oggi, dottoressa, poi possiamo rivedere la bozza, prima di metterla sui social.”

 

“Sui social? Ma pensavo… pensavo lo mandasse a quel giornalista, Frazer.”

 

“Paul non lavora coi quotidiani e, in un caso come questo, agire direttamente è la cosa migliore, fa più presa sulle persone. Dovrà crearsi un profilo social, dottoressa, poi può scriverci anche solo quello, ma-”

 

“Ma mi ci mancano solo i messaggi minatori o degli infoiati sui social, dottore!”

 

In quei giorni, con la maggiore attenzione puntata addosso dai giornali, si erano scatenati di nuovo con le email. Ed il peggio era che Asia era in vacanza, quindi toccava a lei cestinarle.

 

“Può scegliere da chi riceverli i messaggi privati, dottoressa. Può pure evitarli del tutto. Sono sicuro che il maresciallo le può spiegare come funziona, non è vero?”

 

Calogiuri si limitò ad annuire, sembrando sempre meno entusiasta.

 

Ma era un’idea buona quella di Mancini, social o non social.

 

E non aveva alternative migliori.

 

“Ne parlo con mia figlia, dottore, e le faccio sapere.”

 

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“Pronto, mà?”

 

“Valentì! Ma dov’eri? Che mi sono spaventata!”

 

“Ero a farmi una doccia, mà, che non si può più?”

 

“No, ma… hai una voce un po’ strana, Valentina. Sei preoccupata per… per la storia delle foto?”

 

“No,” rispose, secca, e poi sospirò.

 

Valentina non gliela raccontava giusta, ma non era quello il momento di approfondire.

 

“Valentì… devo… devo fare una dichiarazione pubblica, dalla quale si capirà che… che quelle tue foto esistono. Vorrei poterlo evitare ma… ma forse è l’unico modo per impedire che vengano pubblicate. C’è un giro grosso dietro ed è… ed è complicato. E quelle foto comunque continueranno a esistere, come una potenziale minaccia.”

 

Silenzio.

 

“Valentì?”

 

“Mamma… e che ti devo dire? Tanto lo so che… che farai di testa tua, sul lavoro, poi!”

 

“Qua non è solo lavoro, Valentì. Sei tu, che vieni prima di tutto, anche se non ci credi. Ma non voglio che ti trovi con questa Spada di Damocle sulla testa per chissà quanto e… e se prendiamo la gente coinvolta… c’è il rischio che le facciano subito uscire online. Ti fidi di me?”

 

“Dissero quelli sul Titanic prima di morire affogati!”

 

“Veramente uno è morto per assideramento e l’altra si è salvata, Valentì, ma non è questo il punto. Allora?” tagliò corto, perché lo sapeva anche per lei che per sua figlia non era affatto facile, ma non c’era una soluzione perfetta.

 

“Posso sapere cosa dovrai dichiarare, mà?”

 

“Non per telefono, Valentì, ma… diciamo che l’obiettivo è fare sentire non solo criminali, ma pure stronzi, chiunque le dovesse pubblicare. Non posso dirti di più.”

 

“Va… va bene, mamma. Però… avvisami subito quando la pubblichi, va bene? E… e menzionerai Penelope?”

 

“No, Valentina. Dirò solo che eri con amiche. Stai tranquilla, va bene? E avvisa anche Penelope e… e dille che mi dispiace di… di non poter fare più di così.”

 

“Va beh… ora devo andare, ciao mà!” concluse, abbastanza bruscamente, e si ritrovò con la chiamata quasi chiusa in faccia.

 

C’era proprio qualcosa di strano in Valentina e non c’entrava con la notizia che le aveva appena dato.

 

Che avesse litigato con Penelope? In fondo, dopo tanti giorni insieme, senza poter uscire, ci poteva stare. Poi con una che aveva per metà il suo carattere, figuriamoci quanto poteva essere facile la convivenza!

 

L’importante era che rimanessero al sicuro e non facessero colpi di testa, anche se, a sentire Mancini, erano state sempre chiuse in casa.

 

Un’altra fitta di senso di colpa la prese in pieno, al pensiero di aver ridotto sua figlia, neanche ventenne, a fare la reclusa.

 

E non era ancora finita: c’era pure un’altra telefonata che doveva fare e che stava cercando in ogni modo di rimandare.

 

Ma quello che era giusto era giusto

 

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“Che cosa?!”

 

“Pietro, stavolta ti sto avvertendo per tempo, no?” chiese, staccando leggermente il telefono dall’orecchio per non assordarsi.

 

“Non si tratta solo di avvertire, Imma, si tratta magari pure di chiedermi cosa ne penso, o questo particolare ti è sfuggito dalla nostra ultima conversazione?”

 

“Pietro… Valentina è maggiorenne e deve essere lei a decidere in un caso come questo. E credimi che le ho valutate tutte, ma questa è la soluzione migliore. Non c’è un modo certo per evitare che quelle foto escano, e questo-”

 

“E questo è il modo per fare sì che tutto il mondo sappia che esistono foto di mia figlia nuda, che basta cercarle per trovarle. Ma pensi veramente che qualcuno non le metterà su internet? E che pensi che succederà qua a Matera, che è ancora casa pure di Valentina. Come pensi che la prenderà mia madre?”

 

“In questo momento mi preoccupo solo del benessere di Valentina, Pietro, e tra far sapere che potenzialmente nella sua vita è stata nuda, di notte ed in una spiaggia isolata, peraltro, ed avere le foto in giro sui giornali, perfino tua madre dovrebbe preferire la prima opzione!”

 

“Sai che preferenza, Imma!”

 

“Pure tua madre sarà stata giovane, no? E poi proprio lei, che voleva sempre comprare i vestiti da baby squillo a Valentina, per attrarre i rampolli, mo dovrebbe farmi storie sulla decenza?”

 

“Con i vestiti da baby squillo, come li chiami tu, non era nuda.”

 

“Per me è più dignitoso un nudo che certi vestiti che paiono filo interdentale, Pietro. Ma comunque-”

 

“Ma comunque, a parte che mia madre direbbe lo stesso dei tuoi di vestiti, Imma, in ogni caso mi pare che tu abbia già deciso, come sempre ultimamente.”

 

“Non ho deciso da sola, Pietro, ho deciso con Valentina e con varie persone che questo mestiere lo fanno da decenni. E non sto parlando di Calogiuri.”

 

“Eh no, certo! A meno che l’Arma non sfrutti il lavoro minorile mo. E comunque-”

 

“E comunque ho un’altra cosa da dirti, Pietro,” tagliò corto, prima che si esibisse in una serie di commenti sarcastici sull’età di Calogiuri.

 

“Che c’è? Pure tu potresti finire nuda sui giornali?” ironizzò ma, conoscendolo bene, sentiva che una parte di lui lo temeva sul serio.

 

E come dargli torto, visto che lo temeva pure lei? Ma non poteva di certo ammetterlo.

 

“No, Pietro, non penso. Ma… mi è arrivata la lettera per l’udienza di divorzio.”

 

Ci fu un silenzio talmente prolungato che dubitò Pietro si fosse sentito male.

 

“Piè?”

 

“L’hai ricevuta pure tu, allora.”

 

“Come? L’hai ricevuta e non mi hai detto niente?” gli chiese, stupita, e poi le tornò nitida nella mente la loro ultima telefonata, “quando ci siamo sentiti qualche giorno fa... già lo sapevi, non è vero?”

 

“Sì, ma… pensavo lo sapessi anche tu, ma che magari… con tutto quello che sta succedendo… volessi rinviare.”

 

In fondo Pietro la conosceva da più di vent’anni. Ma forse ci sperava pure un po’.

 

“Pietro… non lo so… se… se la faccenda dovesse stabilizzarsi per un po’ dopo… il post e tutto quello che accadrà domani… penso che sia meglio per tutti andare avanti. Tu almeno sarai divorziato e non continueranno ad associarti a me e… e pure io sarò più libera.”

 

“Più libera di così mi pare difficile, Imma. Sono mesi ormai che fai tutto quello che ti passa per la capa, senza pensare alle conseguenze. Ma va bene, tranquilla, non ti chiederò se sei sicura, perché tanto ormai lo so che lo sei. E, sinceramente, a questo punto lo sono pure io.”

 

Non sapeva nemmeno bene lei il perché, ma il modo in cui lo disse, invece di darle sollievo, fu quasi uno schiaffo fisico e non solo morale. Anche se sapeva che era incazzato con lei e tutti i torti, almeno per quanto riguardava Valentina, in fondo non riusciva a darglieli.

 

“Va bene. Allora… allora ci vediamo il giorno dell’udienza, salvo emergenze che spero non ci saranno.”

 

“Me lo auguro, Imma, anche perché se no parto io, ma per Milano, se Valentina non torna prima.”

 

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“Dottoressa! Ormai siamo sincronizzati su quest’orario!”

 

Sette e trenta del mattino, di nuovo, come il giorno prima. Lei sempre con la colazione in mano per Calogiuri, che era dalla mattina precedente che non vedeva né sentiva. Era andato a dormire poco dopo che avevano finito con Mancini, ed era tornato al lavoro mentre lei rientrava a casa.

 

Seguendo il rituale ormai consolidato, Mancini andò a prendere i caffè, mentre lei raggiunse Calogiuri nella stanza in cui stava passando ormai tutte le notti.

 

“La colazione, Calogiù!”

 

Non si voltò subito ma con una certa lentezza, peggiore perfino di quando l’aveva conosciuto e le sembrava un po’ un bradipo, a volte.

 

Aveva gli occhi cerchiati, si vedeva che era esausto.

 

“Stanotte non puoi farti dare il cambio da Conti o Mariani?”

 

“Loro stanno già facendo gli appostamenti di persona, dottoressa. E non possono farlo senza supporto da remoto, se succedesse qualcosa, lo sai.”

 

“Va beh… tanto da stasera mi sa che la sorveglianza la faremo in un altro modo, Calogiuri, se l’agente dei ROS sarà riuscita a piazzare le cimici. E così tu ti puoi riposare.”

 

“Guarda che non è solo per l’orario che dormo male, dottoressa. Non dirmi che tu ci riesci, che pure col trucco si vede che sei stanca.”

 

C’era preoccupazione nelle parole di Calogiuri, ma c’era anche un qualcosa di indefinibile che la fece un po’ preoccupare. Una stanchezza diversa da quella puramente fisica.

 

“Quando questa storia sarà finita riposerò, Calogiuri. O meglio, quando avrò fatto tutto quello che si poteva fare. Oggi è la giornata decisiva e-”

 

Un rumore di passi annunciò l’arrivo di Mancini, rapido come al suo solito.

 

“Dottore, com’è andata con Coraini? Ci sono novità?”

 

“Non ancora, dottoressa, ma sto aspettando a chiamare De Luca: non tutti sono mattinieri come me. Ma ora credo di poterlo disturbare e-”

 

Una suoneria non familiare lo interruppe e Mancini estrasse un telefono dalla tasca interna della giacca.

 

“Pronto?” chiese e poi, dopo qualche attimo, sorrise, in un modo pienamente soddisfatto che raramente gli aveva mai visto. Se non forse rivolto a lei, nei tempi buoni.

 

“Posso parlarle per ringraziarla?” pronunciò poi e lo sentì lanciarsi in una serie di lodi sperticate, seguite da una sfilza di domande e da altri complimenti che, in confronto, quelli che le faceva una volta erano niente.

 

Poi mise giù.

 

“Era proprio De Luca con la sua collega. Missione compiuta: è riuscita a mettere diverse cimici in casa di Coraini, mentre lui dormiva. Sono di ultima generazione, quindi neanche per uno come lui dovrebbe essere facile rintracciarle. Ora non ci resta che aspettare. Dottoressa, ha finito con la dichiarazione?”

 

Gliela passò, sollevata dalla notizia, ma allo stesso tempo in apprensione per cosa sarebbe avvenuto dopo.

 

“Dottoressa, è perfetta! Non capisco perché si ostini a non voler avere a che fare con i media.”

 

“Perché dal vivo e non per iscritto mi conosco, dottore, e fatico a tenere un cecio in bocca,” si schernì, anche se quel complimento le faceva veramente piacere, dopo tutto quel tempo di tensione tra loro.


Forse fin troppo.

 

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“Inviato!”

 

Quella singola parola di Calogiuri fu come un macigno ed una liberazione insieme.

 

Il post, corredato da una sua foto alla scrivania con il computer sul quale era visibile l’inizio del testo del messaggio appena pubblicato, per non dare dubbi che si trattasse di un fake, era apparso sul profilo creato per l’occasione.

 

Calogiuri lo condivise sul suo di profilo, che ormai aveva stuoli di follower - soprattutto donne, ovviamente - e poi attesero.

 

“Arrivano notifiche di ricondivisione, dottoressa. Frazer e pure il canale per cui lavora e… e la signora Diana?”

 

“E chi è?” chiese Mancini, confuso.

 

“La mia cancelliera di Matera, dottore. E pensare che, quando le dicevo che stava troppo attaccata al telefono, si arrabbiava pure!” ironizzò, un po’ commossa dalla premura di Diana, anche se si chiese se per caso Calogiuri l’avesse avvertita, visto che a quanto pare erano amici sui social.

 

Notifica dopo notifica, il post acquisì like e risonanza ad una velocità che mai si sarebbe aspettata. Ed un sacco di gente aveva iniziato a seguirla, anche se il termine la faceva rabbrividire e pensare ad una massa di stalker che le correvano dietro coi forconi.

 

Ripromettendosi che non avrebbe mai più pubblicato niente, se non in caso di emergenza, si chiese se fosse il caso di leggere alcuni dei commenti che stavano arrivando, mentre Mancini, dalla sua postazione, annunciava, “bene, ora è il momento di entrare in azione. Alpha, Beta, Chi, Gamma, mi sentite?”

 

Spostò lo sguardo verso gli altri monitor, da dove si vedevano le riprese dagli elmetti protettivi di De Luca, Brian, Mariani e Conti, che stavano già appostati da un po’ in due furgoni di fronte e sul retro del condominio di Giuliani.


Una serie di “ricevo, passo!” invasero la stanza, finché Mancini diede l’ordine di entrare in azione.

 

Il fiato in gola ed un senso di mal di mare per le telecamere che ondeggiavano al ritmo della corsa dei loro proprietari, vide come si avvicinarono ai due ingressi e, annunciando la consegna di un pacco, si fecero aprire dai vicini.

 

E poi corsero su per le scale, ad una velocità di cui Mancini doveva andare fiero e che provocò il fiatone persino a lei.

 

Il cuore le fece un balzo nel petto quando sentì il rumore di una porta che si apriva e vide Mariani voltarsi bruscamente verso sinistra, pronta al peggio.

 

Ma era solo una signora che usciva dal suo appartamento, con un trolley della spesa in mano che le cascò per terra.

 

“Tranquilla,” sentì dire da Mariani, che poi si girò nuovamente e riprese la salita.

 

Sperava che non avessero sulla coscienza l’infarto della povera anziana.

 

Ed, infine, anche se in realtà era passato forse nemmeno un minuto da quando erano entrati, De Luca, Mariani e Brian si incrociarono sul pianerottolo che avevano individuato in quelle giornate di appostamento. Il cicalio dell’ascensore annunciò l’arrivo di Conti, che lo tenne bloccato al piano, per evitare una possibile via di fuga secondaria.


Le telecamere, che inquadravano ormai praticamente la stessa identica immagine, si fermarono davanti ad una porta con scritto sul campanello “N.G.”

 

Suonarono, una, due volte, ma niente. E poi, dopo un’altra sbandata da vertigine alla telecamera, De Luca e Brian sfondarono la porta, mentre Mariani entrava, con la pistola spianata.

 

“Nicola Giuliani, esci fuori, sei in arresto!” gridarono, ed una specie di tonfo rimbombò nei microfoni.

 

Dopo una corsa sfrenata, tutti nella stessa direzione, lo trovarono in camera da letto, franato per terra in dei boxer striminziti che, purtroppo per lui, non nascondevano niente, le gambe ancora avvolte nelle lenzuola, nonostante fossero quasi le quattordici.

 

Altro che BigBoy! Di muscoli, forse!


“Troppa vita notturna fa male, Giuliani! A lei e a noi che dobbiamo guardarla. Le manette!” sentì De Luca ordinare, con il suo solito umorismo al vetriolo.

 

Nonostante tutto, non si rilassò fino a che Giuliani, ancora in mutande, non fu caricato sulla camionetta di Mariani e De Luca.

 

Fino a lì, per una volta, tutto era andato secondo i piani.

 

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“Vale…”

 

Sollevò la testa dal cuscino, guardando verso la porta della camera da letto, dalla quale si era appena affacciata Penelope.

 

“Sono… sono invasa da notifiche sui social, ho dovuto staccare il telefono. E non so come sto, se è quello che vuoi sapere.”

 

Lo sapeva che forse era fin troppo dura con Penelope, che le sembrava veramente preoccupata. Ma non le serviva a niente la sua pietà, intervallata dai momenti di mutismo.

 

“Almeno hai visto cosa ha scritto tua madre?” le chiese, avvicinandosi a lei e sedendosi sul letto, come erano giorni che non faceva,

 

“No. Non so se… se lo voglio vedere, almeno per ora, tanto me li immagino i commenti.”

 

“In realtà i commenti non sono così male, almeno alcuni. E poi... secondo me dovresti leggerlo, Vale.”

 

“Ma sarà la solita retorica da PM! La giustizia, non piegarsi ai ricatti e tutte queste storie qua.”

 

“C’è un po’ pure di quella: è sempre un magistrato,” sorrise Penelope, porgendole il telefono, “ma non c’è solo quello.”

 

“Te l’ho mai detto che sei di coccio quasi peggio di mia madre, a volte?” le chiese, prendendo il cellulare.

 

“Senti chi parla, Vale!”

 

Fece scorrere la foto di sua madre, ritratta con un’obbrobriosa giacca leopardata in una posa che definire ingessata era dire poco, ed arrivò al testo.

 

Ho pensato molto prima di pubblicare queste righe, ma ho sempre creduto che la verità e l’onestà rendessero liberi, e continuo a pensarlo. Qualche giorno fa mi sono arrivate delle foto che ritraevano mia figlia, mentre faceva il bagno di mezzanotte con delle sue amiche in Spagna. Come la maggior parte dei ragazzi di quell’età che fanno il bagno di mezzanotte alle Baleari, erano nude, visto che non è vietato. Solo che mia figlia, a differenza della maggioranza dei ragazzi di quell’età, ha un magistrato come madre e qualcuno ha pensato bene di barattare la sua serenità con un ricatto. Mi hanno chiesto dei soldi e, successivamente, quando con i miei colleghi ho finto di cedere al ricatto e li ho pagati, cominciando ad avanzare richieste riguardanti il mio lavoro e le notizie riservate che sono in mio possesso.

Abbiamo motivo concreto di sospettare che non si tratti solo di un ricatto, che già di per sé sarebbe gravissimo, ma che dietro ci sia ben altra volontà. Di imbavagliarmi o magari di controllarmi e di influenzare il mio lavoro.

Non lo avrei mai permesso, ovviamente, così come non lo permetterebbe mai mia figlia. Per questo ho deciso di chiarire con questo scritto cosa sta succedendo, proprio io che sono allergica ai social. Voglio dire chiaramente che chiunque compri quelle foto e le pubblichi, sta di fatto finanziando un’attività criminale. Oltre alla curiosità più che discutibile di vedere delle immagini private di una ragazza che si è sempre tenuta lontano da un certo tipo di attenzioni, che non ha scelto di essere un personaggio pubblico.

A lei vanno le mie scuse ed i miei ringraziamenti per essere la figlia che è. Sono molto orgogliosa di lei, per la donna indipendente e libera che sta diventando, in una società che si scandalizza ancora oggi molto di più per un po’ di pelle scoperta o per un ballo in discoteca, che verso chi compie crimini che danneggiano tutti noi. Anzi, queste persone spesso vengono lodate come quelli furbi.

Non farò altre dichiarazioni su questa vicenda, confido nei miei colleghi che si stanno occupando di questo caso ed in tutti quei giornalisti che credono ancora nella verità e nell’etica professionale.

Imma Tataranni

 

Una specie di macchia arcobaleno colorò il display: una lacrima. La sua.

 

“Grazie…” sussurrò, sollevando lo sguardo verso Penelope e cedendo all’impulso di abbracciarla.

 

E la sentì ricambiare, senza più l’imbarazzo degli ultimi giorni.

 

Le sembrò di essere finalmente tornata a respirare, per tante ragioni, anche se la più importante ce l’aveva tra le braccia.

 

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“Non ne so niente.”

 

“Ha recuperato lei i soldi e stavano ancora a casa sua, sotto il suo letto, da quanto mi dicono gli agenti. Come fa a dire che non ne sapeva niente?”

 

Ma Giuliani continuava a fare scena muta tra “non so” e “non parlo”, nonostante gli sforzi di Mancini.

 

“Lei si rende conto che, se non ci dice qualcosa, rischia una serie di denunce che vanno dallo stalking all’estorsione, alla tentata corruzione di pubblico ufficiale. Vuole dirmi che le foto in Spagna le ha scattate lei? Sappiamo benissimo che non si è mosso dall’Italia negli ultimi mesi.”

 

“Vi ho già detto che non parlo,” continuò a ripetere, ostinato, anche se sembrava pure un po’ spaventato.

 

Del resto Giuliani poteva pure giocare a conciarsi come uno dei Narcos, ma restava un pesce piccolo. Ed i pesci piccoli vengono mangiati da quelli grossi, in quei begli ambientini che frequentava lui. Avrebbero dovuto tenerlo d’occhio costantemente, per non rischiare che ci scappasse il morto.

 

Ma, per il momento, dovevano solo trattenerlo abbastanza da spaventarlo e da piazzargli cimici in casa ed in auto.

 

Col Mancuso sarebbe stato più complicato: non volevano rischiare, per due microfoni, di fare la fine dell’arresto al Mazzocca. C’era da sperare che intercettare due uomini su tre sarebbe bastato.

 

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“Finalmente!” esclamò, mollando con sollievo le scarpe già nell’ingresso e passeggiando a piedi nudi sul pavimento, reso caldo dalla temperatura estiva.

 

Si voltò e vide Calogiuri ancora sulla porta, che sembrava quasi uno zombie. Erano ventiquattr’ore che lavorava non stop.

 

“Calogiuri, vuoi mangiare qualcosa o vuoi andare dritto a dormire?”

 

“Non ho fame… vado… vado a letto,” rispose, di nuovo con quel tono degli ultimi giorni, come se, novello Atlante, si portasse sulle spalle tutto il peso del mondo.

 

“Calogiuri…” provò a chiamarlo, ma lui proseguì verso la stanza da letto e non si sentì di entrare in una possibile discussione, con lui in quelle condizioni.

 

Doveva riposare, i chiarimenti potevano pure attendere l’indomani.

 

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Si svegliò di colpo, una sensazione di freddo improvviso.

 

“Ca- Calogiuri?” chiese, non sentendolo accanto a sé nel letto.

 

Guardò l’orologio: non erano nemmeno le cinque di mattina.

 

Una lama di luce le causò una fitta alla testa, quando la porta che dava sul corridoio si aprì e ne riemerse lui.

 

Il sollievo lasciò lo spazio all’ansia quando si accorse che non era più vestito da notte - se boxer e maglietta potevano definirsi tali - ma che aveva indosso una tuta ed ai piedi le scarpe da ginnastica.


“Che fai?” gli chiese, confusa, “è… è successo qualcosa in procura?”

 

“No, no,” rispose lui, scuotendo il capo ed avvicinandosi leggermente di più, ma rimanendo a distanza di sicurezza, “è che… ormai mi sono abituato a dormire di giorno e stare sveglio la notte e… non riesco più a riaddormentarmi, quindi ho pensato di andare a correre.”

 

“Non mi diventerai un fissato della corsa come-” si interruppe, prima di pronunciare la parola Mancini ma, a giudicare dall’espressione di Calogiuri, aveva capito benissimo a chi si riferisse.

 

“Tu riposati. Vado e torno in tempo per la colazione,” rispose, dopo un attimo di silenzio, avviandosi verso il corridoio.

 

Il panico, per qualche assurda ragione, la spinse ad urlare un “Calogiuri!” che lo fece fermare e voltare sui suoi passi.

 

“Ho… ho sentito Pietro, ormai l’altroieri. Per la storia di Valentina e del post.”

 

Calogiuri annuì, con l’espressione da se non c’è altro io andrei! che detestava dalla prima volta che gliel’aveva vista in faccia a Matera.

 

“Gli ho raccontato che mi era arrivata la convocazione per l’udienza di divorzio. L’aveva ricevuta pure lui e gli ho detto che-”

 

“Che, vista la situazione, era meglio rinviare?” la interruppe, come se non potesse sopportare oltre le sue esitazioni.

 

Da un lato lo capiva, anche se le veniva lo stesso il nervoso.

 

“No, gli ho detto che è meglio se divorziamo legalmente il prima possibile. Quindi andrò all’udienza di mercoledì, salvo qualcuno dei Mazzocca, o chi per loro, ne combini qualcun’altra prima di allora.”

 

Fu come se le nuvole si fossero diradate improvvisamente: Calogiuri le sorrise in quel modo che gli illuminava il viso e le faceva bene al cuore.

 

L’abbraccio da cui si trovò avvolta fu come tornare a casa dopo giornate nelle quali, per tanti motivi, erano dovuti stare lontani e non solo fisicamente.

 

“Lo hai già detto a Mancini? Per… per i giorni di permesso. Io non ne ho molti ma-” disse, interrompendosi quando, probabilmente, notò la sua espressione, “che c’è?”

 

Non voleva dirglielo, una parte di lei non voleva dirglielo ed infrangere forse di nuovo quel momento di serenità completa. Ma sapeva che fosse la cosa più giusta da fare per tutti quanti.

 

“C’è che… ci voglio andare da sola, Calogiuri.”

 

“Co-come?” le chiese, incredulo, e con un’espressione ferita che le fece malissimo.

 

“Non voglio che… non voglio che si mischino le cose, Calogiuri, e-”

 

“Cioè non vuoi che si mischi la tua vita a Roma con me, con quella a Matera con il tuo ex marito?” le chiese, amarissimo, mentre un misto tra incazzatura e panico le saliva alla gola.

 

“Ma no, Calogiuri! Ma che cosa dici?! No, è che… questo divorzio è un problema mio, che riguarda me e Pietro. Al massimo forse Valentina, che dovrò avvisare, anche se spero se ne stia a Milano. Questo matrimonio l’abbiamo iniziato in due ed in due dobbiamo chiuderlo. E non voglio che si pensi che è per colpa tua, o-”

 

“Se permetti, visto che sono il tuo compagno, o fidanzato, o come mi vuoi chiamare, credo che riguardi pure me, no?” esclamò, sempre più arrabbiato.

 

“Sì, certo, ma… non è solo per te che divorzio, Calogiuri, te l’ho già detto. Lo faccio per me, lo capisci? Lo so che ti preoccupi, ma è una cosa che devo fare da sola.”

 

“Non dico di venire in tribunale come un cane da guardia, Imma. Ma potrò almeno aspettarti a casa… a casa di tua madre, no? C’è pure tutta questa storia coi Mazzocca. Non è il caso che te ne stai in giro da sola e poi-”

 

“E poi a Matera conosco un sacco di gente, Calogiuri: c’è Diana, c’è Capozza, volendo, e-”

 

“Appunto!” disse, prima di trafiggerla con un’occhiata che la fece tremare, da quando era carica di troppe cose, “ho l’impressione che… che tu non vuoi proprio che ci metto piede a Matera perché ti… ti vergogni di noi due.”

 

“Ma che sei scemo?! Ma se lo sa tutto il mondo di me e di te! Pure in televisione siamo andati e-”

 

“Ma non siamo mai stati a Matera, non da quando si sa di noi due, almeno. Imma, ti conosco: a te dell’opinione degli sconosciuti… sì, importa, ma meno. Ma quella delle persone che conosci bene, anche se non le sopporti… è… è un’altra cosa. A volte ho l’impressione che… sì, sei venuta qui a Roma anche perché io non mi potevo trasferire ma… soprattutto perché non volevi dover affrontare tutti loro ed i loro giudizi. Che… qui con me hai una specie di vita parallela, dove tanto non conosci quasi nessuno, ma… ma-”

 

“Ma io non posso credere che tu possa anche solo pensarlo, dopo tutto quello che ho fatto per te, per noi due! Ho combattuto con il mondo per stare con te e lo sto ancora facendo!”

 

“E io no?! Ma io ti porterei a Grottaminarda pure domani, non fosse che non ti voglio infliggere mia madre, ed invece tu con Matera continui a rinviare il momento! Lo so che verresti con me all’altro capo del mondo, Imma, ma perché proprio a Matera no?”

 

Imma si ammutolì, chiedendosi se almeno una piccola parte di lei non stesse davvero scappando, se non dalla realtà, almeno da quella realtà. Da quella Imma, scassapalle ma integerrima, che si era lasciata alle spalle a Matera. Ma no, non aveva senso, lei non era più quella Imma già allora e-

 

Sollevò lo sguardo, ma Calogiuri era già di fronte alla porta, “vado a correre e poi al lavoro. Ci vediamo in procura.”

 

Sapeva che sarebbe stato inutile fermarlo. E forse, prima che non si fosse del tutto schiarita lei le idee per prima, era meglio così.

 

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“Vale, che c’è?”

 

“Niente… mia madre mi ha scritto che… lei e papà hanno l’udienza di divorzio mercoledì, a Matera.”

 

“Beh… ormai è da un po’ che si sono separati, no? Lo sapevi che questo momento sarebbe arrivato.”

 

“Sì, ma… ma non è quello. Da un lato mi pare che sia passata una vita, dall’altro che sia successo ieri.”

 

“Beh, visto il tuo atteggiamento col maresciallo in vacanza, direi proprio che non è successo ieri, Vale. Mi ricordo com’eri quando mi parlavi di lui.”

 

Rise, non poté evitarlo, perché Penelope sapeva sempre come sdrammatizzare la situazione. E perché aveva quasi temuto di non poterlo più fare, non così.

 

Ma di quanto era successo la sera del sushi non aveva più fatto cenno, nonostante si fossero riavvicinate, e questo le faceva male, forse più di quanto volesse ammettere anche a se stessa.

 

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“Un permesso di due giorni, dottoressa?”

 

“Sì… ho… ho la causa divorzio, dottore. Devo andare a Matera.”

 

Mancini annuì, anche se apparve un attimo sorpreso, “dottoressa, non le farò la predica, come direbbe sua figlia, sul basso profilo, perché mi rendo conto di come siano i tempi della giustizia italiana. Ma stia attenta, lei ed il maresciallo, mi raccomando! Certo che con due persone in meno-”

 

“No, dottore. Il maresciallo rimane qui. Quindi mancherò solo io.”

 

Mancini parve sbigottito.

 

“Ma da sola? Con tutto quello che sta succedendo, non-”

 

“Lo so, dottore, me l’ha detto anche Calogiuri. Ma… credo sia meglio così, anche per non esasperare le cose con il mio ex marito. E poi là, volendo, ho tutta una caserma pronta ad aiutarmi.”

 

“Va bene, dottoressa, ma, a maggior ragione, cerchi di essere prudente! Che la conosco ormai!”

 

Ed in effetti era vero, più di quanto potesse o volesse ammettere.

 

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“Calogiuri!”

 

Lo chiamò, ma lui era già sceso dall’auto.

 

In quei giorni era stato sempre taciturno: si alzava presto ed andava pure a dormire presto, che manco fossero in caserma.

 

Del resto neppure lei era riuscita più a parlargli, ma non era facile per lei dover fare il primo passo. Con Pietro non era quasi mai servito, ma Calogiuri era completamente diverso: quando si arrabbiava seriamente non gli passava da solo, se non dopo chissà quanto tempo. Fin dai tempi in cui avevano un rapporto solo professionale.

 

Però l’aveva accompagnata alla corriera e mo le stava pure recuperando il borsone dal bagagliaio.

 

Glielo prese dalle mani e rimasero per istanti interminabili fermi così, a guardarsi, come se ognuno volesse incitare l’altro a dire qualcosa, a pochi passi dalla scaletta del veicolo.

 

DI solito a quell’ora si sarebbero già baciati, per salutarsi e per cercare di farsi forza a vicenda. L’ultima volta lo avevano fatto perfino con Valentina presente, anche se si era coperta gli occhi, schifata.

 

E invece… invece niente.

 

“Se… se succede qualcosa chiamami,” le disse infine, ed Imma quantomeno si consolò a sapere che, più dell’arrabbiatura, potesse la preoccupazione.

 

Ma, in fondo, anche quello era così da sempre e non era quindi poi così tanto un buon segno.

 

“Anche tu,” rispose, indecisa se provare a fare il primo passo, in tutti i sensi, verso di lui o meno.

 

Ma Calogiuri annuì e si voltò, tornando verso la macchina, senza guardarsi indietro.

 

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“Imma!”

 

Una voce inconfondibile le fracassò quasi il timpano e si trovò Diana praticamente appiccicata alla sua destra, non appena scesa dalle scale della corriera.

 

“Diana?” chiese, stupita, perché non le aveva detto che sarebbe tornata, né con quale corriera, visto che oltretutto doveva trattenersi solo due giorni. E non era manco sola!

 

“Capozza?”

 

“Eh sì, Imma, mi ha accompagnato che sai… così siamo più comode con i bagagli. Sei sicura di voler andare a casa di tua madre? Perché da noi, nella stanza di Cleo, c’è posto e-”

 

Rabbrividì al solo pensiero della stanza, anzi, del mausoleo dedicato a Cleo, di cui aveva pure visto qualche foto. Diana l’aveva preservato esattamente com’era prima che la figlia si trasferisse a Londra. Era già infantile per una ragazza di diciott’anni, figuriamoci mo. O per una della sua età.

 

Ma poi un pensiero si fece strada su tutti gli altri, facendo per fortuna svanire il mausoleo.

 

“Ti ha avvisata Calogiuri, non è vero?”

 

“Imma… e dai! Quel povero ragazzo è così preoccupato che ti succeda qualcosa, con tutti i casini che c’hai. E lo capisco pure! Ma perché non sei venuta con lui? E l’ho sentito così triste al telefono, c’è qualche problema o-?”

 

Se la abbracciò, riuscendo nell’intento di zittirla, prima che superasse il record mondiale di apnea, detenuto sempre da lei medesima.

 

Ma, quando si ritrovò quasi stritolata e dovette trattenere a fatica le lacrime, capì che non era solo per quello che l’aveva fatto. Di un’amica ne aveva terribilmente bisogno, anche se le scocciava ammetterlo.


E Diana era insostituibile, pure se doveva avere una convenzione con gli otorini e con i produttori di apparecchi acustici, per quanto era assordante.



 

Nota dell’autrice: Ed eccoci qua alla conclusione del capitolo quaranta. Mi scuso per la pubblicazione a tarda sera, ormai è praticamente lunedì, ma è stato più lungo da terminare del previsto, perché volevo arrivare almeno a questo punto ed il tempo purtroppo in questi giorni, a causa del lavoro, è molto ridotto.

Questo è stato un capitolo che segna, per certi versi, una chiusura del cerchio. Imma sta affrontando una fine importante, che potrebbe pure essere un nuovo inizio ma… Calogiuri comincia a mostrare insofferenza verso certe decisioni di Imma e la sua pazienza potrebbe ormai essere agli sgoccioli. D’altro canto Imma è tra l’incudine e il martello, trovandosi in una posizione personale e professionale per nulla facile.

Che succederà a Matera? Sarà causa di ulteriori problemi? Nel prossimo capitolo ci attendono molti ritorni che metteranno a dura prova entrambi i protagonisti, mentre il giallo prosegue, tra Matera e Roma.

Grazie ancora di cuore per avermi seguita per quaranta capitoli, lo so che non è affatto scontato dopo tutti i mesi che sono passati. Spero che questa storia possa continuare a piacervi e a sorprendervi, e che non risulti pesante o noiosa, visto che dopo tanti capitoli so che il rischio c’è.

Vi ringrazio tantissimo fin da ora se vorrete farmi sapere che ne pensate con una recensione. Le vostre parole mi fanno sempre molto piacere e mi danno una carica che non vi immaginate. Grazie a chi ha messo la storia nei preferiti o nei seguiti.

Il prossimo capitolo arriverà domenica due agosto.

Grazie ancora di cuore!

 
   
 
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