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Autore: Dalybook04    27/07/2020    0 recensioni
Sequel di "Tutti i pomodori con cui mi dicesti ti amo"
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Napoli, ottobre 1722
Il diciannovenne Ludwig Beilschmidt scese dalla nave, un borsone in spalla e un'ombra di sorriso sul bel viso rasato di fresco.
Era a Napoli, nella stessa città del suo amore.
Stava per rivedere Feliciano.
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Feliciano lo guardò, con gli occhi piedi di meraviglia, mentre un enorme sorriso si faceva strada sul suo viso
Cosa doveva fare? Stringergli la mano? Abbracciarlo? Baciarlo?
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Lovino Romano Vargas non era mai stato uno che esprimesse apertamente le sue emozioni, ma nonostante questo suo fratello sapeva bene che stava soffrendo
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La quotidianità di quei mesi venne spezzata da un certo prussiano che amava distruggere ogni tipo di tranquillità
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Dopo tanti anni, finalmente Ludwig riesce a tornare a Napoli dal suo amore d'infanzia, Feliciano, per un anno di vacanza.
L'amore a troverà finalmente un modo?
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Principalmente Gerita, accenni Spamano, Pruaus e Fruk
Genere: Fluff, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del diciottesimo secolo e altre storie'
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Ludwig era felice.
Ogni mattina, in una routine che sarebbe durata circa un mese, si svegliava in camera di Feliciano, abbracciato a lui, e come prima cosa, se non puntava lo sguardo direttamente verso l'altro, vedeva i suoi disegni. Facevano colazione insieme, si preparavano e poi andavano ad aprire il negozio. Aspettando i clienti, rimanevano seduti vicini dietro il bancone, tenendosi per mano, con Feliciano, seduto in qualche posizione assurda, che di solito disegnava e Ludwig che leggeva qualcosa o osservava l'altro. A pranzo facevano una pausa, cucinavano insieme qualcosa e poi tornavano di sotto nel pomeriggio. Infine chiudevano definitivamente al tramonto, tornavano su per cena e infine andavano in camera, dove Feliciano gli raccontava delle storie sulle stelle dopo aver fatto l'amore.
Gli piaceva tutto sommato quella quotidianità, soprattutto gli piaceva stare con lui tutto il giorno. Il sogno di quella casa tutta per loro diventava ogni giorno più vivido e reale, tanto che la notte, oltre ai racconti, lui e Feliciano parlavano di come sarebbe stata la loro casa.
Volevano una casa grande, di due piani, con finestre ampie per far entrare più luce possibile. Al piano di sotto ci sarebbero stati la cucina, il bagno, il salotto e lo studio di Feliciano, dove avrebbe dipinto. L'italiano voleva uno studio luminoso, con una finestra da cui potesse guardare l'esterno, vicino alla cucina per poter andare a prendere da mangiare quando voleva. Al piano di sopra ci sarebbero stati la loro camera da letto, la camera per gli ospiti e lo studio di Ludwig, che avrebbe avuto le pareti piene di librerie e una scrivania enorme. Magari avrebbero anche avuto una soffitta, dove tenere i vecchi ricordi e le cianfrusaglie inutili. Quella casa sarebbe stata in campagna, vicina alla natura e abbastanza distante per non dover avere troppa paura di venire scoperti, ma non troppo lontana dalla città, per poterci andare facilmente per prendere le cose necessarie. Avrebbero coltivato qualcosa nel cortile magari, Feliciano voleva far crescere dei fiori. Ludwig riusciva quasi a vederla davvero quella casa, sarebbe stato meraviglioso vivere lì con l'altro, passare tutte le notti in un letto grande abbastanza per due, e non strizzati in uno troppo piccolo, ma comunque abbracciati, avere un posto da chiamare casa, dare da mangiare ai gattini della zona, far crescere i fiori, litigare, magari per qualche stupidaggine, ma poi tornare dopo poco dall'altro, l'arrabbiatura dimenticata come ciò che c'era nella soffitta. E ancora sarebbe stato bello invecchiare con lui, abituarsi alle rispettive abitudini irritanti o particolari, notare gli anni farsi notare sul viso ancora bello dell'altro, ridere delle rughe e dei capelli bianchi, delle mani callose e della vista calata. E ancora passare sempre più tempo nel letto, abbracciati, ad ascoltare il respiro lento dell'altro, finché, prima o poi, non si sarebbe fermato. Ludwig non sapeva cosa sarebbe successo in futuro, che sarebbe capitato, come sarebbe andata, quando e come sarebbe morto. Però era sicuro che avrebbe sperato succedesse tra le braccia dell'altro, in una casa luminosa che profumava di fiori. Sapeva che era improbabile succedesse, ma lo avrebbe sperato comunque. Se c'era una cosa che gli aveva insegnato Feliciano, era proprio sperare.
Il ritorno di Lovino e Antonio dalla Spagna segnò la definitiva fine di quel periodo di convivenza e l'inizio della fine, di quell'estate torrida fatta di baci sotto le stelle e pomeriggi interi abbracciati, di sfide al caldo vinte pur di stringersi. Di quel periodo fatto di ansie, progetti per il futuro, proposte e soluzioni fallimentari in partenza. Un'estate fatta anche di speranza, di fiducia e coccole tra le lenzuola sfatte.
Non appena aveva rimesso piede a casa, Lovino aveva preso da parte il suo fratellino e gli aveva raccontato tutta la loro storia. Non era stato facile, per niente, ma lo aveva fatto, finalmente. Alla fine del discorso, abbracciando l'altro, Lovino si era sentito più leggero. Per Feliciano non era stato facile ascoltare, ma aveva retto il colpo e imparato ad accettare le conseguenze del loro passato, anche se per lui era solo quello: passato. Ora quello che contava era il presente. Ed era il futuro a spaventarlo di più.
Feliciano aveva paura. Era terrorizzato, a dirla tutta. Lui e suo fratello, non penso ci sia bisogno di specificare i motivi, avevano la fobia dell'abbandono. La prima volta che Antonio era uscito di casa senza di lui, a Lovino era quasi venuto un attacco di panico ed aveva passato tutto il tempo a fare avanti e indietro per aspettare il suo ritorno, per poi saltargli addosso ad abbracciarlo una volta tornato. Il minore dei Vargas non era diverso: anche lui aveva paura, tremava ogni volta che rimaneva solo e aveva il terrore di rimanerlo per sempre. Non lo nascondeva: era così e basta. Aveva paura di perdere Ludwig, di essere abbandonato e rimanere solo a vita. Per questo lo abbracciava sempre, per assicurarsi che fosse lì e non lo avesse lasciato.
Però aveva anche fiducia. Conosceva Ludwig, lo amava e sapeva che avrebbe trovato una soluzione. Era disposto ad aspettare, avrebbe aspettato anche per sempre per lui. Il tempo non gli faceva paura, non se alla fine c'era il tedesco come ricompensa. Non gli faceva paura nulla, se c'era quel tedesco alto, forte, tenero e perfetto alla fine. Feliciano era un codardo, lo era sempre stato. Aveva paura di tutto o quasi, non era mai stato un cuor di leone. In quel periodo però realizzò che l'unica cosa di cui avesse paura per davvero era perdere Ludwig, suo fratello o Antonio. Avrebbe superato l'Inferno se necessario, ma non era disposto a perdere le persone che amava. Non di nuovo. Non poteva sopportarlo ancora. Che poi, diceva tanto, ma all'Inferno non sarebbe sopravvissuto neanche un minuto. Ci avrebbe provato, quello sì. Forse ce l'avrebbe anche fatta. Forse. Ma in fondo all'Inferno non ci doveva andare, quindi era a posto così. Certo, rimanere senza Ludwig era il suo Inferno personale, ma in qualche modo sarebbe sopravvissuto. Sperava che l'altro sapesse che ce l'avrebbe fatta, in fondo Ludwig era insicuro quanto lui, se non di più. Voleva dirglielo, rassicurarlo in qualche modo, ma ogni volta che stava per venire fuori l'argomento sentiva le lacrime pungergli la gola, impedendogli di parlare. Non voleva piangere davanti a lui, non perché si vergognasse dei suoi sentimenti, ma perché non voleva né farlo preoccupare né tantomeno farlo sentire in colpa più di quanto già non si sentisse.
Sì, perché Ludwig si sentiva terribilmente in colpa. Ogni volta che Feliciano sorrideva, rideva, lo abbracciava, baciava, ogni volta che si dicevano "ti amo" o facevano l'amore, ogni volta si sentiva sempre più in colpa. Come avrebbe potuto far soffrire quel raggio di sole? Come sarebbe riuscito ad andare avanti, salire sull'altare, baciare una donna, vivere la sua vita, sapendo che da qualche parte, a Napoli, c'era quel dolce, allegro e spensierato italiano che piangeva sperando nel suo ritorno? Come diamine avrebbe potuto vivere sapendo di aver rattristato quel ragazzo così solare e pieno di vita? Si sentiva un mostro ogni volta che ci pensava, che intravedeva la valigia (che si era premurato di nascondere nell'armadio), che leggeva le lettere dei suoi genitori. Il pensiero di mollare tutto gli aveva sfiorato la mente più di una volta, in fondo che aveva da perdere?, soprattutto quando osservava Feliciano dormire placidamente tra le sue braccia durante le sue tante notti insonni. Ripensava alle parole di Gilbert, che in fondo era l'unica famiglia che contava davvero, accarezzava i capelli a Feliciano, si ripeteva il discorso di Lovino, ricordava la scelta di Antonio e si chiedeva quale fosse la strada migliore. Una giusta probabilmente non esisteva: avrebbe comunque dovuto rinunciare a qualcosa. La vita non ti dà nulla senza chiedere qualcosa indietro. Lo sapeva benissimo, non avrebbe ottenuto tutto, non funzionava così. Sarebbe stato disposto a rinunciare a tutto per Feliciano? Lì per lì, la sua risposta sarebbe stata un sonoro e secco sì. Poi però il peso delle responsabilità gli tornava sulle spalle come un macigno. Come avrebbe potuto deludere i suoi genitori, lasciar ricadere nel dimenticatoio il nome per cui suo padre, suo nonno e tutta la sua discendenza avevano lottato tanto? Sentiva il peso di quelle scelte, quel nome addosso, come un tarlo che continuava a dirgli che stava sbagliando, che stava rovinando tutto. A quel punto si convinceva che non poteva lasciare tutto così, che sarebbe potuto tornare a Napoli una o due volte all'anno, che poteva anche fingere di amare un'altra per poter avere tutto. Poi però il suo sguardo tornava su Feliciano e si diceva che non era giusto. Come poteva ingannare una donna che aveva il diritto di essere amata da qualcuno più adatto di lui, che diritto aveva di mentire a quel modo e soprattutto che diritto aveva di far soffrire quell'angelo che si fidava così ciecamente di lui? Nessuno. E così ricominciava da capo in quella giravolta senza né capo né coda che era la sua testa.
Questa situazione andò avanti per tutta l'estate, precipitando in autunno. L'arrivo di ottobre fu drammatico, ma Feliciano cercò di distrare lui e il compagno con una piccola festa per il compleanno del secondo. Gli regalò un disegno a matita che aveva fatto di nascosto nel tempo libero e che ritraeva loro due insieme. La nave sarebbe partita il quindici di ottobre. I giorni scorrevano veloci, come sabbia tra le dita. Insieme a essi, Ludwig sentiva crescere in sé una furia cieca. Era tutto così ingiusto! Aveva già sprecato nove anni in quella merdosa accademia, crescendo senza affetto se non da parte di suo fratello quelle rare volte che gli era concesso venirlo a trovare, aveva ritrovato la sua anima gemella e ora doveva perderla, senza sapere se o quando lo avrebbe rivisto. Perché non gli poteva andare bene una sola cosa nella vita?! Perché la fortuna non era mai dalla sua parte?
Se questi vi sembrano discorsi da adolescente frustrato, be', tecnicamente Ludwig aveva vent'anni e non aveva mai avuto il tempo di fare scenate del genere, era abbastanza normale che si comportasse come un adolescente frustato. Ne aveva anche un po' il diritto.
Sta di fatto che in un istante erano arrivati al quattordici di ottobre e sembrava solo ieri che Francis, Arthur e Gilbert se n'erano andati, ma allo stesso tempo sembrava passata una vita.
Avete presente com'è l'ultimo giorno di una vacanza? Quando si è in un posto particolarmente bello o con qualcuno di speciale e si arriva alla fine, l'ultimo giorno è uno strazio. Una serie interminabile di "chissà quando ci tornerò" e "chissà quando l* rivedrò" e ancora "mi mancherà tantissimo". Vi sarà capitato almeno una volta, anche solo la fine dell'estate, prima che ricominci quella tortura della scuola, quando andate al mare o uscite con gli amici per l'ultima volta prima che la vita riparta e già pensate all'estate successiva. Ecco, prendete quella sensazione, togliete la certezza dell'estate successiva, amplificatela per mille e avrete l'angoscia che stava provando Ludwig in quei giorni. Gli si prospettava davanti un inverno infinito, in cui avrebbe cercato in tutti i modi di tornare dal suo raggio di sole, ma senza garanzia di ritrovarlo.
Feliciano non era messo meglio. Ogni secondo la paura in lui cresceva. Si ripeteva che l'amore avrebbe trovato un modo, ma non aveva certezze. Gli restava solo fidarsi di Ludwig e pregare, ma non era mai stato una persona paziente. Non era arrabbiato. O meglio, sapeva che avrebbe avuto motivo di esserlo, ma sapeva che era inutile. E poi, con chi avrebbe dovuto arrabbiarsi? Ludwig? Non aveva senso, non era colpa sua. I genitori di Ludwig? Non ne sapevano niente, non aveva senso neanche questo. Dio? Che senso aveva arrabbiarsi con Dio? Se lo avesse fatto, ci sarebbe stata ancora meno possibilità che le sue preghiere fossero esaudite. Voleva fare qualcosa, stare fermo ad aspettare lo stava facendo impazzire, ma non sapeva cosa. Pregare Ludwig di restare? Non poteva farlo, non sarebbe stato giusto e non avrebbe mai voluto renderlo infelice. Andare con lui? No, come avrebbero potuto spiegare la sua presenza lì? E soprattutto non poteva abbandonare suo fratello e neanche lo voleva. Che altro poteva fare? Niente, se non godersi gli ultimi momenti e sfruttarli al meglio.
Non fraintendete: nonostante tutto, quella fu un'estate meravigliosa. Come poteva non esserlo, se erano insieme? Tutte queste angosce se ne restavano lontane la maggior parte del tempo, erano relegate in un angolino delle loro menti. Venivano fuori solo nei momenti di debolezza: in quelle rare occasioni in cui erano senza l'altro, per esempio. Nel caso di Ludwig anche la notte, quando era troppo stanco per cacciarle via e troppo sveglio per dormire. Il sonno era diventato raro, tanto che più di una volta l'italiano aveva dovuto costringerlo a dormire, canticchiandogli anche qualche vecchia ninna nanna in latino o in qualche dialetto. Aveva una voce bellissima, il castano, dolce, che lo cullava in sonni profondi senza dargli possibilità di fuggire in comode paranoie. Nel caso di Feliciano, la negatività lo aggrediva quando disegnava. La sua arte era sempre stata il suo rifugio, il luogo dove nascondeva e sfogava le sue emozioni, anche e soprattutto la tristezza. Dicono che gli artisti lavorano meglio quando sono tristi, il che in parte è vero, e Feliciano non era diverso. In quei mesi diede il meglio di sé, perché lui era uno di quelli che i suoi sentimenti non li cacciava via, li accoglieva e li studiava per comprenderli meglio, si immergeva in loro e cercava di sfruttarli al meglio. Il contrario di Ludwig, che nascondeva dietro rabbia e paranoia la sua paura.
Alla fin fine, erano entrambi due ragazzi di appena vent'anni che avevano avuto sfortuna e non sapevano come fare. Ludwig pensava all'opzione di vedersi ogni tanto, ma non ci credeva granché. In fondo suo fratello e Roderich stavano facendo così e non erano felici, glielo si leggeva in faccia. Conosceva troppo bene Gilbert per credere che tutte quelle sbronze fossero casuali. Ma comunque, tanto valeva provarci. Il destino di Gilbert e Roderich ora non ci interessa, concentriamoci sui nostri due protagonisti.
Forse questo capitolo di introspezione spicciola vi ha annoiati, in tal caso mi scuso, però era necessario per capire bene i sentimenti e le ragioni dei nostri piccioncini.
Ora ritorniamo alla narrazione, riprendiamo con il prossimo capitolo, ripartendo dalla, per loro, funesta data del 14 ottobre 1723.
   
 
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