Fumetti/Cartoni americani > Voltron: Legendary Defender
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Autore: Taylortot    27/07/2020    1 recensioni
La paura gli si inerpicò in bocca, amara sulla lingua. “Chi sei?” Gli ci volle un momento per registrare il suono della sua stessa voce.
Lei lo fissò e sbatté le palpebre. “Lance, per favore. Non è il momento per una delle tue battute-”
Lui aggrottò le sopracciglia e si mise a sedere a fatica per sfuggire alle braccia di lei. “Non sto- non sto…scherzando.”
*
Dopo essersi sacrificato per salvare Allura, Lance si sveglia in un mondo strano e nuovo dove l’unica cosa che sente è un profondo legame con un ragazzo che non ricorda.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kogane Keith, Krolia, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Note della traduttrice [DanceLikeAnHippogriff]: eccoci tornate dopo DUE mesi di assenza con un altro capitolo! Ringrazio immensamente la mia super beta CrispyGarden per il suo impegno e dedizione nel correggere le traduzioni con cui la sommergo <3

E, ovviamente, un enorme grazie va a voi lettori che avete aspettato con (in)pazienza questo aggiornamento! L'intento è quello di non lasciarvi a secco troppo a lungo, promesso <3 Piccola nota: l'autrice ha deciso di allungare la storia di LaD aggiungendo un 14esimo capitolo, in fase di scrittura. Quindi, LaD prosegue a tutta birra fino al 14esimo capitolo!

Buona lettura!

 


 

Lance stava per vomitare.

Il che… suonava terribilmente drammatico, ma porca merda. Lo sapeva… sapeva che non c’era motivo di essere così in ansia, ma il saperlo non lo rendeva più sopportabile. Era seduto nelle fauci spalancate del leone rosso e dondolava le gambe senza posa, lasciandole a penzoloni, picchiettandosi nervosamente le dita sulla coscia, il volto incendiato da un rossore che si rifiutava di smettere di tormentarlo.

Non sapere quando Keith avrebbe varcato quella porta gli annodava lo stomaco e gli era difficile concentrarsi sulle parole che doveva trovare per rendere quella conversazione il più proficua possibile. Perché quello che sapeva era che Keith si sarebbe presentato con quella sua maglietta nera fin troppo attillata. Avrebbe avuto i capelli scompigliati, come suo solito, e i suoi occhi sarebbero stati un fuoco scuro e liquido, come sempre. Probabilmente gli avrebbe sorriso come la prima volta che l’aveva visto sorridere – una curva sghemba sulle sue labbra, un lampo accecante di quei suoi denti bianchi – e il cuore gli sarebbe balzato dritto in gola e sarebbe morto soffocato. Probabilmente.

Si carezzò il labbro inferiore con i denti e guardò la porta con il cuore che già gli batteva all’impazzata nel petto per quel senso di attesa. Era proprio una di quelle cose che gli rendeva così difficile parlare quando c’era Keith, quindi prese un bel respiro e chiuse gli occhi.

L’ansia diminuì subito di intensità. Gli ronzava comunque nelle vene come una vibrazione, ma in un modo sempre più gestibile man mano che cercava di calmare i battiti del suo cuore con respiri profondi e regolari.

Okay. Per quanto gli facesse paura – per quanto gli mozzasse il fiato e gli facesse fremere il cuore come già stava succedendo – si trattava solo di Keith. Stava ingigantendo la situazione. Era solo Keith. Lo stesso Keith a cui si era già rivolto in diverse occasioni; quello che aveva lasciato che lo abbracciasse per piangere, che lo aveva confortato, che si era addossato la colpa della sua morte, che gli aveva affidato la sua stessa vita.

Quel pensiero lo aiutò. Il battito del suo cuore si fece meno irregolare, il suo respiro gli riempì con facilità i polmoni. Ancora con gli occhi chiusi, pensò a cosa poteva dire per rompere il ghiaccio. Che cosa voleva sapere più di ogni altra cosa? Keith gli aveva detto che avrebbe risposto a qualunque sua domanda. Si sorprese a sorridere a quel pensiero e per poco non ridacchiò divertito quando se ne accorse. Se c’era una cosa che era certo di voler sapere era come gli altri si fossero fatti quell’idea di “rivalità” tra loro due.

Bene, gli sembrava un buon punto di partenza, no? Innocuo, semplice, velato. Da lì poteva collegarsi ai suoi sentimenti complicati e a tutta la sua confusione. Piano piano, già sapendo che sarebbe stato fin troppo facile lasciarsi sfuggire la verità se Keith lo avesse guardato con quelle sue sopracciglia folte e ben definite, corrugate per l’attenzione che avrebbe dedicato solo a lui.

Era spaventato all’idea di dirgli la verità, o perlomeno la versione inedita, anche se voleva farlo. Ma forse, dato che si trattava di Keith…

Il suono della porta scorrevole rimbombò cavernoso nell’hangar e il cuore gli si congelò nel petto. Spalancò gli occhi, cercandolo.

Keith era lì. Era . Indossava quella sua stupida maglia, il passo cadenzato con intento e sicurezza, e quando gli sorrise lo poté vedere da dove si trovava, una perfetta lama di bianco che riusciva a farlo sentire debole anche se era seduto.

All’improvviso, non si capacitò del perché si fosse sentito così nervoso.

“Ehi.” Disse Keith, avvicinandosi, il volto e le spalle rilassati. La sua voce era dolce e si accoccolò nel petto di Lance come se fosse sempre vissuta lì.

Lance lo guardò dall’alto del suo trespolo e si sedette a gambe incrociate, il calore che gli sbocciava in volto. “Ehi.” Si mordicchiò il labbro per un momento quando Keith si fermò di fronte a lui. “Grazie.”

A quelle parole, Keith aggrottò subito le sopracciglia e qualcosa di inafferrabile gli balenò sul volto. Lance sentì una stretta allo stomaco. “Pensavi che non sarei venuto?”

“No, no! Speravo che tu- volevo che venissi. Non ho mai dubitato di te né niente, è solo che…” Distolse lo sguardo dagli occhi penetranti di Keith. “Stai togliendo del tempo dalla tua giornata o roba simile ed è… è importante per me. Quindi… quindi grazie.” Spostò lo sguardo sulle sue mani tenute in grembo, le dita che si contorcevano come se la tensione di poco prima fosse tornata strisciando. Quel senso di vulnerabilità gli fece sentire un po’ di freddo, nonostante il rossore sul volto. “Ho- ho aspettato a lungo questo momento.”

Keith non rispose, ma Lance lo vide con la coda dell’occhio mentre poggiava le mani sulla mascella del leone per issarsi, i muscoli delle braccia tesi per lo sforzo sotto la stoffa già attillata della maglia. Il rossore che sentiva in volto si fece più acceso e la stanza gli sembrò improvvisamente incandescente, quindi spostò subito la sua attenzione sul filo che spuntava dal bordo della sua maglia. Lo fissò intensamente, giochicchiandoci un poco, aspettando che Keith si mettesse a sedere di fianco a lui, abbastanza lontano da non confondergli la mente con la sua presenza.

“Mi hai aspettato.” Mormorò Keith dopo un lungo momento di silenzio, come se avesse ragionato sulle parole di Lance con una dedizione attenta, portando alla luce ciò che non era stato detto.

Lance ebbe un fremito e sperò che non fosse stato troppo ovvio. “Sì.”

Un’altra pausa. Il silenzio tra le risposte era snervante e lasciava a Lance troppo tempo per domandarsi se aveva detto qualcosa di sbagliato, ma si sentiva ancora troppo fragile per guardare di nuovo Keith – le sue emozioni erano troppo vicine alla superficie. “Perché? Nessuno ha risposto alle tue domande?”

“No, al contrario.” Lance sorrise, quasi a sé stesso. “Hunk è stato un grande, davvero. Grazie a lui conosco la mia famiglia e quello che mi piaceva sulla Terra. Pidge era… determinata a raccontarmi quello che facevo e non facevo, quindi immagino che forse ora io ne sappia più del dovuto, in un certo senso. Penso che stia ancora cercando un modo di restituirmi la memoria.”

Keith aspettò in silenzio, percependo il modo in cui la voce di Lance rimase appesa nell’aria, frammentata. Lance sentì la sua ansia vibrare ancora e percepì Rosso che cercava di calmarlo mentre tentava disperatamente di farsi coraggio.

Strinse le mani a pugno sulle cosce e prese un respiro profondo. “L’unico su cui non sono riusciti a dirmi niente,” disse infine, “sei tu.”

La voce di Keith si fece più chiara a quelle parole dopo solo il tempo di un battito. “Beh, non puoi fargliene una colpa.” Disse, e qualcosa nel suo tono di voce indusse Lance a distogliere l’attenzione dalla sua paura abbastanza a lungo da spingerlo a guardare Keith, che fissava dritto davanti a sé. “Non parlo molto di me.”

Lance annuì, ripensando a tutti i suoi segreti. Non era esattamente quello che intendeva, ma aveva senso. “Ti capisco.”

Le labbra di Keith ebbero un fremito, poi il ragazzo girò la testa per fissare Lance con il suo sguardo scuro. “Farò un’eccezione per te.”

Dio mio. Lance sentì l’aria nei polmoni farsi calda e pesante, il respiro gli raschiava la gola e quasi faceva male quando respirava. Non c’era proprio niente nel modo in cui Keith lo guardava che avrebbe dovuto fargli venire la bocca secca né fargli sentire la pelle così tirata e calda. Resistette all’impulso di leccarsi le labbra e indietreggiò un poco, allontanandosi dal bordo.

“G-grazie.” Riuscì a dire, anche se smozzicato. Distolse di nuovo lo sguardo. “Vuoi che andiamo dentro per parlare? Fa- fa un po’ più caldo. E ho preso degli snack dalla cucina. Non sapevo se avevi mangiato, ma mi sono detto che per sicurezza… Ritorni da una missione importante e tutto, ahah! Non so se- ma voglio dire, se preferisci rimanere seduto qui fuori, possiamo-”

Keith lo interruppe e il cuore di Lance andò in visibilio quando sentì un sorriso nella sua voce. “Certo, possiamo andare dentro.”

“Fantastico!” Era fin troppo entusiasta, oddio, doveva dissimulare un poco, altroché! Datti una calmata!

Si mise in piedi e sparì dentro il leone, sentendo gli occhi di Keith su di lui nel mentre. Quando ebbe raggiunto la cabina di pilotaggio, si fermò e fissò la coperta e i cuscini sparpagliati dietro il sedile del pilota, sentendo una morsa allo stomaco e avendo un ripensamento. Era troppo? Voleva solo che Keith stesse comodo e c’era solo un sedile… Non li aveva mica sgraffignati da uno sgabuzzino del castello, erano semplicemente gli oggetti di emergenza che erano nella stiva di Rosso. Un pensiero dell’ultimo minuto, per niente premeditato.

Si girò sui talloni per ritrovarsi Keith di fronte alla porta della cabina di pilotaggio, lo sguardo che scivolava sull’interno della stanza proprio come la prima volta che era entrato in Rosso. Dovette sentire lo sguardo di Lance su di lui perché i suoi occhi si spostarono lentamente sul ragazzo, fermandosi su di lui. La luce rossa ravvivava la sua pelle pallida e rendeva più intenso il colore dei suoi capelli, rendendo i suoi occhi quasi neri.

“Sei mancato a Rosso.” Disse Lance, scoppiando la bolla di silenzio che aleggiava nell’aria. Si lasciò cadere sulla pila di coperte e cuscini senza tante cerimonie e portò le ginocchia al petto, poggiando la schiena contro il sedile del pilota.

Keith chiuse appena gli occhi, come se stesse comunicando con il leone, per poi entrare, infine, e dirigersi verso Lance. “Già. Lo stesso vale per me.”

“Ho scoperto che ci siamo scambiati il leone grazie a Rosso.” Continuò Lance, mentre Keith si sedeva vicino a lui a gambe incrociate, poggiandosi anche lui contro il sedile, fin troppo vicino. Davvero, era fin troppo vicino. Se Lance si fosse poggiato anche solo qualche centimetro più di lato l’avrebbe sfiorato con la spalla, e gli era già difficile seguire il filo dei suoi pensieri così com’era. Si fissò le ginocchia. “Questo è stato uno dei primi posti in cui sono venuto dopo che Hunk e Pidge mi hanno raccontato di Voltron. Fino a quel momento, avevo sentito nominare il tuo nome solo una volta, ma quando sono venuto qui e ho parlato con Rosso, sei spuntato fuori di nuovo.”

Si voltò per guardare Keith, che lo studiava con un’espressione ferma, le sopracciglia leggermente incurvate. Lance non poté fare a meno di pensare che era bellissimo, illuminato dalla luce rossa e calda del leone, così vicino e reale che avrebbe potuto poggiarsi su di lui se solo ne avesse avuto il coraggio.

“Ero così confuso perché- p-perché nessuno parlava di te, ma ogni cosa nuova che imparavo su di me sembrava in qualche modo anche connessa a te. E tu non c’eri. Pensavo- pensavo che fossi un fantasma.” La sua voce tremò leggermente per la verità che aveva detto e per come si sentiva esposto. Non aveva mai parlato ad alta voce dei suoi sentimenti o della sua esperienza nell’accettare la sua perdita di memoria, e ora eccolo lì, con Keith e con le parole che gli uscivano come acqua impotente contro la gravità.

“E quando mi sono finalmente deciso a chiedere di te, ho scoperto poco dopo che eri dato per disperso. Non sapevo-” Sentì la voce pizzicare in gola al ricordo di quella desolazione, e venne scosso da un brivido quando quei sentimenti devastanti lo riempirono, un eco del dolore del passato, reale e pesante al tempo stesso. “Pensavo che fossi morto ed ero spaventato all’idea che non avrei mai avuto delle risposte.”

Keith aggrottò le sopracciglia, quasi per il dolore. Si voltò per non guardarlo, le mani che stringevano le ginocchia. Lance sentì il nodo che aveva in gola stringersi a quel silenzio, ma aspettò perché non sapeva cos’altro dire. Non capiva il significato di quella reazione. Poi, all’improvviso, pensò che forse gli stava addossando delle colpe a sproposito e il suo cuore vacillò, il panico che lo riempiva, denso e vischioso.

“Aspetta, non- non te ne sto facendo una colpa! Non- n-non pensare che-”

“Non sarebbe sbagliato se lo facessi.” Disse Keith, con una voce bassa e regolare, e fece male. Fece così tanto male che Lance riusciva a malapena a respirare. Distese le gambe e resistette a fatica al bisogno di toccarlo perché non sapeva se Keith l’avrebbe voluto o meno.

“Keith.”

Non ricevette risposta, solo il sollevarsi regolare del suo petto a ogni respiro. Lance sentì gli occhi pizzicare, caldi.

“Keith, per favore, guardami.”

Keith irrigidì le spalle, ma inclinò lentamente il volto verso di lui, come se non avesse altra scelta, le sopracciglia aggrottate. Il resto di lui appariva abbastanza stoico; Lance non voleva più che si ritirasse così tanto in se stesso.

“Non te ne faccio una colpa.” Lance riuscì a controllarsi abbastanza a lungo da pronunciare quelle parole con sicurezza quando incontrò gli occhi scuri di Keith. “Non mi sono mai arrabbiato con te per il fatto che non ci fossi. Volevo delle risposte, ma tu- Dio, sapere che eri in salvo era l’unica cosa di cui avevo bisogno. Keith-” A quel punto, la sua voce si inceppò e Lance giunse le mani sulle cosce per ancorarsi a qualcosa, il petto alla mercé della natura travolgente delle sue emozioni. “Keith, mi sei solo mancato.”

Sentì il calore delle lacrime traboccare dagli occhi e si portò subito le mani al viso per asciugarle, girandosi in modo che Keith non potesse vederlo. “Scusami. Scusami, sono- sono sempre qui che ti piango addosso. Penserai di sicuro che sono un piagnone. Forse lo sono. Ero così anche prima?” Si interruppe su un singhiozzo. “Merda, mi dispiace-”

Keith lo prese delicatamente per il polso, scostandolo dal suo viso, e si spostò accanto a lui. Rosso gorgogliava in modo rassicurante sotto la sua pelle. “Non hai idea di quanto avrei voluto esserci.” Mormorò Keith, e la sua presa si fece più sicura sulla pelle di Lance, poggiando le loro mani sul suo ginocchio. Gli carezzò delicatamente col pollice la parte venosa del polso. “Posso?”

Lance annuì perché non si fidava della sua voce, e prese un respiro tremante.

Keith passò di nuovo il pollice sul suo polso. “Quando eravamo sulla balena spaziale nell’abisso quantico, io e Krolia vedevamo regolarmente quelle visioni del passato. Quando si trattava di ricordi con tutta la squadra, sembrava quasi che fossi ancora lì e mi era più facile andare avanti. Il viaggio era lungo, ma sopportabile, immagino, grazie a loro e al fatto che ci fosse anche mia madre.” Si fermò per un momento. “Ma, Lance, a volte vedevo dei ricordi su di te. Solo su di te.”

Lance si immobilizzò, il calore della mano di Keith onnipresente e il suo pollice che carezzava gentilmente il suo polso. La voce di Keith si fece più dolce e tranquilla, e quel timbro basso si squagliava dentro Lance come miele.

“Quando vedevo te, odiavo tutto della mia missione. Odiavo tutto delle mie scelte. Dimenticavo all’improvviso perché mi trovavo lì o perché me ne ero andato.” Quell’ammissione era così semplice eppure così importante che minacciava di inghiottire Lance tutto intero. “Sei il mio migliore amico, Lance. Dopo che Shiro è scomparso, non mi sono mai sentito così solo in tutta la mia maledetta vita, ma tu eri lì, perfino quando non sapevo di volerti.” Prese un respiro lungo, misurato. “Sei- Lance, sei l’unica persona che non mi ha mai abbandonato. E poi torno e scopro che tu- che tu- merda-”

Premette il pollice con forza sul polso di Lance, ma il ragazzo non si mosse. Anzi, si girò nuovamente verso di lui, le guance umide, gli occhi ancora caldi di lacrime. Gli occhi di Keith stavano andando a fuoco, accesi e vivi e intensi quando incontrarono quelli di Lance senza esitazione. Tutto di lui era aperto, dal fuoco nel suo sguardo alla curva delle sue spalle all’angolo dei suoi fianchi. Non si era mai mostrato così vulnerabile e Lance non era mai stato così innamorato di lui come in quel momento.

“Quindi me ne do la colpa.” Disse Keith, quasi con rabbia. “Niente di quello che dirai o farai potrà farmi cambiare idea. Avrei dovuto esserci per te, come tu ci sei stato per me. Sono- sono un disastro in queste cose, Lance. Merda, io-”

“Sei qui adesso.” Disse Lance piano, la voce tremula e fragile. Gli tremò il labbro inferiore e guardò Keith con occhi grandi e vitrei, ammirando con reverenza e sollievo lo sguardo duro che gli rivolgeva l’altro. Migliori amici. Forse non era stato così ovvio per quel Lance che non era riuscito a trovare il coraggio di finire di scrivere quella lettera, ma era reale. La connessione tra loro era sempre esistita e Lance ora la poteva sentire, più forte che mai.

“Non ti lascerò mai più.” Promise Keith con foga.

A quelle parole, le lacrime ripresero a scorrere più di prima e Lance si poggiò su Keith senza chiederglielo, nascondendo il volto contro il collo dell’altro. Keith gli lasciò il polso e lo avvolse in un abbraccio, tenendolo stretto a sé, molto stretto, come se ne avesse avuto bisogno anche lui. Era così diverso dall’abbraccio che si erano scambiati fuori dalla stanza di Keith nel bel mezzo della notte. Lance si avvinghiò alla vita di Keith, poggiandosi a lui di peso.

Quella posizione era un po’ strana, ma non voleva muoversi; voleva rimanere lì per sempre. Sentì che Keith aveva premuto il volto contro i suoi capelli, senza mai allentare la presa, solo stringendola, come se dovesse ricordare a se stesso che Lance era lì e che era reale. Il respiro di Lance era irregolare mentre cercava di calmare i singhiozzi che gli squassavano il petto, ma le sue lacrime bagnavano il collo di Keith e per la prima volta sentiva che non doveva chiedere scusa.

Afferrò la maglia di Keith, le nocche premute contro la curva sicura della sua schiena, e un qualcosa in quel gesto lo fece sentire leggermente più ancorato. Non gli importava di non ricordarsi niente. Non gli importava. “Risponderai a ogni mia domanda?”

“Certo.” Promise subito Keith.

“Perché hai lasciato la squadra?” Domandò Lance, la voce attutita contro il collo di Keith. Non era la domanda a cui aveva pensato quando lo stava aspettando poco prima, bensì quella che gli ronzava nella mente da quando avevano iniziato quella conversazione.

Keith strofinò la fronte sui capelli di Lance, e Lance sentì il cuore boccheggiare nel suo petto a quella chiara dimostrazione di affetto. Il peso e la stretta delle mani di Keith sulle sue spalle era tangibile e bellissimo al tempo stesso. “Quando Shiro è tornato, eravamo in sei con solo cinque leoni.” La sua risposta era dolorosamente schietta e vicina al suo orecchio. “Eri disposto a farti indietro e a lasciarmi pilotare di nuovo Rosso, così me ne sono andato.”

Lance strinse più forte la maglia di Keith e sentì un nodo in gola a quella rivelazione. “Te ne sei andato a causa mia?” E Keith era quello che si stava addossando la colpa di non esserci stato quando era stata tutta colpa di Lance fin dall’inizio?

La voce di Keith era calma. “Ero già stato accettato tra i membri de La Spada di Marmora e con loro avevo modo di aiutare nella lotta contro i Galra. Ho pensato che fosse la cosa giusta da fare, ma non avrei dovuto essere così impulsivo.” La sua voce era piena di rammarico. “Mi dispiace davvero tanto, Lance.”

Si impigliò su un singhiozzo e strofinò il volto sul collo di Keith. “Tra’quillo, tra’quillo.”

Keith emise un verso frustrato, ma il suo tocco rimase gentile. “No, invece.”

Lance non sarebbe riuscito a reggere oltre senza avere una crisi se la conversazione fosse continuata in quella direzione (soprattutto con il calore della voce di Keith, così sincera e avvolgente nella sua ferocia), quindi cambiò marcia e si mise in una posizione leggermente più comoda. La sua presa su Keith si fece solo più stretta e ricacciò di nuovo indietro le dense emozioni che aveva in gola. Rimase in silenzio per un lungo momento per ricomporsi.

Keith si limitò a tenerlo abbracciato contro il suo petto. “Mi dispiace.” Sussurrò nell’orecchio di Lance, ancora e ancora, come una litania, come se non riuscisse a fermarsi ora che si era aperto.

“Tra’quillo.” Mormorò Lance, quando fu sicuro che la sua voce non si sarebbe spezzata. “Non potevi saperlo. Non ha più importanza.” Poi, si strinse a Keith un po’ di più, cercando di trasmettergli la calma che sentiva nelle profondità del suo cuore a dispetto delle sue lacrime. Sembrò funzionare.

I momenti diventarono minuti e non si mossero, se non per respirare. Infine, Lance riuscì a cancellare dalla mente il vecchio ricordo del suo dolore e della sua tristezza, riuscendo a godersi il fatto che fosse seduto nella cabina di pilotaggio del leone rosso con Keith, da soli.

Si schiarì la voce e la stretta di Keith si fece impercettibilmente più morbida, abbastanza da permettergli di voltarsi in modo che la sua fronte premesse contro il collo di Keith, che il ponte del suo naso riposasse sulla sua gola. “Ho un’altra domanda.” Disse piano.

“Chiedi pure.” Disse Keith, e suonava anche lui più in controllo di sé.

“Perché tutti pensano che ci odiamo?” Tirò su col naso. Gli era sempre sembrato divertente e strano che Hunk e Pidge parlassero del suo rapporto con Keith come burrascoso, ma questo era prima che Keith lo chiamasse migliore amico. In quel momento, il sapere che la maggior parte della squadra pensava davvero che non andassero d’accordo era ridicolo. Di sicuro la cosa più fuorviate che gli avessero mai detto da quando aveva perso la memoria. Non riusciva quasi a credere quanto fossero fuori strada. Lo spingeva a domandarsi quando erano stati amichevoli l’un l’altro e quanto spesso fossero rimasti da soli loro due insieme.

Anche Keith sembrava leggermente divertito. “Mi hai fatto diventare il tuo rivale per chissà quale motivo. Al Garrison ero abbastanza chiuso in me stesso, quindi probabilmente sono stato un stronzo con te o che so io. Non mi hai mai dato un vero motivo, però.” Fece una pausa per ridacchiare e Lance sentì lo stomaco fare un salto a quel suono adorabile così vicino al suo orecchio. “Eri sempre pronto a sfidarmi a qualcosa di stupido e io ero l’idiota che si faceva sempre prendere all’amo.”

“Sempre?”

Keith sospirò. “Sempre.”

Anche se questo li rendeva due idioti, a Lance la cosa piaceva moltissimo. “È vero che litigavamo spesso?”

“Bisticciavamo, ma… era divertente, per la maggior parte.” Keith sospirò di nuovo e premette la guancia contro la testa di Lance. Rimasero in quella posizione per un lungo momento e Lance permise alla sua mente di catalogare tutte quelle nuove informazioni e di aggiornarsi con quanto di nuovo era successo. Si sentiva ancora gli occhi provati dalle lacrime, gonfi e arrossati, ma si erano fermate e la pelle del collo di Keith era appiccicaticcia per quel che rimaneva del suo pianto.

Keith sciolse di poco la sua stretta, quel poco che bastava per passare la mano sulla schiena di Lance, seguendone la spina dorsale. Era un gesto molto più sicuro di quella volta nel corridoio… Keith era più sicuro. Quella certezza era potente, una sicurezza in quello che faceva e diceva che sgorgava così tanto da lui che perfino Lance si scoprì sicuro di quello che sapeva.

“C’è altro che vuoi sapere?” Gli domandò Keith.

Lance esitò per un momento, ma si disse che Keith gli aveva promesso di rispondere a qualunque sua domanda. Non avrebbe insistito se non avesse voluto rispondere, ma valeva la pena tentare, e pensava che fosse giunto il momento di conoscere qualcosa del ragazzo che, senza volerlo, teneva in scacco il suo cuore. “Davvero ti sembro… lo stesso? Non ti dà fastidio il fatto che io non riesca- che non ricordi niente?”

Keith si immobilizzò e rimase in silenzio, la mano ferma sulla sua schiena abbastanza a lungo da farlo staccare da lui, scostandosi fino a quando non riuscì a guardarlo negli occhi. Keith lo guardava con uno sguardo tenero e l’oscurità della stanza sembrava addolcire ancora di più i suoi tratti definiti. Per un lungo momento, sembrava che non stesse neanche pensando; sembrava che lo stesso guardando semplicemente per guardarlo. Lance, imbarazzato, si asciugò le righe umide sulle guance, pensando che sicuramente era un completo disastro.

“Dici quello che pensi molto più di prima.” Si decise a dire Keith. “Ma sei anche leggermente più silenzioso. Devi tenere a mente che sono passati due anni per me, Lance. Da quanto ne so, potrebbe anche essere cambiato tutto. Per me, tu sei lo stesso. Stessi capelli, stessi vestiti.” Allungò una mano e la posò sulla sua guancia, esitando solo un poco, e il suo tocco era così dolce e delicato da sembrare irreale. Keith passò il pollice sulla linea del suo zigomo con una tenerezza sorprendente. “Stessi occhi.”

Lance sentì il calore espandersi sul volto, probabilmente scottava dove Keith lo stava toccando. “E-e… i miei ricordi?”

Keith si scostò, lasciando cadere la mano, e Lance si rimise dritto a sedere, un po’ riluttante, sentendo l’ansia che si faceva nuovamente strada nelle sue vene a quella distanza tra loro.

“I tuoi ricordi sono tuoi.” Disse Keith piano, come se stesse scegliendo con cura le parole. “Non erano miei. Non sta a me rimpiangerli e non è giusto che mi turbi il fatto che non ci siano più quando sei tu che li hai persi. Non-” Si interruppe e aggrottò le sopracciglia, portando lo sguardo su Lance, intenso. “Non mi importa se non ricordi. Costruirò dei nuovi ricordi con te.”

Lance pensò che avrebbe dovuto baciarlo. Pensò che, se ci sarebbe mai stato un momento giusto bello e perfetto, era quello, proprio lì.

Invece si mise una mano in tasca e ne tirò fuori la lettera, solo per capriccio. Forse perché voleva che Keith la vedesse, che capisse. Keith lo guardò con curiosità e inclinò leggermente la testa di lato quando Lance gli mise il foglio in mano. “L’ho trovata quando mi sono svegliato.”

Keith aprì con cautela il foglio spiegazzato. “Che cos’è?”

Lance deglutì. Era strano che non si fosse mai sentito così vulnerabile come in quel momento? Le lacrime e le sue confessioni non erano niente in confronto a quello… a quel relitto, a quel simbolo dei suoi sentimenti passati. Quella lettera era fragile e sacra come il suo stesso cuore e si morse il labbro, il petto stretto in una morsa, osservando Keith che lisciava il foglio per guardarlo, la sua espressione immutata.

“Credo di averti voluto scrivere una lettera.” Mormorò Lance, guardando intensamente il volto di Keith, con timidezza, incapace di distogliere lo sguardo anche se avesse voluto. “Non so a quanto tempo fa risalga, ma quando l’ho trovata ho capito subito che dovevi essere stato importante per me. Ti… ti rendeva reale.”

Keith poggiò la lettera di fianco a lui con cautela e lo guardò da dietro le ciocche scure dei suoi capelli. “C’è scritto solo il mio nome.” Disse, e la sua voce rimbombava come un tuono.

Lance annuì, preso dal calore di quello sguardo, spazzato via dalle avvisaglie di una tempesta nella sua voce. “Già.” Esalò.

Keith si sporse in avanti e Lance… il mondo intero si bloccò con un rumore sferragliante quando la fronte di Keith si poggiò sulla sua e i loro nasi si scontrarono. Lance chiuse gli occhi, respirare diventò pesante e difficoltoso e il cuore prese a battergli all’impazzata. L’aria tra loro era densa e Lance riconobbe subito quella tensione, la stessa che permeava ogni loro interazione da quando avevano incrociato gli sguardi la prima volta. Il suo sangue si mutò in vino, scuro e dolce e divino.

“Keith.” Sussurrò Lance, la voce tremante per il desiderio. Non riusciva a credere che stesse succedendo per davvero, che Keith fosse lì e che fosse così vicino, che fosse stato lui a volere quella vicinanza e che non si stesse spostando. Da un momento all’altro si sarebbe risvegliato nel suo letto, freddo e solo, e il calore bruciante di quel momento intenso sarebbe stato solo il ricordo di un sogno sbiadito. Doveva essere così. Per forza. Non era possibile che tutto quello che aveva sempre voluto, tutto quello che pensava che non avrebbe mai avuto, stesse per avverarsi.

Keith posò con cautela la mano sul lato del suo collo, passandogli le dita tra i corti capelli della nuca. “C’è altro che mi vorresti chiedere?” Chiese piano e, chissà come, anche con voce ruvida, ghiaiosa, un sussurro nel buio.

Lance rabbrividì, non abbastanza coraggioso da chiedergli l’unica cosa che voleva davvero. “Pidge ha trovato dei miei vecchi vlog… Li guarderesti con me?”

Keith annuì, e le loro fronti strusciarono l’una contro l’altra a quel movimento. “Certo. Vuoi guardarli adesso?”

Lance riusciva a malapena a pensare con Keith così vicino, con il suo respiro sulle sue labbra quando parlava, quindi rispose: “No… domani- domani, forse.”

“Va bene.” Disse Keith.

“M-ma… magari, se ti va, potresti parlami di te?”

A quelle parole, Keith mosse il capo, scivolando verso l’alto in modo da premere le sue labbra contro la fronte di Lance. “Certo.” Mormorò sulla sua pelle. “Ci- ci proverò. Voglio parlartene. Cosa vuoi sapere?”

Lance sospirò a quel minimo contatto intimo, al modo in cui i battiti del suo cuore si propagavano all’impazzata sulla sua pelle, marchiandolo a fuoco come un tatuaggio. Forse il rantolo che emise quando inspirò si sentì, ma ormai non gli interessava più quanto potesse sembrare appiccicoso quando era Keith che gli stava offrendo tutto quell’affetto fisico, come se lo avesse voluto anche lui da morire.

“Tutto.” Mormorò Lance. “Niente.”

***

La prima cosa di cui Lance si accorse quando si risvegliò lentamente fu il calore premuto contro ogni curva della sua schiena alla nuca fino a dietro le ginocchia. Per un attimo non capì dove si trovava, fino a quando non sentì la scomodità di aver dormito su un pavimento e, anche nell’oscurità quasi totale, si ricordò di essersi addormentato nella cabina di pilotaggio del leone rosso.

Il calore dietro di lui… era Keith.

Il suo cuore fece una piccola capriola nel petto, ma Lance non si mosse, anche se gli faceva male il fianco a causa del duro pavimento. Aveva un braccio attorno alla vita, la mano che riposava sul suo petto, una fronte premuta contro la sua nuca, che aderiva in modo così perfetto che avrebbe dovuto essere la normalità. Come se si dovesse svegliare indolenzito su un pavimento ogni mattina con Keith che lo teneva il più stretto possibile a sé.

Chissà perché, ma il pensiero gli provocò una fitta al cuore – gli fece sentire la mancanza di Keith. gli mancavano i suoi occhi e la sua voce e il modo in cui i suoi capelli gli ricadevano dolcemente sul volto. Gli mancava così tanto che non capiva come avesse fatto a sopravvivere in quegli ultimi due mesi, senza contare l’anno precedente, e forse era leggermente assurdo, ma era contento di non ricordare niente.

Passò lentamente le dita sulle nocche della mano di Keith, ripensando alla notte precedente. Si erano addormentati parlando delle loro prime missioni e della loro stupidissima rivalità, ridendo piano, stendendosi sul pavimento. Lance si domandò se si sentiva come si era sentito ogni mattina prima della sua morte. Risvegliandosi a quel modo, consapevole. Anche se i suoi ricordi gli erano stati restituiti e raccontati da un punto di vista diverso, riusciva a vedere il quadro completo.

Non aveva neanche più voglia di guardare quei vlog. Che senso avrebbe avuto dopo la serata che avevano trascorso? Cosa avrebbe dovuto sapere che non gli era già stato raccontato?

Il braccio attorno a lui si scostò appena, le dita che si trascinavano sulla stoffa sottile della sua maglia, e Lance le sentì una a una, separatamente. Cinque punti di contatto diretto che bruciavano attraverso i vestiti. Si sorprese a cercare di controllare il respiro quando un paio di labbra premettero contro la sua nuca facendogli sentire caldo, caldo, caldo sotto la pelle.

“Sei sveglio stavolta?” Borbottò Keith, le labbra che lo sfioravano mentre parlava.

Lance arrossì a quel contatto e non sapeva se per quella voce strascicata e sexy a causa del sonno o per l’imbarazzo di aver potenzialmente detto o fatto qualcosa nel sonno. “Uh… sì. Spero di non aver fatto niente di imbarazzante la prima volta?”

C’era una dolcezza nella risposta di Keith che Lance si stava abituando sempre più a sentire. “Mi hai chiesto di abbracciarti, ma-”

“Merda.” Gemette Lance, girando la testa e seppellendola nel cuscino. “Oh mio Dio, scusami.”

Keith mormorò. “Tranquillo.”

Il rossore che gli divampava sul volto sembrò crescere di intensità, espandendosi lungo il collo. “Beh, forse-”

A quel punto, Keith cambiò posizione, tirandosi su a sedere. Lance scostò coraggiosamente il volto dal cuscino per guardarlo. Aveva lo stampo rosso delle grinze del cuscino sulla guancia destra e i capelli arruffati che gli incorniciavano il volto rendendolo comunque bello da far male nella penombra della cabina, illuminatasi nuovamente di rosso quando Rosso registrò i loro movimenti. I suoi occhi erano ancora scuri, ma quel mattino erano gentili.

“Perché mi guardi così?” Domandò Keith, divertito dal fatto che Lance non avesse finito la frase.

“È solo che sei- qui.” Concluse Lance, in modo penoso. I suoi pensieri erano troppo grandi per essere messi a parole e si sentiva ancora fin troppo imbarazzato per ammettere quanto fosse attratto da lui.

Eppure, sembrò che Keith avesse capito. “Già.”

Lance si mosse fino a quando non si fu tirato su a sedere anche lui e stiracchiò le spalle, roteando il collo per dare un po’ di sollievo al dolore per aver dormito sul pavimento. “Immagino che dovremo tornare al mondo reale, huh?”

“Probabilmente.” Rispose Keith, ma si allungò per afferrare la borsa di snack che avevano piluccato la notte prima mentre parlavano. “Prima la colazione.”

Lance concordò prontamente e, mentre mangiavano, pensò che era un buon momento per guardare i vlog. Giusto per farla finita. Dopotutto, con Lotor lì fuori da qualche parte, dovevano essere cauti e, nonostante non gli interessasse più il contenuto di quei video, preferiva guardarli ora quando ne aveva il tempo.

Era davvero strano che non sentisse niente alla prospettiva di guardarli. Assolutamente niente.

Keith si sedette vicino a lui e Lance tirò fuori il tablet, aprendo il file; le loro spalle quasi si sfioravano. Lo distrasse abbastanza da fargli perdere il primo vlog quasi del tutto, un breve video per la sua famiglia. Non era niente di sconvolgente, non gli disse niente di nuovo. Era leggermente strano dato che Lance non si ricordava di averlo registrato, ma la sua faccia era la stessa e la sua voce non era cambiata, quindi… era un buon modo di iniziare.

Il secondo e terzo file furono leggermente strani. Il Lance sullo schermo aveva una personalità chiassosa che fece sbuffare o ridacchiare Keith un paio di volte mentre blaterava di dettagli fighi di certe missioni di cui il Lance del presente aveva solo sentito parlare. In uno dei vlog, menzionò che gli piaceva Allura, il che mandò Lance in cortocircuito – perché, ma che cazzo –, sconvolgendolo a tal punto da non notare che Keith si era irrigidito appena al suo fianco.

“Va bene…” Borbottò, sbattendo le palpebre davanti allo schermo nero quando il video terminò. Si sentiva leggermente imbarazzato e… tipo, forse avrebbe dovuto scusarsi con Keith? Primo, per averlo sottoposto a tutto quello e, secondo, per… per cosa? Anche se avesse avuto una cotta per Allura – ed era un grande se -, non significava niente per lui ora. Non era che- che avesse tradito il suo amore per Keith se avesse pensato che lei era carina. E lo era.

“Ti hanno mai raccontato della tua cotta per Allura?” Gli domandò Keith, la voce neutra.

“Pidge e Hunk potrebbero averla menzionata.” Borbottò Lance, il volto di nuovo in fiamme per il rossore. “Ma non gli ho creduto.”

Imbarazzato, Lance selezionò l’ultimo file, volendo cambiare discorso il prima possibile. Si aspettava che sarebbe stato simile agli altri tre; un po’ impacciato, un po’ sincero e pieno di frasi lunghe e sconclusionate, ma non fu così.

Lo schermo mostrò il castello nella fase notturna e Lance seduto sul pavimento della plancia di comando, quasi nervoso. L’espressione sul suo volto, contrita e seria, attirò subito l’attenzione di Lance.

Non so con chi parlarne perché mi sembra di essere paranoico.” Disse il Lance nel video, sbirciando da dietro la spalla per poi riportare lo sguardo sull’obiettivo. “Ma penso di avere bisogno di dirlo comunque, nel caso in cui potesse aiutare in un futuro o che so io. Coscienza pulita e compagnia bella. Non che sia colpevole di qualcosa.”

Dietro Lance, Keith sbuffò, e si chiese per un breve momento se avrebbe dovuto sentirsi offeso.

Sullo schermo, Lance scosse il capo. “In ogni caso, dritti al punto: Shiro mi ha detto che a volte non si sente in sé. Ci ho dato poco peso pensando che fosse una sua cosa da paladino ma… L’altro giorno sono entrato nella lounge e lui era lì in piedi nel bel mezzo della stanza. Che fissava qualcosa. Roba da super mega film horror, capite?

E a volte a cena ha un’espressione spenta sul volto, come se non ci fosse. Ogni volta che gli chiedo se si sente bene mi ignora, ma non riesco a fare a meno di pensare che si stia nascondendo per non doverne parlare.”

All’improvviso, l’atmosfera intorno a Keith si fece molto tesa e Lance scollò lo sguardo dal video per capire che cosa stesse succedendo, ritrovandosi Keith con la mascella serrata e le sopracciglia aggrottate.

Lance riportò lo sguardo sul video.

Non so. Credo di pensare che ci sia qualcosa di sbagliato in lui.


 

Note dell’autrice: OKAY! FINALMENTE!!! HO GLI OCCHI CHE MI BRUCIANO! E vi lascio con un cliffhanger :D

Ho amato scrivere questo capitolo. Mi sono comunque sentita come se stessi camminando su una linea sottile tra quello che sarebbe stato naturale per Keith e quello che sarebbe stato naturale per la storia, ma ho deciso che Keith sarebbe solo stato molto determinato a dare a Lance tutte le risposte che voleva perché si sentiva in colpa e perché tiene davvero molto a lui. Potrei dover tornare a controllare il capitolo per qualche errore dato che è tardi, ma penso di essere soddisfatta da come si è svolta la loro conversazione.

Keith non sa ancora del nome di Kosmo, il che mi fa ridere. Non preoccupatevi, verrà fuori anche quello.

Spero che 11 pagine di dialogo klance possano aiutare ad alleviare il dolore che ci ha lasciato l’ottava stagione. Mille grazie a tutti per i vostri bei commenti e soprattutto grazie a tutti coloro che hanno detto a altri di leggere questa fic! Non sapete quanto mi renda felice sapere che vi piace leggere questa storia così tanto! Vi voglio bene!

   
 
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