A don R.C.
Se penso a te non penso a un cuore amico
l’impulso è di pensare ad un’offesa,
insulto che tu dici, che io dico,
che accogli con quell’aria un po’ sorpresa.
Se penso a te non penso a un grande affetto,
ma penso ad un rimprovero allibito,
se impreco sottovoce o se fischietto,
perché da donna mai l’avevi udito.
Se penso a te non penso a gentilezza,
ma a scherzi che ogni tanto fanno male,
parole che son schiaffo e non carezza,
non sono seta liscia ma pugnale.
Se penso a te, però, non vedo rabbia,
vedo uno scherzo detto a proprio agio,
non vedo un uomo che rancore abbia,
vedo un cuore gentile, non malvagio.
Vedo i sorrisi aperti, gli occhi onesti,
sento il tuo tono basso e dispettoso,
vedo gli sguardi attenti e vedo i gesti,
e vedo un uomo furbo e assai prezioso.
Senza le prese in giro, non sei tu,
senza lo scherno, poi, non sarei io;
perciò se penso a te ho un sorriso in più,
se penso a te, riflesso, vedo Dio.
E quindi penso a te e vedo un amico,
e penso a te provando un grande affetto,
e sorridendo il giorno benedico
in cui la prima offesa tu m’hai detto.
E quindi penso a te e vedo un tesoro,
di quelli che tenere ti conviene,
di quelli che trasforman piombo in oro,
a cui è un onore dir ti voglio bene.