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Autore: SherlokidAddicted    29/07/2020    4 recensioni
|| AU Destiel ||
Nell'anno 2258 l'aria sulla Terra è ormai irrespirabile, nessuno vive più come decenni fa. La casa del genere umano è un grande bunker sotterraneo, dove i sopravvissuti a una bomba nucleare tossica cercano di andare avanti dopo il disastro che li ha confinati dove la luce del sole non è in grado di raggiungerli.
Castiel e Gabriel Novak sono due fratelli e due elementi di lustro dell'esercito americano, due dei pochi che hanno ancora il permesso di uscire in superficie per le loro missioni.
Un giorno rilevano un'esplosione in un vecchio edificio all'esterno del bunker, a qualche ora di distanza. Lì, sotto le macerie, ci trovano Dean Winchester, ferito, con un'amnesia provocata da un trauma cranico e soprattutto l'unico umano sulla faccia del pianeta senza un tatuaggio identificativo.
Secondo i registri, Dean Winchester non è mai esistito.
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Castiel, Dean Winchester, Gabriel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Metatron

Quando Castiel lasciò il corridoio buio e inquietante del pronto soccorso, e si infilò spedito nell’ascensore, il suo sguardo era fisso allo specchio. Si guardava, ma era come se vedesse un’anonima parete bianca mentre ripensava alle parole di Meg.

Niente di strano, Clarence. Le sue analisi erano nella norma.

E per l’ennesima volta si chiedeva come diavolo quello fosse possibile. Non riusciva a trovare una spiegazione. Aveva constatato in prima persona i danni di Dean, aveva visto Dean zoppicare e gemere di dolore a ogni passo. Che stesse fingendo? Che fosse tutta una farsa per arrivare a chissà quali scopi? Forse quello che a volte gli diceva Gabriel non era poi così sbagliato… forse era davvero troppo ingenuo, probabilmente gli scopi di Dean erano altri, ma a questo punto come spiegare la diagnosi di Meg sulla sua amnesia?

Forse, pensò, ciò che rendeva Dean così diverso non era possibile constatarlo da un semplice test del sangue.

Le porte dell’ascensore si aprirono e un coro di vittoria lo accolse, ma quello non era rivolto a lui, bensì ad Anna, che in mezzo a tante facce felici e fiere camminava a testa alta con un sorriso sgargiante sul volto. Doveva aver vinto la partita. Mentre le porte dell’ascensore si chiudevano alle sue spalle, i soldati gli passarono davanti in fila, ognuno diretto alla propria stanza, mentre in fondo, in disparte e con la faccia di uno che non era molto contento di aver perso anche quella volta, Lucifer lo guardava di sottecchi, una scintilla di minaccia nei suoi occhi che non lo faceva stare per niente tranquillo.

Ho bisogno di scaricare questo stress.

Invece di raggiungere la camera dove Dean probabilmente stava già riposando, svoltò dalla parte opposta. In fondo al corridoio, lontano dalle camera, c’era la sala dove tutti i soldati si allenavano. Non era consentito entrare oltre il coprifuoco, ma Castiel ogni tanto eludeva quella regola. Si avvicinò alla porta, accanto sulla parete vi era un piccolo display. Gli bastò poggiarci sopra una mano. Venne riconosciuto come autorizzato e la serratura scattò. Quando entrò in quella stanza milioni di ricordi e di scene all’interno di quella stanza lo investirono come un treno in corsa.

Lì, nell’angolo accanto alla panca per i sollevamenti, Castiel aveva dato il suo primo bacio a una donna e poi l’aveva respinta con gentilezza. Hannah era il suo nome, e nella loro ultima missione insieme avevano legato tantissimo. Lei aveva dei pensieri totalmente differenti dai suoi, credeva che i traditori dovessero pagare con severe punizioni, e in qualche modo Castiel le aveva insegnato ad avere un po’ di compassione nei loro confronti. Hannah era cambiata, era diventata un sergente in gamba. Si era invaghita di lui, glielo aveva confessato e si era buttata. Un bacio, un lungo bacio a stampo che lo lasciò a occhi spalancati. Ci era voluto un po’ per trovare le parole giuste e dirle che i suoi gusti erano ben differenti da quello che lei credeva. Hannah aveva capito, erano rimasti amici, poi era stata promossa, poteva uscire in superficie. Castiel non faceva parte di quella spedizione, ma quando da quella missione erano tutti tornati tranne lei, lui aveva smesso di parlare per due settimane.

Quando era solo una recluta, quel sacco da boxe veniva colpito ripetutamente da un Castiel inesperto, mentre suo fratello cercava di motivarlo, di suggerirgli le migliori mosse, di addestrarlo e aiutarlo a migliorarsi.

Poi lì, alla sbarra dei sollevamenti, si era invaghito di un caporale, e mai aveva confessato i suoi sentimenti per lui. Quel peso era ancora sul suo petto a schiacciargli il cuore e mai se lo sarebbe tolto da lì, perché poi quel caporale, un po’ ribelle e temerario, era uscito di nascosto dal bunker con una maschera, ma poi l’ossigeno era finito, era rimasto lassù per troppo tempo.

E per finire in quell’angolo accanto al tapis roulant, Lucifer gli aveva quasi spezzato un braccio per una sfida, e se Gabe non fosse intervenuto in tempo probabilmente sarebbe finita peggio.

Castiel si sfilò la maglietta e la gettò sulla panca, si avvicinò al sacco e lì scaricò tutto lo stress. Pensò a Dean e a ciò che Meg gli aveva detto, alle analisi completamente normali, poi pensò a Chuck Shurley, al modo freddo e neutro con cui aveva reagito quando gli aveva parlato del tatuaggio, a Gabe che si era convinto di lasciargli la stanza e di trasferirsi momentaneamente da un’altra parte, a Lucifer e ai suoi sguardi minacciosi, e al fatto che stesse quasi per piantargli un proiettile in fronte.

Ogni pugno su quel sacco sembrava una liberazione.

Quella sera Dean si addormentò in una stanza solitaria.

L’indomani, Gabriel portò in superficie la sua squadra come promesso, Lucifer compreso, che non sembrò tanto contento di dover restare a fare la guardia alle jeep. Ma doveva redimersi da ciò che aveva fatto il giorno prima e non aveva altra scelta che obbedire al capitano Novak.

Castiel era rimasto al garage ad attendere il loro ritorno per tutto il tempo, Dean lo aveva seguito, ma non voleva sembrare il suo cagnolino e far arrivare la sua reputazione sotto ai piedi, quindi mentre lui chiacchierava con gli altri soldati, Dean si era messo da parte e aveva iniziato a curiosare in giro. Non gli sfuggì il fatto che tutti lo additassero mentre passava, o che sussurrassero qualcosa al compagno vicino che sicuramente riguardava lui. Non ci si abituava presto a una cosa del genere, Castiel era stato chiaro, perfino suo fratello Gabriel: doveva tenere gli occhi aperti e non fidarsi di nessuno, perché era diverso, e quindi un bersaglio. Il fatto che poi fosse guarito a vista d’occhio non lo aiutava a passare inosservato, visto che fino al giorno prima a stento riusciva a camminare. Ma cosa poteva farci se non aveva la più pallida idea di chi o cosa fosse? I soldati che erano lì, comunque, non sembravano volerlo aggredire, quindi si aggirò indisturbato. Il garage era enorme, c’erano così tante jeep che si perdevano a vista d’occhio, e le pareti accoglievano i ganci per le maschere d’ossigeno, e poi armi, più di quante Dean ne avesse mai viste in vita sua, sistemate dietro una parete di vetro, chiusa da un qualche codice che lui non conosceva. Dall’altra parte invece vi erano due porte, entrambe richiedevano l’accesso con una carta magnetica, proprio come la stanza in cui Castiel e tutti gli altri soldati dormivano. Fu un po’ deluso dal fatto che proprio per questo Dean non poteva andare a curiosare anche lì, per capire cosa si nascondesse in quelle stanze.

Osservò Castiel da lontano. Era in piedi accanto a Balthazar, le braccia incrociate al petto e lo sguardo rivolto al grande ingresso da cui era arrivato lui il giorno prima, aggrappato al tenente che aveva rischiato una pallottola in fronte pur di proteggerlo. Si chiese per un momento cosa sarebbe successo se a salvarlo fosse stato qualcun altro. Sarebbe stato clemente come lo era stato Castiel o lo avrebbe gettato in pasto a Lucifer senza problemi? O peggio… giustiziato direttamente in quel bar distrutto per paura che fosse chissà quale pericolo per l’umanità?

Mentre pensava a tutto quello, fece scivolare di nuovo lo sguardo verso quelle due porte e si rese conto che una era aperta. Quando era successo? Possibile che non si fosse accorto del fatto che qualcuno aveva aperto un varco alle sue possibilità di dare una sbirciatina? Non badò agli sguardi curiosi degli altri e si avvicinò con passo disinvolto. Ebbe timore solo quando arrivò a dare uno sguardo a quella stanza. Era un altro garage, ma decisamente più piccolo e meno organizzato. Le auto questa volta non erano jeep militari.

Curioso varcò del tutto la soglia e cominciò a camminare in mezzo ai veicoli, guardandole con attenzione una per una. Non erano messe in fila e in ordine, ma sembravano essere state messe lì alla rinfusa, come capitava, come in uno sfasciacarrozze. Una in particolare attirò la sua attenzione: nera, lucida, dai sedili in pelle, decisamente un auto d’epoca marcata Chevrolet. Si avvicinò come attirato da una calamita finché non riuscì a poggiare una mano sulla carrozzeria ricoperta in alcuni punti da una leggera patina di polvere.

- Ti piace? - Quando udì quella voce ritirò la mano sobbalzando e si girò. Dietro di lui, in fondo alla stanza, Anna lo guardava con un sorriso, tenendo i capelli raccolti in una coda sulla spalla destra. Non sapeva se essere sincero o semplicemente giustificarsi della sua presenza lì, ma dal suo viso non sembrava arrabbiata del fatto che l’avesse seguita.

- Sì… sì, è proprio bella. - Disse Dean mentre la donna si avvicinava fino ad affiancarlo.

- È una Chevy Impala del 1967. - Il biondo accennò un fischio sorpreso mentre guardava l’auto che, ancora quasi in buone condizioni, si trovava in mezzo a tutte quelle altre, decisamente più recenti dall’aspetto.

- Quasi tre secoli di auto. E va ancora? - Anna accennò una leggera risata, era proprio una bella risata, pensò Dean.

- Ovviamente no. È troppo vecchia, quindi la piccolina resta qui a prendere polvere. - Dean storse le labbra contrariato. - Come la maggior parte delle auto qui. -

- Cosa sarebbe questo, una specie di magazzino? Ci tenete i ferri vecchi? - Anna sorrise mentre si sedeva sul cofano della macchina. Poco dopo anche Dean fece lo stesso.

- Una specie. - Disse lei portando le mani sulle ginocchia. - Sono tutte le auto che abbiamo trovato in superficie nel corso degli anni. Le portiamo qui e le teniamo da parte. Quelle che sono ancora salvabili le sistemiamo, quelle che invece sono completamente fuori uso le teniamo qui, magari per un pezzo di ricambio o… semplicemente a prendere polvere e a diventare antiquariato, pezzi da museo di un pianeta che non esiste più. - Dean non rispose. Guardò un punto fisso davanti a sé nel sentire la voce assorta e quasi triste di Anna. Certo che doveva essere proprio bella la Terra prima di quel disastro! E forse lei nemmeno lo sapeva, visto che sicuramente era nata in quel bunker e non aveva assaporato come si deve la superficie. Era stupido avere a disposizione un pianeta e non poterci camminare sopra senza rischiare di morire. - Ma tu che ci fai qui? Non dovresti essere attaccato al culo di Castiel? - Dean la guardò sorpreso, poi scoppiò a ridere.

- Non voglio sembrare il suo cagnolino. - Si limitò a dire Dean. - In realtà mi annoiavo, volevo capire bene come fosse questo posto. -

- Sei fortunato che ci sia io in questa stanza, non stai simpatico a molti. -

- A te sì? - Lei gli sorrise, poi si alzò dal cofano di quell’auto e si spolverò i pantaloni con entrambe le mani.

- Diciamo che non mi sembri affatto una minaccia. E mi fido del giudizio di Castiel. Se a lui piaci allora piaci anche a me. - Dean fece per dire qualcosa, ma l’inconfondibile rumore delle saracinesche che si alzavano li fece voltare verso la porta. - Sono tornati. - Disse lei, e poi insieme si recarono al garage principale.

Tutti sembravano aver perso interesse nei suoi confronti, adesso si erano avvicinati all’ingresso. Le jeep erano ferme nell’anticamera, poi fecero il loro ingresso e si fermarono poco più avanti. I soldati scesero uno dopo l’altro, rimuovendo le maschere dell’ossigeno. L’ultimo a scendere fu Gabriel. Castiel sorpassò la calca di soldati e si fece avanti rispetto a tutti gli altri, e così fece anche Dean, perché quella questione lo riguardava in prima persona. Gli occhi dei due Novak si incrociarono, quelli di Castiel erano speranzosi, ma Gabriel si limitò a sospirare e a scuotere la testa rassegnato. Non avevano trovato niente, non un singolo indizio, non una singola traccia, né un piccolo particolare che avrebbe potuto svelar loro chi o cosa fosse Dean in realtà. Il disappunto sul volto di Dean era evidente, poco lo era invece su quello di Castiel. Era sembrato anzi leggermente dispiaciuto all’inizio, ma poi aveva indurito l’espressione ed era tornato il soldato di sempre. Poggiò quindi una mano sulla spalla di Dean, come a volergli dare il suo appoggio morale, come se gli stesse dicendo che avrebbero capito prima o poi qualcosa del suo passato. Dean guardò i suoi occhi azzurri in silenzio, poi lo guardò allontanarsi. La folla si disperse e ognuno tornò alle proprie mansioni.

Dean non riuscì a prendere sonno quella notte. Il letto era comodo, la stanza tranquilla, l’atmosfera buia e confortevole, ma i suoi occhi erano aperti e indugiavano su particolari futili delle pareti, come quella piccola crepa sul soffitto accanto al lampadario, o la carta da parati leggermente rovinata vicino alla porta, piccole imperfezioni che la prima volta erano sfuggite ai suoi occhi. Nel frattempo pensava, si sentiva messo alle strette ora che quella missione era fallita miseramente. Avevano detto che se ci fossero state delle prove, erano sicuramente andate perse con l’esplosione. Sul conto di Dean non c’era assolutamente niente, avrebbe voluto prendersi a sberle fino a farsi tornare la memoria.

Per non parlare del fatto che anche quella sera Castiel non era lì, dopo il ritorno dalla missione in superficie della squadra di Gabriel non lo aveva più visto. Cercò di non farci molto caso e provò a chiudere gli occhi per dormire, ma un rumore lo destò da quel letto. Che fosse stata la sua immaginazione? No, quel rumore si ripeté ancora e poco dopo sentì le porte delle altre stanze spalancarsi e delle voci, alcuni gridavano, altri correvano per il corridoio come forsennati. Dean si tolse le coperte di dosso e aprì la porta di un piccolo spiraglio. Vide i soldati accerchiati, altri puntavano pistole e armi. Lucifer era uno dei primi a tenere un fucile puntato verso qualcosa, o meglio… qualcuno che probabilmente era caduto sul pavimento. Non ci volle molto prima che Gabriel raggiungesse la folla, e Dean decise di uscire dalla stanza per cercare di capire.

- Che sta succedendo qui? - Disse Gabriel, tirando fuori il suo grado da capitano che fece aprire un varco tra i soldati per farlo passare. A quel punto anche Dean riuscì a vedere contro chi tutti si stavano impuntando. Era un uomo, forse sulla cinquantina o di più, i capelli erano ricci e castani, qualcuno bianco spiccava in mezzo alla capigliatura scombinata, e una leggera barba ricopriva il mento e la mascella. I suoi occhi chiari spiccavano più di ogni altra cosa, era di bassa statura, la sua corporatura non era di certo quella di un soldato, e le mani erano alzate davanti a tutte quelle armi puntate. C’era solo un sorrisetto sulle sue labbra che stonava con tutto il resto. - Tu? - Disse Gabriel stranito. A quel punto Dean vede sbucare anche Castiel, non si era nemmeno accorto che fosse arrivato, né da dove.

- Metatron? - Anche Castiel sembrava stupito di vederlo, ma soprattutto sembrava che lo conoscessero benissimo.

- Mi aspettavo dormiste tutti, soldatini. Un pover’uomo non può fare una passeggiata nei corridoi? - Disse quello, mentre si alzava dal pavimento con cautela, forse per paura che qualcuno premesse il grilletto, tenendo le mani sollevate quando fu del tutto in piedi.

- Non dopo il coprifuoco, e non nei piani in cui non sei autorizzato a stare. - Gli disse Gabriel che nel frattempo aveva incitato Lucifer ad abbassare il fucile. Lui lo aveva guardato contrariato, ma alla fine aveva obbedito, forse perché ne aveva già combinate abbastanza.

- Oh, devo essere sonnambulo allora. - Dean si avvicinò, non curante di essere praticamente estraneo alla faccenda, ma per evitare che lo allontanassero, si posizionò accanto a Balthazar, l’unico elemento dei soldati con cui aveva interloquito di più oltre a Gabriel, Anna e a Castiel. Anche Metatron era marchiato, ma da lì non riuscì a notare la sua categoria. Istintivamente portò entrambe le mani dietro alla schiena. Non voleva che quell’uomo scoprisse che era lui il tipo di cui tutti parlavano, l’unico uomo a non avere un tatuaggio identificativo.

- Che ci facevi qui? - Fu Castiel a parlare stavolta. Dean lo guardò meglio, era sudato fradicio, anche la sua maglietta era ricoperta da aloni. Ma che diavolo aveva fatto?

- Ve l’ho appena detto. -

- Sta sparando un sacco di stronzate. - Disse Lucifer. - L’ho visto mentre cercava di aprire la porta della stanza dei monitor, voleva dare una sbirciata alle telecamere di sicurezza? Rubare qualche registrazione? -

- È vero, Metatron? - Chiese Gabriel, guardando l’uomo che in tutta risposta aveva solo accennato un sorriso nervoso misto a rabbia. Per il capitano Novak quello fu abbastanza. - Rinchiudete questo imbecille. - Non ci fu bisogno di aggiungere altro, poco dopo due dei soldati stavano trascinando via Metatron. E il fatto che più fece incuriosire Castiel di quella faccenda era lo strano sguardo che Metatron aveva lanciato a Dean. Gli sorrideva in un modo che aveva già visto solo nel volto di chi stava nascondendo qualcosa. Che sapesse dettagli che potevano risultare utili? Dean, diversamente da lui sembrava stranito da quell’occhiata, era come se anche lui si stesse chiedendo cosa diavolo avesse da guardare di così interessante. - Bene, tornate tutti nelle vostre stanze, non c’è niente da vedere! - Annunciò Gabriel, incitando gli altri a rientrare. Quando il corridoio fu quasi svuotato, Gabe si avvicinò al fratello. - Devo parlare subito con Shurley. - Gli disse a bassa voce. Dean accanto a lui riusciva comunque a sentirli. - Non mi piaceva l’atteggiamento di Metatron, secondo me… -

- Nasconde qualcosa. - Castiel finì la frase di Gabriel e in risposta lui annuì. - Teniamolo in cella per la notte, fissiamo un interrogatorio per domani mattina e scopriamolo. -

- D’accordo. - Disse il maggiore dei Novak. - Bene, andate. Non dobbiamo restare oltre il coprifuoco, soprattutto lui, è già abbastanza nei guai per quello che è. - Gabe indicò Dean con la testa, quest’ultimo corrugò leggermente la fronte, poi Castiel annuì e, senza dire o aggiungere altro, afferrò Dean per un braccio e lo trascinò nuovamente nella loro stanza. Il soldato si richiuse la porta alle spalle, poi sospirò e osservò il biondo che si stringeva appena nelle spalle.

- Ti conosceva. - Mormorò Castiel d’un tratto. Dean sollevò lo sguardo verso di lui, fino a quel momento lo aveva tenuto abbassato al pavimento, come se lì avesse potuto trovare delle risposte.

- Come faccio a saperlo? - Castiel scosse appena la testa.

- Non era una domanda. Ti conosceva. Ti guardava come se ti conoscesse. - Dean rimase in silenzio, poi si grattò la nuca confuso.

- Può darsi. - Solo in quel momento Dean si accorse che la maglietta che indossava Castiel era bagnata in alcuni punti dal sudore. Perfino la sua pelle era ancora lucida, ma non chiese nulla a riguardo, non era quella la questione in quel momento. - Ma voi conoscete lui. -

- Metatron. - Disse Castiel. - Era l’assistente personale del generale Shurley. -

- Era? - Castiel annuì. Forse cominciò a sentire la maglietta fastidiosa e se la sfilò, lanciandola in un angolo, non curante del fatto che fosse finita sul pavimento. La medaglietta adesso ricadeva sul suo petto lucido di sudore e Dean scostò quasi involontariamente lo sguardo.

- Lo è stato fino a un certo punto. Sembrava un tipo a posto, ma poi ha iniziato ad avere le sue manie di protagonismo. Prendeva decisioni senza il consenso di Shurley, seminava zizzania tra i soldati, diffondeva ordini che a detta sua erano del Generale. Alla fine Chuck lo ha cacciato. Adesso vive da escluso. - Gli spiegò mentre iniziava a cercare nei cassetti qualcosa da mettere per la notte. - E non ha più l’accesso a questo settore, quindi è strano che fosse qui, capisci? -

- Guarda caso, dopo che sono sbucato fuori io. - Castiel richiuse il cassetto velocemente, tenendo i vestiti fra le mani come un ragazzino che si era appena reso conto di essere troppo esposto agli occhi di uno sconosciuto. Infatti il soldato abbassò lo sguardo sul proprio corpo, come a verificare se fosse davvero lui quello senza la maglietta. Si morse l’interno della guancia ma preferì non aggiungere nulla a riguardo.

- Potrebbe… ecco, visto il modo in cui ti guardava, potrebbe sapere qualcosa di te, forse riusciamo a capire perché sei qui, come mai sei così, che ci facevi sotto le macerie di un vecchio locale. - Non disse altro, Castiel si passò una mano fra i capelli, poi si avvicinò alla porta del bagno. - Lo scopriremo domani, adesso… dovresti dormire. - Dean lo guardò aprire la porta, ma poco prima che la richiudesse, lo richiamò. Castiel allora incrociò il suo sguardo, in attesa.

- Voglio esserci anche io, mentre viene interrogato. -

- Dean, potrebbe non dire nulla se ti vedesse. -

- No, Cas. Ho bisogno di sapere. - Il soldato lo guardò in silenzio, indeciso, come se ci stesse pensando su. - Voglio davvero sapere chi sono, e se lui lo sa… - Ancora silenzio. - Ti prego. - Castiel sospirò e si leccò le labbra.

- Va bene. Ma adesso dormi. - Dean annuì, lo sguardo pieno di gratitudine, gli occhi quasi lucidi mentre guardava l’uomo che lo aveva salvato e che in qualche modo, nonostante tutto, stava cercando di aiutarlo a riscoprire se stesso, letteralmente.

La porta si chiuse, Dean si stese sul letto e si sistemò sotto il lenzuolo, giocando con l’angolo del cuscino. Aveva paura, perché se l’indomani avesse scoperto di sé una verità che non gli sarebbe piaciuta, cosa avrebbe fatto dopo? Poteva anche non scoprire niente, quel Metatron forse li stava semplicemente prendendo in giro, poteva non sapere di lui e quell’interrogatorio avrebbe potuto rivelarsi un enorme buco nell’acqua. E anche in quel caso, se non avesse avuto dei risultati concreti, cosa avrebbe fatto dopo?

Castiel raggiunse il proprio letto dopo qualche minuto. Dean si era girato dalla parte opposta, non voleva vedesse che era ancora dannatamente sveglio. Il rumore del materasso che si abbassava, poi della stoffa del lenzuolo che veniva distesa. Non disse nulla, ma lo sentì sospirare un paio di volte, finché il suo respiro non divenne calmo e regolare, e a quel punto anche Dean prese sonno.



Note autrice
Lo so, è passato un sacco di tempo, l'unico modo che ho per giustificarmi e spiegarmi: esami e accademia, un anno pesantissimo, il "coviddi", il lockdown e tutto, capite che è stato un periodo molto stressante per me e non mi va di dilunguarmi a riguardo, spero soltanto che capiate, e che comunque continuerete a seguirmi.
Riprenderò a pubblicare, con i miei ritmi, anche perché fra poco mi spetta un'altra sessione di esami e non vi posso assicurare nulla. Ma come ho sempre detto, non lascio mai nulla incompleto, dovessero passare secoli.
Spero che il capitolo vi piaccia.
Ci vediamo sicuramente per un prossimo!

  
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