Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: shana8998    29/07/2020    1 recensioni
Dimenticate il solito cliché del ragazzo bello e dannato che stravolge la vita della povera ed ingenua protagonista. Dimenticate la ragazza vergine che perde la testa per il cattivo ragazzo.
Se per una volta fosse la bella e dannata a stravolgere la vita perfetta del protagonista?
Fra Gabriel e Cécile è successo proprio così. Lui ricco, di ottima famiglia , studioso , diligente e fidanzato.
Lei una ribelle piena di tatuaggi e piercing , dalla vita sregolata e disastrata.
Gabriel avrebbe potuto dimenticarla dopo il primo incontro.
Ma forse , sapevano entrambi che sarebbe stato impossibile.
«Tu ed io, siamo colpa del destino»
Genere: Angst, Erotico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Universitario
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Siamo tutti isole che gridano bugie in un mare di incomprensione.
(Rudyard Kipling)


                                                          Cécile 19.
La cerimonia
«Victor, anche tu qui! Che piacere rivederti» Con il suo solito fare da esibizionista, Marcus interrompe quel silenzio molesto, fatto di bisbigli,  allargando le braccia e facendosi strada verso il ragazzo.
«E' una vita che non ci incontriamo» Prosegue il moro stringendolo a se.
Victor, impassibile, ricambia la stretta per dovere, ma so che è profondamente disturbato.
«Allie» dopo un attimo Marcus torna a fissare mia sorella «Non mi avevi detto di avere anche una sorella»
Che gran figlio di puttana. Le sue doti da attore sono eccellenti.
«Sorellastra» Fa un passo avanti, lei «E no, non ne ho mai sentito il bisogno di farlo».
Sua madre ci fissa ancora per un attimo prima di aprir bocca.
«Bene signori!» Esclama come una vera padrona di casa, «Seguitemi in giardino!», cercando di invogliare gli invitati a distogliere l'attenzione da noi.
Ci spostiamo dal salone all'esterno della villa. In giardino, non molto lontana dalla piscina ed un secondo tavolo imbandito con ogni ben di Dio, hanno piazzato una tenda. Ad occhi e croce sarà li dentro che si terrà lo scambio delle promesse.
Marcus ed Allison ci precedono affiancati dalla zia Abbey. Victor ed io restiamo un passo dietro loro.
«E' assurdo, come riesca a non perdere il controllo. A restare nella sua stramaledetta parte.» Commento sdegnata.
Victor si porta il flute alle labbra mentre mi cammina affianco «Non mi sorprende. Piuttosto, quello sorpreso, sembrava proprio lui»
Già, non ci è voluto molto per capire che non si aspettava di vedermi qui. 
Raggiungiamo il resto degli invitati all'interno della tenda bianco candida. Victor si siede in prima fila accanto a sua sorella Allison ed il resto della famiglia della madre, mentre io, chiaramente messa in disparte, mi accomodo in ultima fila.
Il prete, sotto l'arco di fiori al centro dell'altare, incomincia a parlare e tutti i presenti si zittiscono.
Sui loro volti brilla l'emozione per ciò che sta accadendo, mi da il voltastomaco.
Dopo poco, la fatidica domanda.
«Samuel Andres Pestillo vuoi prendere la qui presente Alenka Ana Novàk come tua legittima sposa, rinnovando ed onorando le promesse già fatte?»
Mentre fisso il volto familiare di questo estraneo i ricordi mi sommergono.
 Me ne stavo li seduta a pettinare la mia Barbie. Spesso pensavo che avrei voluto essere come lei: bella, elegante, sempre perfetta. I suoi genitori saranno fieri di lei, mi dicevo. Suo padre probabilmente era l'amministratore di qualche azienda importante sempre via per lavoro e sua madre una casalinga stupenda che si dedicava a crescere le sue splendide figlie.
Il padre di Barbie non sarebbe mai tornato a casa barcollando e gridando così forte da costringere Barbie a chiudersi nel ripostiglio del sottoscala per non sentire il fracasso dei piatti rotti. E se per caso i suoi genitori litigavano per qualche banale fraintendimento, Barbie aveva sempre Ken, il perfetto fidanzato biondo, a tenerle compagnia...persino dentro il ripostiglio.
Mio padre mi ha abbandonata all'età di 14 anni e ora è di fronte a me che chiede la mano di un'altra donna dopo aver rovinato la vita alla sua ex moglie.
Non è vestito di stracci, non puzza di alcol. Diverso da come dovrebbe essere, diverso da come lo ricordo io, ha preso in mano una vita che non merita...non merita affatto.
Si volta verso me. Quando mi sorride, rivedo un'altra immagine del passato. Quella notte, l'incidente, le ambulanze e poi il silenzio dei giorni seguenti e quel maledetto funerale a cui ho partecipato solo io.
Da quella notte mia madre è peggiorata: non è stata più affettuosa come prima. Aveva già un problema con l'alcol e la morte di mia sorella, la separazione con mio padre, hanno distrutto tutto il bello che c'era in lei.
Però ha tentato disperatamente di restare con me.
«Lo voglio».
I suoi occhi brillano nel riflesso di quelli di lei. Ha un sorriso così stucchevole ed ingenuo, disgustoso.
«E tu Alenka Ana, vuoi prendere quest'uomo come tuo legittimo marito?»
Lei, al contrario, è subdola e viscida ed i suoi occhi brillano di furbizia.
«Lo voglio»
Uno scroscio di applausi si leva nella tenda. Qualcuno fischia, altri piangono di gioia, tutti applaudono festosi.
Tutti, tranne me.
Io resto seduta: la pochette stretta fra le dita rigide come artigli e lo sguardo fisso alle schiene dei presenti.
Ho voglia di alzarmi e spaccare tutto e poi, magari, di piangere a dirotto, ma non mi muovo.
La folla inizia a sciamare dalla tenda, non c'è rimasto quasi nessuno all'interno quando Victor si avvicina a me.
Mi si siede accanto e fissa l'altare vuoto come sto facendo io.
«Non aveva finito di rovinarmi la vita» mormoro in un filo di voce.
Lui non dice una parola, si limita ad allungare la mano verso le mie e la poggia sopra di esse.
«Non capisco come possa addormentarsi sereno la notte» voglio inveire ancora ed ancora.
«Cécile, non dovresti pensarci. Dovresti provare a dimenticare quell'uomo» Lo scruto confusa.
«Hai dedicato gli ultimi anni della tua vita a logorarti per colpa sua. Immagino che non hai dato nemmeno tutte le colpe solo a lui.» Sospira «E' ora di darci un taglio.».
Resto quasi inebetita dalle sue parole e stranamente confortata.
Si solleva e mi tende una mano «Cerchiamo di superare questa giornata. Ci sono io con te».
Sorrido amaramente e mi convinco ad afferrare la sua mano.
«Già...».

                                                                             ********
La merenda cena è a buffet perché gli sposi preferivano qualcosa di meno formale. Io scelgo del pollo e Victor una serie infinita di tartine con sopra le salse più strane.
Accomodati ai tavoli all'esterno, decidiamo che stare con qualche parente sconosciuto va bene ad entrambi, come va bene bere e passare il resto di questa cerimonia insieme.
Victor mi ruba una forchetta da sotto il naso, ma rischia di strozzarsi quando tenta di masticare e ridere allo stesso tempo.
Devo ammettere che mio fratello, quando beve -e lo fa di rado a differenza degli altri- è molto più simpatico e spigliato.
«Ecco la punizione per avermi rubato il cibo» dico soddisfatta versando ad entrambi altro vino.
Ride e si appoggia alla mia spalla.
Vedo che la donna davanti a noi ci fissa, e non con un'espressione divertita. Victor se ne accorge e ricambia il suo sguardo con altrettanto astio.
«Qual è il problema Doroty?» le fa lui abbastanza stizzito.
Lei fa una smorfia e solleva le spalle.
Mi sporgo verso l'orecchio di lui «Chi diavolo è Doroty?»
«La cugina di nostra madre» afferma.
Raccolgo il mio calice di vino e ne trangugio un sorso fissandola da oltre il bordo. Lei non solleva più lo sguardo per un bel po', ma continuo ad osservarla.
«Le da fastidio che tu sia qui con me?» chiedo a lui.
Non risponde, ma so che lo fa per non ferirmi.
So che l'intera famiglia di Alenka mi disprezza tanto quanto lei e non mi stupisce che Doroty vorrebbe che mi alzassi dal suo tavolo.
«Che bella che sei» all'improvviso una manina esile si appoggia sul mio avambraccio.
Una bimba con uno chignon colmo di roselline ed un abitino celeste come i suoi occhi, mi sorride raggiante.
«Ehy piccola» le dico, cucciandomi verso lei.
«Gabriela, vieni qui!» Sollevo lo sguardo alla donna seduta davanti a noi. 
«Non stava facendo niente di male» dico monocorde.
Doroty mi rifila uno sguardo torvo «Non importa, Gabriela sa che non deve disturbare gli invitati»
Sospiro un sorrisetto, sua figlia non ha fatto altro che girare per i tavoli accaparrandosi baci ovunque ed ora che si avvicina a me, lei ha da ridire.
Mi sollevo dritta sulla sedia sfidandola con un'occhiataccia e prendo fra le braccia la bimba portandomela a sedere in grembo. Victor, che sta assistendo a tutta la scena, borbotta una risatina fra i denti.
«A me non da nessun fastidio» dico con un certo tono di sfida.
Le guance di Doroty si fanno paonazze. Sta per scoppiare.
«Gabriela, scendi immediatamente da li!»
«Ma io voglio stare qui» piagnucola la bambina.
Doroty serra la mascella indispettita per l'atteggiamento della bimba, si solleva, la raggiunge e me la strappa dalle braccia facendo persino troppa forza sulle esili braccia della piccola.
«Le stai facendo male, non lo vedi?» Victor mi appoggia una mano sulla spalla appena si accorge che sto per alzarmi. Mi volto a guardarlo.
Dalla sua occhiata capisco di doverci dare un taglio. Reprimo un pugno di rabbia e torno a sedere sprofondando pesantemente sulla sedia.
Le portate principali scorrono velocemente. Il cielo si è imbrunito e qualcuno decide di fare un tuffo in piscina. Il ricevimento si è trasformato in una festa in piena regola. Alcuni invitati ballano, altri cantano al Karaoke, poi ci sono i tuffi, le risate... i bicchieri.
 Victor ed io ce ne stiamo sotto la veranda appoggiati al muro. Siamo stanchi, tronfi di cibo e abbastanza alticci.
«Stavi dando di matto per quella bambina» dice sorseggiando l'ennesimo bicchiere di spumante.
Ha le guance arrossate come i suoi occhi celesti. Si vede che l'alcol sta sortendo effetto.
«Le stava facendo male» affermo. Ripensando a quel momento, mi monta su nuovamente la rabbia.
«Non avresti reagito così se al posto di Gabriela ci fosse stata una ragazza della tua età»
Sospiro un sorrisetto e trangugio l'ultimo sorso di quello che credo fosse un mojito casereccio.
«Che dire, mi piacciono i bambini» appoggio il bicchiere sul davanzale della finestra alle nostre spalle «Vado in bagno.»
«Vuoi che ti accompagni?» 
Mimo un no con la testa e scosto l'anta in vetro per entrare.
Tutto sommato, fino a questo momento, ben poco è andato male. Mio padre, a tavola con mia sorella, il suo ragazzo e sua moglie, non si è avvicinato a me mezza volta ed anche gli invitati non mi hanno considerata.
Sicuramente qualcuno avrà avuto da commentare il fatto che Victor ha preferito restare con me anziché con sua sorella e sua madre, ma questo non ha rovinato il banchetto.
Salgo la rampa di scale in legno di rovere che conduce al piano superiore, quello dove si trovano le stanze da letto, lo studio di mio padre ed il bagno.
Oscillo leggermente sui tacchi e l'aver bevuto abbastanza non ché l'indossare questa gonna troppo lunga sta rendendo tutto troppo complicato.
Riesco a raggiungere il corridoio ma quando lo attraverso per arrivare al bagno lo sguardo mi cade sulla porta semichiusa della mia stanza da letto.
Afferro la maniglia ed entro.
Non è stato toccato nulla. Il letto perfettamente rifatto, i libri al loro posto, la scrivania sgombra. Profuma di pulito, come se mandassero a rassettarla ancora ora.
Mi muovo sul parquet scuro. 
Accanto al letto a baldacchino, sopra il comodino di legno massello, trovo svariate cornici.
Mi siedo a bordo letto e ne prendo una. La foto ritrae Allison, Victor e mio padre che li tiene stretti a se. Se non vado errato quella foto risale a molti, molti, anni prima che lui facesse richiesta di affido costringendomi a trasferirmi qui.
Mi fa rabbia vedere una foto del genere in quella che dovrebbe essere la mia stanza. Ma non è più la mia stanza, giusto?
Le altre cornici contengono foto che ritraggono me, sola: il giorno dell'arrivo a Boston, quello del mio primo compleanno in questa città di merda ed una, l'unica, con mia madre.
Avevo dimenticato questa foto. 
Avevo quasi dimenticato il suo viso.

Appoggio quella che ho in mano e porto a me quella che ritrae me e mia madre.
Ha dei lineamenti così sereni in questo scatto. Probabilmente, il peggio per lei non era ancora arrivato. Io ero piccola, troppo piccola, e lei così giovane ed entusiasta di essere madre per la seconda volta.
Le sfioro il contorno del viso con l'indice e di colpo sento il terribile bisogno di averla qui con me.
Non sono la ragazza forte e risoluta che ho sempre creduto di essere. Sono fragile, mi sento persa e lei...lei mi manca come l'aria.
«Cècile» Sollevo di scatto lo sguardo asciugandomi in fretta l'angolo di un occhio.
«Che ci fai qui?» 
L'uomo di fronte a me non può essere mio padre, benché abbia gli stessi lineamenti che ricordo sfocati nella mia memoria di bambina.
Tutte le speranze che avevo nel vederlo così, proprio come ora, accanto a mia madre,sono svanite quando ha deciso di dire SI a quella donna.
Come può riposare sereno?
«Sei sparita»
«Tutto quel ridere e scherzare mi stava dando sui nervi» dico incrociando le mani sulle ginocchia.
«Non intendo solo dal banchetto. Ti ho cercata per mesi...» si passa una mano dietro la nuca «Non hai mai risposto al cellulare»
Gli lancio un'occhiata felina «Cosa ti ha fatto pensare che potevo aver voglia di parlare con te?»
La sua bocca si contrae come se volesse ribattere, ma non lo fa.
«Non siamo più una famiglia. Mettitelo in testa» concludo tagliente.
Che situazione assurda. E' mio padre, l'uomo che ha abbandonato me e la mamma. E adesso è davanti a me che indirettamente mi supplica di perdonarlo.
Purtroppo è difficile ammettere che una parte di me sia persino felice di rivederlo. Anzi, non voglio ammetterlo affatto. Mi odio per quello che sto provando in questo preciso momento.
«Cécile, perché mi odi così tanto? Io non vi ho abbandonate. La mamma-» prova a fare un passo verso me ma lo sovrasto con la voce.
«Non ci provare. Non provare a dare la colpa a lei!»
Mi costringo a restare seduta. Se mi alzassi lo colpirei e poi mi sentirei male per averlo fatto.
Bastona lo sguardo e si asciuga la fronte leggermente imperlata di sudore.
«Era diventato tutto troppo difficile da gestire» ammette quasi sussurrando a se stesso «Katarina era morta e tua madre...Dio» si copre gli occhi con il palmo della mano «Lei soffriva troppo ed io non riuscivo ad aiutarla»
Scatto in piedi «E così ti è parso giusto abbandonarci e poi toglierle me!»
La vista mi si appanna di colpo.
«Vivevi per strada!»
La sua voce arrochita per l'età e gli eccessi passati, scoppia fragorosa. Mi intimorisce per un attimo.
«Preferivo vivere  per strada, ma accanto ad una persona che mi ama e lo farà sempre» ringhio fra i denti.
Per anni ho covato il desiderio di questo momento ed ora che è arrivato, mi rendo conto che io sono impotente poiché come lui...
Ha causato la morte di mia sorella e devastato la vita di mia madre, ma chi sono io per giudicarlo? Non sono poi così diversa da lui. Anche io, quando i problemi si fanno enormi, scappo.
«Posso almeno sapere dove abiti ora?» Tenta di chiedermi non sapendo cosa rispondere.
«Che ti importa?» lo aggredisco, ma poi mi rendo conto che non serve a nulla, che quell'aria da cane bastonato non sparirà dalla sua faccia del cazzo «Un po' la...Un po' qua...» mento.
«Credevo vivessi con qualcuno. Non hai un ragazzo?»
Fa sul serio? Sta cercando di avere questo genere di dialogo con me?
«In realtà c'è una persona, ma non ne voglio parlare con te.»
«Sono tuo padre, con chi altri dovresti parlarne?»
«Tu non sei mio padre! Tu sei l'uomo che mi ha rovinato la vita!» grido.
Il suo viso si contrae, un po' per rabbia, ma poi prevale il dolore.
«Mi manca mia figlia» scoppia in lacrime «Mi manca la mia Cecilija»
Sentir pronunciare il mio nome esattamente come lo faceva mia madre mi fa torcere lo stomaco: lo usavano quando tutto era ancora normale. Quando mia madre Andreja era una ragazza felice e mio padre l'amava ed amava me.
Sono confusa. Lo ricordavo come un alcolizzato aggressivo e poi, anche quando è arrivato qui, con me è sempre stato schivo e carico di rancore.
Ogni volta che abbiamo litigato negli ultimi anni, mi ha sempre gridato la frase "sei come lei, le assomigli anche", con disprezzo. Lo stesso che ha serbato a lei.
«Ti prego dammi una possibilità» singhiozza. Tira fuori un fazzoletto di stoffa dalla tasca della giacca e si asciuga gli occhi.
Lo fisso impassibile. Persino le mie lacrime hanno fatto retro-front.
«L'unica possibilità che ti do è quella di sparire dalla mia vita. Se sono qui oggi è solo per Allison e Victor.»
Lo sorpasso, spalanco la porta e vado via.
Non corro subito. I primi passi lungo il corridoio sono lenti ed attenti semmai lui mi dovesse seguire. Non lo fa.
Allora è li che corro.
Corro e finalmente, lontano dai suoi occhi, piango.
Piango perché si arriva ad un punto dove si dimentica persino come si finge di essere forti.
«Cécile!» Ignoro Victor e corro fuori dalla villa.
E' ormai la notte di un giorno che sto odiando quasi più di me stessa.
Incespico più volte sul brecciato e gli occhi appannati di lacrime e trucco non mi permettono di vedere dove sto mettendo i piedi.
Non so dove andare, non so cosa fare, ma vorrei scappare in qualche direzione.
Avanzo sulla ghiaia, finché, una storta non mi toglie il fiato costringendomi a togliermi i tacchi e a proseguire scalza.
Che importa, mi dico. Non ne vale la pena di camuffare una persona come me sotto un abito del genere.
Non ne è mai valsa...
Mi asciugo l'ennesima lacrima con il dorso della mano e scopro di averlo coperto di mascara colante.
Di getto anniento una risata pensando a quanto brutta e buffa sono in questo momento.
Pietosa. Si questo è il termine adatto.
Una ragazzina pietosa che scappa via dopo aver capito cosa nella sua vita le fa del male.
Cerco di darmi una calmata anche se le lacrime non la smettono di scendere, sollevo il viso al cielo stellato e raccolgo quanta più aria possibile.
Perché? Perché deve essere tutto così di merda?
L'insana sensazione che mi suscita la presenza di mio padre è deleteria per me. Mi sento in colpa verso mia madre: so di odiarlo, so che ho permesso a quest'uomo di rovinarmi la vita persino ora che gli sono lontana. Ma allo stesso tempo, lui -anzi, no- l'idea di avere un padre mi manca a tal punto da rendermi così tanto fragile.
Ti prego rispondi. Spero con tutta me stessa che Gabriel pigi quel pulsante e risponda a telefono.
Ho bisogno solo di lui in questo momento. Solo della sua presenza, di un "andrà tutto bene".
«Cécile» dal suo tono di voce capisco subito che è allarmato.
«Ti prego vieni a prendermi» singhiozzo «Sono a casa di mio padre. Ti prego, vieni qui.»
Sto piangendo a dirotto mentre sono a telefono con lui.
«Inviami la posizione. Arrivo.» Risponde telegrafico e riattacca.
Entro su Whatsapp e gli invio il percorso per arrivare qui.
Le emozioni mi sovrastano come un fiume in piena. I singhiozzi non la smettono di togliermi il fiato, le gambe mi tremano, lo stomaco fa male.
Sono crollata, proprio ora.
Il mio corpo è frustato da tremori interminabili che non riesco a domare. Ormai non si tratta più di attacchi di panico o di semplice ansia, si tratta di qualcosa di più profondo e malcelato.
Il mio cuore, come pensavo, è realmente ridotto in poltiglia a causa di questa persona.
All'inizio credevo che il male peggiore fosse Bonuà e tutte le cose spregevoli che mi ha costretto a fare, poi suo figlio. Ma ora, so che il vero male, il vero problema nella mia vita è mio padre e ciò che riesce involontariamente a farmi.
E' viscido. Odio che si pianga addosso consapevole dello schifo che fa.
Ed io sono una povera stronza masochista. Ho accettato questo stupido invito con l'intenzione di rovinare il suo matrimonio e sono finita a piangere nel suo giardino maledetto.
«Quando la smetterai di rovinare tutto?!» Grida  Allison alle mie spalle.
«Che diavolo vuoi?» le chiedo, ma la voce sembra tramutarsi in un lamento disperato.
Assieme a lei c'è Marcus. La faccia da impunito e il tremendo piacere di vedermi ridotta cenere che gli balena, come un lampo, sul viso.
«Ho visto mio padre piangere» dice severa rimarcando le parole "mio" e "padre" con la voce «Quando la smetterai? Non hai rovinato abbastanza l'atmosfera di questa famiglia?»
Mi sento morire. Io non provo tutto l'odio che prova lei per me.
«Allison, cerca di calmarti» le mormora Marcus afferrandole appena il gomito. Gli occhi le stillano odio contro di me.
Mi sorprende il gesto di lui, mi sarei aspettata un sorriso vittorioso stampato sulle sue labbra. Invece l'espressione che ha rasenta il fastidio.
«Avevi giurato di sparire dalle nostre vite» sibila rabbiosa «Ma non sei capace neanche di portare a termine le tue stesse parole!»
All'improvviso Victor appare alle sue spalle e la spinge «La devi lasciare in pace!» Grida alla sorella.
Vorrei fermarlo. Vorrei ricordargli che Allison non sa nulla del bel rapporto che lui ha con me, ne del fatto che entrambi sappiamo che la Dama Bianca, la donna a capo del defunto Bonuà è proprio la loro madre.
«Perchè la difendi!?» lei ricambia la spinta.
Marcus cerca di mettersi in mezzo ma i due sembrano belve inferocite.
«Victor non le reagire!» Cerco di farlo rinsavire «Smettetela!»
Assomigliamo a quattro galli in un pollaio troppo stretto.
Smanacciamo, urliamo. Non ha senso tutto questo.
«Marcus, fa qualcosa!» gli grido.
«Ci sto provando» cerca di bloccare per la vita Allison che intanto ha sferrato un'artigliata sulla guancia di suo fratello minore.
Sta andando tutto a rotoli. Di questo passo...
«Che cazzo hai nella testa per difenderla, eh?» inveisce ancora lei.
«E tu che motivo hai per odiarla così tanto? Perché non te la prendi allo stesso modo con il tuo ragazzo!»
Il sangue mi scivola ai piedi.
Victor si zittisce subito dopo aver pronunciato quell'ultima frase ed anche Allie e Marcus sembrano essersi pietrificati.
«Che vuoi dire?» avanza di un passo lei.
Marcus guarda me nel modo più disperato possibile.
«Ti ha tradita» mi affretto a dire io.
Gli occhi le si allargano a dismisura.
«Con...chi?» ora le trema la voce.
I miei occhi rimbalzano dal viso di Victor a quello di Marcus.
«Ecco-» provo a dire.

Un buon bugiardo sa che la menzogna più efficace è sempre una verità a cui è stato sottratto un elemento fondamentale.

«Con Margherita.» Ammetto con estrema sicurezza.
Marcus sgrana le palpebre e noto che le sue mani incominciano a tremare.
«Che-stai facendo, Cécile?» mormora con voce tremolante.
«Dice sul serio?» Allison si volta verso il suo ragazzo, gli occhi gonfi di lacrime «Sta dicendo la verità?» Ripete accennando un sorriso malinconicamente disperato.
Le labbra del moro si schiudono ma dalla sua bocca non esce nulla.
«Diglielo. Digli la verità» gli intimo a brutto muso.
So cosa sto facendo. Non posso permettere che tutto venga fuori, che lei sappia la verità di me, di Marcus e Victor ne, tanto meno, del lavoro che svolgiamo per sua madre.
«E'...E' così, Marcus?» le tremano le spalle.
Lui abbassa lo sguardo, forse ha capito dove voglio arrivare.
«Perdonami»
«NO! NO!» grida a singhiozzi lei «Non è vero!» si accascia sulle ginocchia. Victor l'afferra un attimo prima che cada a terra.
«Sei un mostro!»
I pugni del moro si stringono tanto da fargli diventare le nocche bianche.
Lo fisso e lui scruta me con la coda dell'occhio.
«Ho dovuto farlo...» mimo con le labbra, il viso impassibile.

Esistono delle menzogne così vergognose, da provare maggior disagio a sentirle che a raccontarle.

«Che diavolo...»
Quando credevo che il peggio fosse passato, Gabriel appare alle nostre spalle.
Il cuore si ferma nel mio petto per un attimo lungo quanto un'eternità.

«No, no, no, no...Gabriel, posso spiegar-» 
«Che significa, Cécile?» mi sovrasta. I suoi occhi rimbalzano su noi quattro e quando nessuno ha il coraggio di rispondere, alza la voce «Dannazione! Spiegatemi cosa significa questo!»
 

“La verità trionfa da sola, la menzogna ha sempre bisogno di complici.”

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: shana8998